Magistratura democratica
Tribuna aperta

Tre vecchi errori

di Marco D'Orazi
giudice del Tribunale di Bologna

Prospettive riformistiche per l'inizio e la fine della carriera del magistrato

1. Per una buona magistratura. Tre proposte per l’inizio e la fine della carriera

Si sostiene, fondatamente, che la qualità della resa della giustizia dipenda soprattutto dalla qualità dei giudici; più che dalla bontà del rito o delle stesse norme sostanziali.

La attenzione alla qualità dei magistrati – culturale, tecnica, deontologica – è dunque uno dei compiti principali che l’autogoverno e l’associazionismo si debbono dare, insieme con il decisore politico. L’autogoverno deve, nella armoniosa costruzione costituzionale, assicurare che il livello tecnico e deontologico del magistrato, da esaminare nelle note valutazioni quadriennali, sia sempre adeguato alla delicatezza della funzione. L’associazionismo giudiziario può proporre al dibattito pubblico ed ai decisori le riforme funzionali a tale fine.

Si tratta di una tensione che deve accompagnare tutta la vita professionale del magistrato: dunque, è indispensabile il mantenimento di un concorso trasparente, selettivo, affidabile; in tutta la carriera, poi, il senso del dovere dello stesso magistrato (accompagnato e favorito da una formazione permanente di qualità) deve portare ad un progressivo affinamento delle qualità tecniche. Il sistema istituzionale, non solo disciplinare, ed il corpo della magistratura, sul piano culturale, deve poi riprovare le condotte opportunistiche, emerse in modi al contempo tristi e grotteschi in recenti episodi. Infine, la fase finale della carriera della magistratura deve essere costruita in modo tale da non imporre una dispersione brusca della professionalità acquisita.

Come si vede, vaste programme.

In modo più concentrato, possono auspicarsi tre iniziative, che richiedono necessariamente una riforma legislativa. Esse si pongono all’inizio ed alla fine del segmento di carriera del magistrato: due di queste proposte si pongono all’inizio della vita professionale ed una al termine della stessa. Queste tre proposte sono anche “errori” passati.

In relazione alla fine della carriera del magistrato, è opportuno un ripensamento della età pensionabile, che deve essere riportata a 75 anni; come da successivo paragrafo. Anche in relazione alla fase seminale della vita del magistrato, sono opportune due riforme.

In sintesi:

a) Elevare la età pensionabile a 75 anni su base volontaria, creando un meccanismo di senior status;

b) Riportare il concorso iniziale ad un concorso di secondo grado;

c) Ipotizzare meccanismi di numero programmato agli studi giuridici. 

 

2. La creazione di un “senior status”, con innalzamento dell’età pensionabile

L’età pensionabile dei magistrati è stata oggetto di varie modifiche, nel corso del tempo. L’ordinamento giudiziario c.d. Oviglio (regio decreto n. 2786 del 30 dicembre 1923) prevedeva (articolo 177) una età pensionabile ad anni 70; per i soli giudici e sostituti, che non avessero ottenuto la promozione ai gradi superiori, l’età pensionabile era posta ad anni 65. In realtà, tale abbassamento dell’età di permanenza massima era già stata disposta, in precedenza, dal governo Bonomi-Rodinò, con il regio decreto n. 1978 del 14 dicembre 1921 (articolo 17).

Tale abbassamento dell’età pensionabile (a 70 anni) fu una novità, rispetto al primo ordinamento giudiziario unitario, che prevedeva la età pensionabile a 75 anni; infatti, l’articolo 202 del primo ordinamento giudiziario (legge numero 2626 del giorno 6 dicembre 1865) prevedeva, per i magistrati inamovibili che: «I giudici inamovibili che hanno compiuto l'età di anni settantacinque sono dispensati da ulteriore servizio per regio decreto, salva ogni loro ragione alla pensione di riposo o ad indennità a termine di legge». Va tenuto conto che i magistrati erano inamovibili già dai primi anni di carriera; dunque, l’età per la dispensa era 75 anni. 

