1. É del tutto evidente che una riflessione del genere di quella proposta dal titolo sconta impressioni decisamente personali ed opinabili. Ne siamo consapevoli e non intendiamo nasconderlo.
Crediamo, comunque, di poter dire che il risultato elettorale del CDC 2025 è una tappa di un lungo percorso iniziato dopo lo scandalo dell’Hotel Champagne. Non tanto perché l’uscita di MD dall’esperienza di AREA sia legata solo ed esclusivamente a quegli eventi, quanto per il fatto che lo shock che conseguì alla scoperta di quella degenerazione mise in moto in tutta la magistratura una dinamica di cui si colgono ancora oggi - e ancora in questa elezione - i postumi.
La reazione agli eventi registrati nel 2019 prese strade diverse e non è aspirazione di questa riflessione ripercorrerle ed analizzarle e neppure utilizzare questa occasione per assegnare torti e ragioni. Ci sono state e ci saranno, per questo, altre occasioni. Sembra, invece, utile accennarne per grandi linee, al solo fine di cercare di comprendere meglio il senso di questo recente risultato elettorale e la direzione del percorso che stiamo seguendo, ammesso che sia distinguibile.
Ad avviso di chi scrive, la scoperta del punto di caduta dell’associazionismo e dell’autogoverno della magistratura avvenuta nel 2019 determinò come prima conseguenza un rifiuto immediato e forte dell’impegno nelle correnti. Questa reazione, tuttavia, non si manifestò sotto forma di un disimpegno o una chiusura radicale di partecipazione associativa. In chiavi e modi diversi, buona parte della magistratura cercò un confronto e non nascose un bisogno di approfondimento, di elaborazione e di cambiamento.
Ma in assenza di una elaborazione franca e sincera di quanto era emerso, la sede istituzionale fu capace solo di isolare e punire coloro che più direttamente avevano partecipato al - più o meno lauto - pasto del sottopotere clientelare e correntizio del CSM. Non senza una dose consistente di ipocrisia e di trasformismo.
Dal canto suo, il dibattito associativo interno evidenziò, invece, la necessità di una resa dei conti più franca, completa e radicale, fino a mettere al centro un processo al correntismo e non solo alla sua constatata degenerazione. Una reazione per certi versi fertile, sana e necessaria - e comunque inevitabile - per altri versi infantile e irrazionale, come tutte le reazioni emotive.
Probabilmente, un corpo più maturo e consapevole avrebbe potuto avviare un periodo di “outing”, magari in vista di un bilancio collettivo e non individuale - o personale - delle conseguenze e dei cambiamenti da apportare alla vita associativa della magistratura. Avrebbe potuto azzerare tutte le correnti o i gruppi interni e ripartire con nuove aggregazioni, intorno a parole d’ordine e valori aggiornati.
2. Non è ciò che accadde. Non ne fummo capaci, se non in misura del tutto insufficiente. Affidammo ad alcune assemblee un confronto ruvido ma non del tutto franco, sostanzialmente non libero negli esiti e nel bilancio, senza vere assunzioni di responsabilità. Al netto di un clamore che fece entrare la magistratura in una crisi profonda, le conseguenze concrete di quella fase furono assai circoscritte. Il gruppo di MI cambiò -non senza difficoltà- la dirigenza. AREA discusse molto, ma non produsse niente di concreto, sentendosi sostanzialmente estranea a quanto accaduto. Il solo gruppo di UNICOST azzerò interamente regole interne e classe dirigente. MD accelerò e completò l’uscita dall’esperienza di AREA, iniziando un cammino assai faticoso ed incerto.
Lasciammo che lo shock fosse in larga parte elaborato a livello individuale e nell’ambito di quel circoscritto e controverso luogo che è stata la mailing list ANM in questi anni. A conti fatti, un luogo necessario e, in fondo, fertile; nel bene e nel male uno dei pochi luoghi capaci, finora, di produrre confronto ed elaborazione di un sentimento collettivo dell’intera magistratura.
