Con la sentenza in esame, la Consulta ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna contenga l'avviso della facoltà dell'imputato di chiedere mediante l'opposizione la sospensione del procedimento con messa alla prova”.
Il caso, da cui si è originato l'incidente di costituzionalità, è il seguente.
Nei confronti dell'imputato viene emesso un decreto penale di condanna per il reato previsto dall'art. 44, comma 1, lettera c), D.P.R. n. 380/01.
L'imputato propone opposizione senza richiesta di riti alternativi o di messa alla prova.
Nel corso dell'udienza dibattimentale, l'imputato chiede la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il Giudice, però, osserva che la richiesta di messa alla prova dovrebbe ritenersi inammissibile, atteso che, in forza dell'art. 464bis, comma 2, c.p.p., avrebbe dovuto essere presentata con l'atto di opposizione.
Sennonché, così ragionando, l'imputato vedrebbe leso il proprio diritto di difesa.
Infatti, nella specie, nel decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti mancava l'avviso della facoltà di chiedere mediante l'opposizione la messa alla prova.
Da qui, secondo il Giudice rimettente, la necessità di sollevare, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 460, comma 1, lettera e), c.p.p., “nella parte in cui non prevede che il decreto penale di condanna debba contenere l'avviso all'imputato che ha facoltà di chiedere la sospensione del procedimento per messa alla prova unitamente all'atto di opposizione”.
In questo modo, se la questione venisse accolta, verrebbe posto rimedio alla lesione del diritto di difesa subita dall'imputato, atteso che quest'ultimo sarebbe rimesso in termini per chiedere la messa alla prova.
Nello specifico, secondo il Giudice rimettente, la norma censurata violerebbe l'art. 24 Cost. in quanto, in vista di una migliore tutela del diritto di difesa, la scelta dei riti alternativi, ai quali va equiparata la messa alla prova, dovrebbe essere sempre preceduta da uno specifico avviso, specialmente nei casi in cui tale scelta debba essere compiuta entro brevi termini di decadenza, che maturino fuori udienza.
Il contrasto con l'art. 3 Cost., invece, deriverebbe dal fatto che vi sarebbe una disparità di trattamento tra situazioni analoghe, dal momento che, diversamente da quanto avviene per la messa alla prova, l'avviso della facoltà di accedere ai riti alternativi e all'oblazione viene dato, a pena di nullità, unitamente al decreto di citazione a giudizio[1], al decreto penale di condanna[2] e al decreto di giudizio immediato[3], seppure in quest'ultimo caso non sia necessario far menzione dell'oblazione.
I Giudici della Consulta, come anticipato, ritengono la questione fondata, sebbene con riferimento alla censura relativa all'art. 24 Cost., rimanendo quella relativa all'art. 3 Cost. assorbita.
In particolare, la Corte, dopo aver precisato che il nuovo istituto del probation si configura come un procedimento speciale, alternativo al giudizio, e che l'art. 464bis, comma 2, c.p.p., stabilisce che, nel procedimento per decreto, la richiesta di messa alla prova deve essere presentata, a pena di decadenza, con l'atto di opposizione, constata, però, che, a differenza di quanto accade per gli altri riti speciali, l'art. 460, comma 1, lettera e), c.p.p., non prevede che all'imputato sia dato avviso della facoltà di chiedere con l'atto di opposizione la messa alla prova.
Dalla mancanza di tale avviso deriva, secondo la Corte, la perdita di una garanzia, che è essenziale per il corretto e pieno esercizio del diritto di difesa, atteso che può determinare sostanzialmente “la perdita irrimediabile” della facoltà di accedere alla messa alla prova.
Invero, secondola Corte, “quando il termine entro cui chiedere i riti alternativi è anticipato rispetto alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l'insufficienza del relativo avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di accedervi, la violazione della regola processuale che impone di dare all'imputato esatto avviso della sua facoltà comporta la violazione del diritto di difesa”.
Conseguentemente, dal momento che, nel procedimento per decreto, il termine entro cui chiedere la messa alla prova è anticipato rispetto al giudizio, la mancata previsione tra i requisiti del decreto penale di condanna di un avviso, come quello previsto dall'art. 460, comma 1, lettera e), c.p.p., per gli altri riti speciali, della facoltà di chiedere, nel fare opposizione, la messa alla prova, causa una lesione del diritto di difesa, con conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione.
Prima di concludere, è opportuno evidenziare che, secondo la Corte, l'avviso non è necessario nel caso in cui il termine ultimo per avanzare la richiesta di riti alternativi venga a cadere all'interno di un'udienza, preliminare o dibattimentale, a partecipazione necessaria, in cui l'imputato è obbligatoriamente assistito dal difensore, che è tenuto a garantire una completa informazione circa la facoltà e/o la opportunità di chiedere i riti.
Quest'ultimo appunto è importante perché, alla luce delle sopra esposte argomentazioni della Corte, dalla omessa indicazione, all'interno del decreto di citazione a giudizio di cui all'art. 552 c.p.p., dell'avvertimento all'imputato della facoltà di chiedere, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, la sospensione del procedimento con messa alla prova, non dovrebbe derivare alcuna nullità di ordine generale per violazione del diritto di difesa ai sensi dell'art. 178, comma 1, lettera c), c.p.p., avendo sbocco l'atto in questione in una udienza a partecipazione necessaria, all'interno della quale viene a cadere il termine ultimo per avanzare la richiesta di messa alla prova[4].
[1] Si veda l'art. 552, comma 1, lettera f) e comma 2, c.p.p.
[2] Si vedano gli artt. 460, comma 1, lettera e), c.p.p. e 141, comma 3, disp. att. c.p.p.
[3] Si veda l'art. 456, comma 2, c.p.p.
[4] Molti dei decreti di citazione a giudizio emessi dopo l'entrata in vigore della legge n. 67/14 non contengono l'avviso all'imputato della facoltà di chiedere, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, la sospensione del procedimento con messa alla prova, non essendo tale avviso espressamente richiesto dalla legge. Non si può escludere, però, che il legislatore modifichi in futuro l'art. 552, comma 1, lettera f), c.p.p., nel senso di stabilire che il decreto di citazione a giudizio è nullo, ai sensi dell'art. 552 comma 2, c.p.p., anche nel caso in cui manchi o sia insufficiente al suo interno l'avviso all'imputato della facoltà di avvalersi della messa alla prova, in ragione degli importanti benefici che da tale nuovo istituto derivano a favore dell'imputato, che impongono un'informazione la più ampia possibile e, soprattutto, anticipata rispetto al giudizio.