Magistratura democratica
Tribuna aperta

Analisi e proposta operativa sulla valutazione delle attitudini (qualità relazionali, culturali e psichiche) richieste per lo svolgimento della funzione dei magistrati

di Sarantis Thanopulos
Presidente della Società Psicoanalitica Italiana

Le proposte indirizzate al CSM dalla Società Psicanalitica Italiana in materia di test psicoattitudinali per i magistrati

1. La sofferenza psichica e la funzione del magistrato 

Nella proposta di sottoporre a test psicoattitudinali i magistrati c’è una confusione di livelli e anche una notevole approssimazione. Innanzitutto è opportuno distinguere tra sofferenza psichica e verifica delle psico-attitudini. 

La sofferenza psichica non è di per sé un indice di impedimento per i servitori dello Stato di svolgere una funzione di responsabilità all’interno delle istituzioni. Se la sofferenza non è destrutturante, può favorire lo sviluppo del senso di responsabilità perché aiuta a comprendere la sofferenza e le ragioni degli altri. Quando il dolore è riconosciuto e non è denegato la sofferenza non intacca la serietà e l’equilibrio nello svolgimento della propria professione. Fondare una procedura di valutazione sul doppio pregiudizio nei confronti della sofferenza psichica e della stabilità mentale dei magistrati, due luoghi comuni, offende la convivenza civile e le istituzioni democratiche. 

La vulnerabilità psichica di una persona può diventare cedimento, destabilizzazione destrutturante e impedire l’esercizio sereno della propria attività. Ciò può accadere in tutte le professioni, soprattutto in quelle più responsabilizzanti. Non c’è alcun dato che attribuisca una più elevata frequenza del fenomeno tra i magistrati. L’impedimento si risolve con la “dispensa dal servizio” o con il “collocamento in aspettativa d’ufficio per debolezza di mente o infermità”. Un servitore delle istituzioni che ha una crisi psicotica o una grave depressione è sopraffatto dal dolore e la rinuncia al proprio lavoro, diventato insopportabile, è quasi automatica. Fa parte della civiltà della cura che le persone dispensate in modo transitorio o duraturo dal servizio vengano, quando è possibile, recuperate con mansioni meno impegnative nella loro comunità professionale.

Ben diversa è la sofferenza psichica che è denegata. La persona sofferente cura sé stessa in modo improprio pervertendo il proprio dolore in vantaggio sociale, usando sistemi difensivi che procurano un potere sugli altri. Si può combattere la propria depressione con l’ebbrezza del commando e della manipolazione dei destini delle persone, si può supplire all’aridità delle proprie reazioni affettive “godendo” della dipendenza degli altri dalle proprie decisioni, si può fare di una percezione paranoica della realtà un formidabile sistema di controllo di sé e degli altri.

La perversione del proprio dolore in strumento di potere è effettivamente il più importante fattore di corruzione della funzione di servitore dello Stato in tutte i campi delle istituzioni democratiche, ma è anche la condizione più difficile da diagnosticare. Le persone che ne sono affette non intendono il danno che fanno, ma sono molto lucide nel loro volere, in grado di manipolare ogni giudizio nei loro confronti. 

Il test MMPI, che dovrebbe servire come base per la valutazione dei futuri magistrati, mira all’individuazione di aree psicopatologiche (depressione, ipomaniacalità, paranoia, isteria, ipocondria) e di disturbi della personalità (riguardanti la stabilità emotiva, la sessualità, l’aggressività). Nel campo della clinica può integrare, ma non può sostituire il colloquio diagnostico l’unico che può fornire un’approfondita comprensione del dolore. Perché abbia una certa attendibilità è necessario che la persona che si sottopone ad esso riconosca la sua sofferenza e abbia l’interesse a collaborare con chi cerca di inquadrare l’area del suo malessere. Il suo uso per verificare un assetto psicoattitudinale che decide il futuro lavorativo e sociale di un soggetto, altera il suo funzionamento.

 

2. Test psicoattitudinali 

I test psicoattitudinali misurano i parametri che si suppone siano necessari alla giusta impostazione emotiva e mentale per svolgere una determinata attività. Più complessa è più creativa è l’attività, più evanescente è la possibilità di definire il giusto approccio mentale in termini misurabili. Non è un caso che gli test non si usano per selezionare persone che devono ricoprire ruoli in cui sono importanti qualità critiche e di diretta responsabilità, ma per selezionare personale per ruoli prevalentemente esecutivi. 

