Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali *

di Simone Gaboriau
présidente de chambre honoraire de la Cour d’appel de Paris, già presidente del Syndicat de la Magistrature (France) co-fondatrice di MEDEL

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

Trasformazioni della costituzione materiale e magistratura: un manifesto

La svolta epocale, che la riforma costituzionale introdurrà, impone una riflessione, nuova e profonda, sul presente e sul futuro della magistratura italiana. Lo scritto si propone come una sorta di manifesto sull’esercizio della giurisdizione e la funzione delle corti nell’attuale stagione del costituzionalismo e nella prospettiva, in un tempo di crisi della cittadinanza democratica, di un nuovo senso della democrazia costituzionale.

10/02/2025
La sentenza nei confronti di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro. Un’analisi critica

La norma del codice di procedura penale che prescrive al pubblico ministero di svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini è segnata da un singolare destino. Per un verso essa è giustamente considerata una disposizione essenziale all’equilibrio del procedimento penale in quanto mira ad impedire che il potere investigativo degli organi dello Stato - di regola superiore alle capacità di indagine e di acquisizione di elementi di prova della persona indagata - possa tradursi in una iniqua e irrimediabile disparità tra le parti del processo, per effetto del mancato accertamento o dell’occultamento di fatti e informazioni favorevoli alla difesa. Al tempo stesso, nelle ricorrenti polemiche sul funzionamento della giustizia e nell’annosa querelle sulla separazione delle carriere, la regola processuale è oggetto, soprattutto da parte dell’avvocatura, di un radicale scetticismo e considerata alla stregua di una affermazione puramente teorica, contraddetta nella realtà effettuale. Entrambi questi dati – l’indiscusso valore, in termini di principio, della regola codicistica e l’insistita polemica pubblica sulla sua pretesa inosservanza e ineffettività – cospirano a rendere particolarmente insidiosa, e in taluni casi potenzialmente schiacciante, un’accusa di violazione che abbia una qualche parvenza di fondamento. È infatti grande e comprensibile l’inquietudine suscitata dall’ipotesi di un potere inquirente che scelga di ignorare i suoi doveri di imparzialità ed imbocchi la strada delle omissioni o del rifiuto di doverosi atti di giustizia pur di far prevalere nel processo la sua impostazione e le sue tesi. È opinione di chi scrive che questo timore ed il riflesso condizionato che ne deriva si siano manifestati a pieno nel procedimento per rifiuto di atti di ufficio nei confronti di Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro conclusosi con la condanna dei due magistrati. E però quanti vivono nel mondo del diritto sanno bene che i processi penali non si devono celebrare per ribadire astrattamente giusti principi, per placare inquietudini, per rassicurare animi turbati, ma per piegarsi, con attenzione, apertura e umiltà intellettuale sulle singole fattispecie concrete, quasi sempre uniche ed irripetibili, e per coglierne la dimensione oggettiva e i profili soggettivi. Di qui il dovere di non sentirsi aprioristicamente appagati da una pronuncia di condanna (peraltro accompagnata da feroci aggressioni verbali ai due magistrati per i quali “evidentemente” non vale la presunzione di non colpevolezza fino ad una sentenza definitiva) e la necessità di mettere in campo gli strumenti della distinzione, della critica, dello scandaglio psicologico per saggiare il risultato raggiunto nel primo grado di un giudizio particolarmente spinoso ma anche particolarmente carente e lacunoso. Per verificare se, davvero, atti incompleti e ancora in divenire, non formati dai pubblici ministeri procedenti ma provenienti da altro procedimento, determinassero, nella fase finale del dibattimento, un automatico ed incondizionato obbligo di deposito ai sensi dell’art. 430 c.p.p. e se l’omesso deposito possa essere considerato alla stregua di un comportamento doloso e punibile come rifiuto di atti di ufficio. Nelle pagine che seguono si tenterà di assolvere questo compito di verifica confidando che lettori che non si appagano di luoghi comuni e restano ostinatamente interessati alla verità abbiano la pazienza di immergersi nei meandri, spesso tortuosi, di una vicenda giuridica intricata e complessa. 

07/01/2025
Uno come tanti

La recensione al libro di Ennio Tomaselli (Manni, 2024)

07/12/2024