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Guantanamo: l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame 'put on screen'

di Francesco Florit
Giudice del Tribunale di Udine
Come una causa può accelerare la chiusura del centro di detenzione per 'enemy combatants'
Guantanamo: l’alimentazione forzata dei detenuti in sciopero della fame 'put on screen'

Guardando le foto del profilo professionale del giudice americano Gladys Kessler pare di intravedere nel suo sguardo distaccato e sereno e nelle linee di un volto ‘d’altri tempi’, i segni della tensione morale e della forza intellettuale che ne fanno un tipico rappresentante del ceto giudiziario americano 

Già agli onori delle cronache qualche anno addietro per aver condotto una delle vertenze giudiziarie di maggior rilievo nei confronti di Big Tabacco, ella è ora il giudice della causa civile che può arrecare un duro colpo alla Amministrazione Obama sul piano dei diritti umani, portando all’accelerazione del processo di chiusura di Guantanamo ed al superamento di quegli strumenti giuridici che, a far tempo dall’USA PATRIOT Act del 2001, erano stati predisposti dalla Amministrazione di Gorge Bush per la War on Terror.

E’ importante sottolineare quanto appena detto: il procedimento del quale stiamo per parlare è una lite che non ha nulla del procedimento penale; essa è in corso di svolgimento davanti ad un giudice federale del distretto di Columbia (Washington).

Negli Stati Uniti d’America non è in effetti raro che i grandi avanzamenti dei diritti civili avvengano per via giudiziaria e che in tale contesto sia la giurisdizione civile ad avere un ruolo predominante.

Come magistralmente illustrato nel libro di Peter Irons ‘A people’s history of the Supreme Court’, fin dalla fine del Ventesimo secolo, seppure a fasi alterne, l’affermazione delle libertà civili e dei diritti umani è stato frequentemente il frutto dell’impegno liberal della giurisdizione civile, dalle Corti di Contea alla Corte Suprema.

Ciò dipende in larga misura dalla tradizione giuridica anglosassone che consente la citazione diretta delle istituzioni pubbliche da parte del singolo individuo per la affermazione dei propri diritti, senza distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi e senza rimettere la decisione di tali questioni ad una giurisdizione amministrativa inevitabilmente più vicina alle ragioni delle istituzioni; ma dipende anche dalla posizione del giudice nella società americana la quale assegna al giudiziario uno status pari a quello del legislatore e che riconosce e distingue i giudici come figure pubbliche, beneficiari di onori ben superiori a quelli cui è abituato il giudice continentale ed altresì titolari di un riconoscimento sociale che gli consente di interpretare il ruolo di “giurista politico del diritto, manipolatore di “doctrines”, scienziato sociale, grande giudice legislatore” (Mattei, Il modello di Common Law, pg.22).

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Il contesto che fa da premessa alla lite è la prigione di Guantanamo, sull’isola di Cuba.

Come noto, i tre centri di detenzione (ora ridotti a due) sull’isola caraibica gestiti dall’esercito USA hanno ospitato nella decade passata fino a 800 detenuti ai quali l’Amministrazione Americana ha negato lo stato sia di detentuti sia di prigionieri di guerra, relegandoli, con la qualifica di enemy combatants, in un limbo sottratto alla giurisdizione americana.

Solo in seguito all’introduzione del Detainee Treatment Act (2005) ed ad una decisione della Corte Suprema del 2006 (Hamdan v. Rumsfeld), questo stato di cose ha iniziato a mutare e si è cominciato ad applicare nei confronti dei detenuti gli standards minimi dell’art.3 delle Convenzioni di Ginevra.

L’attuale popolazione carceraria è ridotta a poco meno di 160 detenuti, la metà dei quali è stata da anni dichiarata idonea al trasferimento o perfino alla liberazone.

Membri di questo gruppo di prigionieri ‘in attesa di rilascio’ (i ‘Cleared 78’) stanno attuando dall’inizio del 2013 uno sciopero della fame per protestare contro l’inerzia dell’Amministrazione che pur riconoscendo loro l’inoffensività e l’assenza di elementi per basare una qualche imputazione, li detiene da un decennio senza aver mai formulato nei loro confronti accuse specifiche.