Beninteso - per parafrasare un proverbio celebre - se Atene non ride, Sparta piange a singhiozzo. Pur senza metabolizzare gli eventi nel modo corretto e maturo, la magistratura quanto meno si confrontò anche duramente sull’accaduto, nel dibattito pubblico ed interno. Assunse qualche iniziativa. Fece “cadere qualche testa”. Maturò -crediamo di poter dire - al proprio interno un’etica differente. La politica, invece, pur sedendo al medesimo tavolo non spese neppure una parola per alcun tipo di riflessione o di conseguenza. Nulla. Sembra di doversi concludere che, per la politica, sedersi nottetempo ad un tavolo dove un imputato sceglie - a nome del suo partito - il proprio procuratore sia una cosa accettabile. Tant’è.
Da quelle vicende, risalenti oramai a quasi sei anni addietro, si deve partire per capire l’oggi. Ma anche da una riflessione su quanto avvenuto in questi sei anni.
3. Al proposito crediamo sia indispensabile ricordare che il volto della magistratura in questi sei anni è considerevolmente cambiato, anche fisicamente. Successivamente alle vicende dell’Hotel Champagne sono entrati in magistratura circa 1200 nuovi colleghi, i quali hanno fatto ingresso nel nostro ordine elaborando da cittadini - e non da magistrati - il significato dello scandalo citato. Cosa significhi e come giochi tutto questo nell’odierno assetto della magistratura non sappiamo dirlo, ma è evidente che ha un grosso peso, sol che si considerino le modeste dimensioni del nostro ordine: poco più di novemila presenze.
Sempre in vista di un bilancio elettorale, crediamo sia necessario segnalare che le elezioni dell’attuale CSM e quelle dell’odierno CDC costituiscono il risultato di quanto accaduto allora e al tempo stesso lo strumento per comprendere meglio cosa è realmente accaduto.
Ebbene, se le peculiarità - e per certi versi le assurdità - del meccanismo elettorale del CSM rendono oltremodo complesso e forse impossibile sviluppare un ragionamento affidabile sulla collocazione di quella tappa nell’ambito del percorso che ci vede oggi nella collocazione segnata dalla recentissima tornata elettorale, sembra invece possibile affermare con certezza che il cammino politico svolto dal CSM in questi due anni circa di consiliatura ha svolto un ruolo rilevante nel determinare il risultato elettorale odierno.
4. Il percorso di questa consiliatura è stato caratterizzato da alcune circostanze nuove senza dubbio rilevanti. Innanzitutto, da una Vicepresidenza del tutto diversa dalle precedenti. Mai il Vicepresidente del CSM si era collocato così distante, sul piano istituzionale, dal Presidente della Repubblica e al tempo stesso così distante e separato dall’assemblea e dalla componente togata del consiglio. L’avv. Pinelli ha svolto in questa prima metà di consiliatura un ruolo solipsistico e personale che se da un lato ha avuto una cifra politica precisa, orientata ad isolare e separare il CSM dalla magistratura e renderlo marginale nel dibattito pubblico, dall’altro ha segnato il suo marcato isolamento, non di rado danneggiando se stesso e l’istituzione. Un bilancio del tutto negativo, con occasioni che hanno rasentato lo strappo istituzionale. In ogni caso un percorso che ha fortemente contribuito ad isolare il CSM tanto dalla società quanto dalla magistratura. Tutto ciò senza che l’organo abbia saputo anche solo ostacolare questo scivolamento.
Questa consiliatura, tuttavia, è stata caratterizzata anche da altre novità, non trascurabili. L’elezione di un componente “sorteggiato”. L’elezione di un componente “indipendente” (intendendosi per tale un componente eletto senza il sostegno preventivo di un gruppo o di una corrente). L’elezione di una componente di MD, gruppo che non partecipava direttamente alla competizione elettorale per il CSM dal 2006 e per il CDC dal 2007. Semi che hanno dato qualche frutto.
Inoltre, questa consiliatura è stata la prima eletta dopo scandalo, così da costituire la prima verifica dei comportamenti dei gruppi e delle correnti alla prova dei fatti, la prima verifica dei cambiamenti narrati o effettivi.
Il bilancio sulla consiliatura nel suo complesso, per quanto non del tutto privo di aspetti positivi o nuovi, agli occhi di chi scrive è un bilancio modesto, se non negativo.
