Magistratura democratica
giurisprudenza di merito

L'omesso versamento delle ritenute IVA e la crisi d'impresa

di Francesca D'Orsogna
diplomata alla SSPL dell'Università di Bologna
Una sentenza del GIP presso il Tribunale di Bologna ci consente di tornare a riflettere sui reati fiscali commessi dagli imprenditori in crisi di liquidità e sulle categorie dell'inesigibilità e della forza maggiore
L'omesso versamento delle ritenute IVA e la crisi d'impresa

La sentenza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna sull’omesso versamento di ritenute IVA ex art. 10-ter D.Lgs. 74/2000 riapre il dibattito sull’effettiva valenza della c.d. inesigibilità, quale causa “ultralegale” di esclusione della colpevolezza.

Ci si muove in un’area molto incerta del diritto penale; infatti, laddove la dottrina si è già da tempo espressa, la giurisprudenza fatica a dare una lettura univoca di un istituto non previsto dalla legge.

Le cause di esclusione della colpevolezza disciplinano le ipotesi stabilite dall’ordinamento, caratterizzate dalla inesigibilità per un comportamento conforme alla legge penale da parte dell’agente; tale inesigibilità determina la non rimproverabilità del soggetto che pone in essere una condotta contraria al dettato normativo, poiché altrimenti dall’agente si dovrebbe pretendere un costo troppo elevato ed inaccettabile e per questo inesigibile.

La situazione in esame si determina in presenza delle c.d. circostanze concomitanti anormali, (si veda Fiandaca-Musco) le quali vanno ad incidere sul processo motivazionale e decisionale dell’agente.

Affinché possa configurarsi la colpevolezza, è necessario che la condotta conforme al precetto penale possa effettivamente essere osservata; pertanto, l’ordinamento potrà «esigere» che il soggetto realizzi un determinato comportamento solo in presenza di condizioni concomitanti normali.

Essendo l’ordinamento penale italiano rigorosamente ispirato al principio di legalità, il codice elenca in maniera tassativa i casi nei quali è disciplinato l’intervento delle già menzionate circostanze anormali.

Al fine di evitare che le ipotesi non espressamente disciplinate restino prive di tutela, determinando così una disparità di trattamento, la dottrina ha fatto assurgere l’inesigibilità a causa “ultralegale” generale e atipica di esclusione della colpevolezza attraverso lo strumento dell’analogia iuris.

Tale tesi non è però unanimemente condivisa a causa della mancata previsione legislativa. Nonostante ciò la giurisprudenza, in isolate pronunce - pur non riconoscendo la costante operatività di tale clausola generale di esclusione della colpevolezza - sembra essersi mostrata comunque “sensibile” alla sua applicazione, giudicando incolpevoli alcune condotte poste in essere in maniera illecita.

È proprio con riferimento agli illeciti tributari disciplinati dagli artt. 10-bis (omesso versamento delle ritenute) e 10-ter (omesso versamento dell’IVA), D. Lgs. 74/2000, che la giurisprudenza è recentemente tornata ad analizzare la questione dell’inesigibilità.

Un ruolo centrale nell’ambito di tale dibattito è senza dubbio ricoperto dalla c.d. crisi di liquidità. In tale ambito la giurisprudenza di merito nell’ultimo decennio ha assunto posizioni discordanti.

In un primo momento era unanimemente ritenuto che nessuna rilevanza potesse attribuirsi, nella ponderazione del giudizio di colpevolezza, alla carenza di liquidità quale causa degli omessi versamenti IVA nel termine previsto dalla norma.

Questo orientamento era supportato da un’argomentazione squisitamente letterale in quanto si eccepiva che il reato di cui all’art 10-ter D. Lgs. 74/2000 si realizzasse in presenza di un mero dolo generico, difettando il disposto normativo di un riferimento alla volontà evasiva da parte dell’agente; pertanto, era sufficiente, al fine dell’integrazione dell’elemento soggettivo, una condotta meramente caratterizzata dalla coscienza e dalla volontà dell’omesso versamento, restando prive di rilevanza le ragioni che avessero indotto l’agente in tale direzione (proprio come ad esempio la crisi di liquidità).

Abbracciare tale orientamento, tuttavia, portava a non considerare quelle ipotesi in cui l’agente aveva tenuto un determinato comportamento solo in quanto costretto da circostanze eccezionali ed esterne.

In sostanza, si finiva per equiparare quei soggetti che agivano con lo specifico intento evasivo (unica condotta realmente meritevole di sanzione) con chi, diversamente subendo una sorta di costrizione determinata dalla situazione di crisi, si trovava solo momentaneamente impossibilitato all’adempimento tributario, rischiando così potenziali censure d’incostituzionalità.

Negli ultimi anni i giudici, a causa dell’incremento delle situazioni di crisi di liquidità delle imprese, hanno operato una netta inversione di tendenza rispetto a quello che fino ad allora era considerato l’unico orientamento condivisibile, ma, che si badi, continua ad essere comunque quello prevalente.

Operare una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000, con il conseguente riconoscimento della crisi di liquidità quale causa di inesigibilità del comportamento doveroso, non deve però portare ad un’applicazione senza limiti della stessa, in quanto detta possibilità deve essere valutata dal giudice caso per caso: un'attuazione indifferenziata, infatti, potrebbe portare a scriminare il comportamento di quel soggetto che, pur versando in una situazione di difficoltà finanziaria, omette di versare l’IVA in quanto mosso da puro intento evasivo.

