Il processo civile telematico, il PCT, dopo un percorso lungo e non sempre lineare, sta infine diventando una realtà che progressivamente ma inesorabilmente si afferma in tutti gli Uffici Giudiziari.
Se ci voltiamo indietro, a guardare alle prime sperimentazioni, ci accorgiamo che ci sono voluti 20 anni, un tempo dall’estensione incomprensibile in sé e se paragonato ai tempi di informatizzazione di altre amministrazioni, di non minor complessità della giustizia, o di altri sistemi giudiziari europei.
Ma finalmente ci siamo!
E tutti i giorni apprezziamo fruibilità, efficacia, razionalizzazione, time management che il sistema consente.
Stupisce, quindi, non poco che, dopo vent’anni di progetti, esperimenti, diffusione di buone prassi anche attraverso i corsi del CSM, attesa di una modernizzazione annunciata e mai a pieno realizzata, continuino a manifestarsi resistenze, più o meno passive, e si sollevino obiezioni talvolta bizantine, che divengono addirittura eccezioni processuali … aimè accolte.
Ne è un esempio la sentenza 8 febbraio 2013 del Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, peraltro uno degli Uffici più efficienti del Paese.
Nel caso deciso dal giudice meneghino, introdotto un ricorso telematico, parte convenuta aveva eccepito “vizio del contraddittorio poiché la difesa della società non aveva potuto esaminare alcuno dei documenti avversari prodotti insieme al ricorso telematico” ed il giudice dà atto in sentenza che non era stato possibile da parte della Cancelleria, né da parte del giudice designato, inviare i documenti nel formato telematico al difensore munito di procura alle liti ma non costituito.
Ciò constatato in fatto e ritenuto in diritto che il procuratore o la parte non costituita devono avere un’adeguata conoscenza del ricorso e dei documenti prodotti i quali devono essere consultabili in via telematica, il giudice ha dichiarato la nullità della costituzione in giudizio del ricorrente per violazione del principio del contraddittorio, addebitabile ad un vizio del sistema informatico, e l’improcedibilità dell’azione.
Orbene, nel rito del lavoro la costituzione in giudizio avviene con il deposito del ricorso unitamente ai documenti in esso indicati nella cancelleria del giudice competente.
In caso di ricorso telematico, la costituzione avviene col deposito tramite punto d’accesso di nota d’iscrizione a ruolo, ricorso e documenti. Nel caso di specie tale attività è regolarmente avvenuta ma il difensore munito di procura, ma non costituito, del convenuto non ha avuto accesso in via telematica, per l’ovvia ragione che, in assenza di costituzione, l’accesso al fascicolo telematico è precluso.
Ciò non significa peraltro che sia preclusa la richiesta di copie, accompagnata da procura notarile o in calce al ricorso e decreto notificati, che il cancelliere forma stampando i documenti inseriti nel sistema ovvero formando copia informatica dei documenti informatici (art. 23 e 23-bis Codice Amministrazione Digitale d.lgs. 7.03.2005 n° 82) e inviandola al procuratore via posta elettronica.
Non risulta che la parte non costituita abbia, come sarebbe stato doveroso, richiesto le copie e già questo basterebbe ad escludere una compressione del contraddittorio che, se sussistente, sarebbe imputabile alla parte.
Ma non è tutto. La costituzione in giudizio può essere dichiarata irricevibile dal cancelliere se mancante dei requisiti minimi di legge ma, una volta effettuata, non può essere affetta da alcuna nullità e gli eventuali vizi o sono regolarizzabili (erronea indicazione dell’oggetto, erronea determinazione del contributo unificato …) o divengono vizi della citazione o ricorso, se ne ricorrano ovviamente i presupposti.
Ricordato che le nullità sono tassative e non possono essere pronunciate se non comminate dalla legge (art. 156 c.p.c.), si osserva che la mancata disponibilità dei documenti prodotti da controparte prima della costituzione per via telematica – situazione assimilabile al più banale smarrimento del fascicolo di parte – non costituisce vizio dell’atto introduttivo (v. art. 164 c.p.c.). Al più può dar luogo a rimessione in termini (art. 153, 2° co. c.p.c.) se il mancato accesso ai documenti (id est, la mancata tempestiva richiesta di copie dei documenti) non imputabile alla parte ha comportato una qualche decadenza (ad es. dalla formulazione di eccezioni o dalla produzione di documenti a controprova).
Il giudice milanese non ha fatto uso del doveroso strumento della rimessione in termini e ha dichiarato una nullità per inosservanza di forme non incluse nel catalogo di quelle che danno luogo a nullità, una pronuncia dagli effetti gravissimi se si pensa che in tal modo restano travolti gli effetti sostanziali della domanda.
Preme infine ricordare come la SC, con sentenza n. 12223 del 2012 abbia, in un caso che presenta molte affinità con quello in esame, affermato il principio per cui le carenze organizzative dell'ufficio giudiziario (quale sarebbe, se rilevante, il mancato accesso agli atti in via telematica), così come gli errori dei funzionari ad esso addetti, non possono mai comportare alcuna conseguenza pregiudizievole per le parti del processo.
Vale la pena riportare alcuni brani della motivazione: “5. La sentenza è affetta da nullità assoluta rilevabile anche di ufficio in quanto provvedimento abnorme. La giurisprudenza ha, infatti, ritenuto che, oltre all'ipotesi espressamente prevista dall'art. 161 c.p.c., comma 2, (mancanza della sottoscrizione del giudice), è possibile configurare altri casi di c.d. inesistenza giuridica della sentenza tutte le volte che, o il giudice sia carente di potere, o il provvedimento processuale emesso possa qualificarsi abnorme, perché privo di quel minimo di elementi o di presupposti tipizzanti, necessari per produrre certezza giuridica. …. 6. Nella specie il giudice di merito ha fatto discendere da una circostanza addebitale a carenze organizzative dell'ufficio, furto del fascicolo di primo grado ad opera di ignoti, e da un errore imputabile all'attività di funzionari dell'Ufficio giudiziario, che hanno sbagliato la comunicazione dell'ordinanza resa fuori udienza, conseguenze pregiudizievoli per una parte del processo in violazione del principio del diritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell'art. 111 Cost.) che deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall'art. 24 Cost.. 7. Il giudice di appello, tenuto conto del disposto dell'art. 176 c.p.c., comma 2, secondo cui l'onere di comunicazione di una ordinanza resa fuori udienza ricade sul cancelliere, deve ordinare la rinnovazione della comunicazione per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio tutte le volte che la comunicazione non è andata a buon fine. 8. Costituisce provvedimento abnorme la sentenza la cui pronunzia di reiezione dell'impugnazione si fonda sulla dichiarazione di nullità di un atto di competenza del cancelliere, con conseguente nullità degli atti istruttori successivi, ipotesi di nullità che si pone al di fuori dell'ordinamento processuale vigente. 9. L'abnormità del provvedimento adottato ha privato del tutto la parte del suo diritto a provare i fatti posti a fondamento della sua domanda, disattendendo le istante istruttorie tempestivamente formulate in primo grado, di cui il giudice di appello doveva tenere conto, una volta che l'istruttoria svolta in primo grado era stata vanificata per il furto del fascicolo, violando così il diritto del cittadino ad un giusto processo e il suo affidamento alla tutela del diritto di difesa ed al rispetto della norme sostanziali e processuali da parte del giudice a cui si rivolge.”