Articoli di Questione Giustizia su magistratura
Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore.
Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese.
Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità.
Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica.
Ovvero: “ le stesse cose ritornano”, a dispetto delle critiche razionali degli esperti
Il costituzionalismo contemporaneo è segnato da una serie di nodi ancora tutti da sciogliere: il depotenziamento della funzione costituzionale di indirizzo fondamentale ed il parallelo potenziamento della funzione di garanzia; quale equilibrio fra la sovranità popolare ed il potere dei giudici di interpretare la legge; l’imparzialità dell’interprete ed i confini della libertà di espressione del magistrato. A quasi cinquanta anni dal congresso di Gardone, il prossimo congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati può essere l’occasione per un contributo della magistratura associata alla risoluzione di questi nodi.
Il contributo – partendo dal rapporto di ricerca sulla cultura giuridica dei giovani magistrati, che compone il fascicolo n. 4/2023 della Rivista trimestrale – esplora due delle principali cause dei lunghi tempi della giustizia in Italia: un eccessivo carico di lavoro dei magistrati, ulteriormente gravato da un arretrato “patologico”, e un elevato turnover. I rimedi non vanno tanto cercati in una nuova riforma del processo, né tantomeno in un contenimento della domanda giudiziaria, quanto piuttosto in una soluzione che coinvolga tutti gli stakeholder del settore giustizia, puntando su potenziamento dell’organico, tecnologia e innovazione.
Il lavoro concreto e quotidiano del magistrato, con le sua criticità e le dinamiche relazionali negli uffici giudiziari, costituiscono ambiti centrali della riflessione sulla magistratura per comprenderne lo stato di salute rispetto alla sua funzione istituzionale di tutela della persona e di gestione dei conflitti, e ai principi costituzionali di autonomia e indipendenza che ne sono a presidio. A tali ambiti della riflessione è dedicato il presente contributo, partendo dallo sguardo della giovane magistratura.
Dopo la fase del costituzionalismo politico che, superando la concezione dell’applicazione burocratica del diritto, aveva immesso la giurisdizione nell’attuazione dell’indirizzo politico-costituzionale, ponendo all’inizio dell’interpretazione del diritto i valori dell’interprete, nell’odierna stagione del costituzionalismo per principi l’imparzialità dell’interprete è affidata all’assunzione di un dovere di indipendenza da se stesso. Che il magistrato debba anche apparire imparziale non significa però astenersi dal prendere parte al dibattito democratico, cui il magistrato partecipa esprimendo le proprie scelte politiche al pari di ogni cittadino, ma significa essere ed apparire indipendente da formazioni politiche e soggetti operanti nel settore economico o finanziario, perché la sostanza dell’imparzialità è l’indipendenza.
Prospettive riformistiche per l'inizio e la fine della carriera del magistrato
Obiettivo del presente contributo è fornire una lettura socio-giuridica sulle riflessioni emerse dalla ricerca in merito ad alcuni aspetti della riforma dell’ordinamento giudiziario. Il dibattito attorno alla riforma, oltre a riscuotere ampia risonanza mediatica, è un tema particolarmente rilevante per i magistrati stessi, sia per via delle ricadute sulla quotidianità lavorativa, sia, più in generale, per l’impatto sulla rappresentazione sociale di tale ruolo. Il processo di riforma tocca infatti alcune questioni sostanziali in tema di organizzazione giudiziaria, con effetti sulla separazione dei poteri, sull’autonomia del magistrato stesso e, in termini più generali, sul rapporto tra magistrati e politica.
Il contributo si focalizza sulle differenze di genere in magistratura alla luce della ricerca, sottolineando i principali elementi emersi sul punto nelle interviste con magistrate e magistrati. Quale tematica ricorrente nelle interviste, viene posta particolare attenzione alla questione della maternità, ricostruendo le varie prospettive che si sono delineate sulla questione. Alla luce della femminilizzazione numerica della magistratura, nel contributo vengono inoltre elaborate alcune riflessioni sulle esperienze delle donne negli uffici giudiziari e sulla – persistente – minore presenza femminile negli incarichi direttivi e semidirettivi.
In questo articolo si introducono alcune riflessioni, frutto delle testimonianze offerte dai magistrati coinvolti nella ricerca, sul rapporto fra scelte organizzative e gestione dei carichi di lavoro. In particolare, si è inteso indagare sull’approccio dei magistrati rispetto a quell’insieme di pratiche e concezioni che sono definite attraverso l’etichetta di New Public Management. Ciò che emerge è un quadro molto conflittuale dove gli intervistati si mostrano particolarmente critici, sia nei confronti delle scelte del legislatore, sia rispetto ai criteri di assegnazione degli organici e dei carichi di lavoro. I risultati stimolano alla produzione di nuovi studi e ricerche sull’amministrazione della giustizia in Italia in vista di ulteriori riforme che dovrebbero essere finalmente condivise da tutti gli attori in campo.
