Le funzioni di unico giudice monocratico penale in una sede distaccata comportano dover affrontare i reati più disparati, dalle familiari fattispecie del codice alle più strane legislazioni speciali.
Alla varietà dei reati corrisponde altrettanta varietà dei tipi d’autore, per cui ogni determinazione della pena conseguente alla condanna per me era davvero sempre diversa e personalizzata.
Anche in materia di droga, i casi erano molto eterogenei, e data la peculiarità della zona di mia competenza (Adria, il delta del Po) la tipologia prevalente, rispetto ai reati di spaccio ordinario, era quella del “coltivatore diretto” di marijuana, specialmente nei canali lungo il fiume, tipologia di per sé molto varia.
Quando dopo 11 anni di giudice monocratico penale sono arrivato alla Corte d’appello di Venezia, sono stato assegnato alla sezione che tratta fra l’altro ma principalmente i processi per droga.
Dell’esasperata specializzazione che ne deriva mi ha colpito molto, rispetto al primo grado, la serialità, con condotte e tipi d’autore che si ripetono processo dopo processo. In particolare, è seriale lo spaccio di strada da parte di extracomunitari.
Ma altrettanto mi ha colpito da subito la grande disparità di trattamento sanzionatorio fra tribunali del distretto e fra giudici dello stesso tribunale.
Per esempio, come potete leggere nelle tabelle allegate, c’è la pena di 6 anni per 120 Kg di hashish contrapposta a quella di 7 anni e 6 mesi per 7 Kg della stessa sostanza; la stessa quantità di 8 gr cocaina è punita in un caso con 7 anni, in un altro con 2 anni e 6 mesi ; e la stessa pena di 6 anni sanziona detenzioni di eroina di 96, o di 1.188 grammi. Il V comma si nega per 1,5 gr di eroina, e si concede per 49,6 gr di cocaina!
È vero senz'altro che ogni caso è diverso, anzi io sono un fermo sostenitore della massima discrezionalità per adeguare la pena al caso concreto.
Tuttavia nei processi per droga purtroppo la personalità dell'individuo quasi sempre si perde, per cui la determinazione finisce per ancorarsi principalmente al tipo di droga e alla quantità.
Nulla si sa degli autori del reato, a volte nemmeno il nome vero, l’unico dato biografico è il casellario giudiziale.
Per cui l’unico dato significativo è quello della quantità detenuta.
E su quella finisce per basarsi il trattamento sanzionatorio, come si vede dalla motivazioni, succinte e stereotipate anch’esse, sul punto.
La disparità di trattamento sanzionatorio mi ha sempre causato un grande disagio, per ovvi motivi. E non volevo aggiungere a quella del primo grado anche qualche mia oscillazione ingiustificata.
Quindi, innanzitutto per ausilio a me, poi per i colleghi di sezione, ho cominciato a raccogliere i dati della pena irrogata in relazione alla quantità contestata.
Ben presto ho concentrato l’attenzione sulla pena base: si tratta di un criterio molto omogeneo, perché poi gli aspetti specifici del fatto incidono sulle circostanze generiche, sull’applicazione della recidiva etc, e c'è anche la riduzione per il rito; mentre la pena base, ho rilevato, si basa pressoché esclusivamente sul dato quantitativo.
Dai dati raccolti si è poi cercato di ricavare delle linee tendenziali, delle “medie” del distretto, per cercare di uniformare le pene.
Quindi le indicazioni non nascono da un ragionamento anteriore all’esame dei processi, ma sono estrapolate posteriormente ai processi.
Più che delle tabelle, quindi, una raccolta, da cui far emergere una possibile media.
Si è cercato di fare in sostanza un’operazione analoga a quella che la Suprema Corte ha legittimato con la sentenza a SS.UU. n. 36258/12 sulla “ingente quantità”, con riferimento alla casistica sul “materiale giudiziario” a disposizione; e quindi “in base ai dati di comune esperienza, conoscibili e valutabili proprio dalla Corte di Cassazione, in ragione del fatto che essa è da ritenere ‘terminale di confluenza’ dei moltissimi casi che si verificano e si accertano su tutto il territorio nazionale…compiere una operazione puramente ricognitiva, sulla base dei dati concretamente disponibili e avendo, appunto, quale metro e riferimento i dati tabellari”.