Nelle poste positive di questa consiliatura vanno messi, a nostro giudizio, due elementi non trascurabili. Il parere reso dal CSM sul disegno di riforma costituzionale e la delibera che esamina piuttosto lucidamente il disastroso avvio del processo penale telematico. Su entrambe queste tematiche il CSM sembra aver assolto adeguatamente il proprio compito, sul piano del merito e del contenuto. Tuttavia, esso è rimasto quasi totalmente al di fuori del circuito mediatico, finendo col varare due riflessioni tecnicamente importanti ed autorevoli nel totale silenzio politico, così che i due interventi hanno finito con l’essere sostanzialmente irrilevanti e comunque interamente “disinnescati” nel dibattito pubblico.
Fra le poste negative del bilancio, spiccano fra tutte due cifre particolarmente qualificanti: il fronte della tutela dei magistrati oggetto di attacchi della politica o dei media; il fronte dei criteri e modalità di scelta degli incarichi dirigenziali. Due fronti entrambi centrali, se non proprio l’attuale “core business” del CSM.
Il paradigma del primo profilo è offerto limpidamente dalla gestione del caso Apostolico e dai primi segnali della gestione del caso Lo Voi. Non crediamo di dover spendere molte parole per spiegare il significato di questo bilancio. La sensazione che la magistratura ha percepito su questo terreno è di abbandono di ciascuno a se stesso: oggi si può essere al centro di un attacco violento strettamente legato all’esercizio della giurisdizione senza che il CSM se ne curi. Si tratta di un vero e proprio shock.
Il paradigma del secondo profilo è meno icastico, essendo legato soprattutto all’analisi della casistica delle nomine e delle relative modalità di scelta, ma può essere ben sintetizzato dal recente scontro intorno alla circolare sui criteri di scelta, che ha visto i due gruppi principali e numericamente più forti valorizzare la logica della piena discrezionalità e, in definitiva, della carriera, contrapponendosi ad una variegata compagine fortemente determinata a cambiare approccio e rimettere al centro l’art. 107, c. 3, della Costituzione.
Su entrambi i fronti il bilancio è disarmante, sul piano politico ancor prima che su quello concreto. Con alcune differenze.
Con riferimento alla tutela dei magistrati, se l’esito della vicenda Apostolico è stato oramai sancito irrimediabilmente dalle dimissioni della ex collega, tanto silenziose quanto amare, l’esito della vicenda Lo Voi lo scopriremo di qui a breve e potrebbe rivelarsi la pietra tombale sul CSM.
Perdente, ma per certi versi incoraggiante e comunque assai utile, il bilancio relativo alla battaglia sui criteri di scelta dei dirigenti. Su questo terreno, la battaglia che si è svolta è stata a viso aperto e autenticamente incerta nel risultato. Essa per la prima volta ha evidenziato con una certa autenticità: chi sta dove e chi vuole cosa. Ed ha senza dubbio segnato la campagna elettorale per il CDC ed il suo risultato. Da parte nostra crediamo, in poche parole, che si sia persa l’occasione per fornire una risposta adeguata ad impedire -o quanto meno ostacolare- nella maniera più incisiva possibile quegli arbitri che lo scandalo del 2019 aveva portato alla luce. E le scelte compiute dai gruppi in seno al Consiglio (AREA e MI per la proposta A, che è risultata vincitrice; il candidato indipendente, quello sorteggiato, MD e UNICOST per la proposta B) sono state oggetto di discussione anche nel corso della campagna elettorale per il rinnovo del CDC. Al proposito è giusto ricordare il convinto sostegno alla proposta B) offerto da una parte consistente dei laici e segnatamente dal prof. Romboli, eminente esponente della migliore tradizione giuridica in materia di ordinamento giudiziario.
5. E’ su questo sfondo che vanno collocati gli eventi più recenti che hanno caratterizzato la campagna elettorale e hanno portato al risultato che conosciamo, la cui lettura non è semplice ed infatti appare piuttosto controversa fra i diversi protagonisti del dibattito associativo.
Ricordiamone qualche passaggio.
