1. Premessa / 2. Gli atti tipici dell’Unione Europea / 3. La direttiva n. 80/2004 / 4. Il recepimento della direttiva nell’ordinamento italiano / 5.La discriminazione a contrario / 6. Conclusioni |
In data 20 febbraio 2013 il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea interrogando il giudice di vertice del sistema europeo circa l’interpretazione della direttiva relativa all’indennizzo delle vittime di reato ed in particolare l’interpretazione dell’art. 12 par. 2 (Direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004, pubblicata in GUUE del 6 agosto 2004, L 261/15).
La direttiva prevedeva che gli Stati membri attuassero le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative interne per conformare la propria normativa interna entro il 1 gennaio 2006, fatta eccezione per l’articolo 12, paragrafo 2, per il quale il termine di trasposizione veniva fissato al 1 luglio 2005. Allo scadere del termine la Commissione Europea, in qualità di guardiana dei Trattati, presenta al Parlamento Europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale una relazione sull’applicazione della direttiva. L’Italia aveva subito una condannata nel 2007 per infrazione degli obblighi comunitari a causa della mancata trasposizione della direttiva in oggetto.
La presente ordinanza di rinvio consente di svolgere alcune riflessioni sugli atti normativi dell’Unione e il loro effetto nell’ordinamento giuridico degli Stati membri con particolare riferimento all’ordinamento italiano, nonché sulla posizione degli individui vis-à-vis di tali atti giuridici.
Nell’analizzare la direttiva relativa all’indennizzo delle vittime di reato, specialmente con riferimento alle sue finalità, ci si propone di sottolineare i cambiamenti apportati dal Trattato di Lisbona nella materia penale (c.d. terzo pilastro). Infine, analizzando la questione dell’applicabilità ratione materiae e ratione personae degli atti europei si affronterà la questione delle discriminazioni a contrario derivanti proprio dall’applicazione degli atti dell’Unione.
2. Gli atti tipici dell’Unione Europea
Gli atti tipici dell’Unione, ex art. 288 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione (TFUE), vengono distinti in vincolanti e non vincolanti. Alla prima categoria appartengono i regolamenti, le direttive e le decisioni che costituiscono gli atti legislativi dell’Unione; alla seconda categoria si ascrivono raccomandazioni e pareri, atti adottati dalle istituzioni in assenza di un iter legislativo e pertanto privi di efficacia giuridica vincolante. Per esercitare le proprie competenze l’Unione, nel rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità, adotta l’atto tipico più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo prefissato.
Il regolamento ha portato generale e astratta in quanto si rinvolge a destinatari non determinati, assimilabile alla legge degli ordinamenti statali, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile negli Stati membri senza bisogno di alcun intervento normativo statale. Tale strumento normativo, limitando i poteri statali nella fase di recepimento, garantisce equiparazione dei sistemi interni.
La direttiva invece, indirizzata esclusivamente allo Stato membro, vincola lo stesso al raggiungimento del risultato, facendo salve le competenze degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà. Le direttive stabiliscono un termine di recepimento entro il quale lo Stato membro deve dar attuazione alle disposizioni europee, superata tale data lo Stato si trova in una posizione d’inadempimento che può essere fatta valere dalla Commissione avanti alla Corte di giustizia ai sensi dell’art. 258 (ricorso per infrazione) TFUE. Si comprende quindi che per le caratteristiche indicate la direttiva sia l’atto prediletto nella materia penale, considerando la particolare sensibilità degli Stati membri in merito alla propria potestà punitiva. L’attuazione nell’ordinamento interno si caratterizza per l’ampia discrezionalità statale che nel caso della direttiva relativa all'indennizzo delle vittime di reato si declina con la scelta di non indicare i reati per cui è possibile essere indennizzati, ma effettuando un rinvio alla legislazione nazionale applicabile.
