Vorrei proporre una lettura obliqua dell’istituto del trattenimento nelle procedure di frontiera, e per iniziare faccio un passo indietro nel tempo.
Il 21 settembre 2015 entra in funzione, all’epoca in modalità sperimentale, l’hotspot di Lampedusa e nei cinque mesi successivi aprono i centri di Trapani, Pozzallo e Taranto. L’istituzione e il funzionamento dei cd. punti di crisi (mai definizione più appropriata) non sono disciplinati dalla legge. Nel giugno del 2016 viene pubblicato un documento ministeriale denominato «Procedure operative standard» (SOP), il quale – dopo una curiosa premessa secondo cui «In caso di discrepanze fra questo documento e la legislazione vigente, si applica quest’ultima» – afferma che «la persona può uscire dall’Hotspot solo dopo essere stata foto-segnalata concordemente con quanto previsto dalle norme vigenti».
Il 5 ottobre 2018 entra in vigore il dl 113/18, il quale – tra le altre novità – introduce l’istituto del trattenimento amministrativo a fini identificativi negli hotspot. La misura ha una durata massima di 30 giorni, decorsi inutilmente i quali la restrizione a fini identificativi può proseguire per ulteriori 3 mesi (all’epoca 6) in un CPR. Molti osservatori deplorano immediatamente l’ampliamento delle ipotesi di trattenimento amministrativo, e con ottime argomentazioni: l’applicazione potenzialmente indiscriminata della misura, l’assenza di garanzie effettive, la mancata disciplina di dettaglio. Eppure, la norma viene inaspettatamente e misteriosamente archiviata. Non risulta alcuna applicazione di tale forma di trattenimento, né alcun provvedimento giudiziario in merito. Cinque anni dopo, trainata dalla ferale introduzione delle procedure di frontiera, e in particolare della sua fattispecie detentiva, la giurisdizione entra nell’hotspot. Il trattenimento in procedura di frontiera è il cavallo di Troia grazie al quale la giurisdizione fa per la prima volta ingresso all’interno degli hotspot, sebbene in modalità remota, e per questa via entrano anche le – pur scarse, scarsissime – garanzie di procedura e merito che si porta appresso. E tanto (poco) basta per mandare immediatamente in crisi l’istituto del trattenimento nell’hotspot. Quello che è successo con le decisioni del Tribunale di Catania spiega perché l’amministrazione ha scelto di non formalizzare mai il trattenimento amministrativo nell’hotspot: l’attuazione di fatto e non di diritto della restrizione ha impedito alla giurisdizione di accertarne l’illegittimità.
Messa temporaneamente in ghiaccio la procedura di frontiera, torna prepotentemente al centro della discussione la questione centrale, cioè assoggettare alle regole dello Stato di diritto l’approccio hotspot. Non solo per la palese sistematica violazione dell’art. 13, Cost., ma per l’immediata precettività delle sentenze della Corte EDU, che a più riprese nel 2023, hanno condannato le autorità italiane per il trattenimento di cittadini di Paesi terzi all’interno dell’hotspot di Lampedusa (AG)[1]. I giudici di Strasburgo hanno accertato che tale condotta è arbitraria in quanto priva di una base legale, non accompagnata dall’adozione di un provvedimento che la disponga, della relativa convalida giudiziaria e della possibilità di invocare un rimedio effettivo. Secondo la pronuncia “madre” del 30 marzo 2023, ricorso n. 21329/18, causa J.A. e altri contro Italia (in continuità con la sentenza Khlaifia e altri contro Italia, ric. 16483/12, 15 dicembre 2016), i ricorrenti – trattenuti nell’hotspot per dieci giorni – erano «sottoposti a una privazione della libertà non regolamentata dalla legge né soggetta a un controllo giurisdizionale» (par. 92), ciò che determinava la violazione dell’art. 5, parr. 1, 2 e 4, della Convenzione. Agli stessi era inoltre preclusa la possibilità di «contestare dinanzi a un tribunale i motivi della loro detenzione de facto (si veda Khlaifia e altri, sopra citata, §§ 117 e 132 e ss.)» (par. 98), con lesione del diritto a un ricorso effettivo previsto dall’art. 13 della Convenzione: «La limitazione della libertà di circolazione dei ricorrenti equivaleva chiaramente a una privazione della loro libertà personale ai sensi dell'articolo 5 della Convenzione, tanto più se si considera che la durata massima della loro permanenza nel centro di crisi non era definita da alcuna legge o da alcun regolamento e che, inoltre, le condizioni materiali del loro soggiorno sono state ritenute inumane e degradanti (si veda il paragrafo 67 supra) (…) Trattenimento senza una base giuridica chiara e accessibile e in assenza di un provvedimento motivato che disponesse il loro trattenimento, prima di essere espulsi verso il loro paese di origine, la Corte ritiene che i ricorrenti siano stati arbitrariamente privati della loro libertà, in violazione della prima parte dell'articolo 5 § 1, lettera f ) della Convenzione». Con le successive tre sentenze gemelle del 19 ottobre 2023 (causa M.A. contro Italia, ric. n. 13110/18, causa A.B. contro Italia, ric. n. 13755/18, causa A.S. contro Italia, ric. n. 20860/20), la Corte ha nuovamente rilevato la violazione dell’art. 5, parr. 1, 2 e 4, della Convenzione, a causa della perdurante assenza di una base legale e del controllo giurisdizionale sul trattenimento, confermando la natura arbitraria della privazione della libertà personale imposta ai cittadini stranieri trattenuti negli hotspot italiani. L’assenza di base legale non vizia peraltro solo il trattenimento, ma anche la raccolta coattiva delle impronte digitali, poiché l’art. 349 c.p.p. consente unicamente il prelievo forzoso di saliva e capelli, non altro.