L’età di 70 anni fu confermata dall’ordinamento “Grandi” (r.d. numero 12 del 30 gennaio 1941) e dalla c.d. legge sulle guarentigie (articolo 5 del r.d.l 511 del 31 maggio 1946). 

Successivi interventi legislativi, a cavaliere fra il secolo XX e questo secolo, hanno poi innalzato l’età pensionabile fino a 75 anni, sia pure in via opzionale.

Infine, il decreto legge numero 90 del 24 giugno 2014, convertito nella legge numero 114 del giorno 11 agosto 2014, ha bruscamente riportato la età pensionabile a 70 anni.

Come si nota, la storia dell’età pensionabile è piuttosto erratica, mancando una linea politica chiara; il che è tanto più grave, essendo le manovre sulla età pensionabile sempre sospette di influenza sul giudiziario. Né è possibile una periodizzazione. In via generale, può dirsi che l’età dei 70 anni ha accompagnato la parte centrale del XX secolo; verso la fine del Novecento, in linea con l’invecchiamento della popolazione e con la tendenza dei sistemi pensionistici a posticipare l’età di uscita, la età è stata progressivamente alzata; per poi essere bruscamente abbassata, appunto, nel 2014.

Il riposizionamento dell’età pensionabile a 70 anni è stato un errore, che merita di essere corretto. L’età pensionabile deve essere nuovamente portata a 75 anni, beninteso su base volontaria.

Vari gli argomenti in favore di questa scelta; sia di equilibrio previdenziale, sia nell’interesse dei magistrati, sia del buon funzionamento della giustizia:

- dal punto di vista previdenziale, tutti gli indici di invecchiamento della popolazione suggeriscono di favorire le uscite posticipate verso la pensione; l’innalzamento dell’età pensionabile a 75 anni è dunque coerente con questa tendenza generale[1];

- infatti, il numero di lavoratori attivi ogni 100 pensioni INPS è inferiore a 120; in alcune province, il numero di pensioni erogate supera il numero degli occupati; sia pure in modo non statisticamente significativo dato il numero di magistrati sul totale dei pensionati (ma non irrilevante quantitativamente, attesi i contributi versati negli ultimi anni di carriera), l’innalzamento volontario dell’età pensionabile contribuisce all’equilibrio del sistema;

- si entra in magistratura ad età avanzata; ciò è dovuto all’allungamento del corso di laurea in giurisprudenza, in parte; soprattutto, il concorso in magistratura è diventato sempre più selettivo ed affollato, posticipando dunque l’ingresso dei giovani in magistratura; il consentire dunque la prosecuzione dell’età lavorativa potrà giovare, a chi lo desidera, nel senso di aumentare il monte contributivo; monte contributivo che, con un ingresso in magistratura ad un età media ben oltre i trent’anni, non consentirebbe, con l’uscita a 70 anni, di raggiungere quaranta anni di contributi; dunque, l’innalzamento dell’età pensionabile giova anche alle posizioni previdenziali individuali;

- a prescindere dal monte di contributi accumulato, è possibile che il trattamento pensionistico, per i giovani magistrati attualmente soggetti al “contributivo integrale”, sia assai meno soddisfacente dell’ultimo stipendio, suggerendo dunque di rimanere in servizio per un ulteriore quinquennio; 

- non vi è alcun danno per i magistrati che intendano andare in pensione, applicando le regole valevoli per tutti gli iscritti INPS (oggi: pensione a 67 anni; pensione anticipata alle condizioni di legge);

- in sintesi – sul piano previdenziale – l’innalzamento volontario della età pensionabile aiuta il sistema previdenziale e, in definitiva, una «società più equilibrata e giusta»[2].

Oltre agli aspetti previdenziali – a vantaggio sia del singolo sia del sistema previdenziale – il consentire una prosecuzione volontaria a 75 anni giova alla amministrazione della giustizia. 