In base alla teoria dell’effetto diretto, creazione giurisprudenziale della Corte di giustizia negli anni ’60 con la pronuncia Van Gend & Loos e pietra angolare del diritto comunitario, le norme europee possono essere dotate della capacità di fare sorgere in capo ai singoli posizioni giuridiche soggettive meritevoli di tutela avanti al giudice di diritto comune. I singoli, proprio in virtù di tale effetto, qualora le norme siano sufficientemente chiare e precise e la cui applicazione non richieda l’emanazione di ulteriori atti di esecuzioni o integrativi,sono non solo soggetti di obblighi imposti loro dal diritto europeo, ma anche destinatari di diritti che possono fare valere dinanzi al giudice nazionale. La Corte afferma che il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emananti dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi.
L’obbligo di trasposizione delle direttive determina da una parte l’obbligo dello Stato di dare attuazione alle disposizioni europee, dall’altro costituisce una responsabilità nei confronti dei propri cittadini. Infatti, se il singolo non può invocare l’effetto diretto avanti al giudice nazionale nelle more dell’attuazione poiché si presume che lo Stato dia esecuzione entro il termine sancito dall’Unione, tuttavia allo scadere di tale termine può invocare l’effetto diretto verticale può cioè invocare la posizione soggettiva riconosciutagli dal diritto europeo nei rapporti con l’autorità pubblica. Non potrà invece invocarlo in caso di una controversia tra privati per evitare che l’inadempimento statale possa causare incertezza giuridica: sanzionare gli Stati membri per la mancata trasposizione non può ledere gli interessi dei singoli che legittimamente confidavano nel diritto vigente. Infine, l’effetto diretto garantisce l’applicazione del diritto europeo e quindi il suo effetto utile in tutti gli Stati membri.
La direttiva relativa all’indennizzo delle vittime di reato viene adottata del Consiglio dell’Unione sulla base giuridica del vecchio art. 308 TCE ovvero la c.d. clausola dei poteri impliciti che stabiliva la possibilità di un ampliamento delle competenze in deroga al principio di attribuzione qualora le disposizioni fossero necessarie al raggiungimento di uno degli scopi della Comunità (oggi Unione). Tali poteri impliciti sono stati interpretati estensivamente dalla Corte di giustizia e sovente utilizzati nell’ambito della cooperazione giudiziaria penale per un progressivo ampliamento della sfera di azione dell’Unione, specialmente prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.
Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione, modificando la struttura tipica a pilastri delle competenze comunitarie nella quale il terzo pilastro era costituito dalla cooperazione giudiziaria penale caratterizzato da un metodo non prettamente comunitario bensì intergovernativo diversamente dal primo che costituiva il nucleo profondo del funzionamento europeo con un sistema di votazione a maggioranza qualificata, ha cambiato il panorama della materia penale comunitarizzandola. Gli atti adottati in materia penale nel sistema a pilastri erano prevalentemente posizioni comuni, decisioni, decisioni quadro. Nel sistema pre-Lisbona, il terzo pilastro era caratterizzato da un metodo intergovernativo che garantiva il voto all’unanimità in Consiglio e quindi la possibilità per ogni Stato membro di opporsi ad un atto in materia di cooperazione giudiziaria penale così da garantire una prevalenza della sovranità nazionale in materia penale. Per lo stesso meccanismo il rinvio pregiudiziale in materia penale non era disciplinato delle generali norme sul rinvio bensì limitato dall’art. 35 TUE. Il sistema attuale, prevedendo un ruolo completo del giudice europeo, ha normalizzato la materia penale alla quale si applica la procedura legislativa ordinaria(proposta Commissione, codecisione Consiglio-Parlamento e audizione dei parlamenti nazionali).
E’ opportuno precisare che il primo considerando della direttiva in oggetto subito menziona l’obiettivo della Comunità dell’instaurazione e rafforzamento del mercato interno attraverso l’abolizione degli ostacoli tra gli Stati membri alla libera circolazione delle persone e dei servizi, obiettivo sancito dal Trattato sull’Unione all’art. 3. La finalità della direttiva appare quindi chiaramente il completamento del mercato interno in quanto la tutela dell’integrità personale alle medesime condizioni dei cittadini dello Stato membro costituisce il corollario della libertà di circolazione sancita dal Trattato. Tuttavia, il diritto europeo ha un suo ambito di applicazione ratione materiae e ratione pesonae: la normativa europea trova applicazione qualora la libera circolazione delle persone sia stata applicata e vi sia quindi una transnazionalità dei soggetti implicati. La tutela della libera circolazione delle persone e i suoi corollari non possono trovare applicazione in caso di situazioni puramente interne.
