Magistratura democratica
Diritti senza confini

L’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo

Una ricognizione del paesaggio giuridico dopo la conversione del dl 113/2018

1. Rilevanza e attualità del tema

Il tema dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo appare esemplificativo delle tensioni che attraversano, più in generale, la gestione normativa delle politiche migratorie in Italia. È un argomento che riguarda attori con competenze e profili diversi – cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale, legislatore, sindaci, avvocati, giuristi, servizi territoriali – e la posta in gioco è assai rilevante.

L’iscrizione anagrafica è stata oggetto, negli ultimi decenni, di aspre contese. Molte amministrazioni locali hanno, nel corso del tempo, introdotto limitazioni arbitrarie e/o messo in atto condotte finalizzate a impedire il conseguimento dell’iscrizione o a scoraggiare i cittadini stranieri dal farne richiesta. Tale intenso attivismo da parte dei sindaci denota quanto il tema sia percepito come rilevante, dal punto di vista materiale e simbolico.

Le modifiche dell’art.4 del d.lgs 142/2015, apportate dall’art.13 del decreto 113/18, che nelle intenzioni del “legislatore storico” dovevano probabilmente comportare il divieto dell’iscrizione anagrafica per i cittadini stranieri richiedenti asilo, hanno determinato un’attenzione senza precedenti su questo tema. La formulazione dell’art.13, infatti, è fin da subito stata ritenuta da numerosi giuristi ambigua, contraddittoria, incongrua e, se intesa nel senso di precludere l’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo, incompatibile con rilevanti disposizioni costituzionali e del diritto internazionale. Un dinamico e appassionante dibattito si è sviluppato a partire dagli interventi delle avvocate ASGI Daniela Consoli e Nazzarena Zorzella [1] e dal professore Emilio Santoro[2], ordinario dell’Università di Firenze; si rimanda ai citati interventi – e ai molti altri sviluppati successivamente – per una puntuale ricostruzione degli argomenti giuridici che hanno condotto a ritenere tuttora vigente, nonostante l’intervento del legislatore del 2018, il diritto all’iscrizione anagrafica per i cittadini stranieri richiedenti asilo.

Con le riflessioni che seguono si propone una ricognizione del paesaggio giuridico che si è configurato a partire dalla conversione in legge del decreto 113/18 e dall’emergere di un’interpretazione dell’art.13 altra rispetto a quella probabilmente immaginata come detto dal legislatore storico. Tale ricognizione si rende forse necessaria in considerazione della complessità dello scenario che si è venuto così a delineare, con uno dei più rilevanti istituti che qualifica il rapporto simbolico e materiale tra cittadini e territorio – il riconoscimento della residenza – interpretato in maniera profondamente disomogenea nel territorio nazionale.

La quasi totalità delle ordinanze dei Tribunali che si sono pronunciati su questo tema ha infatti riconosciuto la vigenza del diritto all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, ma nella maggior parte dei comuni italiani non è possibile per questi ultimi ottenere tale iscrizione. Alla luce di questa incongruenza, è urgente interrogarsi sullo scenario così delineato e provare a tracciare un percorso che possa consentirci di uscire dall’incertezza attuale, in una direzione che garantisca, in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale, il diritto alla residenza per i richiedenti asilo.

2. Lo scenario attuale e le possibili vie d’uscita

Dal punto di vista del contezioso sviluppato su questo tema, le ordinanze provenienti dai Tribunali di Firenze, Bologna e Genova[3] hanno per prime dato rilievo giudiziale alla tesi secondo la quale il diritto soggettivo all’iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo è vigente ed esigibile. I citati Tribunali, infatti, hanno accolto i ricorsi d’urgenza presentati dai richiedenti asilo a cui era stata impedita l’iscrizione anagrafica e ne hanno disposto l’iscrizione. Numerosi altri Tribunali del territorio nazionale hanno in seguito deciso in maniera analoga[4]: si tratta, nel complesso, di decisioni importanti e largamente convergenti.

