Magistratura democratica
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La separazione delle carriere vista dall’intelligenza artificiale rischia di non essere solo una simulazione grafica

di Davide Lucisano
sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palmi

A seguito dell’approvazione alla Camera, in prima lettura, del disegno di legge di riforma costituzionale concernente l’ordinamento giurisdizionale e l’istituzione della Corte disciplinare, sul sito del Ministero della giustizia è apparsa un’immagine sulla separazione delle carriere. Va subito premesso che lo stesso ufficio stampa del Ministero ha successivamente rimosso tale illustrazione definendola «inverosimile e non appropriata, non autorizzata, non intenzionale ed erroneamente pubblicata e successivamente rimossa appena segnalata», aggiungendo che sarebbe stata generata dall’intelligenza artificiale[1]. Tuttavia, posto che è apparsa su un sito ufficiale, peraltro a corredo di una dichiarazione del ministro su una riforma costituzionale, vale la pena di soffermarsi sul quadro generato dal simulatore: vengono presentate in primo piano due figure – verosimilmente giudice e pubblico ministero, finalmente separati – e viene raffigurato un processo penale. Si evoca un tribunale in stile neoclassico (che certamente poco richiama la nostra edilizia giudiziaria) preso d'assalto da alcuni soggetti che, per citare il nostro codice penale, scorrono in armi. In basso sono visibili varie persone urlanti, altre che sventolano dei tricolori con un pugno alzato e che sembrerebbero le parti processuali. Ma probabilmente l’aspetto più inquietante è un altro: il collegio giudicante è minuscolo, immobile e silente, schiacciato dall’ingovernabile bolgia evocata dall’iconografia. Un freddo simulacro che assiste ad uno scontro quasi ontologico tra le parti, che parrebbe inevitabile nella dialettica processuale.

La riduzione del collegio a tale elemento lillipuziano fa da strano contraltare alle intenzioni riformatrici del legislatore, quelle di restituire autonomia e indipendenza di pensiero e di azione all’organo giudicante, finalmente libero dall’influenza del pubblico ministero quale inevitabile cascame del rapporto di colleganza con la pubblica accusa. Eppure, è una rappresentazione grafica che – anche se involontaria e prontamente rinnegata – potrebbe non essere tanto peregrina e costituire proprio la risultante, quasi in una eterogenesi dei fini, dell’intervento riformatore. 

Innanzitutto, come è stato più volte ricordato[2], perché un pubblico ministero senza alcuna “contaminazione” con la giurisdizione e senza alcun controllo di tipo politico costituirebbe una sorta di unicum ordinamentale che rischierebbe di accrescerne i poteri e mutarne il volto: non più quale primo giudice delle indagini e della polizia giudiziaria ma quale avvocato della pubblica accusa, il cui valore si misura dalle condanne che ottiene; una figura probabilmente insostenibile da un punto di vista costituzionale, vero e proprio trojan horse della riforma, pretesto per futuri assoggettamenti alla politica e per la limitazione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Figura che, in ogni caso, finirebbe per schiacciare quella del giudice, anche in relazione alla mutata domanda di giustizia nella società, alle richieste di “pene esemplari” e “certe” (si pensi ai dibattiti pubblici da social network e ai reati di grave allarme sociale), all’impossibilità per il giudice di essere mediatico anche in relazione alla difficoltà di riassumere e spiegare alla collettività le motivazioni dei provvedimenti[3] – specie se emessi a distanza di anni dai fatti.

Un giudice inoltre non ritenuto in grado, dal legislatore, di poter esercitare il diritto di voto e di scegliere i propri rappresentanti al Consiglio Superiore, venendo sposato il meccanismo del sorteggio a fronte di membri laici che verrebbero estratti a sorte ma da un elenco formato mediante previa elezione da parte del Parlamento – con la concreta possibilità che i componenti laici possano costituire un blocco compatto a fronte di membri togati sorteggiati in ordine sparso e di differenti estrazioni culturali, senza alcuna cura del principio di rappresentatività[4].

Balza anche agli occhi l’istituzione di una Alta Corte disciplinare, che stranamente giudicherebbe gli illeciti della sola magistratura ordinaria (mentre le altre magistrature continuerebbero ad avere una giurisdizione “domestica”), con soltanto sei magistrati giudicanti – peraltro anch’essi estratti a sorte – su quindici componenti e con un meccanismo che consentirebbe di appellare le sentenze soltanto innanzi alla stessa Alta Corte in diversa composizione: un sistema che svuoterebbe di fatto il giudizio d’appello. Interventi, dunque, che ben lontani dal rafforzare l’organo giudicante lo indebolirebbero. 