L’uso generalizzato dei test psicoattitudinali viene dal mondo delle imprese e risponde alla necessità di valutare l’adesione psicologica delle persone assunte ai principi di performazione che regolano il funzionamento del sistema aziendale di cui entrano a far parte. La mentalità richiesta e i test che la misurano si costruiscono l’una in funzione degli altri. 

Il MPPI è già applicato per l’assunzione alle forze di polizia. Ciò è ragionevole soprattutto per verificare la capacità di controllo o il grado di impulsività aggressiva in funzione di un uso appropriato della forza e delle armi in situazioni di tensione emotiva. Anche se la reale efficacia predittiva del test in questi casi non la conosciamo bene. Si può dire che il suo funzionamento, come quello dei test psicoattitudinali in genere sia a maglie larghe. L’accuratezza delle procedure rende più precisa la misurazione, ma non aumenta lo spazio della misurabilità. Per un clinico è pacifico che lo sguardo psicodiagnostico non è riducibile a dati algoritmici[1]

I test sono, inoltre, aggirabili, perché le risposte sono note e con un po’ di esercizio si possono memorizzare. L’esempio dei test di ammissione a medicina è significativo: si chiedono a chi fa l’esame conoscenze che potrebbe avere una volta laureato, a volte dopo la specializzazione, perché la mentalità che questi test veicolano è che la capacità di memorizzazione è più importante del giudizio critico. Nella grande parte dei casi nelle risposte ai test psicodiagnostici non c’è alcuna “sincerità”, ma piuttosto una conveniente imitazione della mentalità richiesta. Ciò non rappresenta dal punto di chi desidera l’adattamento a una certa mentalità, un problema. La cosa che conta è l’uniformazione a un pensiero standardizzato, la sostituzione del giudizio critico con l’obbedienza ai principi di lavoro da applicare. 

Una cultura di selezione che tende a promuove l’obbedire acritico ai principi di una mentalità esecutiva può trasformare la psicologia da strumento di comprensione dell’essere umano a strumento di controllo. Conviene ricordare che il lavoro del magistrato non è un lavoro puramente tecnico, meccanico nella sua impostazione, che deve essere protetto dagli stereotipi attitudinali che comprimono la sua componente interpretativa. 

Le singole qualità psichiche che garantiscono un esercizio buono della sua funzione da parte del magistrato sono la responsabilità nei confronti dei sentimenti e degli affetti degli altri, il pensiero critico, l’imparzialità, l’assenza di pregiudizi politici e culturali, la percezione dell’interesse della collettività che è indissociabile dal l’apertura mentale. Queste qualità sono inafferrabili da una loro definizione quantificabile e si combinano tra di loro in modo imprevedibile e originale, sono percepite e apprezzate all’interno della nostra cultura relazionale, non sono ingredienti quantificabili che possono essere messi insieme in una formula. 

 

3. Conclusioni 

In conclusione, l’insofferenza inevitabile nei confronti di chi deve far rispettare i limiti legali funzionali alla nostra convivenza civile (a volte rigidi e riflettenti il diritto del più forte piuttosto che un vero e proprio senso di giustizia) non deve essere incentivata con il rischio di diventare pregiudizio. Andrebbe affrontata favorendo la selezione come magistrati di persone libere e indipendenti, con un profondo amore e rispetto per gli altri e per la democrazia. Una valutazione dei magistrati che vada oltre la conoscenza giuridica può essere utile a condizione che si faccia non nel campo di un loro astratto assetto psicoattitudinale specifico della loro professione (che nessuno sa quale dovrebbe essere), ma nel campo dell’attenta considerazione delle loro qualità umane, dell’ampiezza della loro formazione culturale, della loro capacità di giudizio. Questa valutazione non può essere affidata a test psicometrici, né a esperti della psiche; deve essere affidata ai magistrati stessi e essere fatta attraverso colloqui.

Last but not least. Non è cosa buona per l’equilibrio dei poteri su cui si basa l’intero ordinamento democratico che uno di essi venga svilito nella sua funzione sottoposto a procedure di verifica riguardanti apparati statali o imprese. 

 

4 marzo 2025

 

***

 

Proposta operativa sulla valutazione delle attitudini (qualità relazionali, culturali e psichiche) richieste per lo svolgimento della funzione dei magistrati 

 

1. Premessa 

Là valutazione dei magistrati attraverso test psicometrici è velleitaria perché presume una definizione  misurabile delle attitudini psicologiche del magistrato. Ciò è impraticabile  visto che che tali attitudini possono essere inquadrate solo in termini insaturi e approssimativi. Esse non sono immutabili, dipendono dal contesto socioculturale e politico e sono stabilite nel campo delle relazioni caratteristiche del contesto. Non sono per nulla valori dogmatici (men che mai scientifici) validi per sempre. 