Contro questa forma estrema di protesta e resistenza passiva, il Dipartimento della Difesa, da cui i centri di detenzione di Guantanamo dipendono, somministra, ove ritenuto necessario, trattamenti di alimentazione forzata consistenti nell’introduzione forzata di liquidi nutritivi nello stomaco del detenuto per mezzo di cannule inserite per via nasale e quindi esofagea. Naturalmente la pratica richiede ed implica la costrizione del detenuto non consenziente, che viene vincolato ad una speciale sedia per la durata della somministrazione e per un’ulteriore mezz’ora, al fine di consentire la digestione ed impedire il vomito, spontaneo o autoindotto dal detenuto in sciopero della fame. Ancor prima di vincolarlo alla sedia, è necessario procedere all’estrazione dalla cella del detenuto che si oppone, una pratica che viene attuata con metodo militare da un drappello di guardie carcerarie talora protetti da scudi e visiere, per evitare atti di violenza, sputi e getto di escrementi o vomito.

Le accuse contro le tecniche costrittive poste in atto sono in particolare incentrate sull’uso di pratiche mediche discutibili o proibite, il mescolamento di sostanze nutritive tra loro incompatibili, l’addizione di sostanze nocive e la ricerca, da parte del personale infermieristico che assiste la somministrazione forzata, di ogni mezzo per spezzare la resistenza del detenuto al fine di farlo desistere dallo sciopero.

La liceità delle pratiche di cell extraction e di forced feeding è stata contestata da un detenuto nella causa Abu Wa’el Dhiab v.Obama presentata davanti alla Corte per il Distretto di Columbia (Washington), giudice Gladys Kessler. L’Amministrazione convenuta è rappresentata in giudizio dal Dipartimento della Difesa. La competenza del giudice federale d’appello per il distretto di Columbia è stabilita dal Detainee Treatment Act (2005)

L’intera procedura giudiziale è complicata dal fatto che i difensori non hanno diretto accesso ai propri clienti dai quali vengono informati per iscritto. Lo scambio di informazioni è lento e reso defatigante dai controlli ed autorizzazioni ai quali le lettere sono sottoposte prima dell’inoltro.

Tuttavia l’ammissione della Amministrazione di detenere numerosi filmati della nutrizione forzata del detenuto ha portato la difesa dell’attore a formulare una istanza al giudice di inibitoria nei confronti dell’Amministrazione convenuta dal distruggere i filmati; è stato inoltre richiesto di aver accesso e di poterli visionare.

Entrambe le richieste sono state accolte dal giudice Kessler nelle settimane passate. Per comprendere la ragione della prima richiesta (inibitoria della distruzione delle registrazioni) è opportuno ricordare che nel 2005 la CIA aveva proceduto alla distruzione di tutte le registrazioni (oltre 150 video) degli interrogatori di detenuti a Guantanamo prima che ne potesse essere disposta la visione o pubblicazione a seguito di ordine giudiziale.

Asseritamente, le immagini registrate contenevano la documentazione delle durissime tecniche di interrogatorio adottate dall’esercito americano a Guantanamo, fino alla tecnica del waterboarding che prevede che il detenuto, immobilizzato in posizione supina e con la testa in posizione inferiore ai piedi, venga assoggettato ad un simulato affogamento chiudendogli la testa in un sacco e versandogli sul volto notevoli quantità di acqua, così da provocargli la sensazione di annegare.

Per impedire il ripetersi della distruzione delle registrazioni anche in questo caso, il giudice Kessler ha ordinato all’Amministrazione di mettere immediatamente a disposizione dei difensori dell’attore le registrazioni in formato elettronico accessibile.

Non solo questo. Il giudice è andata ben oltre.

A seguito delle richieste di testate giornalistiche e radiotelevisive internazionali il giudice ha ordinato che i video che mostrano l'alimentazione forzata cui è stato sottoposto Abu Wa’el Dhiab a Guantanamo siano resi pubblici. Il  governo dovrà preparare versioni pubbliche di 28 filmati in cui si vede il prigioniero di origine siriana trasferito con la forza dalla sua cella e alimentato con il tubo inserito nello stomaco attraverso il naso.

E’ facile comprendere quale impatto sull’opinione pubblica immagini del genere possano avere e quali possano essere, a prescindere dall’esito finale della causa, le conseguenze per la sopravvivenza stessa delle carceri di Guantanamo.

Mentre non vi sono molti dubbi che il waterboarding costituisca una forma di tortura (nonostante l’Amministrazione della Difesa americana abbia sempre sostenuto trattarsi di una ammissibile ‘tecnica potenziata di interrogatorio’ – enhanced interrogation technique) l’alimentazione forzata non è in sé immediatamente ritenuta tale.