I Tribunali di Ancona, Milano, Salerno e Ferrara non hanno invece condiviso la ricostruzione del dato normativo fornita dei primi, ritenendo chiara l’intenzione del legislatore volta a precludere ai richiedenti asilo l’iscrizione anagrafica ed hanno ritenuto che le novità introdotte dall’art.13 del decreto 113/18 possano presentare profili di incostituzionalità. In particolare il Tribunale Ferrara (investito di un ricorso antidiscriminatorio) ha disposto che, nelle more della decisione della Corte Costituzionale, il Comune proceda con l’iscrizione nei registri anagrafici del cittadino straniero ricorrente, in considerazione della rilevanza dei diritti in gioco. La decisione della Consulta[5] scioglierà quindi definitivamente il nodo chiarendo quale sia la corretta interpretazione della novella del 2018 e, se ritenuta corretta quella condivisa da buona parte dei comuni italiani e dai giudici remittenti (ostativa all’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo), se la norma così interpretata sia o meno conforme a Costituzione.

Nel frattempo, diversi sindaci hanno aderito all’interpretazione costituzionalmente orientata[6] e (ad opinione dei giudici di Bologna, Firenze e Genova) più conforme al dato letterale della disposizione, accettando le richieste di iscrizione anagrafica formulate dai cittadini stranieri richiedenti asilo. L’appello #dirittincomune[7] promosso da ActionAid e ASGI e sottoscritto da otto sindaci e da numerose organizzazioni della società civile, è una delle iniziative messe in campo da alcuni amministratori locali e società civile per favorire la diffusione di questo punto di vista e garantire l’effettività del diritto alla residenza.

Come accennato, tuttavia, nella maggior parte dei Comuni italiani il diritto all’iscrizione anagrafica non è tuttora garantito per i titolari di permesso di soggiorno per richiesta asilo. Si segnala, inoltre, che in alcuni comuni i cittadini stranieri richiedenti asilo vengono registrati nello schedario della popolazione temporanea; la soluzione non pare tuttavia affatto risolutiva: tale iscrizione non consente infatti il rilascio della carta di identità, documento senza il quale l’effettivo accesso ai servizi pubblici e privati è assai difficile, con il conseguente perpetuarsi di ingiustificate discriminazioni a danno dei richiedenti la protezione internazionale. Il complesso scenario attuale, in ogni caso, è come detto destinato a mutare nei prossimi mesi essendo attesa la pronuncia della Consulta sulla legittimità della disposizione contenuta nel dl 113/2018.

Appare tuttavia opportuno immaginare strategie che possano condurre ad una soluzione della vicenda, senza che si debba attendere la pronuncia della Consulta e garantendo nei mesi a venire la certezza e l’uniformità del diritto sull’intero territorio nazionale in conformità ai principi ed ai valori della Costituzione.

3. Sulla necessità di una discontinuità tempestiva

Lo scenario attuale – caratterizzato come visto da profonda disomogeneità nell’interpretazione delle novità normative – interroga profondamente gli operatori del diritto.

Non appare tollerabile, infatti, la differenza di trattamento nell’accesso all’iscrizione anagrafica a cui sono oggi sottoposti i cittadini stranieri richiedenti asilo sul territorio nazionale, né è tollerabile che un fondamentale diritto quale quello alla residenza venga garantito in ragione della sensibilità degli attori responsabili del momento applicativo delle norme, in questo caso i sindaci nella loro qualità di ufficiali di stato civile.

Nel mettere a fuoco la strategia più efficace per garantire il riconoscimento pieno di un diritto fondamentale quale quello alla residenza (fondamentale in quanto “porta di accesso” al concreto riconoscimento di numerosi altri diritti sociali e civili), occorre individuare un intervento che sia il più possibile tempestivo ma che garantisca anche stabilità alla soluzione individuata

Ebbene, il solo strumento idoneo a garantire tempestività alla soluzione del problema appare essere l’emanazione di una circolare da parte del Ministro dell’Interno con la quale, in attesa dell’imminente pronuncia della Corte Costituzionale, si dia una chiara indicazione ai sindaci, nella loro funzione di ufficiali di stato civile, in merito alla corretta interpretazione da dare alla nuova normativa, in conformità con quella attribuitale dalla giurisprudenza maggioritaria e, pertanto, nel senso di autorizzare il riconoscimento della residenza ai richiedenti la protezione internazionale. Tale intervento potrebbe contenere anche indicazioni attuative sulle modalità di iscrizione anagrafica dei richiedenti la protezione e consentirebbe finalmente un omogeneo e certo riconoscimento del diritto alla residenza per tutti i richiedenti asilo presenti sul territorio nazionale.

