«La lotta alla mafia deve essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità» (Paolo Borsellino)
Nel 1993, per Pironti Editore, usciva un libro del giornalista Guido Ruotolo che fin dal titolo (La Quarta Mafia) faceva comprendere al lettore come nell’ultima e più cruenta stagione delle stragi di mafia, quel maledetto 1992/93, un’altra forma di criminalità organizzata si faceva strada tentando di imporre la sua presenza in una nuova collocazione territoriale, al fine di far crescere i suoi traffici e sviluppare i suoi tentacoli: la Puglia. In quel libro, ormai datato ma interessante come un reperto di archeologia giudiziaria, si narravano le gesta di figure come Salvatore Annacondia, Marino Pulito e Giosuè Rizzi, soggetti apicali allora “in auge”.
A distanza di quasi 30 anni esce ora il documentatissimo libro di Antonio Laronga sulle organizzazioni mafiose operanti nel territorio foggiano, con lo stesso titolo, ma con un interessante aggiornamento della situazione in base alla trentennale attività giudiziaria sul territorio, e nell’iniziare il racconto (non uso a caso questo termine, risultando la lettura avvincente come un romanzo) troviamo gli stessi nomi che nel libro di Guido Ruotolo erano considerati personaggi nel pieno del loro potere malavitoso, quasi in una sorte di “passaggio di testimone” tra due epoche storiche.
Se volessimo, come cittadini, aggiornarci sulle cronache criminali, basterebbe forse l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia (DIA) del 2020, che ha descritto nel dettaglio una delle attuali emergenze criminali nazionali, ovvero la questione criminale nel territorio di Capitanata. «Nel semestre in esame hanno suscitato un particolare clamore mediatico, anche a livello nazionale, una serie di gravi episodi di matrice mafiosa verificatisi nel capoluogo e in alcune aree della provincia che hanno confermato come la quarta mafia sia un’organizzazione criminale aggressiva e spietata, evidenziandone la spiccata propensione all’assoggettamento del tessuto socioeconomico attraverso prevaricanti strategie intimidatorie. Più precisamente, tra la fine del 2019 e le prime settimane del 2020, si sono susseguiti svariati episodi violenti, perlopiù realizzati ricorrendo alla deflagrazione di ordigni esplosivi, sintomatici di una pervicace e capillare pressione estorsiva esercitata, soprattutto, nei confronti di rappresentanti dell’imprenditoria locale. (…)».
Quarta Mafia di Antonio Laronga fa molto di più. Traccia un quadro basato su provvedimenti giudiziari molti dei quali passati in giudicato e quindi ormai “storia”, e non più solo ipotesi investigative al vaglio dei giudici, distinguendo tra criminalità foggiana, cerignolana e garganica, e scendendo nel dettaglio delle più importanti inchieste degli ultimi anni.
Ma chi fa il nostro mestiere sa bene che l’attività giudiziaria deve avere come ineludibile corollario, ed anzi alla sua base, la cd. “Antimafia sociale”, ovvero la collaborazione di cittadini ed associazioni nel farsi parte attiva, nel costruire “reti”, nonostante il costante clima di intimidazione di cui si avvalgono le strutture criminali, nel denunciare episodi di illegalità da qualunque parte provengano. A questo proposito, nelle giornate del 16 e del 17 gennaio 2020 si sono registrati una serie di incontri tra i vertici della magistratura, delle Forze di Polizia e di altre Istituzioni ed Associazioni sindacali e di categoria con il Commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Nell’ambito di questi incontri il Commissario straordinario, dott.ssa Annapaola Porzio, in occasione dell’apertura dei lavori dell’Osservatorio contro il rischio racket e usura (attivato nella provincia a gennaio), ha rinnovato l’appello a denunciare, rivolto agli operatori economici e alle famiglie considerando questa «la sola strada sicura per uscire dal tunnel e proseguire il proprio cammino nell’alveo della legalità». In relazione all’escalation criminale di questi ultimi anni, il Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero De Raho, nel corso dell’intervento tenuto presso l’Università di Foggia il 27 gennaio 2020, ha sottolineato che quello foggiano è un territorio in cui «la criminalità mafiosa è forte, arrogante e violenta». Sempre secondo l’alto magistrato, i quattro comuni sciolti nella provincia per infiltrazioni mafiose (Manfredonia, Cerignola, Mattinata e Monte Sant’Angelo, n.d.r.) costituiscono la dimostrazione di quanto sia forte il condizionamento da parte di gruppi criminali la cui strategia è sempre quella di accaparrarsi appalti e ottenere concessioni. Questi risultati costituiscono appunto l’obiettivo ultimo di una borghesia mafiosa (o mafia degli affari) che si trasforma in comitato d’affari, funge da trait d’union con le istituzioni e la pubblica amministrazione e gestisce, direttamente o per il tramite di teste di legno, una certa parte dell’imprenditoria grigia, compiacente o contigua ai clan. Lo schema operativo non è più solo quello classico del controllo del territorio mediante la pratica estorsiva, ma si trova sempre di più a somigliare a quello di un’agenzia di intermediazione generale che, su un dato territorio, offre, o meglio impone, protezione e garanzie in una serie indefinita di servizi, dal lavoro per i propri affiliati e contigui, agli affari tramite la P.A. fino a porsi come interlocutore per qualunque attività economica si svolga sul territorio, secondo uno schema ben messo in luce da Diego Gambetta per Cosa Nostra (La mafia siciliana. Un’industria della protezione privata, Einaudi). È così rimodulata la tradizionale propensione al taglieggiamento verso vere e proprie forme di controllo, con una particolare attenzione verso quei settori nevralgici e remunerativi dell’economia, come l’agroalimentare, il commercio di carburanti ovvero quelli, più tradizionali, del ciclo dei rifiuti e delle onoranze funebri. Sono tutti aspetti che nel libro di Antonio Laronga trovano ampia trattazione, in base alle ultime sentenze dell’Autorità Giudiziaria, così come l’analisi del fenomeno trattato nel testo dimostra come la criminalità organizzata foggiana continui ad annoverare, quale punto di forza, una tipica impenetrabilità connessa con la sua struttura familistica e con il forte radicamento nel territorio dei clan, resa ancora più fitta dai connotati omertosi indotti nel contesto ambientale nel quale opera dalle modalità cruente delle sue azioni più efferate.
