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giurisprudenza di merito

Può eleggere cittadinanza il minore nato da genitori irregolari?

Le condizioni di soggiorno del minore devono essere valutate autonomamente rispetto ai genitori, altrimenti per la cittadinanza si pretenderebbe anche la regolare residenza dei genitori
Può eleggere cittadinanza il minore nato da genitori irregolari?

Il decreto del Tribunale di Pordenone affronta, in modo “innovativo”, una questione di grande attualità quella dell’acquisto (rectius: elezione ) della cittadinanza per le persone nate e vissute sul territorio italiano.

La legge n. 91/1992 che disciplina l’acquisto e la perdita della cittadinanza è caratterizzata da principi classici (o forse anacronistici?) privilegiando lo "ius sanguinis", in forza del quale il figlio nato da padre italiano o da madre italiana è cittadino italiano e limitando solo a rigidi presupposti l’applicazione del principio dello “ius soli”, in forza del quale acquista la cittadinanza chi nasca in un determinato paese (principio dominante nei paesi di più recente “formazione”).

La norma, infatti, detta i presupposti per l’acquisto della cittadinanza italiana da parte di chi nasca sul territorio italiano da cittadini stranieri (non apolidi), nell’art. 4 che, disciplinando la c.d. “elezione di cittadinanza”, dispone: “Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data”.

Sono quindi richiesti quali requisiti per l’elezione di cittadinanza:

- nascita sul territorio italiano

- cittadinanza straniera

-legale residenza senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età

- dichiarazione, da rendere all’ufficiale dello Stato civile, di voler acquistare la cittadinanza entro un anno dal compimento del 18° anno di età.

Le criticità di questo sistema sono rappresentate oltre che dalla necessità di dover attendere 18 anni prima di poter esprimere una tale volontà, e dall’esiguità del termine di un anno per poter formulare l’elezione, soprattutto dalla necessità di provare la residenza legale per 18 anni sul territorio nazionale.

Infatti, secondo l’interpretazione dominante data dagli organi amministrativi e giudiziari della nozione di residenza legale, anche se i genitori stranieri, del minore nato in Italia, erano “irregolari” al momento della nascita, ovvero durante un periodo nei 18 anni richiesti dalla disposizione primaria, abbiano vissuto in Italia in condizione di irregolarità, poiché l’irregolarità dello status dei genitori si riflette sul permesso di soggiorno dei minori, la cittadinanza non viene concessa.

Ed è proprio su questa interpretazione che interviene il decreto del Tribunale di Pordenone.

Nella fattispecie considerata nel decreto in esame la ricorrente ha impugnato il rifiuto oppostole dai competenti uffici amministrativi che avevano rigettato la dichiarazione di elezione di cittadinanza da lei presentata ai sensi dell’articolo 4, comma 2, della Legge n.91/1992.

La ricorrente, nata a Palermo diciotto anni prima della data di presentazione della dichiarazione di elezione di cittadinanza, ha affermato di essere nata e di aver vissuto ininterrottamente in Italia per 18 anni; le autorità amministrative hanno respinto la richiesta di elezione di cittadinanza rilevando che dagli accertamenti compiuti presso il Comune di nascita della richiedente, pur risultando provata la nascita in Italia, emergeva una discrepanza tra i contenuti dell’atto di nascita, nel quale i genitori della ricorrente risultavano risiedere nello stesso Comune di nascita, ed i registri anagrafici dai quali emergeva che né la richiedente né i suoi genitori erano regolarmente residenti in quel Comune alla data della nascita.

Esaminando il provvedimento amministrativo di rigetto dell’istanza, si desume che da tale discrepanza l’autorità amministrativa ha fatto derivare “l’impossibilità di applicare quanto previsto dalla Circolare del Ministero dell’Interno n. K 64.2/13 del 7.11.2007 che prevede la possibilità di sanare la tardiva iscrizione anagrafica presentando documentazione atta a dimostrare la presenza effettiva in Italia dell’interessata nel periodo antecedente l’iscrizione anagrafica, a condizione che almeno uno dei genitori, al momento della dichiarazione di nascita , fosse legalmente residente in Italia.”