Il brusco abbassamento dell’età pensionabile ha lasciato scoperture di organico rilevanti. Il regolare svolgimento dei concorsi assicurerà la copertura della pianta organica ma non a breve; né è opportuno procedere ad assunzioni straordinarie, fuori concorso, che inevitabilmente abbasserebbero la qualità degli assunti. Attualmente, la scopertura è per circa il quindici per cento della pianta organica.

L’innalzamento volontario della età pensionabile consentirebbe dunque, su un piano quantitativo, di ovviare sia pur parzialmente alla scopertura di organico; proseguendo il regolare svolgimento dei concorsi di accesso. Questo su un piano strettamente quantitativo. 

Anche su un piano della qualità della giurisdizione, il mantenimento di esperienze potrà giovare, come trasmissione di esperienze, valori, conoscenze ai magistrati più giovani.

Infine, la facoltà di rimanere in servizio per un ulteriore quinquennio è anche un vantaggio per i singoli magistrati che intendano rimanere in servizio, compiendo una libera scelta esistenziale. Alla corta: se l’età pensionabile era di 75 anni nel 1865, non si vede perché (su base volontaria) escludere la possibilità ai settantenni di oggi, si deve presumere in condizioni fisiche e sanitarie migliori di un secolo e mezzo fa, di proseguire la propria attività lavorativa; contribuendo, con il proprio bagaglio di esperienze, alla buona amministrazione della giustizia: al “mestiere” di magistrato giova un accumulo di esperienze, di casi visti e trattati; esperienze che possono essere poi trasmesse ai più giovani magistrati ed al sistema tutto.

 

3. Segue. La necessità che l’innalzamento dell’età pensionabile si accompagni ad uno “status” speciale

Vi sono dunque ottime ragioni per consentire, su base volontaria, un prolungamento dell’età massima della dispensa a 75 anni.

L’innalzamento non può però avvenire sic et simpliciter.

Oltre alla precisazione che la decisione di rimanere in servizio deve essere assolutamente volontaria, non è opportuno che il magistrato mantenga la stessa posizione che aveva al compimento dei 70 anni. 

Il prolungamento dell’età pensionabile nella medesima posizione – ad esempio, dirigente di un ufficio – avrebbe due inconvenienti: favorirebbe la scelta di rimanere in servizio dei soggetti che occupano posizioni dirigenziali; con il rischio di incentivare il carrierismo; rischio che va assolutamente evitato[3]. In secondo luogo, un improvviso innalzamento dell’età pensionabile, nel breve periodo, creerebbe un blocco degli accessi ai posti direttivi.

Va dunque pensato un meccanismo analogo (ma non identico) al senior status dei giudici federali americani[4]

In pratica.

Chi desidera rimanere in servizio deve fare domanda entro un certo termine dal compimento dei 70 anni (si può ipotizzare almeno quattro mesi prima).

Il magistrato resta in servizio ma decade comunque, al settantesimo anno di età, da posti direttivi o semidirettivi[5] che occupa. In questo modo, il Consiglio Superiore è in grado di programmare le pubblicazioni dei posti direttivi e semidirettivi, poiché comunque il magistrato in senior status non occuperà, al settantesimo anno, quel posto direttivo o semidirettivo.

Il magistrato continua il proprio lavoro, alle medesime condizioni economiche e giuridiche. Tuttavia, egli presta servizio in posizione né direttiva né semidirettiva, nello stesso ufficio: come consigliere se già era in Corte d’appello; come giudice, se era in Tribunale; come sostituto se era in Procura o in una Procura generale[6]

Questo sistema avrebbe solo vantaggi, già illustrati sopra al precedente paragrafo e sottolineati dalla dottrina d’Oltreoceano[7]

Si incentiverebbero solo magistrati appassionati del lavoro e non carrieristi. Si assicurerebbe il mantenimento di un patrimonio di esperienza; anche alleviando il carico di lavoro dei magistrati infrasettantenni. Infine, vi sarebbero tutti i profili positivi dal lato previdenziale, di cui appunto si è detto sopra nel precedente paragrafo.

