Sommario
[1]. La fase pregiurisdizionale nel processo tributario
[2]. La sentenza Corte cost. 98/2014: l’AN della mediazione obbligatoria.
[3]. La sentenza Corte cost. 98/2014: il QUOMODO della mediazione obbligatoria
[4]. Mediazione civile ex art. 5 comma I-bis d.lgs. 28/2010
[1]. La fase pregiurisdizionale nel processo tributario
Il decreto legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito in l. 15 luglio 2011 n. 111, ha introdotto, all’interno della disciplina uniforme sul processo tributario, una ipotesi di giurisdizione condizionata, per le controversie di valore non superiore a 20.000,00 euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate (art. 17-bis, d.lgs. 546/1992). Sulla scorta della disposizione di nuovo conio, «chi intende proporre ricorso è tenuto preliminarmente a presentare reclamo». Il reclamo ha la funzione di provocare un tentativo di mediazione inaugurando una fase pregiurisdizionale (pre trial).
L’omessa presentazione del reclamo è stata oggetto di due differenti regime normativi: il primo, quello vigente ab origine, introdotto dalla stessa legge n. 111 del 2011; il secondo, inserito, a sostituzione del primo, dalla l. 27 dicembre 2013 n. 147. Nella prima formulazione normativa “la presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio”; nella versione normativa attualmente vigente «la presentazione del reclamo è condizione di procedibilità del ricorso. In caso di deposito del ricorso prima del decorso del termine di novanta giorni, l'Agenzia delle entrate, in sede di rituale costituzione in giudizio, può eccepire l’improcedibilità del ricorso e il presidente, se rileva l’improcedibilità, rinvia la trattazione per consentire la Mediazione».
Il primo modulo normativo introduce una ipotesi di inammissibilità dell’azione giudiziaria per difetto di reclamo: si verifica, dunque, una decadenza dal diritto d’azione per il solo fatto di non avere coltivato l’onere imposto ex lege. Il secondo modulo normativo, invece, inscrive nel codice genetico del processo tributario una ipotesi di improcedibilità in cui all’omesso esperimento del tentativo di mediazione, si ricollega un tentativo salvifico del giudice, che concede alla parte un lasso di tempo utile per l’assolvimento dell’onere. Questa seconda ipotesi, è analoga a quella oggi prevista dall’art. 5 comma I-bis del d.lgs. 28/2010.
[2]. La sentenza Corte cost. 98/2014: l’AN della mediazione obbligatoria.
La Corte costituzionale, con la sentenza 16 aprile 2014 n. 98 si è pronunciata con riguardo alla prima versione normativa della mediazione obbligatoria tributaria e ha concluso per la illegittimità costituzionale. La Corte delle Leggi, prima di addentrarsi nel quid dell’art. 17-bis cit., ha cura di precisare che, nella sua astratta previsione, l’istituto non si pone in contrasto con la Charta Chartarum. La Consulta ribadisce che la tutela giurisdizionale non implica necessariamente una relazione di immediatezza tra il sorgere del diritto (o dell’interesse legittimo) e tale tutela, essendo consentito al legislatore di imporre l’adempimento di oneri − in particolare, il previo esperimento di un rimedio amministrativo – che, condizionando la proponibilità dell’azione, ne comportino il differimento, purché gli stessi siano giustificati da esigenze di ordine generale o da superiori finalità di giustizia.
Secondo la Corte delle Leggi, è questo il caso del reclamo e della mediazione tributari, i quali, col favorire la definizione delle controversie (che rientrino nel menzionato ambito di applicazione dei due istituti) nella fase pregiurisdizionale introdotta con il reclamo, tendono a soddisfare l’interesse generale sotto un duplice aspetto: da un lato, assicurando un più pronto e meno dispendioso (rispetto alla durata e ai costi della procedura giurisdizionale) soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di dette controversie, con vantaggio sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria; dall’altro, riducendo il numero dei processi di cui sono investite le commissioni tributarie e, conseguentemente, assicurando il contenimento dei tempi e un più attento esame di quelli residui (che, nell’àmbito di quelli promossi nei confronti dell’Agenzia delle entrate, comportano le più rilevanti conseguenze finanziarie per le parti). La Corte costituzionale, quindi, conclude affermando che la previsione dell’obbligo della preliminare presentazione del reclamo non viola, pertanto, nessun parametro costituzionale. La previsione di una forma di mediazione obbligatoria è, cioè, compatibile con la Costituzione.