4. Sulla necessità di una discontinuità stabile

Accanto all’emanazione di una circolare a carattere interpretativo, appare altrettanto urgente disinnescare il rischio che una diversa interpretazione del più volte citato art.13 (quella che vorrebbe preclusa la residenza anagrafica ai richiedenti asilo) si perpetui provocando quotidiane lesioni dei diritti dei soggetti interessati. È quindi necessario modificare immediatamente la norma in questione, abrogando la disposizione contenuta nel comma 1-bis nell’art. del d.lgs 142/2015, secondo la quale il permesso di soggiorno per richiesta asilo “non costituisce titolo per l’iscrizione anagrafica”.

Un intervento di questo tipo avrebbe un rilevante significato giuridico e politico.

Per quanto attiene al primo profilo, si otterrebbe il risultato di eliminare una disposizione dal contenuto tutt’altro che chiaro e che è stata per mesi interpretata ed applicata in modo del tutto disomogeneo sul territorio nazionale, con effetti lesivi tanto della certezza del diritto e della trasparenza dell’agire della Pubblica Amministrazione quanto dei diritti fondamentali delle persone alle quali era indirizzata.

Dal punto di vista politico, l’abrogazione dell’art.13 dl 13/2018 rappresenterebbe invece una significativa iniziativa finalizzata, in ultima istanza, ad abbattere il muro tracciato dal legislatore del 2018 tra desiderati e indesiderati.

Se infatti l’acquisizione dell’iscrizione anagrafica certifica l’appartenenza ad una comunità e rappresenta il riconoscimento della presenza stabile su un territorio, non è accettabile che questo istituto sia inaccessibile per una specifica categoria di cittadini, pur stabilmente presenti sul territorio. È in gioco l’effettività dei diritti, la relazione tra istituzioni pubbliche e cittadini e la qualità della democrazia.

Una netta discontinuità sul tema dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo può dunque rappresentare un segnale di controtendenza rispetto al recente passato ed una simbolica presa di posizione che anticipi una più complessiva riforma della normativa in materia di immigrazione ed asilo, in una direzione complessivamente più equa, sostenibile e giusta.

5. Il diritto tra legalità e giustizia

Le iniziative finora intraprese da cittadini stranieri, giuristi, avvocati, amministratori, attivisti e operatori legali rispetto al tentativo di negare il diritto all’iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo rappresentano, dal punto di vista metodologico e dell’utilizzo degli strumenti del diritto, una sperimentazione interessante che ha prodotto notevoli risultati.

Merita infatti di essere considerata la specifica postura assunta dai giuristi che hanno ritenuto da subito ingiusta la novità introdotta dall’art.13 del decreto legge 113/18 in materia di iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo o, perlomeno, l’interpretazione “restrittiva” inizialmente dai più condivisa di tale norma. L’azione messa in atto da tali giuristi è consistita in una scrupolosa interpretazione del dato letterale, in procedimenti giudiziali perlopiù conclusisi con provvedimenti favorevoli, nell’ampia diffusione della propria elaborazione e dei risultati ottenuti, nonché in attività di advocacy e di pressione sui pubblici poteri finalizzata ad un superamento definitivo e generalizzato della questione.

Tale sforzo interpretativo e divulgativo ha così finito per rimodellare i confini stessi della normativa in questione e per rendere non solo plausibile in astratto, ma anche vincente in giudizio e quindi prevalente un’interpretazione della norma diversa da quella inizialmente più comune e più coerente con i principi fondamentali dell’ordinamento.

Questa azione, consistita prima nella produzione di scritti analitici di interpretazione letterale e sistematica della norma e poi nello sviluppo dell’opportuno contenzioso giudiziale, ha contribuito a ricordare che le norme giuridiche non appartengono a chi le produce, ma a tutti gli attori che, con i diversi ruoli riconosciuti loro dall’ordinamento, partecipano alla loro elaborazione, interpretazione ed applicazione.