Beninteso, tale scelta deve essere volontaria e senza alcuna penalizzazione per i magistrati che non intendessero profittarne. 

Il grado di adesione a questo status non è prevedibile; ed è in parte legato alla idea che si ha della magistratura. Per chi pensa che il carrierismo abbia ormai infettato il corpo della magistratura, evidentemente la scelta di proseguire sarà quantitativamente limitata; chi invece pensa che vi siano molti magistrati appassionati del proprio lavoro - desiderosi ancora di proseguire a dare una mano, anche senza il baffo di sergente sulla manica - ritiene che la adesione a questo senior status sarà significativa[8]

 

4. L’inizio del giurista. L’inizio del giudice

Due sono le modifiche utili, con riferimento alla fase iniziale della vita del giurista e del giudice.

Si è già rilevato come, rispetto a realtà nelle quali vi è una posizione preminente del giurista – ad esempio, lo Juristenprivileg dei paesi di lingua tedesca[9] – lo stato dei giuristi in Italia vede una evidente e fortissima crisi.

Si tratta di una crisi pagata da tutto il ceto dei giuristi, come crollo qualitativo della esperienza giuridica e della cultura dei diritti; dal punto di vista del mercato delle professioni, è una crisi che è pagata soprattutto dalla avvocatura, incolpevole vittima di questa mancata programmazione[10].

Come detto altrove[11], si è in presenza di una imprevidenza assoluta, nell’indirizzare i giovani verso i vari tipi di laurea. Senza alcuna programmazione nazionale, si è così pervenuti ad un numero di medici e sanitari assolutamente insufficiente; insufficienza nata da un numero chiuso asfittico. Viceversa, la laurea in giurisprudenza – un modello ben lontano dal Juristenprivileg, insomma – rimane aperta e senza limite alcuno.

Un primo ineludibile passo è dunque quello di porre un numero programmato ai laureati in giurisprudenza. La programmazione deve essere nazionale e prevedere – per tutti i tipi di laurea – il possibile fabbisogno di laureati in quelle discipline (medici; giuristi; ingegneri; veterinari; ecc.), regolando il flusso degli accessi[12]

Una riqualificazione degli studi giuridici è dunque indispensabile ed è proposta che può essere condivisa con la avvocatura. L’“inizio del giurista” deve vedere un numero di laureati compatibile con le esigenze della società e del mercato. In ogni caso, è del tutto privo di senso che alcuni corsi di studi vedano il numero programmato ed altri – fra i quali giurisprudenza – no. Tale asimmetria crea evidentemente uno svantaggio relativo per i laureati nelle materie, i cui corsi non siano a numero programmato. Dunque: o si adotta un meccanismo “alla francese”, in cui titolo abilitante rimane la sola maturità; oppure, come detto, si regola in modo razionale l’accesso a tutti i vari corsi di laurea.

A questa proposta – che, val la pena di ribadire, può essere condivisa con la avvocatura e con le altre professioni giuridiche, come “battaglia comune” – va aggiunto il ripristino del concorso di secondo grado, per l’accesso alla magistratura. La reintroduzione del concorso di primo grado è, in teoria, una riforma positiva; accorcia i tempi di studio; consente l’ingresso di magistrati giovani ed entusiasti; evita una selezione di censo.