Con un appello lanciato da due giovani magistrate, entrate in servizio nel 2021, è stata sollecitata l’indizione nel mese di dicembre 2024 di un’assemblea straordinaria dell’Associazione Nazionale Magistrati. Preoccupate dal serrato cronoprogramma previsto per l’approvazione della riforma in materia di ordinamento giurisdizionale e istituzione della Corte Disciplinare e spinte dalla grande partecipazione alle assemblee locali dell’associazione, le colleghe hanno ritenuto che fosse giunto il momento di confrontarsi tutti insieme sul significato profondo della riforma che ci aspetta. L’appello non è caduto nell’indifferenza, anzi. Ha raccolto l’adesione di oltre 250 magistrati e il 15 dicembre scorso si è tenuta nell’Aula Magna della Corte di cassazione un’assemblea straordinariamente partecipata.
Che sarebbe stato un appuntamento importante, lo si era capito già nei giorni precedenti, quando nelle assemblee locali erano state raccolte – dopo ampi dibattiti – le deleghe di coloro che non si sarebbero potuti recare a Roma di persona. Nondimeno, la partecipazione di presenza è andata oltre ogni aspettativa: quasi 700 magistrate e magistrati, molti in servizio da pochi anni, hanno riempito ogni sedia, ogni angolo, ogni palco dell’aula.
Del resto, non è senza significato ricordare il contributo che a questa riuscita ha dato l’eccezionalità dell’attacco portato contro la giurisdizione, contro la magistratura e contro singoli magistrati nel corso degli ultimi mesi, portato avanti sulla stampa, sulla televisione, in Parlamento, al CSM.
Nell’assemblea del 15 dicembre si sono susseguiti a ritmo serrato oltre sessanta interventi, che hanno messo in luce le gravi problematicità di questa riforma, che incide profondamente sull’assetto della magistratura e che consegnerà al paese una giustizia meno indipendente ed eguale. In conclusione, al grido di “unità unità” proveniente dal loggione, è stata adottata all’unanimità una mozione che ha innanzi tutto espresso forte critica e preoccupazione per la riforma, che determina l’isolamento del pubblico ministero, mortificandone la funzione di garanzia e abbandonandolo ad una logica securitaria, ponendo così le premesse per il suo assoggettamento al potere esecutivo. Non è un caso, infatti, che nessun ordinamento al mondo prevede un PM separato dal resto dell’ordine giudiziario ed allo stesso tempo autonomo e indipendente dal potere esecutivo.
Inoltre, si sono previste una serie di iniziative concrete: l’istituzione di un comitato operativo a difesa della Costituzione, l’organizzazione di una manifestazione nazionale, l’indizione di una o più giornate di sciopero. Il Comitato Direttivo Centrale, nel gennaio 2025 ha individuato come prima data di sciopero quella del 27 febbraio 2025.
6. Questo è il dato da cui partire per riflettere sulla campagna elettorale e sulle elezioni per il rinnovo del Comitato Direttivo Centrale. Una forte partecipazione locale, un rinnovato interesse anche della magistratura giovane ai temi associativi[1], l’idea diffusa della necessità di opporsi ad una riforma perché dannosa non tanto per i magistrati, ma per tutti i cittadini e le persone che vivono stabilmente nel nostro paese.
Pur con modalità e accenti differenti, sostanzialmente tutti i gruppi associativi hanno condotto la campagna elettorale nel solco di quel deliberato[2]. E d’altra parte non avrebbe potuto essere diversamente, tanta era la spinta ideale – e possiamo dire anche emotiva – che veniva da quell’assemblea.
E questa “voglia di partecipazione” è emersa anche nella percentuale di votanti: su 8404 elettori hanno votato 6855, pari all’81,57%[3]. Un dato di indiscutibile salute dell’associazionismo giudiziario.
Si è trattato però di un’elezione particolare non solo per il momento storico in cui si è tenuta e per la forte tensione ideale che ne ha dettato le coordinate, ma anche per la parziale modifica dei gruppi che vi hanno preso parte. Per la prima volta da molti anni, Magistratura Democratica si è presentata alle elezioni per il rinnovamento del CDC, dopo aver già partecipato in questa veste (e non più in Area prima e Area DG dopo) all’elezione dei componenti per il Consiglio Superiore della Magistratura. Ha ottenuto un risultato decisamente di rilievo, con 1081 voti e sei seggi in CDC. Non era invece presente la lista di Autonomia e Indipendenza, nata da una scissione di Magistratura Indipendente e che alle scorse elezioni aveva ottenuto 749 voti e quattro seggi.