[3]. La sentenza Corte cost. 98/2014: il QUOMODO della mediazione obbligatoria
Affermata la legittimità costituzionale dell’an della mediazione obbligatoria, la Consulta ne esamina il quomodo: con riguardo al comma 2 dell’art. 17-bis cit (nel testo anteriore alle modifiche del 2013), rileva che è stabilita la sanzione dell’inammissibilità del ricorso per la mancata presentazione del reclamo, nonché la rilevabilità d’ufficio di tale inammissibilità in ogni stato e grado del giudizio.
Secondo la Corte delle Leggi, questa previsione è incostituzionale. La Consulta ricorda che la giurisdizione condizionata non deve rendere eccessivamente difficoltoso il ricorso alla Giustizia e, in particolare, deve contenere l’onere nella misura meno gravosa possibile e deve operare un «congruo bilanciamento» tra l’esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell’accesso alla stessa intende perseguire. In linea con tale prospettiva, la Corte ricorda di avere, in passato, già pronunciato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., di disposizioni che comminavano la sanzione della decadenza dall’azione giudiziaria in conseguenza del mancato previo esperimento di rimedi di carattere amministrativo.
Coerentemente con tali precedenti, afferma, che la previsione, di cui al comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 − secondo cui l’omissione della presentazione del reclamo da parte del contribuente determina l’inammissibilità del ricorso (rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio) − comportando la perdita del diritto di agire in giudizio e, quindi, l’esclusione della tutela giurisdizionale, si pone in contrasto con l’art. 24 Cost. Il comma 2 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, nel suo testo originario, anteriore alla sostituzione dello stesso a opera della legge n. 147 del 2013, viene, perciò, dichiarato costituzionalmente illegittimo. La Consulta precisa: “resta, ovviamente, estranea all’oggetto del presente giudizio ogni valutazione in ordine alla legittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 17-bis nel testo attualmente vigente”.
[4]. Ricadute: mediazione civile ex d.lgs. 28/2010
Con la sentenza 98/2014, la Corte Costituzionale non si pronuncia sulla legittimità costituzionale del nuovo art. 17-bis dlgs. 546/1992, in cui – come detto - il Legislatore ha introdotto un sistema normativo che ha al suo baricentro una ipotesi di improcedibilità sanabile, in luogo di una inammissibilità rigida: un sistema analogo a quello previsto dal d.lgs. 28/2010 per la mediazione civile. L’omesso esperimento della previa mediazione non determina, automaticamente, la decadenza dall’azione giudiziaria ma impone al giudice di consentire al litigante di assolvere l’onere posto a suo carico per evitare la falcidia. Si passa da un regime di inammissibilità rigido ad un regime di improcedibilità sanabile.
La Consulta, nella sentenza qui in commento, giudica in modo sfavorevole un regime normativo che sia eccessivamente severo quanto agli effetti dell’omesso completamento della procedura pre trial; in particolare, per il caso di una inammissibilità tout court per il caso di inerzia del litigante rispetto alla coltivazione della condizione di inammissibilità. Deve ritenersi che analoghe considerazioni non possano essere svolte con riguardo all’attuale regime giuridico enucleato nell’art. 17-bis cit. e, quindi, con riguardo all’art. 5 comma I-bis del d.lgs. 28/2010: in questi casi, la parte che intende accedere al sistema pubblico di risoluzione delle controversie e ha omesso di espletare la fase di mediazione pregiurisdizionale prevista ex lege, non decade dal diritto d’azione ma è messa nelle condizioni di poterlo comunque esercitare, essendole concesso uno segmento temporale per tenere la condotta omessa.
L’eventuale successiva improcedibilità – per il non avere tenuto quella condotta nonostante la possibilità offerta dal giudice – non sarà più, dunque, una irrazionale privazione dell’accesso alla Giustizia, ma la conseguenza naturale (e razionale) di un comportamento del litigante rimproverabile. D’altro canto, in assenza di conseguenze processuali, la procedura pre-trial si ridurrebbe a un articolato normativo insuscettibile di avere alcun effetto sui litiganti: dunque, una mediazione senza mediazione.