Le parole di Paolo Grossi, presidente emerito della Corte Costituzionale, ben sintetizzano la centralità del momento interpretativo e la relazione virtuosa che si può sviluppare tra diritto e società:

Il vero diritto positivo non è quello posto da un’autorità legittima, bensì quello che l’interpretazione/applicazione immerge nella positività della società e rende sostanzialmente e non solo formalmente positivo[8].

Da questo punto di vista il giurista, chiamato a interpretare la normativa e a proporne un’interpretazione coerente con l’ordinamento giuridico intero e capace di rispondere a alle esigenze della società, non è esterno al processo di produzione normativa ma è uno dei suoi attori privilegiati. Questa vicenda specifica – la difesa dell’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo – ci restituisce così l’immagine di un diritto vivo e permeabile all’azione giuridica “diffusa”, non relegato alla disponibilità del solo legislatore.

 

 

[*] Francesco Ferri, Migration advisor ActionAid Italia,
Livio Neri, Avvocato, socio ASGI, foro di Milano

[1] Le avvocate sostengono, in particolare, che la norma, a prescindere dalle intenzioni del legislatore “storico”, non pone alcun esplicito divieto, ma si limita ad escludere che la particolare tipologia di permesso di soggiorno motivata dalla richiesta asilo possa essere documento utile per formalizzare la domanda di residenza, con ciò modificando il previgente sistema. È noto, però, che non sarebbe concepibile nel nostro ordinamento un divieto normativo implicito di un diritto soggettivo, come nel caso in esame quello all’iscrizione anagrafica.

http://questionegiustizia.it/articolo/l-iscrizione-anagrafica-e-l-accesso-ai-servizi-territoriali-dei-richiedenti-asilo-ai-tempi-del-salvinismo_08-01-2019.php

[2] Il professor Santoro sostiene che l’art.13 nel suo complesso (…) sancisce l’abrogazione non della possibilità di iscriversi al registro della popolazione residente dei titolari di un permesso per richiesta asilo, ma solo della procedura semplificata prevista nel 2017 che introduceva l’istituto della convivenza anagrafica, svincolando l’iscrizione dai controlli previsti per gli altri stranieri regolarmente residenti e per i cittadini italiani.

http://www.altrodiritto.unifi.it/adirmigranti/parere-decreto-salvini.htm

[3] https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/tribunale-di-firenze-i-richiedenti-asilo-hanno-diritto-alliscrizione-anagrafica/

https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/residenza-richiedenti-asilo/

https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/residenza-anche-a-genova-il-tribunale-accoglie-il-ricorso-di-un-richiedenti-asilo/

[4] https://www.asgi.it/asilo-e-protezione-internazionale/iscrizione-anagrafica-decreto-sicurezza-giurisprudenza/

[5] La Corte Costituzionale ha fissato l’udienza sull’eccezione sollevata dal Tribunale di Milano per il 10 marzo 2020.

[6] Il Tribunale di Firenze in particolare, con ordinanza del 22 novembre 2019, ha accolto il ricorso d’urgenza presentato da un richiedente asilo al quale era stata rifiutata l’iscrizione anagrafica dal sindaco di Firenze ed ordinato a quest’ultimo di procedere con la su immediata iscrizione nel registro anagrafico della popolazione residente. Secondo quanto espresso dal Tribunale fiorentino, infatti, “l’interpretazione in modo conforme alla Costituzione costituisce in definitiva una declinazione di quella sistematica e appare necessario e sufficiente rammentare che, a partire dalla sentenza della Corte costituzionale, 22 ottobre 1996, n.356, si è consolidato il principio per cui «le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice decida di darne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali”.

[7] https://www.actionaid.it/informati/notizie/appello-diritti-dei-richiedenti-asilo

[8] Paolo Grossi, Prima lezione di diritto, Editori Laterza, 2003, p.109.

[**] Francesco Ferri, Migration advisor ActionAid Italia,
Livio Neri, Avvocato, socio ASGI, foro di Milano

28/11/2019
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