La lista che ha ottenuto più voti è stata quella di Magistratura Indipendente (2065 voti, 30,1%, 11 seggi in CDC), seguita da Area DG (1803 voti, 26,3%, 9 seggi in CDC), da Unicost (1560 voti, 22,75%, 8 seggi in CDC) e da MD (1081 voti, 15,77%, 6 seggi in CDC). La lista 101 ha ottenuto 304 voti, raggiungendo solo il 4,43% dei votanti e l’attribuzione di due seggi in CDC.
Il sistema proporzionale di elezione[4] ha permesso che tutte le anime della magistratura venissero effettivamente rappresentate in seno al comitato. Inoltre, ha favorito il fatto che le due correnti della così detta magistratura progressista (AreaDg e MD), pur presentandosi separate, abbiano ottenuto un numero di voti decisamente superiore rispetto alle precedenti elezioni, all’esito delle quali AreaDG ottenne 1785 voti. In queste elezioni invece, come anticipato, AreaDg ha sostanzialmente conservato il proprio risultato (1803 voti, nonostante la partecipazione di MD alla competizione elettorale) e MD ha ottenuto ben 1081 voti.
Invero, sia MI che Unicost hanno aumentato i voti ottenuti, passando da 1648 a 2065 la prima e da 1212 a 1560 la seconda.
L’unica lista che ha perso consenso è stata quella dei 101, che sono passati da 651 a 304 voti, prendendo due soli seggi.
7. Nello scenario descritto il bilancio elettorale può apparire semplice: ha perso il gruppo dei 101 e hanno vinto le correnti. Tutte. Ma questa sintesi, per quanto corretta, è fuorviante.
Fatto sta, che sulla spinta del forte desiderio di unità della magistratura e di una campagna elettorale giocata da tutti intorno ad una dura e motivata critica alla riforma costituzionale proposta dalla maggioranza di governo è stata varata senza incertezze la giunta pressoché unitaria (senza i 101) e la nomina degli organi rappresentativi.
Senza incertezze, ma non senza problemi.
È inutile nascondersi che la scelta del Presidente è stata accompagnata da un dibattito piuttosto acceso e non sempre diretto e si è rivelata complessa e difficoltosa, sebbene non quanto quella che caratterizzò il CDC del 2020.
La cifra di questa difficoltà è resa evidente - senza dubbio - dal fatto che il Presidente scelto dal CDC non è il primo degli eletti nella lista di maggioranza di MI, come larga parte della magistratura si sarebbe aspettata e come sarebbe stato coerente con il taglio della campagna elettorale e con il desiderio di rinnovamento, espresso dall’elettorato anche sul piano anagrafico. Non sarebbe leale ignorare che il voto così consistente espresso in favore di Giuseppe Tango è frutto anche di un impegno sincero e appassionato di una parte della giovane magistratura, entrata nell’ordine giudiziario dopo lo scandalo Palamara/Ferri. Non l’unico frutto, ma certamente un frutto.
È altresì segno di questa difficoltà l’assenza di figure femminili fra le quattro cariche di vertice dell’associazione: trovare nominativi condivisi non è stato facile e non si è stati capaci, da questo punto di vista, di mettere interamente al centro l’interesse della magistratura, piuttosto che quello dei singoli gruppi. Nonostante la presenza di sedici donne su trentasei (presenza dovuta anche al meccanismo del riequilibrio di genere nell’individuazione degli eletti), il CDC non è stato capace di individuare almeno una competenza femminile che potesse rivestire una delle quattro cariche di vertice. E questo nonostante, come è noto, il 56,2% circa dei magistrati sia donna[5].
Allo stato attuale - vale a dire nell’immediatezza dell’insediamento del nuovo CDC e della elezione della Giunta e delle cariche di vertice - non è facile comprendere quale bilancio trarre dal risultato elettorale e quali prospettive politiche sono state aperte da queste elezioni. Come ha scritto bene, di recente, Andrea Reale (sulla mailing list magistrati italiani) i prossimi mesi ci diranno molte cose su chi ha vinto e chi ha perso queste elezioni.