La presente direttiva stabilisce un sistema di cooperazione tra Stati membri volto a facilitare alle vittime di reato l’accessoa all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere, che dovrebbe operare sulla base dei sistemi interni previsti dagli Stati in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori. La direttiva nel garantire alle vittime di uno Stato diverso da quello del luogo di commissione del reato il medesimo accesso al sistema d’indennizzo, muove dal presupposto dell’esistenza negli Stati di tale sistema interno di indennizzo.
Nel rispetto del principio di sussidiarietà, la direttiva non indica i reati per i quali tale indennizzo debba trovare applicazione rinviando per la qualificazione alla normativa interna (art. 12). Diversamente non potrebbe essere considerando che la Comunità nel 2004 non aveva competenza quanto alla qualificazione dei reati poiché tale qualificazione implica scelte di politica criminale. Rispetto al sistema pre-Lisbona, l’attuale art. 82 TFUE prevede che il Parlamento Europeo e il Consiglio, deliberando secondo procedura legislativa ordinaria, adottino misure intesa a definire norme minime per la definizione di reati e sanzioni in sfere di criminalità transnazionalequali il terrorismo, la tratta degli esseri umani, lo sfruttamento sessuale di donne e minore, il riciclaggio di denaro, la corruzione, il traffico di stupefacenti e il traffico d’armi (art. 83 TFUE). Ci si interroga sulla possibilità che tale articolo costituisca in futuro la base giuridica per l’intervento dell’Unione in una materia, quello del diritto penale sostanziale, tipicamente di potestà esclusiva statale. Probabilmente l’Unione, sostenuta dall’attivismo giudiziario che la Corte di Giustizia ha mostrato nell’ultima decade nella materia penale, cercherà di definire a livello europeo reati e sanzioni minime per quanto attiene le sfere di criminalità transnazionale, probabilmente ottenendo un supporto almeno parziale degli Stati membri così da garantire almeno una cooperazione rafforzata.
4. Il recepimento della direttiva nell’ordinamento italiano
Avanti alla Commissione l’organo interno competente, in veste di punto di contatto centrale, a fornire le informazioni necessarie, a promuovere lo scambio di informazioni tra le autorità di assistenza e di decisione degli Stati membri, a fornire assistenza e a cercare soluzioni nell’applicazione della direttiva è il Ministero della Giustizia.
La direttiva 2004/80/CE è stata recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 204 del 9 novembre 2007, solo dopo la scadenza prevista dalla direttiva stessa per la sua trasposizione negli ordinamenti nazionali e in seguito all’inadempimento promosso dalla Commissione avanti alla Corte di giustizia dell’Unione.
L’atto normativo interno individua la Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello del luogo in cui risiede il richiedente quale autorità di assistenza quando il reato sia stato commesso nel territorio di altro Stato membro e il richiedente l’indennizzo sia stabilmente residente in Italia qualora il reato sia stato commesso nel territorio italiano. Qualora invece il richiedente sia stabilmente residente in altro paese membro la competenza è demandata all’autorità specificamente indicata dalla legge speciale, cui compete l’elargizione dell’erogazione (art. 2, para. 2).
Ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo, le informazioni trasmesse dall’autorità di decisione italiana all’autorità di assistenza di un altro Stato membro dell’Unione sono redatte nella lingua ufficiale o in una delle lingue ufficiali dello Stato membro dell’autorità cui l’informazione è diretta sempre che sia una delle 24 lingue ufficiali dell’Unione o ne sia stata dichiarata l’accettazione dello Stato. I verbali delle audizioni del richiedente o di qualsiasi altra persona compiuti dalla procura generale della Repubblica presso la corte d’appello e il testo integrale della decisione sulla domanda di indennizzo sono trasmessi in lingua italiana.
Sul sito del Ministero dell’interno sono pubblicate le informazioni circa la procedura per la richiesta di indennizzo e i parametri economici di riferimento per i potenziali richiedenti: vittime del terrorismo, di mafia, di racket e usura.