Vale la pena precisare che il termine “attitudine” denota un’inclinazione o una dote innata o acquisita il che piega il suo “accertamento” a un certo schematismo. Perciò dovrebbe essere usato in senso piuttosto largo. In ogni caso proprio perché le “attitudini psicologiche” attribuibili alla funzione del magistrato non possono essere considerate proprietà a sé stanti del singolo individuo, staccate dal suo legame con la società e la sua cultura (dentro il quale si manifestano e assumono il loro reale significato), sarebbe opportuno che la valutazione del magistrato, oltre la sua conoscenza giuridica, si estendesse in senso psico-culturale e non solo psicologico.

 

2. Questionario

Nel rispetto della legge che richiede dei test di valutazione (ma sarà il CSM a decidere come impostarli) il test può benissimo consistere nella somministrazione di un questionario fatto dalla commissione di concorso,  su questioni chiare (che possono contenere anche ipotetici casi giudiziari dal valore paradigmatico), che prevedano non risposte multiple, ma una risposta per esteso (in uno spazio massimo predefinito).

Il questionario dovrebbe cambiare di concorso in concorso a partire da un elenco prestabilito di attitudini (qualità relazionali, culturali e psichiche) che possono essere (a titolo di esempio):

- Un livello culturale appropriato per la funzione del magistrato

- L’indipendenza e imparzialità del giudizio 

- La capacità di sospensione e di sedimentazione della valutazione confrontata con la tendenza a reagire impulsivamente  

- L’assenza  di una percezione persecutoria della realtà e di tendenze aggressive 

- L’assenza di pregiudizi politici o culturali 

- La capacità di ascolto 

- La capacità di pensiero critico 

- La capacità di relazionarsi con i sentimenti e i pensieri degli altri

- La disposizione a lavorare in gruppo 

Nella definizione delle attitudini/qualità da indagare, il CSM potrebbe avvalersi non solo degli esperti della psiche, ma anche di antropologi, sociologi, filosofi (in particolare del diritto). Le risposte al questionario potrebbero essere valutate non in modo numerico (che è più deresponsabilizzante) ma con giudizi a più ampio raggio (ad esempio: insufficiente, sufficiente, buono). Il giudizio di idoneità o inidoneità si darebbe sulla base del numero massimo di insufficienze consentite (rapportate eventualmente alle sufficienze: una combinazione di sole sufficienze e insufficienze potrebbe non essere considerata valida ai fini dell’idoneità)  

L’uso del questionario manterrebbe la responsabilità del giudizio sotto la competenza dei magistrati (evitando l’interferenza di un sapere tecnico estraneo al campo giudiziario nella selezione dei servitori di uno dei tre poteri dell’ordinamento democratico). Va tenuto in considerazione il fatto che i magistrati esaminatori hanno una notevole esperienza nella valutazione delle qualità relazionali e psicologiche degli aspiranti giudici, perché esse comunque traspaiono nelle loro risposte agli esami in materia giuridica e di ciò già si tiene conto. Questa esperienza non deve essere dispersa. 

 

5 marzo 2025

 

 


 
[1] Nelle forze armate italiane, e in particolare nei carabinieri, si usa in ambito normativo per operazioni ad alto rischio all’estero il Training di Inoculazione dello Stress, una procedura di trattamento cognitivo-comportamentale raccomandata dalla NATO. Vale la pena citare due dei suoi obiettivi: 
- modificare il comportamento manifesto, identificandolo e sostituendo i comportamenti disadattivi con quelli adattivi; 
- conoscere e modificare le aspettative e le cognizioni inadeguate del soggetto, sostituendole con cognizioni e pensieri efficaci. 
Questi obiettivi, che riflettono una logica e tecnica militare, sono rappresentativi della filosofia con cui cui le forze armate selezionano e formano il loro personale. Applicare questa filosofia alla selezione e formazione professionale dei cittadini, e in particolare dei magistrati che svolgono una funzione di garanzia cruciale nell’ordinamento democratico della Polis, sarebbe tutt’altra cosa.
Privilegiare il comportamento manifesto dei soggetti e modularlo secondo standard di efficacia derivanti dalle operazioni militari (dove spesso bisogna agire senza aver tempo di riflettere), significherebbe andare insidiosamente verso la costruzione di individui deresponsabilizzati che agiscono come ingranaggi di una macchina sociale impersonale.

31/03/2025
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