Per comprendere cosa è accaduto e cosa accadrà non è indifferente comprendere, però, quali parole d’ordine e quali valori ha voluto esprimere la magistratura con questo voto.
Ai nostri occhi questo voto ha chiesto di mettere da parte le divisioni, abbandonare tentazioni di collateralismo politico e concentrarci sulla difesa intransigente della giurisdizione, dei principi e dei valori costituzionali, sulla difesa senza remore della separazione dei poteri, dell’autonomia e indipendenza della magistratura. Su queste parole d’ordine il mandato elettorale è stato chiarissimo. Ed è un mandato fortemente sostenuto dai magistrati entrati nell’ordine negli ultimi anni, frutto di un consistente ricambio generazionale. Questo ricambio dovrà trovare adeguata rappresentanza.
8. Solo il passare del tempo ci può dire con quanta sincerità ogni singolo gruppo ha utilizzato e dato voce a queste parole d’ordine, a questi valori.
Anziché concentrarci, oggi, sugli azzardi delle scommesse altrui, ci pare di fare cosa utile riflettendo sulle sfide che attendono il nostro gruppo.
Per parte nostra, crediamo che questa tornata elettorale abbia acceso molte speranze, ma abbia anche attivato molte aspettative che non sarà affatto facile appagare, dimostrandosi all’altezza.
MD in questi anni è rimasta presente nel dibattito pubblico, ma ha fatto scelte difficili, attraversando un lungo periodo di lontananza da dinamiche di potere e di ambizioni personali. Anche grazie ai tre eletti al CDC precedente, ha fatto un lavoro essenzialmente culturale, realizzando un gruppo piuttosto originale, fortemente inclusivo, desideroso di guardare verso il futuro, capace di coniugare una proposta politica centrata sui diritti e i valori costituzionali con l’obiettivo di epurarla da ideologismi e logiche di apparato: saprà reggere questo carico, alla distanza? Queste scelte gli hanno consentito di attirare il sostegno disinteressato di molte energie, in larga parte anche nuove. Ha scommesso sull’apertura all’esterno, guardando con attenzione e buona disposizione ad ogni novità, cercando di cogliere e valorizzare gli aspetti positivi che vengono anche da punti di vista diversi, se frutto di elaborazioni meditate e sincere. Attraverso la rivista Questione Giustizia ha promosso un dibattito scientifico e politico qualificato ed aperto, purché culturalmente alto. Ha promosso questa cifra anche nella tornata elettorale, attraverso un’inedita apertura a due figure esterne ed indipendenti di grande qualità e di provenienze assai diverse fra loro e rispetto alla tradizione del gruppo, sostenendole fino in fondo e con ottimi risultati. Arricchendo così di straordinarie energie una compagine associativa piuttosto consistente. Ha scommesso e investito sulla propria capacità di dialogo.
Adesso viene la parte difficile e non sarà affatto scontato esserne all’altezza. Ora MD ha assunto un ruolo ed un peso operativo dotato di consenso, di peso e di forza centripeta. Conservare la logica del radicale disinteresse personale di ciascun aderente e la prospettiva includente e aperta non sarà né scontato né facile.
Vedremo presto quanto la magistratura tutta - ed MD in particolare - saprà dare le gambe all’investimento che l’assemblea del 15 dicembre e i risultati della tornata elettorale successiva hanno prodotto.
[1] 200 iscritti tra i Mot dell’ultimo concorso.
[2] Non a caso, il deliberato nulla diceva sul sorteggio come metodo di selezione dei componenti del CSM, che pure è una delle novità della riforma. Come è noto il gruppo di Articolo 101 è favorevole ad un superamento di questo sistema elettorale nella direzione del sorteggio, seppure pensato in maniera significativamente diversa rispetto a quello del testo della riforma.
[3] Nelle scorse elezioni, gli aventi diritto erano 7101 e i votanti sono stati 6101.
[4] Peraltro, frutto di una proposta elaborata proprio da Magistratura democratica.
Marco Patarnello, sostituto procuratore generale presso la Corte di cassazione
Giulia Marzia Locati, giudice del Tribunale di Torino