Il principio della divisione del potere legislativo, esecutivo e giudiziario, oltreché il bilanciamento tra essi, costituiscono elementi cruciali dello stato di diritto. Tali principi sono sanciti dalla maggior parte delle costituzioni moderne. Mentre i dettati costituzionali si limitano ad enunciare tali principi, sono le norme di attuazione che forniscono la disciplina che regola sostanzialmente i rapporti tra i diversi poteri.
Recenti sviluppi indicano un avvicinamento tra i poteri legislativo ed esecutivo, ed una sorta di “isolamento” del giudiziario rispetto ai due precedenti. Il ruolo dei parlamenti è sempre più ridotto, mentre i governi di coalizione finiscono sempre di più per identificarsi col legislatore.
I parlamenti da legislatori divengono così meri luoghi di dibattito e scambio di idee tra i vari gruppi. Detto ciò, il governo, già detentore dell’esecutivo, diviene attore principale nel processo legislativo. Le iniziative legislative dei parlamenti sono sempre meno ricorrenti, e comunque senza l’appoggio del governo, un progetto di legge solo raramente riuscirà ad entrare in vigore. Questa tendenza è preoccupante e potrà condurre ad una “onnipotenza” dell’esecutivo, ed ad una marginalizzazione del legislativo. Trattasi di una tendenza difficilmente arrestabile, e che a tratti appare addirittura irreversibile.
Il processo di incorporazione del potere legislativo all’interno dell’esecutivo potrebbe trovare il giusto contrappeso in un giudiziario forte ed indipendente. Solo così il singolo cittadino potrebbe vedere tutelati efficacemente i suoi diritti di fronte ad un potere esecutivo sempre più massiccio. Tale tutela è apportata dai tribunali civili e penali, competenti a giudicare sui singoli casi, dai tribunali amministrativi, competenti ad effettuare un controllo di legalità sugli atti della pubblica amministrazione, ed infine dalle corti costituzionali, che valutano la costituzionalità delle leggi adottate dai parlamenti.
Il potere esecutivo cerca spesso di accrescere la sua influenza sul giudiziario. In Polonia, il Ministero della Giustizia è competente in relazione all’amministrazione delle corti, senza tuttavia poter interferire nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali proprie dei magistrati. Tali competenze del Ministero sono regolate dalla Legge sulle Corti, e i relativi regolamenti applicativi sono adottati dal medesimo Ministero. Il rapporto tra il Ministero ed i magistrati è spesso caratterizzato da forte conflittualità. Ciò in conseguenza dei tentativi di ingerenza del Ministero nelle funzioni dei magistrati; ingerenze che vengono giustificate per ragioni di efficienza e speditezza dei procedimenti. Questo atteggiamento del Ministero mina fortemente l’indipendenza dei magistrati.
La Corte Costituzionale polacca si è già pronunciata ripetutamente sul problema dell’ingerenza del Ministero nei confronti del potere giudiziario. Nel caso K 45/07, la Corte Costituzionale ha affermato che tale ingerenza non viola la costituzione, purché rispetti il principio della separazione dei poteri nonché il principio di indipendenza della magistratura. Tale orientamento è stato riconfermato dalla Corte nelle sue pronunce successive. La Corte ha altresì affermato che l’esercizio congiunto di più poteri di controllo da parte del Ministero sul potere giudiziario può determinare una violazione della Costituzione.
Nel 2014, la Legge sulle Corti è stata modificata al fine di garantire maggior efficienza nell’amministrazione della giustizia. Di conseguenza, i poteri di controllo del Ministero sono stati accresciuti. Adesso, il Ministero può accedere ai singoli dossier, anche quelli relativi ai processi in corso.
Il Presidente polacco ha impugnato la legge innanzi alla Corte Costituzionale. Tale impugnativa ha ricevuto il supporto del Consiglio nazionale dei giudici polacchi, dell’Associazione dei giudici polacchi, dell’Helsinki Foundation of Human Rights, ed infine di MEDEL (Magistrats Européens pour la Démocratie et les Libertés).
Nella pronuncia adottata il 14 ottobre 2015, la Corte Costituzionale ha sancito che l’accesso ai singoli dossier da parte del Ministero è in contrasto con i principi della separazione dei poteri e dell’indipendenza dei magistrati. La Corte ha sottolineato che il giudice deve essere protetto da ogni interferenza esterna nell’esercizio della sua funzione giurisdizionale. In merito al potere di accesso del Ministero, la Corte ha dichiarato che quando un giudice viene a conoscenza dell’accesso del Ministero, ciò determina in lui o lei una sorta di pressione, che può essere incisiva nel senso di influenzare il suo potere discrezionale decisorio.
La pronuncia del 14 ottobre scorso assume un valore sostanziale, in quanto è il primo caso in cui la Corte Costituzionale ha posto dei limiti all’interferenza del potere esecutivo nei confronti del giudiziario*.
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* Traduzione dall'inglese di Guglielmo Taffini