Dal rigetto dell’istanza e dalla lettura del decreto del Tribunale di Pordenone, non si evincono i motivi per i quali la ricorrente ed i suoi genitori non fossero regolarmente iscritti all’Anagrafe pur essendo indiscutibilmente presenti sul territorio italiano al momento della nascita; si desume soltanto che la regolarizzazione anagrafica della ricorrente avveniva quattro anni dopo la nascita e che in tale periodo la stessa era effettivamente presente nel territorio italiano perché qui le venivano somministrate le vaccinazioni e beneficiava dell’assistenza medica.

Infine, né nel decreto in commento né nel provvedimento amministrativo (riportato per estratto nello stesso decreto), si esplicita la situazione dei genitori della ricorrente, ma presumibilmente si trattava di “clandestini”.

Come detto l’art. 4 della l.n. 91/1992 richiede che il richiedente abbia “risieduto legalmente” in Italia, ma non contiene alcuna definizione di “residenza legale” che troviamo invece nell’art. 1, comma 2, lettera a), del D.P.R. 12.10.1993, n. 572 recante il regolamento di esecuzione, secondo il quale: “2. Ai fini dell'acquisto della cittadinanza italiana: a) si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica;”.

Dunque, per essere legalmente residenti, occorre essere in regola con gli adempimenti in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri e con l’iscrizione anagrafica.

La Circolare del Ministro dell’Interno K 64.2/13 n.22/07 del 7 novembre 2007, richiamata nel decreto in esame, prevede che la tardiva iscrizione anagrafica di un minore presso un Comune italiano non possa pregiudicare l’acquisto della cittadinanza ove vi sia documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza dello stesso nel nostro Paese nel periodo antecedente alla regolarizzazione anagrafica, purchè l’iscrizione anagrafica sia “stata regolarmente denunciata presso un Comune italiano da almeno uno dei genitori legalmente residenti in Italia”.

E dunque, mentre nella norma primaria il requisito richiesto è quello della legale residenza nel territorio italiano del soggetto che compie l’elezione di cittadinanza, la circolare sembra far risalire tale regolare presenza alla situazione di regolare soggiorno dei genitori del minore.

Il Collegio pordenonese, nel decreto in commento, ha affermato che in tal modo la circolare ha finito per introdurre un ulteriore presupposto - quello della legale residenza in Italia di almeno uno dei genitori al momento della nascita - non richiesto dalla norma primaria di riferimento.

Da ciò è discesa la disapplicazione della Circolare in base al noto principio della natura delle circolari e della non vincolatività di quanto nelle stesse previsto per gli organi giurisdizionali, direttamente vincolati solo dalla normativa interna ed internazionale.

Il citato regolamento di attuazione, D.P.R. n.572/1993, prevede che il soggetto sia in regola con le norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e con quelle in materia d'iscrizione anagrafica.

Ma quando un minore può definirsi in regola con le norme in materia di soggiorno?

L’articolo 31, comma 1 d. leg.vo n.286/1998, prevede che, in caso di regolare presenza dei genitori sul territorio italiano, il figlio minore convivente con lo straniero regolarmente soggiornante è iscritto nel permesso di soggiorno di uno o di entrambi i genitori fino al compimento del quattordicesimo anno di età.

Da tale norma sembra discendere che il minore non possegga un autonomo diritto al regolare soggiorno ma che la sua posizione sia “collegata” a quella dei genitori.

Ed allora, alla luce di tale ricostruzione normativa, cosa accade se i genitori siano sprovvisti di idoneo titolo di soggiorno?

Potrà o meno il minore essere considerato “legalmente residente” ai fini dell’elezione di cittadinanza?

Secondo il Tribunale di Pordenone, la posizione del minore deve essere autonomamente considerata poiché, qualora si collegasse la posizione del minore a quella dei suoi genitori, si finirebbe per imporre, ai fini dell’elezione della cittadinanza, un requisito ulteriore, quello della regolare residenza in Italia da parte dei genitori, non richiesto dalla norma primaria.

Tale valutazione appare condivisibile se si considera il minore come soggetto direttamente titolare di propri diritti.

Ma se questa premessa è valida, quando si può ritenere sussistente il requisito della “residenza legale” nel caso di un minore? Ovvero si può o meno prescindere, per poter applicare tale disposizione, dal considerare la posizione giuridica dei genitori?

La norma fa riferimento al possesso di un regolare titolo di soggiorno ed all’iscrizione anagrafica. In merito al requisito dell’iscrizione anagrafica, deve ricordarsi come l’ufficiale dello Stato Civile sia tenuto a creare l’atto di nascita di un bambino nato in Italia a prescindere dalla titolarità in capo ai genitori di idoneo titolo di soggiorno; ciò in ottemperanza ai principi contenuti in convenzioni internazionali quali, ad esempio, l’articolo 7 della Convenzione di New York per i Diritti del fanciullo.