Sulla base di tali argomenti, le recenti riforme “Cartabia” hanno previsto dunque il ritorno al concorso di primo grado. La scelta è però prematura ed è legata appunto all’eccessivo numero di laureati in giurisprudenza. Fino a che resterà tale numero di laureati, la reintroduzione del concorso di primo grado presenta maggiori inconvenienti, rispetto ai vantaggi indicati sopra. Infatti, fino a che il numero dei laureati in giurisprudenza non verrà ridotto, un concorso di primo grado rischia di essere non sostenibile sotto il profilo strettamente logistico; inoltre, su un numero di candidati così elevato, risulta difficile una selezione accurata ed affidabile dell’inevitabilmente ristretto numero degli ammessi[13]. Inoltre, proprio la situazione di crisi degli studi giuridici richiede comunque, per un concorso sempre più selettivo, un percorso ulteriori di studi, dopo la laurea; non essendovi vantaggi, dunque, nemmeno nel senso di un ingresso più rapido nei ruoli[14]

 

5. Tre errori da correggere

Si tratta di tre proposte che mirano a correggere imprevidenze o errori del passato recente o meno recente[15]

Un errore di una decina di anni fa è stato il brusco abbassamento dell’età pensionabile; occorre provi rimedio con il ripristino di una età pensionabile a 75 anni ed il meccanismo senior status. 

Un “vecchio errore” è quello della mancata programmazione dei percorsi di studi; chiusi in un asfittico numero, alcuni; senza alcun filtro, altri (fra cui giurisprudenza); con un danno per le giovani generazioni e per il ceto dei giuristi.

Un errore recente è quello di avere reintrodotto, prematuramente, il concorso di primo grado per l’accesso alla magistratura.

Nulla è però irreparabile e si può dunque correggere la rotta, su tutti e tre questi aspetti.


 
[1] RIZZO, Il Titanic delle pensioni, Milano 2023.

[2] Si veda sul punto, PALEARI, Pensionamenti graduali per una società più equilibrata e giusta, ne Il Sole 24 Ore, 9 maggio 2023: questo autore, dopo avere evidenziato la insostenibilità del sistema previdenziale, pur dopo la importante riforma dell’inizio degli Anni Dieci, auspica interventi energici, per ovviare ai rischi di un sistema previdenziale diventato insostenibile. In particolare, suggerisce «una proposta che favorisca un’uscita graduale dal lavoro, volontaria e sostenibile, capace di superare le logiche on/off un po’ novecentesche. Nella versione più semplice (per brevità mi limito ad enucleare il ragionamento di fondo), a partire da una certa età (…) si introduca la possibilità di ridurre l’impegno lavorativo».

[3] Sulle degenerazioni del carrierismo in magistratura, così evidenti nell’ultimo periodo, volendo D’ORAZI, Una giustizia degna dell’Italia. Idee sparse per la riscossa della magistratura, con prefazione di BORGNA, Bologna 2020, pp. 54 ss.

[4] FEINBERG, Senior Judges: a National Resource, 56 Broolkyn Law Review, anno 1990, 409. Per una esperienza diretta di un giudice federale: BLOCK, An Active Senior Judge Corrects Some Common Misunderstandings, 92 Cornell Law Review, marzo 2007, 533. Vi è anzi una tendenza della dottrina giuridica e sociologica, nel senso che sarebbe opportuno incentivare i giudici ad adottare senior status; che è, in quella esperienza come dovrebbe essere in quella italiana, una scelta volontaria; si veda ad esempio: Marin K. LEVY, The Promise of Senior Judges, 115 Northwestern University Law Review, anno 2021, 1227; ivi ulteriore bibliografia. Infatti, secondo l’opinione comune in quella realtà giudiziaria, la presenza di giudici con quello status ha caratteristiche positive per tutta la struttura giudiziaria; da un canto, si mantengono forze nel sistema, anche a fini di pura e semplice produttività dello stesso; in secondo luogo, i giudici in quella situazione, in ragione della loro esperienza, offrono un contributo importante; infine, il fatto che siano in un momento esistenziale in cui non hanno più ambizioni di carriera, ne esalta lo spirito di indipendenza (in Italia, si direbbe che sono veramente sine spe nec metu; in quella realtà, non temono di esprimere posizioni, nelle sentenze, che potrebbero nuocere ad una successiva nomina ad un grado più elevato).