5. La discriminazione a contrario
La situazione per cui la vittima di una violenza sessuale conveniva in giudizio, con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., la Presidenza del Consiglio dei Ministri al fine di ottenere la condanna della stessa al risarcimento dei danni quantificati in 150.000,00 euro costituisce una situazione puramente interna poiché il fatto reato è stato commesso su territorio italiano a danno di una vittima residente in Italia. La vittima non si trovava in uno Stato membro diverso da quello di origine e non sarebbe pertanto possibile applicare alla stessa le norme sulla libera circolazione delle persone nel mercato interno dell’Unione. La Corte di Giustizia dell’Unione ha più volte ribadito che le norme sulla libera circolazione non sono applicabili a situazioni che si collocano esclusivamente all’interno di un unico Stato membro senza presentare collegamento alcuno con uno Stato diverso.
L’interpretazione fornita dalla Corte di vertice del sistema europeo è l’unica possibile nel rispetto del principio di sussidiarietà e di proporzionalità del diritto comunitario. Tuttavia, si determinano situazioni di discriminazione alla rovescia in cui i cittadini che non possono invocare l’applicazione della normativa sovranazionale si trovano svantaggiati rispetto ad una situazione similare che benefici della dimensione transnazionale applicandosi quindi le norme circa la libera circolazione delle persone nel mercato interno.
Ne consegue che il diritto derivante dalla situazione descritta è quello di un singolo che può opporlo al proprio Stato membro di residenza. Il paradosso descritto può trovare rimedio avanti al giudice nazionale solo attraverso l’eventuale applicazione di norme nazionali poste a tutela del principio di eguaglianza. Infatti, benché la disparità di trattamento sia irrilevante per il diritto comunitario, non lo è per il diritto costituzionale italiano (in particolare rispetto al parametro dell’art. 3 della Costituzione). Già nel caso dei lettori di lingua straniera nelle Università, la Corte Costituzionale aveva risolto la discriminazione a rovescio in seguito a una pronuncia della Corte di giustizia che creava una disparità di trattamento lavorativo tra i lettori di lingua straniera e quella dei lettori italiani.
Ma la situazione oggetto dell’ordinanza di rinvio del Tribunale di Firenze può effettivamente rientrare nelle discriminazioni a contrariosopra descritte? Se la vittima avesse subito violenza in uno Stato membro diverso rispetto a quello di residenza e quindi mentre si avvaleva della libertà di circolazione in qualità di cittadina europea,in quale modo tale elemento avrebbe inciso sulla posizione soggettiva della vittima? La direttiva 80/2004 sancendo il diritto all’indennizzo rinvia espressamente ai sistemi interni degli Stati presupponendo l’esistenza di un sistema di indennizzo interno. Pare quindi che la direttiva si limiti a garantire l’estensione di un diritto già esistente per le situazioni meramente interne non affrontando invece la problematica dell’inesistenza interna di un sistema risarcitorio.
Pur ritenendo che la presente direttiva sia stata trasposta dall’Italia conformemente a quanto previsto dalle disposizioni europeeanalizzate e che la situazione di discriminazione a contrario non sia configurabile e, in ogni caso, sia da risolversi avanti al giudice nazionale, a sommesso parere dello scrivente l’importanza dell’ordinanza del giudice di Firenze consta di due elementi: da una parte rappresenta il costante e auspicabile dialogo tra corti nazionalie corte di vertice del sistema europeo, dall’altra la possibilità per il giudice europeo di ampliare le competenze europee in materia penale. La Corte di Giustizia ha infatti opportunità di pronunciarsi sulla compatibilità delle norme di trasposizione degli ordinamenti interni solo se interrogata e comunque sempre nei limiti previsti dal Trattato ed è quindi di estrema rilevanza che i giudici nazionali siano sensibili agli aspetti europei delle norme e effettuino ordinanze di rinvio. Il giudice nazionale, nel dirimere la controversia interna, è il garante dell’applicazione delle disposizioni europee. Egli deve essere guidato dalla normativa nazionale e dai principi generali del diritto avendo sempre riguardo ai profili sovranazionali delle stesse e ricercando una guida giurisprudenziale anche nelle pronunce della Corte di Lussemburgo.