Magistratura democratica
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Fare chiarezza sul caso Almasri

di Aniello Nappi
già consigliere della Corte di cassazione

Perché questo stesso discorso risulti chiaro, conviene partire dalle conclusioni già diffusamente argomentate da alcuni giuristi intervenuti sul tema[1].

Non è vero che la polizia non avrebbe potuto arrestare Almasri senza previa “interlocuzione” con il Ministro della giustizia, che non ha alcun ruolo formale in questa procedura.

La corte di appello avrebbe potuto convalidare il fermo di Almasri, avendone ricevuto notizia dalla polizia, che il fermo lo aveva operato su diretta richiesta della Corte penale internazionale.

Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma avrebbe dovuto comunque chiedere l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

Diversamente da quanto è previsto per il procedimento di estradizione, infatti, sono di esclusiva competenza del Procuratore generale presso la Corte di appello di Roma gli adempimenti conseguenti alle richieste di arresto e di consegna provenienti dalla Corte penale internazionale (art. 11, legge n. 237/2012).

È vero che, secondo l’art. 2 della legge n. 237/2012, «i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della  giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito». Ma l’art. 4 della stessa legge prevede che «il Ministro della giustizia dà corso alle richieste formulate dalla Corte penale internazionale, trasmettendole al procuratore generale presso la corte d'appello di Roma perché vi  dia esecuzione».

Sicché, secondo quanto prevede l’art. 11 legge n. 237/2012, è  appunto il procuratore generale, non il ministro, che deve  formulare la richiesta di applicazione della misura cautelare, adempiendo così l’obbligo impostogli dall’art. 59 dello Statuto (legge 12 luglio 1999, n. 232), con esclusione di qualsiasi valutazione circa il fondamento probatorio della richiesta e la necessità della consegna. 

E in realtà l’attribuzione della competenza al procuratore generale, anziché al ministro come per l’estradizione, dipende dall’esclusione anche di ogni valutazione di opportunità nell’adempimento dell’obbligo di cooperazione, come prevede l’art. 86 dello Statuto.

Occorre poi considerare l’art. 92 dello Statuto, il quale prevede che «in  caso di emergenza, la Corte può chiedere il fermo della persona ricercata in attesa che siano presentate la richiesta di consegna  ed i documenti giustificativi». Sicché le richieste possono essere trasmesse attraverso l'Organizzazione internazionale di polizia criminale (INTERPOL), per un’immediata esecuzione del fermo da parte della polizia giudiziaria, che deve porre poi il fermato a disposizione del Presidente della Corte d’appello di Roma per l’eventuale convalida a norma dell’art. 716 c.p.p., norma richiamata dall’art. 3 l. n. 237/2012.

La contraria opinione espressa in proposito dalla Corte d’appello di Roma, che esclude l’applicabilità dell’art. 716 c.p.p., ignora le disposizioni degli art. 87 e 92 dello Statuto. Infatti la Corte penale internazionale ha precisato di aver  «inoltrato una richiesta all'Interpol di emettere un avviso  rosso», che legittimava evidentemente un intervento diretto a  iniziativa della polizia.

I magistrati romani hanno quindi commesso un grossolano errore di diritto quando hanno rifiutato di convalidare il fermo di Almasri e di applicargli la misura della custodia in carcere.

Questo errore sarebbe stato possibile evitarlo, se il Ministro della giustizia, rispondendo all’interpello della corte romana, avesse comunicato di non essere legittimato a intervenire in un procedimento di esclusiva competenza del procuratore generale. Né per fornire questa informazione il ministro avrebbe dovuto impegnarsi nello studio di un “complesso carteggio”, perché, non essendo chiamato a pronunciarsi in alcun modo sulla richiesta di consegna, sarebbe stato sufficiente leggere la legge o comunque avvalersi della collaborazione degli uffici ministeriali cui quella legge era presumibilmente nota. 

È omettendo di impedire l’errore dei magistrati romani, dunque, che il Governo ha potuto realizzare il programma di rimpatrio di Almasri, già organizzato prima che la corte d’appello si pronunciasse. 

Sarà il tribunale dei ministri, tempestivamente investito dal Procuratore della Repubblica di Roma, a verificare se e quali di questi comportamenti possano essere considerati illeciti. Ma ha certamente ragione la Presidente del consiglio quando afferma che era in discussione l’interesse nazionale. Infatti sono ovviamente di interesse nazionale, ad esempio, sia il controllo dei flussi di immigrazione sia l’approvvigionamento di idrocarburi.

Tuttavia quando ha promosso e sottoscritto il trattato istitutivo della Corte penale internazionale, l’Italia si è impegnata appunto a far prevalere il diritto internazionale sulla ragion di Stato. Infatti gli stati anche democratici che non hanno riconosciuto la Corte penale internazionale, come la Russia e gli Stati uniti d’America, è presumibile che abbiano così inteso non rinunciare appunto all’eventuale possibilità di un uso anche spregiudicato della ragion di Stato.

Ne consegue che in questi casi la rivendicazione della ragion di Stato non è compatibile con l’adesione allo statuto della Corte penale internazionale, il cui art. 127 ammette peraltro il recesso di qualsiasi Stato parte.

Non è allora possibile continuare a “fare due parti in commedia”. 

O dentro o fuori della Corte penale internazionale.


 
[1] V. Bolici, A. di Martino, La pagliuzza e la trave: il caso «Almastri», in Questione giustizia, https://www.questionegiustizia.it/articolo/la-pagliuzza-e-la-trave-il-caso-almasri; M. Caianiello, C. Meloni, Caso Almasri: una discutibile interpretazione della legge di cooperazione dell'Italia con la CPI ha portato alla scarcerazione del primo ricercato arrestato sul suolo europeo nell'ambito delle indagini in Libia, in Sistema Penale, 2025; G. Vanacore, La scarcerazione del generale libico Elmasry. Nota critica alla interpretazione resa dalla Corte di Appello di Roma sull’art. 11 della legge di cooperazione tra l’Italia e la Corte Penale Internazionale, ivi.

03/02/2025
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