L’articolo 12 del regolamento anagrafico (DPR n.223/89) prevede che, creato l’atto di nascita, se ne dia comunicazione all’ufficiale dell’anagrafe affinché provveda all’iscrizione anagrafica e quest’ultima sembra essere un diritto del minore.

In proposito parte della dottrina ritiene che la “legalità” della residenza non debba essere condizionata all’iscrizione anagrafica dello straniero nel Comune di dimora abituale, negando che la certificazione anagrafica possa essere considerata prova essenziale della residenza per poter ammettere lo straniero all’elezione di cittadinanza.

Più complesso è invece l’accertamento del primo dei due requisiti richiesti dall’articolo 1, comma 2 lettera a) del regolamento D.P.R. 12.10.1993, n. 572 ovvero il possesso di un regolare titolo di soggiorno.

Secondo la dottrina e la giurisprudenza dominanti, perché uno straniero nato in Italia possa vedere accolta la propria elezione di cittadinanza, il requisito della “legalità” (novità peraltro introdotta proprio dalla Legge n. 91/1992), deve essere inteso come non “clandestinità”.

Accogliendo questa interpretazione la residenza può considerarsi legale solo quando durante il soggiorno in Italia il soggetto sia stato titolare di un valido permesso di soggiorno. Anche la giurisprudenza amministrativa si è espressa in tal senso affermando (Consiglio di Stato, Sezione I, parere del 6/11/1996) “… che l’omissione o il ritardo della dichiarazione di soggiorno a nome del minore possano considerarsi non pregiudizievoli, ai fini di cui si discute, alla triplice condizione che: 1. la nascita del minore, avvenuta in Italia, sia stata come tale regolarmente e tempestivamente denunciata allo Stato Civile, anche ai fini anagrafici; 2. che i genitori fossero, al momento della nascita, legalmente residenti con valido permesso di soggiorno ed iscrizione anagrafica; 3. che tale condizione dei genitori abbia continuato a permanere per tutto il periodo considerato, quanto meno sino a che il figlio non abbia acquisito un titolo di soggiorno autonomo”.

Secondo i Giudici di Palazzo Spada quindi, “con il solo concorso delle suddette tre condizioni …si verifica, da un lato, la sussistenza di un titolo legittimo ad ottenere il permesso di soggiorno, e dall’altro, la pubblicità, certezza e stabilità della residenza del minore straniero in Italia”.

Il decreto in commento si discosta da questa impostazione e la scelta operata dal Collegio pordenonese appare condivisibile poiché mira a riconoscere autonomia alla posizione del minore rispetto a quella dei genitori ed a fornire una diversa e più “sostanziale” lettura del requisito della “legale residenza”.

Secondo il nostro ordinamento, la posizione del minore (che non versi in stato di abbandono) è collegata a quella dei genitori, ai sensi del richiamato art. 31 d. leg.vo n. 286/98, pertanto la sua condizione, quanto al possesso del titolo abilitante alla legittima permanenza nel territorio dello Stato, è legata a quella dei genitori.

Ma a ben vedere la posizione dei minori, ai fini della possibilità di permanere non illegalmente nel territorio nazionale, è svincolata dalla posizione dei genitori.

L’articolo 19, comma 2, lettera a) del d. leg.vo n. 286/98 prevede un esplicito divieto di espulsione, che tutela indistintamente tutti gli stranieri minori di 18 anni.

Per i minori che convivano con i genitori, privi di idoneo titolo di soggiorno, a differenza che per i minori in stato di abbandono ovvero non accompagnati, non è previsto il rilascio di un particolare titolo di soggiorno, tuttavia l’inespellibilità è prevista per tutti i minori che dunque hanno “diritto” a permanere nel territorio nazionale.

Per parte della dottrina è regolarmente soggiornate non chi abbia un regolare titolo di soggiorno, ma chi si trovi in condizione di non espellibilità.

Tale affermazione, quando riferita ai minori stranieri, trova sostegno nella normativa nazionale ed internazionale, dato che il nostro ordinamento prevede che venga rilasciato un particolare permesso di soggiorno, ex art. 28, D.P.R. n. 394/99, per i minori non accompagnati e che esso può essere richiesto da parte di chi esercita i poteri tutorii sul minore.