Le recenti sentenze che riconducono la crisi di liquidità nella sfera delle esimenti compiono pertanto il seguente ragionamento: ai fini della punibilità dell’omesso versamento IVA, e quindi del riconoscimento del dolo in capo all’agente, occorre accertare a seguito di una situazione di illiquidità non imputabile all’imprenditore, se con l’omissione egli abbia inteso tutelare altri interessi giuridicamente rilevanti di rango uguale o addirittura superiore a quelli che la norma incriminatrice intende tutelare.

In tali casi i giudici di merito, pur ritenendo le condotte dei soggetti agenti caratterizzate da coscienza e volontà dell’omesso versamento, hanno ritenuto mancante ogni profilo di rimproverabilità affinché queste potessero essere considerate meritevoli di sanzione penale.

In concreto, la giurisprudenza recente sembra, in casi circoscritti, ammettere l’inesigibilità quale clausola generale di non rimproverabilità, ossia in presenza di gravi conflitti motivazionali o di coscienza ascrivibili in capo all’evasore.

La ratio su cui si fondano queste pronunce in materia di omessi versamenti va individuata nella volontà di giustificare il comportamento posto in essere da quel soggetto che, trovandosi onerato da un doppio dovere, ha compiuto una scelta supportata dalla consapevolezza delle conseguenze negative del suo agire, indipendentemente dalla scelta posta in essere.

Il giudice si trova ad affrontare una valutazione del caso specifico, considerando specificamente la sussistenza dell’effettivo conflitto motivazionale in capo al soggetto agente per il quale entrambi i valori sottesi alle alternative scelte devono rappresentare un sacrificio rilevante.

Pertanto, ci si trova in presenza di una vera e propria costrizione morale che pone il soggetto di fronte ad un bivio: adempiere ad un onere imposto ex lege a costo di sacrificare la propria attività d’impresa e il posto di lavoro dei suoi dipendenti, oppure preservare l’attività violando però i doveri imposti dalla legge.

Riconducendo la crisi di liquidità nella categoria dei fatti che escludono la responsabilità penale, il soggetto cui è rivolto l’addebito sarebbe gravato da un doppio onere della prova: egli infatti dovrebbe dimostrare da un lato l’effettiva indisponibilità del denaro necessario ai fini del versamento, e dall’altro l’assenza di colpa a lui ascrivibile, non essendo l’evento riconducibile alle strategie imprenditoriali in quanto non prevedibile.

Nel caso sottoposto al GIP presso il Tribunale di Bologna l’imputato, pur non trovandosi in una situazione di totale assenza di liquidità, ha preferito garantire il lavoro ai propri dipendenti e salvaguardare la continuità della propria impresa anziché provvedere al versamento dell’IVA.

Ex adverso, il giudice bolognese ha ritenuto non sussistente la presenza della scriminante.

In primo luogo, infatti, ha ritenuto che la tesi della forza maggiore non potesse essere accolta e che pertanto il comportamento dovesse ritenersi punibile. La forza maggiore è un quid eccezionale, imprevedibile ed inevitabile che esula dal limite della prudenza e dall’attenzione dell’essere umano cosi da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento che conseguentemente non può, in nessun modo, ricollegarsi ad un azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, svincolata dalla condotta e dalla colpa di questi, mentre nel caso di specie l’imputato ha concorso a causare l’evento.

Peraltro dottrina e giurisprudenza sono abbastanza concordi nel ritenere che, in virtù del c.d. rischio d’impresa, la crisi d’impresa non sia da considerarsi quale evento eccezionale ed imponderabile.

Se lo stato di illiquidità venisse ricondotto nel novero delle esimenti, si configurerebbe un caso in cui la scusante opererebbe in presenza di un fatto oggettivamente illecito posto in essere con coscienza e volontà dall’agente che si è trovato di fronte a due condotte alternative; diversamente quindi, dalla situazione di forza maggiore in presenza della quale la scelta dell’agente non è discrezionale, ma obbligata, per la quale la situazione che si delinea non è di mera difficoltà ma di vera e propria impossibilità.

In secondo luogo, si è specificato che la decisione avrebbe forse potuto essere diversa se l’imputato avesse tentato ogni mezzo utile al fine di poter adempiere oppure se egli si fosse trovato a non incassare l’IVA (si consideri che il mancato versamento dell’IVA è una fattispecie penale che si realizza progressivamente in quanto il mancato accantonamento costituisce il primo elemento della fattispecie omissiva addebitabile all’imprenditore).

D'altronde, se non è da considerarsi scriminato il comportamento di chi sottrae un bene – furto lieve - trovandosi in un generico stato di bisogno o miseria (occorrendo invece una situazione di grave e indilazionabile bisogno alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa), a maggior ragione, sulla base dello stesso ragionamento e a tutela penale degli interessi generali e sociali, non dovrebbe essere considerato esente da responsabilità l’imprenditore che omette di versare l’IVA trovandosi in una situazione di crisi d’impresa, restando ferma tuttavia la valutazione caso per caso delle singole condotte tenute dagli agenti al fine di evitare di incorrere nella sanzione penale, come dimostrato dal recente orientamento giurisprudenziale.

30/09/2013
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