Si tratta di questioni giuridiche dirompenti, perché i numeri dello scandalo giuridico sono vertiginosi: tra il 2020 e il 2022, solamente all’interno degli hotspot ufficiali[2], e tralasciando i molteplici luoghi informali di trattenimento che ne replicano l’approccio[3], sono state trattenute 130mila persone, il 20-25% dei quali minori[4]. Non si dispone nemmeno di statistiche ufficiali relative ai tempi di permanenza: da fonti frammentarie si apprende che nel 2023 la durata media del trattenimento per gli adulti sarebbe compresa tra 7 e 10 giorni, mentre, come appurato a seguito di un monitoraggio condotto da ASGI ad ottobre del 2023 nell’hotspot di Pozzallo (RG), la durata media della restrizione dei minori in tale struttura è di 36 giorni[5].
La vicenda pone una serie di domande che la giurisdizione non può eludere: davvero non esiste un rimedio interno capace di tutelare la libertà personale, sanzionandone la compressione illegittima? Davvero l’ordinamento può tollerare la violazione palese e seriale di un diritto essenziale, al di fuori di qualunque crisma di legalità? Davvero, come affermato in sede di legittimità, «non si scorge alcun nesso di imprescindibile pregiudizialità - consequenzialità tra il trattenimento e i successivi provvedimenti di espulsione e trattenimento»?[6]. Credo di no. E credo che la chiave per uscire dall’impasse stia, finalmente, nel pieno riconoscimento dello statuto giuridico dello straniero trattenuto nei CPR.
Buona parte della giurisprudenza di legittimità e, in misura minore, parte di quella di merito hanno fatto tesoro della celebre sentenza n. 105/01 della Corte costituzionale, la quale attribuisce al giudice del trattenimento «un controllo giurisdizionale pieno, e non un riscontro meramente esteriore (…) che non può fermarsi ai margini del procedimento di espulsione». Ma la lettura rigorosa imposta dalla natura degli interessi in gioco impone la verifica non solo dell’atto presupposto, bensì della legalità dell’intera procedura, come suggerisce lo stesso testo della sentenza: «l'art. 14, comma 3, dispone che il questore del luogo in cui si trova il centro trasmetta al giudice copia degli "atti": non quindi del solo provvedimento di trattenimento, ma di tutti gli atti del procedimento, incluso evidentemente il provvedimento di espulsione (…) il controllo [del giudice del trattenimento, n.d.r.] si estende a tutti i presupposti del trattenimento».
L’altro cardine sui cui poggia la nuova era delle garanzie inerenti il trattenimento amministrativo sta nella rilevabilità d’ufficio dei suoi profili di illegittimità, secondo la coerente giurisprudenza della Corte di giustizia dell’UE e della Corte di cassazione: «il controllo, da parte di un'autorità giudiziaria, del rispetto delle condizioni di legalità in base al diritto dell’Unione del trattenimento assimilabile a detenzione, di un cittadino di un paese terzo deve indurre tale autorità a sollevare d'ufficio, sulla base degli elementi della fascicolo portato alla sua conoscenza, come integrato o chiarito nel corso del contraddittorio espletato, l'eventuale inosservanza di una condizione di legittimità, sebbene non invocata dall'interessato (Corte giust., grande sezione, cause C-704/20 e C-39/21)[7]».
Il sindacato del giudice del trattenimento amministrativo può essere lo strumento ermeneutico e operativo idoneo alla sanzione dei trattenimenti illegittimi negli hotspot, altrimenti destinati a rimanere privi di giustiziabilità interna e ad esporre l’Italia a una responsabilità di carattere internazionale per la violazione dei diritti della C.E.D.U.
[1] Causa J.A. e altri contro Italia del 30 marzo 2023, ric. n. 21329/18, causa M.A. contro Italia del 19 ottobre 2023, ric. n. 13110/18, causa A.B. contro Italia del 19 ottobre 2023, ric. n. 13755/18, causa A.S. contro Italia del 19 ottobre 2023, ric. n. 20860/20.
[2] Lampedusa, Pozzallo, Taranto, Crotone, Messina e Trapani.
[3] Tra gli altri, Pantelleria, Porto Empedocle, Augusta, Contrada Cifali (Ragusa), Monastir, Modica (per le procedure di frontiera).
[4] Country Report: Italy, AIDA, 2022, https://asylumineurope.org/wp-content/uploads/2023/05/AIDA-IT_2022Update.pdf
[5] ASGI, La frontiera di Pozzallo e le sue evoluzioni, 9 ottobre 2023, https://www.asgi.it/asilo-e-protezioneinternazionale/monitoraggio-asgi-e-sc-a-pozzallo-hotspot-contrada-cifali-e-il-nuovo-centro-di-trattenimento/
Il contributo è parte dello Speciale QG 3/2024, di prossima pubblicazione, che raccoglie gli atti del seminario Le novità normative del d.l. n. 20/2023. Trattenimenti, procedure accelerate, domande reiterate, protezione nazionale, svoltosi il 20 marzo 2024 presso l'Aula Giallombardo della Corte di Cassazione.