Il fatto che sia praticata per evitare danni al corpo del detenuto che sciopera e soltanto quando le condizioni dello stesso raggiungono la soglia critica –e per il tempo strettamente necessario a ristabilire le condizioni di sopravvivenza - la rende apparentemente giustificata nei fini, tanto da essere stata autorizzata anche dall’ICTY nel 2006 nel caso del detenuto Vojislav Seselj, sodale di Milosevic, e da essere stata giudicata compatibile con l’art. 3 della ECHR (divieto di trattamenti inumani e degradanti) poiché l’articolo 2 della Convenzione, tutelando il diritto alla vita, “può richiedere in certe circostanze azioni positive da parte delle parti contraenti, in particolare una misura attiva per salvare la vita quando le autorità abbiano preso la persona in questione nella (loro) custodia” [X v FRG N0 10565/83, 7 EHRR 152 a 153 (1984)].

Rimane il fatto che si tratta di una pratica coercitiva, invasiva, contro la quale si sono pronunciate associazioni di medici che hanno invitato/diffidato gli associati dal parteciparvi in quanto ‘mai accettabile dal punto di vista etico’.

Nel corso del processo, vari argomenti sono stati introdotti per giustificare l’alimentazione forzata. Si è detto in primo luogo che la pratica è necessaria per mantenere l’ordine nel centro di detenzione. Secondo questo argomento, per poter soddisfare i requisiti minimi della convivenza forzata imposta dalla condizione detentiva, il detenuto deve essere mantenuto in condizioni migliori della mera sopravvivenza, dovendo essere in grado di rispondere alle richieste, interagire con il personale e con gli altri detenuti e mantenere un grado di autosufficienza.

Si è poi evidenziato che vi sono ragioni di sicurezza. Il detenuto sottonutrito non è autonomo ed in caso di emergenza dovrebbe essere assistito ed aiutato. Con ciò, sarebbe posta a rischio la sicurezza sua e del personale impegnato a salvarlo.

Viene poi da pensare che vi sia una ulteriore, inconfessabile ragione dell’alimentazione forzata: l’esigenza di evitare di creare un martire di Guantanamo. In caso di decesso di uno dei detenuti scioperanti, il Governo USA sarebbe inevitabilmente ritenuto responsabile; l’opinione pubblica interna ed internazionale punterebbe il dito contro l’incapacità di Obama e della sua Amministrazione di mantenere la promessa fatta all’epoca della rielezione, di chiudere il centro di detenzione di Guantanamo.

Nel processo in corso, un ostacolo alla contestazione della pratica è rappresentato dalle disposizioni del Detainee Treatment Act (2005) che non consentono ai detenuti di Guantanamo di portare in giudizio l’Amministrazione in relazione alle condizioni di vita in cella così come nel corso degli interrogatori.

Lo stratagemma utilizzato dagli avvocati consiste nell’aver rappresentato la richiesta come un ordine di ‘habeas corpus’ cioè una revisione delle condizioni di detenzione, richiesta non formalmente impedita dalla legislazione restrittiva del 2005.

La Corte ha ammesso tale richiesta ed ha quindi proceduto all’esame del merito della lite che riguarda la necessità o meno per il Dipartimento della Difesa, di procedere ad alimentazione forzata per mantenere l’ordine a Guantanamo.

Davanti al giudice sono sfilati i testimoni ed i consulenti tecnici della sola parte attrice poiché il Dipartimento della Difesa si è limitato alla produzione di documenti ed alla esibizione di ‘material evidence(inclusa l’esibizione dei ‘kit’ di somministrazione e dei flaconi delle sostanze alimentari somministrate).

Al termine dell’attività istruttoria, il giudice ha assegnato alle parti il termine del 17 Ottobre per il deposito delle note scritte conclusive, ritenendo superflua la esposizione orale del caso e riservandosi la decisione.

L’impatto simbolico del caso può essere assai significativo poiché giunge in un momento in cui l’Amministrazione USA è di nuovo impegnata sul fronte militare conducendo la coalizione di Stati contro le forze dell’Isis.

E’ ben vero che in uno stato democratico i diritti individuali non sono negoziabili, in principio, ma la Storia insegna che essi vengono spesso sacrificati alle esigenze della realpolitik.

17/12/2014
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