Proprio al fine di non creare una disparità di trattamento tra i minori non accompagnati e i minori che convivano con genitori irregolarmente soggiornanti nel nostro territorio, non può dirsi che questi ultimi, in quanto inespellibili se presenti sul territorio nazionale, non siano “regolarmente residenti”.

Peraltro tutti i minori, a prescindere dalla titolarità o meno del permesso di soggiorno, hanno diritto all’istruzione, ed alle cure sanitarie.

Che il minore, a prescindere da un valido titolo di soggiorno, non possa essere considerato “irregolarmente soggiornante”, si desume altresì dall’applicazione giurisprudenziale del terzo comma dell’articolo 31, d.leg.vo n. 286/98 nel quale è previsto che il tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, possa autorizzare l'ingresso o la permanenza del familiare - per un periodo di tempo determinato - anche in deroga alle altre disposizioni del Testo Unico.

La giurisprudenza ritiene applicabile la norma anche in favore dei minori non in possesso di regolare titolo di soggiorno (cfr. Cass. Sez. U., Sentenza n. 21799/2010) considerando prevalente su ogni altra considerazione il criterio interpretativo dell’interesse del minore.

Tale interpretazione è pienamente condivisibile non solo perché la prevalenza del superiore interesse del fanciullo è un criterio interpretativo interno alla legge, ma anche sulla base di un più ampio bilanciamento di interessi costituzionalmente riconosciuti.

Infatti, non si può sostenere che il legislatore ritenga prevalenti, sui principi costituzionali di tutela dei minori e di tutela dell'integrità familiare, le norme in tema di ingresso o di espulsione.

Dunque, se la presenza del minore in Italia, anche se privo di idoneo titolo di soggiorno, ha la “forza” di consentire il rilascio di un titolo abilitante alla legittima permanenza sul territorio italiano dei genitori irregolarmente soggiornanti, oltre a renderne impossibile l’espulsione ed a permettergli di godere dei diritti fondamentali, deve ritenersi che la sua posizione di minore soggiornante sul territorio nazionale, ancorché privo di titolo di soggiorno, abbia nel nostro ordinamento una precisa autonomia e sia fonte di autonomi diritti.

Da quanto sopra delineato, emerge che la definizione di legale residenza contenuta nel DPR n. n.572/1993 ancorata a presupposti che necessariamente collegano la posizione del minore a quella dei suoi genitori, non può essere idonea a riempire di contenuto la locuzione contenuta nell’articolo 4, comma 2, della Legge n.91/1992; se, infatti, il diritto dello straniero nato in Italia ed ivi legalmente residente per 18 anni di eleggere la cittadinanza italiana è un diritto che questi esercita iure proprio, il requisito della legale residenza deve essere valutato esclusivamente con riferimento alla sua posizione e non a quella dei suoi genitori.

Nel nostro ordinamento i minori, in quanto inespellibili, devono considerarsi regolarmente residenti a meno che non si ravvisino le condizioni per la loro espulsione, e cioè a meno che non vi siano motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato che facciamo venir meno il generale divieto di espulsione.

Dunque la locuzione “che vi abbia risieduto legalmente” presente nell’articolo 4, comma 2, della Legge n.91/1992, non deve essere interpretata alla luce della definizione di legale residenza data dal regolamento di attuazione della legge più volte richiamato, bensì in maniera autonoma.

Il divieto di espulsione dei minori impedisce di considerarli “clandestini”, sulla base della mancanza di un valido titolo di soggiorno in capo ai genitori, in quanto, i minori pur se privi di un regolare titolo di soggiorno, hanno diritto di permanere sul nostro territorio e dunque la loro presenza non può ritenersi illegale. Il decreto in commento seppure molto “innovativo” sembra contenere un’interpretazione dell’art. 4 l.n. 91/1992, pienamente conforme alla normativa interna ed internazionale.

Ancora una volta le decisioni giurisprudenziali potrebbero anticipare i tempi raccogliendo un’istanza che ormai la società civile esprime prepotentemente, quella per la quale minori nati e cresciuti in Italia, e per i quali sono state investite energie formative ed economiche possano avere la possibilità di scegliere di divenire cittadini italiani.

Garantire prospettive di appartenenza non potrà che far sviluppare una società migliore dove l’accoglienza prevalga sul rifiuto e la condivisione sull’esclusione.

16/04/2013
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