Il contributo indaga la percezione che i magistrati coinvolti nella ricerca hanno rispetto a un’accresciuta tecnologizzazione della loro professione, evidenziando i principali nodi critici affrontati durante le interviste e i focus group. Dopo aver fornito una proposta di classificazione degli strumenti tecnologici applicabili al giudizio, tra strumenti diagnostici e prognostici e strumenti autonomi o dipendenti dagli input umani, l’articolo distingue tra strumenti tecnologici utilizzati dal magistrato e sul magistrato. Dal magistrato, quando tali strumenti sono messi a disposizione per affinare, agevolare, velocizzare o ampliare qualsiasi attività processuale, a prescindere dalle funzioni ricoperte; sul magistrato, quando vengono invece utilizzati per “misurare” le performance professionali in termini di qualità e quantità di lavoro svolto dal singolo magistrato o dall’ufficio giudiziario di appartenenza.
I magistrati che hanno partecipato alla presente ricerca hanno assunto le funzioni a seguito del superamento del concorso di secondo grado. In questo contributo saranno trattati i temi emersi nelle interviste e nei focus group con riferimento ai percorsi, alle esperienze formative e professionali pre-concorso e post lauream, si passeranno in rassegna poi le opinioni che questi nutrono nei confronti del concorso e del recente intervento legislativo che lo ha riformato, ma anche nei confronti della formazione, iniziale e permanente, erogata dalla Scuola Superiore della Magistratura. Il contributo termina infine con alcune considerazioni sulla forma mentis del magistrato e sul ruolo della formazione, soprattutto con riferimento all’interdisciplinarità a cui essa deve ambire e alle cosiddette soft skills.
Dedicando uno specifico spazio di attenzione al tema della formazione accademica, la ricerca ha invitato i giovani magistrati a riflettere retrospettivamente sul ruolo esercitato dagli studi universitari nel percorso di formazione del loro sapere di magistrati. Le considerazioni raccolte delineano una cultura giuridica dei giovani magistrati critica nei confronti di un’educazione che veicola una concezione del diritto ideale e distante dalla realtà. Allo stesso tempo, la ricerca rileva, nella percezione dei magistrati, la mancata corrispondenza tra le conoscenze richieste dal sistema di reclutamento e le competenze necessarie all’effettivo svolgimento delle funzioni.
La presente nota ricostruisce la metodologia adottata nell’ambito della ricerca, focalizzandosi sugli strumenti della ricerca qualitativa – interviste e focus group – selezionati e utilizzati nell’indagine. La nota presenta inoltre una descrizione del campione dei magistrati partecipanti alla ricerca, focalizzandosi su alcune caratteristiche, quali la regione sede di lavoro, il genere, la funzione, il settore, l’anno di presa di servizio.
Il presente contributo pone attenzione sulla dimensione motivazionale dei giovani magistrati partecipanti alla ricerca. Prendendo avvio dalle motivazioni espresse nelle interviste e nei focus group circa l’ingresso in magistratura, vengono delineate le diverse prospettive sul tema. Successivamente, l’attenzione viene focalizzata sulle (diverse) motivazioni alla base della scelta del settore – civile o penale – o della funzione, giudicante o requirente. Vengono illustrate, in particolare, anche le motivazioni espresse dai magistrati che hanno scelto di prestare servizio nella magistratura di sorveglianza. Infine, viene messo in luce l’incontro/scontro tra le idee, le opinioni, le percezioni del ruolo del magistrato antecedenti all’ingresso in magistratura con il lavoro, reale e concreto, negli uffici giudiziari.
Come è cambiata negli ultimi decenni la cultura giuridica dei giovani magistrati italiani? Viene qui proposta una prima analisi dei risultati della ricerca che prova a utilizzare, in una prospettiva storico-sociologica, una tipologia di modelli di giudice elaborata sul finire degli anni settanta. Partendo da quest’ultima, l’Autore evidenzia persistenze e discontinuità in tre modelli di magistrato (l’integrato-tradizionalista, l’alienato-burocratizzato e il deviante-innovatore) che, in qualche misura, riescono a descrivere con un certo grado di esaustività gli elementi presenti nella cultura giuridica dei magistrati che si sono affacciati alla professione nell’ultimo decennio. Una modellistica ideal-tipica, che cerca di porre le premesse per ulteriori indagini mirate a una sua più accurata validazione statistica.
Formazione, condizioni di lavoro, problemi, criticità e aspirazioni dei magistrati entrati in magistratura dal 2013 in avanti in una ricerca commissionata da Questione giustizia all’Università di Torino