[5] Per i posti di Cassazione e della laterale Procura Generale, può ipotizzarsi o che siano trattati come i direttivi (dunque, con decadenza al settantesimo anno di età), ovvero come posti ordinari (ed in tal caso, il magistrato in senior status potrebbe rimanervi). Vi sono ragioni nell’uno e nell’altro senso; prevedere la decadenza consentirebbe un ricambio anche dei posti relativi, con vantaggio ovviamente per gli aspiranti, ed un rinnovamento della giurisprudenza; consentire il senior status anche per tali posti favorirebbe il mantenimento della specifica professionalità di legittimità. Nel caso in cui anche i posti di consigliere e di sostituto in Cassazione implicassero decadenza, i magistrati relativi dovrebbero essere ricollocati in una Corte d’appello a loro scelta, come consiglieri o sostituti nella laterale Procura generale.

[6] Per i posti nella Corte suprema di Cassazione, si veda la nota che precede.

[7] Si veda in particolare la nota 4. In sintesi, gli autori sottolineano i vantaggi che, nel testo, si sono elencati: il mantenimento di un tesoro di conoscenze e di esperienze; la possibilità di contribuire allo smaltimento del caseload; la assoluta indipendenza che i giudici in senior status hanno.

[8] L’opinione di chi scrive è in questo senso o, forse, chi scrive ha avuto la fortuna di incontrare magistrati del secondo tipo.

[9] Rimane classica la ricostruzione comparatistica sulla formazione dei giuristi: BORGNA-CASSANO, Il giudice e il principe. Magistratura e potere politico in Italia e in Europa, Roma, 1997. In questo lavoro, si evidenzia la natura estremamente selettiva della selezione dei giuristi, attraverso il meccanismo dell’Assessorexam, con l’esame che conduce alla abilitazione alla posizione di giudice, la Befähigung zum Richteramt. Sul punto, ibidem, p. 129: «Come già accennato, la formazione comprende due fasi distinte, una di carattere essenzialmente teorico, della durata di tre anni e mezzo, l’altra di tipo prevalentemente pratico, della durata di due anni e mezzo. Al termine del primo periodo viene svolto un esame che, ove superato, attribuisce allo studente la qualifica di referendario e che gli consente l’accesso alla fase del referendariato (…). Durante questo secondo periodo, il praticante gode dello status di impiegato pubblico e percepisce una regolare retribuzione. Al termine di questa seconda fase, (…) si ha la abilitazione all’ufficio di giudice (Befähigung zum Richteramt)».

[10] Si veda: https://www.cfnews.it/info-cassa/il-rapporto-censis-2022-e-i-numeri-dell-avvocatura/

[11] D’ORAZI, Una giustizia degna dell’Italia, cit. pp. 102 ss.

[12] Nell’interesse delle giovani generazioni e di una ordinato sviluppo sociale. Una scelta di questo tipo non creerebbe invero nemmeno soverchi problemi di difficoltà di accesso, alla luce anche del diminuire di numero delle coorti delle giovani generazioni.

[13] Per approfondimenti sia sulla necessità di una riduzione del numero di laureati sia per la impraticabilità, allo stato, del concorso di primo grado, D’ORAZI, cit.

[14] La nuova modalità di concorso ha poi essiccato le vocazioni per i tirocini presso gli uffici giudiziari. Sarebbe stato invece maggiormente opportuno concedere a questi tirocinanti una idonea borsa di studio, al pari degli altri specializzandi.

[15] Almeno uno è “un vecchio errore”, per citare Paolo Conte. 

07/11/2023
Altri articoli di Marco D'Orazi
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
Uno come tanti

La recensione al libro di Ennio Tomaselli (Manni, 2024)

07/12/2024
Il caso della consigliera Rosanna Natoli. E’ venuto il momento del diritto?