La Corte d'appello si avvale ed è agevolata da questa operazione ricognitiva nella decisione sul singolo caso, poiché, come afferma la giurisprudenza (Sez. 4, Sentenza n. 47501 del 2011) vivendo la realtà sociale del comprensorio territoriale nel quale opera, è da ritenersi in grado di apprezzare specificamente la ricorrenza di singoli elementi, quali i parametri concernenti il quantitativo, le ricadute per la salute pubblica, la tipologia dei consumatori, le condizioni in genere del mercato illegale.
La raccolta non ha pretesa di completezza o ufficialità: è solo una raccolta artigianale delle sentenze della sezione, in due anni, escludendo solo quelle – pochissime, peraltro - che avevano specificità troppo accentuate.
I casi sono ordinati per sostanza e quantità (lorda, in quanto non sempre è disponbile il dato sul principio attivo); ho inserito anche il tribunale di provenienza, che è un dato significativo.
La raccolta è articolata in tre sezioni, distinguendo la detenzione a fini di spaccio punita con il I comma art. 73 D.P.R. n. 309/1990, quella punita con il V comma, le cessioni di singole dosi ripetute nel tempo. Il riconoscimento del “fatto lieve” è ancora più importante oggi, dopo l’approvazione del D.L. n. 146/2013.
Nella prima tabella ci sono i casi di detenzione a fini di spaccio in cui è stato applicato in appello il V comma, cioè casi in cui, generalmente, la quantità era superiore a quella per uso personale (di cui parlerò dopo) e inferiore a quella per cui si applica il I comma. Ritenendo che vi sia il fatto tenue, si applica la pena da 1 a 6 anni.
Da questa tabella si possono ricavare delle conclusioni almeno tendenziali.
Di fatto, intanto, si guarda non il peso lordo ma il principio attivo. Sotto i 5 gr di principio attivo detenuto è applicato il V comma, sopra i 10 gr sempre il I comma; fra i 5 e i 10 gr si applica tendenzialmente il V comma, ma si esamina più globalmente la condotta.
Nella seconda tabella ci sono i casi di detenzione a fini di spaccio in cui è stata applicata in appello la pena del primo comma dell’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, quindi da 6 a 20 anni.
Dalla tabella emerge un notevole schiacciamento verso il basso della pena base, tendenzialmente orientata verso il minimo anche in presenza di quantitativi molto diversi.
Questo è un segnale inequivoco che i giudici ritengono molto gravoso, eccessivamente punitivo, il minimo edittale, per cui vi si attestano il più possibile, discostandosene a fatica, e di poco, solo per quantitativi che superano notevolmente quella soglia dei 10 gr che si è indicata come base del I comma.
Nella terza tabella c'è la fattispecie più problematica, quella relativa alle ripetute cessioni, anche per anni, a più persone: I o V comma?
Questa fattispecie ha impegnato i tribunali di primo grado con pronunce molto diverse.
La Corte da tre anni sta applicando l’orientamento più recente della Cassazione, secondo il quale “In materia di sostanze stupefacenti, la circostanza attenuante speciale del fatto di lieve entità non può essere legittimamente esclusa sulla base del mero presupposto che l'imputato ha posto in essere una pluralità di condotte di cessione della droga reiterate nel tempo, prescindendo in tal modo da una valutazione di tutti i parametri dettati in proposito dall'art. 73, comma quinto, d.P.R. n. 309 del 1990” (Sez. 6, Sentenza n.29250del 01/07/2010, con diverse sentenze conformi).
Si è cercato quindi di prestare attenzione e di censire dati oggettivi quasi sempre ricavabili dall’imputazione e dalla sentenza, quali il numero dei cessionari, la durata nel tempo dello spaccio, il numero delle cessioni.
Negli ultimi tempi si è prestata maggiore attenzione alla quantità massima di scorta detenuta, considerando che anche questo è un dato che recentemente la Cassazione ha riconsiderato (si veda Sez. 6, Sentenza n. 41090del 18/07/2013, secondo cui “l'attenuante di cui al comma quinto dell'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonchè di guadagni limitati e che ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore - tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a "decine").
Perciò la II sezione della Corte d'appello di Venezia ha tendenzialmente – tendenzialmente, ripeto, perché qui le specificità pesano di più – concesso il V comma, in ordine al numero delle cessioni, sino alle 500 cessioni/anno, ma alzando molto la pena base e la continuazione, arrivando anche a pene considerevoli vicine al minimo edittale del I comma; e in ordine alla quantità escludendolo quando la stessa rappresenta un accumulo di per sé allarmante.