La separazione delle carriere, inoltre, per come è stata concepita tradisce una impostazione culturale che vede il giudice del processo quale una sorta di “direttore del traffico” – sempre attento al rischio disciplinare – cui è demandato il compito di tirare le somme rispetto a quanto offerto dalle parti, dimenticando probabilmente che il nostro processo penale, a matrice essenzialmente accusatoria, persegue sempre la ricerca della verità e contiene al proprio interno tanti indizi di una natura tutt’altro che passiva dell’organo giudicante. Spesso si dice che la separazione delle carriere costituirebbe un danno per il pubblico ministero in quanto perderebbe l’aggancio con la giurisdizione. Non ci si sofferma molto su quello che perderebbe il giudice. 

Chi frequenta le aule di giustizia sa che il giudice penale è il vero protagonista dell’udienza, soprattutto in certi riti; si pensi al monocratico, dove vi sono spesso decine di processi a udienza nei quali la pubblica accusa è rappresentata da un vice procuratore onorario che, anche per il numero di procedimenti (inevitabile portato dell’ipertrofia del sistema penale e del fallimento dei riti alternativi), non è sempre nelle condizioni di garantire la migliore rappresentazione delle proprie tesi, la dovuta produzione documentale, le contestazioni ai testi. Allo stesso modo e in tantissime circostanze (si pensi agli imputati stranieri) anche la difesa, spesso d’ufficio, non è sempre in grado di operare nelle migliori condizioni per il proprio assistito. Il giudice in queste udienze deve garantire – e garantisce nella quasi totalità dei casi – approfondimento e speditezza, spesso supplendo alle parti con gli strumenti del codice, ponendo egli stesso delle domande ai testimoni, attivando i poteri probatori officiosi, partecipando alla formazione della prova senza tesi precostituite. Un giudice che non conosce come si va in concreto a comporre il fascicolo del pubblico ministero, come si svolgono le investigazioni, in che condizioni e con quali modalità vengono escussi in indagine i testi, è un giudice meno capace di condurre il processo, anche se questa formazione l’ha ricevuta soltanto durante il tirocinio. Un giudice che, se non ha alcuna dimestichezza con le indagini, è meno capace di attivare gli strumenti consentiti dal codice – si pensi all’art. 507 c.p.p., così come ai poteri d’integrazione probatoria presenti in appello e finanche nel rito abbreviato – per ricercare la verità processuale. E meno in grado, quale giudice per le indagini preliminari, di essere sensibile rispetto alle lacune investigative e quindi ad indicare temi di prova inesplorati, ipotesi da approfondire, anche a tutela delle persone offese. Diventa silente monolite del dibattimento, appeso esclusivamente alla volontà delle parti, con un risultato di burocratizzazione della figura e con meno garanzie per il cittadino. 

Il processo penale non è una guerra, una bolgia urlante nella quale vi sono due tesi (accusa e difesa) con un direttore dei lavori che ha il compito di scegliere quale parte lo convinca maggiormente; è esso stesso corpo vivo, magmatico, che nella prassi dipende molto dalla sensibilità di chi lo interpreta e che conserva ancora il fine di ricercare la verità nel rigoroso rispetto del principio di legalità, di cui devono essere custodi sia il giudice che il pubblico ministero. Se, viceversa, dovesse diventare “vittoria” o “sconfitta” dell’una o dell’altra parte a seconda del risultato ottenuto, con un p.m. pericoloso apolide ed un giudice silente, limitato (tra le altre cose) nella sua formazione rispetto al tema della prova e quindi più piccolo, assomiglierà in maniera disturbante ai sogni dell’intelligenza artificiale.

 


 
[1] Comunicato dell’ufficio stampa del Ministero della giustizia del 19 gennaio 2025.

[2] M. Gialuz, Otto proposizioni critiche sulle proposte di separazione delle magistrature requirente e giudicante, in Sistema Penale, fascicolo 9/2024.

[3] S. Pajno, La Corte “mediatica”: aspetti positivi e profili problematici di una trasformazione in atto, in Questione giustizia, fascicolo 4/2020: La Corte costituzionale nel XXI secolo.

[4] N. Rossi, Il sorteggio per i due CSM e per l’Alta Corte disciplinare. Così rinascono corporazione e gerarchia, in Questione giustizia: https://www.questionegiustizia.it/articolo/sorteggio-csm 

19/02/2025
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02/09/2024