Nell’ambito dell’antimafia sociale, senza la quale anche quella giudiziaria non ha “chances” di prevalere se non con effimeri risultati, non si può sottacere l’importante presa di posizione dei vescovi di Capitanata, i quali per la prima volta hanno firmato insieme un documento di denuncia e impegno contro la criminalità organizzata. Evocativamente, hanno fatto riferimento nel loro documento a testi sacri e ad esperienze di martirio contro la criminalità organizzata, richiamando sia il profeta Isaia (Is 62,1), sia don Peppe Diana, parroco di Casal di Principe, che nel 1991, poco prima di essere ucciso, diffuse una lettera ai suoi concittadini di analogo tenore: «Per amore del nostro popolo non possiamo tacere». Il richiamo al messaggio dei vescovi in queste brevi note si lega idealmente alla frase di Paolo Borsellino in esordio, per rappresentare come l’arretramento del fenomeno mafioso fino alla sua sconfitta parta dal risveglio delle coscienze di tutti.
«Come Pastori delle Chiese che sono in Provincia di Foggia, dinanzi ai recenti avvenimenti criminosi, facciamo nostre le parole del profeta Isaia: "Per amore del nostro popolo non possiamo tacere!"». «Gli episodi gravi e inquietanti a cui assistiamo (omicidi, tentati omicidi sparatorie, atti intimidatori ed estorsioni, furti e riciclaggio di denaro proveniente da spaccio e ogni tipo di malaffare) rendono l’intero nostro territorio ad alta esposizione mafiosa e impongono di convertirci ad un modo di vivere più trasparente, caratterizzato da onestà, rettitudine e legalità, promuovendo una società più giusta e fraterna». Perché comportamenti e omissioni favoriscono le mafie e i loro affari. In primo luogo "l'impoverimento" del territorio, «sempre più caratterizzato da meno servizi, meno infrastrutture, meno lavoro e meno prospettive per tutti», una situazione che «causa una "desertificazione strisciante", ossia la fuga dei giovani». La lettera non è solo denuncia, ma anche un invito all’impegno di tutti i cittadini, in particolare chi ha più responsabilità: «La Chiesa si sente impegnata a risvegliare le coscienze, educare al senso civico, formare persone che abbiano il coraggio di assumere la responsabilità di essere onesti cittadini, promuovere la missione della politica e costruire modelli sani di imprenditorialità». E quei riferimenti alla «missione della politica» e a «modelli sani di imprenditorialità» non sono generici. Nel Foggiano negli ultimi anni sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa i comuni di Monte Sant'Angelo, Mattinata, Cerignola e Manfredonia, queste ultime due grandi città e sedi vescovili, commissariate proprio per stretti intrecci tra clan, politica e economia. «È possibile costruire un futuro diverso che semina e raccoglie frutti di legalità, sconfiggendo le "strutture di peccato" e innescando alleanze positive per riedificare nella giustizia la casa comune della nostra Terra di Capitanata». Dunque, «Fratelli e sorelle, coraggio! Non ci manchi il coraggio di fare un serio esame di coscienza, di denunciare, reagire e agire». Con l'impegno «ad abbandonare il desiderio di dominare gli altri», imparando «a guardarci a vicenda come persone, come figli di Dio, come fratelli, che testimoniano quella cultura dell’incontro così da non ignorare i deboli, scartare i più fragili e gli ultimi, idolatrare il denaro». L’esatto contrario delle vendette e delle faide che le mafie foggiane conducono con una terribile violenza. Serve una "conversione", anzi di più, una «rivoluzione» la chiamano i vescovi, «quella della giustizia e della legalità». Che vuol dire anche «essere più attenti alla vita delle nostre città, con uno stile di partecipazione democratica che sappia parlare il linguaggio del "noi" e non frantumarsi in molteplici egoismi, che prendono il posto del diritto, rendendo quasi invisibile il confine tra legale e illegale». «Capitanata, non lasciarti rubare la speranza - è il forte appello dei vescovi -. Possiamo rialzarci solo se camminiamo insieme, ciascuno per la propria parte, evitando scontri o contrapposizioni, creando alleanze con tutti coloro che amano le buone pratiche e i comportamenti virtuosi». Certi che «Dio ci custodisce anche nella valle oscura della vita e non permette che il buio del cuore spadroneggi nel nostro territorio».
Come non vedere, nell’invito dei vescovi, il riecheggiare delle forti parole di Paolo Borsellino sull’essere cittadini attivi, a non essere indifferenti, a non girarsi dall’altra parte facendo finta di niente, in sintesi, prendendo in prestito le parole di Gramsci, ad essere «partigiani della propria terra». È più di un auspicio: è una necessità.
«Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti».
Antonio Gramsci, Odio gli indifferenti, La Città futura, febbraio 1917