Incidentalmente, pur non potendolo ricavare direttamente dalla tabella (dato che lo spacciatore colto in flagranza è condannato indipendente dalla quantità/qualità della sostanza ceduta), posso aggiungere come dato di esperienza diretta che tendenzialmente i giudici di primo grado (o direttamente la polizia giudiziaria che omette la denuncia penale) considerano destinate all’uso “esclusivamente personale” quantità di sostanza stupefacente anche superiori a quella della cosiddetta Q.M.D., la quantità massima detenibile ricavabile applicando alla dose media singola il moltiplicatore introdotto dal D.M. 11 aprile 2006.
Infatti, a prescindere dai casi di flagranza, in ipotesi di mera detenzione senza altri indici di spaccio la quantità è stata considerata indizio significativo solo quando parecchio più elevata della QMD, cercando sempre di accompagnarla a indici ulteriori.
Ho cercato di elaborare a posteriori anche delle linee di tendenza per quanto riguarda la relazione fra quantità della sostanza stupefacente e pena irrogata.
Anche in questo caso si fa riferimento al dato del principio attivo, non al peso lordo.
Al riguardo, va segnalato che pochissimi giudici distinguono nel calcolo della pena le “droghe leggere” dalle “droghe pesanti” (cioè quelle che nella legislazione sino al 2005 erano contenute nelle tabelle II-IV e nelle tabelle I-III della legge), considerando l’inserimento nell’unica tabella introdotta dalla L. 21.2.2006 n. 49 come equiparazione sia per la pena che per la gravità del fatto.
Ciò lo si ricava certo dalle motivazioni che operano la distinzione, che sono come si è detto pochissime, ma soprattutto a contrario dal fatto che moltissimi giudici partono dalla pena base minima (di 1 anno o 6 anni, a seconda della fattispecie ritenuta) anche quando si tratta di detenzione e spaccio di eroina o cocaina, negando quindi che il fatto che si tratti di ex “droga pesante” possa incidere oggi sulla pena.
Le linee di tendenza ricavabili sono le seguenti:
V comma
Fino a 1,5 grammi p.a.- pena base fino a 2 anni
Da 1,5 a 3 grammi p.a-pena base da 2 a 3 anni
Oltre 3 grammi p.a. -pena base oltre 3 anni
I comma
Da 5 a 15 grammi p.a. - pena base 6 anni
Da 15 a 100 grammi p.a. - pena base da 6 a 8 anni
Oltre 100 grammi p.a. - pena base oltre 8 anni
Si noterà dalle raccolte che le correzioni operate dalla Corte sono quasi tutte in diminuzione e ciò deriva dal fatto che, tranne in casi (quasi eccezionali) in cui abbia impugnato (anche o solo) il Procuratore Generale, la Corte d'Appello non può aumentare la pena; anche se più volte sarebbe stato da fare di fronte a casi clamorosi come quelli che potete vedere anche voi.
Per cui gli interventi della Corte sulla pena base - molto meno di quelli che si pensa, peraltro - sono solo al ribasso, credo quasi sempre per equilibrare pene eccessive non giustificate.
A tutto questo ovviamente non è estraneo il tema del rapporto fra indipendenza del giudice ed eccessiva discrezionalità della giurisdizione.
Parlando con molti colleghi di queste tabelle e del ruolo della Corte d’appello, ho dovuto prendere atto che nei tribunali non si raggiungono linee concordate in questa materia.
La netta impressione, personale, è che dietro l’indiscutibile principio dell' "autonomia e indipendenza" del Giudice e del fatto che "ogni caso è diverso dall'altro", si nasconde una ritrosia dei soggetti coinvolti a intervenire, a confrontarsi (tra Giudici della stessa sezione, tra Giudici dello stesso Tribunale, tra Giudici della stessa Corte ...) per tracciare delle linee guida che almeno consentano ai magistrati di non avere margini discrezionali così ampi da creare disorientamento, e ad avvocati e imputati di non sentirsi giudicati dal Caso (perché l’esito processuale dipende dalla porta che varchi).
Delle linee che in definitiva consentano, pur nella eterogeneità dei casi, una certa omogeneità dei criteri di giudizio o almeno la individuazione di un'area condivisa (piantiamo almeno i paletti di confine nello stesso punto) all'interno della quale operare poi tutti con maggiore serenità ed equità.
E devo dire che la stessa ritrosia ho riscontrato negli uffici di procura, in relazione ad una omogeneità a livello distrettuale.
Pertanto, per quello che può essere utile, questo è lo scopo di queste raccolte.