Se nella vicenda della consigliera Rosanna Natoli l’etica, almeno sino ad ora, si è rivelata imbelle e se gran parte della stampa e della politica hanno scelto il disinteresse e l’indifferenza preferendo voltarsi dall’altra parte di fronte allo scandalo cha ha coinvolto un membro laico del Consiglio, è al diritto che occorre guardare per dare una dignitosa soluzione istituzionale al caso, clamoroso e senza precedenti, dell’inquinamento della giustizia disciplinare. L’organo di governo autonomo della magistratura può infatti decidere di agire in autotutela, sospendendo il consigliere sottoposto a procedimento penale per delitto non colposo, come previsto dall’art. 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Questa peculiare forma di sospensione “facoltativa” può essere adottata con garanzie procedurali particolarmente forti per il singolo consigliere - la votazione a scrutinio segreto e un quorum deliberativo di due terzi dei componenti del Consiglio – ed è regolata da una normativa speciale, non abrogata né in alcun modo incisa dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia che mirano a garantire il cittadino da effetti civili o amministrativi pregiudizievoli riconducibili al solo dato della iscrizione nel registro degli indagati. Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio Superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio Superiore. 

02/09/2024
L’imparzialità dei giudici e della giustizia in Francia…in un mondo dove gravitano i diritti fondamentali

Un viaggio nella storia del pensiero giuridico alla luce dell’esperienza francese, sulle tracce di un concetto connaturato al funzionamento della giustizia, reattivo ai tentativi di soppressione o mascheramento tuttora capaci di incidere sul ruolo del magistrato all’interno della società. Una società complessa e plurale, di cui egli è parte attiva a pieno titolo. Nella lucida e personalissima testimonianza di Simone Gaboriau, l’imparzialità emerge come principio-cardine dell’ordine democratico, fondato – necessariamente – sull’indipendenza dei poteri che lo reggono.
Pubblichiamo il contributo nella versione italiana e nella versione originale francese. 

16/05/2024
L’imparzialità del giudice: il punto di vista di un civilista

Il tema dell’imparzialità del giudice, di cui molto si discute riferendosi soprattutto all’esercizio della giurisdizione penale, presenta spunti di interesse anche dal punto di vista civilistico. Se è ovvio che il giudice debba essere indipendente e imparziale, meno ovvio è cosa per “imparzialità” debba intendersi. Si pongono al riguardo tre domande: se e quanto incidono  sull’imparzialità del giudice le sue convinzioni ideali e politiche e il modo in cui egli eventualmente le manifesti; se  l’imparzialità debba precludere al giudice di intervenire nel processo per riequilibrare le posizioni delle parti quando esse siano in partenza sbilanciate; entro quali limiti la manifestazione di un qualche suo pre-convincimento condizioni  l’imparzialità del giudice all’atto della decisione. Un cenno, infine, all’intelligenza artificiale e il dubbio se la sua applicazione in ambito giurisdizionale possa meglio garantire l’imparzialità della giustizia, ma rischi di privarla di umanità. 

04/05/2024
I test psicoattitudinali: la selezione impersonale dei magistrati

Certamente il lavoro del magistrato è molto impegnativo sul piano fisico, mentale e affettivo e vi sono situazioni - presenti, del resto, in tutte le professioni - in cui una certa vulnerabilità psichica può diventare cedimento e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Esse si risolvono con istituti già presenti nell’ordinamento come la “dispensa dal servizio” o il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Invece il progetto di introdurre test di valutazione psicoattitudinali per l’accesso alla funzione di magistrato è inopportuno sul piano del funzionamento democratico delle Istituzioni e inappropriato sul piano psicologico perché, da un lato, sposta l’attenzione dal funzionamento complessivo della Magistratura come istituzione all’“idoneità” del singolo soggetto e, dall’altra, non prende in considerazione il senso di responsabilità , la principale qualità che deve avere un magistrato e la sola che valorizza appieno la sua competenza e cultura giuridica. 

03/04/2024