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La pagliuzza e la trave: il caso «Almasri»

Con il comunicato del 22 gennaio 2025, la Corte Penale Internazionale ha ricostruito i fatti relativi alla mancata consegna di Osama Almasri Njeem. Vi si legge che il mandato d’arresto emesso dalla Corte il 18 gennaio era stato inoltrato lo stesso giorno a sei Stati parte dello Statuto di Roma, fra cui l’Italia. La richiesta di arresto della Corte «è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta dalla consultazione e dal coordinamento con ciascuno Stato per assicurare l’adeguata ricezione e la successiva implementazione della richiesta». Contemporaneamente, la Corte ha condiviso con gli Stati le informazioni sui possibili movimenti del catturando e diramato una Red Notice via Interpol. Il catturando è stato arrestato a Torino nelle prime ore del 19 gennaio e la Corte, su richiesta delle autorità italiane, non ha commentato pubblicamente l’arresto. Il rilascio di Osama Almasri Njeem da parte delle autorità italiane e il suo rimpatrio in Libia non sono stati preceduti da alcun preavviso alla Corte.

Il 19 gennaio la Polizia di Stato ha trasmesso gli atti relativi all’arresto alla Corte d’Appello di Roma e al Ministero della Giustizia.

Con una nota del 21 gennaio 2025 il Ministero della Giustizia ha confermato di aver ricevuto la richiesta di arresto del cittadino libico, dichiarando che «considerato il complesso carteggio», stava valutando «la trasmissione formale della richiesta della CPI al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’art. 4 della legge 237 del 2012». 

Il 21 gennaio, la Corte d’appello ha chiesto alla Procura generale il parere sulla convalida dell’arresto, ed in particolare sull’applicabilità dell’art. 716 c.p.p., che disciplina l’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria. Ha chiesto altresì di comunicare «se vi sia, comunque, richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti dell’interessato, ai sensi dell’art. 11 L. 237/2012». Il Procuratore generale ha chiesto di dichiarare l’irritualità dell’arresto «in quanto non preceduto da interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale», specificando che il Ministro era stato interessato anche dalla Procura il 20 gennaio, e non aveva fatto pervenire alcuna richiesta in merito.

Con l’ordinanza del 21 gennaio, la Corte d’appello di Roma, conformemente alla stessa richiesta del Procuratore generale, ha dichiarato non luogo a provvedere sull’arresto effettuato dalla polizia giudiziaria «in quanto irrituale perché non previsto dalla legge» e ha ordinato la scarcerazione di Osama Almasri Njeem «in assenza di richiesta di applicazione di misura cautelare da parre del Procuratore Generale per mancata trasmissione degli atti della Corte penale internazionale di competenza ministeriale». Questo perché l’arresto da parte della Polizia di Stato doveva essere preceduto da «interlocuzioni tra il Ministro della Giustizia e la procura generale presso la corte d’appello di Roma», atteso che, ai sensi dell’art. 2 della L. 237/2012, «[i] rapporti fra lo Stato Italiano e la Corte Penale Internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste della Corte e di darvi seguito». 

La Corte d’appello non ritiene applicabile ai mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale l’art. 716 c.p.p., che disciplina l’arresto di iniziativa da parte della polizia giudiziaria dei soggetti attinti da mandati d’arresto internazionali a fini di estradizione. Nell’ordinanza si dà atto che, ai sensi dell’art. 3 della L 237/2012, in materia di cooperazione con la Corte Penale Internazionale, inclusa la cooperazione in materia di consegna, si osservano le regole del libro undicesimo del codice di procedura penale – relativo ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere. Si rileva tuttavia che le norme del codice si applicano «soltanto se non diversamente disposto dalla legge 237/2012 e dallo Statuto di Roma». La legge 237/2012, ritiene la Corte d’appello, disporrebbe diversamente agli artt. 11 e 14, che prevedono la seguente scansione temporale ai fini dell’applicazione delle misure cautelari preliminari alla consegna: 1) ricezione degli atti della Corte Penale Internazionale da parte del Ministro della giustizia; 2) trasmissione degli atti dal Ministro della giustizia alla Procura generale di Roma; 3) richiesta del Procuratore generale alla Corte d’appello per l’applicazione della misura cautelare. 

La Corte d’appello osserva che, dovendosi applicare la legge 237/2012 quale legge speciale, sarebbe precluso l’arresto d’iniziativa da parte della P.G., atteso che: la procedura di applicazione della misura cautelare è «specificamente scandita in tutti i suoi passaggi» dalla legge speciale; la mancata previsione nella legge speciale della possibilità di arresto su iniziativa sarebbe indicativa della inapplicabilità dell’art. 716 c.p.p. in forza del principio per cui ubi lex voluit dixit

L’ordinanza attesta che fra il 18 gennaio e il 21 gennaio il Ministro della giustizia è rimasto inattivo, non provvedendo a trasmettere gli atti ricevuti dalla Corte Penale Internazionale alla Procura generale di Roma, contrariamente a quanto previsto  dall’articolo 59 della legge 232/1999, di ratifica ed esecuzione dello Statuto di Roma, che stabilisce che lo Stato parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, di arresto e di consegna prende «immediatamente» provvedimenti per far arrestare la persona di cui trattasi secondo la sua legislazione.

L’indugio, quindi, è una violazione del dovere di decisione immediata. Il requisito della conformità alla legislazione nazionale, correlativamente, è un requisito puramente modale dei provvedimenti da adottare; non ha a che vedere con l’obbligo qualificante che è quello – innanzitutto – di provvedere, e di provvedere, come si è detto, immediatamente.

L’obbligo di cooperazione è del resto richiamato dallo stesso art.1 della L 237/2012, secondo cui «lo Stato italiano coopera con la Corte penale internazionale conformemente alle disposizioni dello statuto della medesima Corte, reso esecutivo dalla legge 12 luglio 1999, n. 222 (…) e della presente legge, nel rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano». Ai sensi del successivo art. 2 co. 3, ancora, «il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute».

Né l’art. 4 né l’art. 11 della L. 237/2012 accordano del resto al Ministro della giustizia alcun potere di valutazione discrezionale sull’opportunità o meno della trasmissione delle richieste di consegna della Corte Penale Internazionale alla Procura generale di Roma. Nessuna delle due disposizioni, né altre disposizioni di legge, contemplano in alcun modo i criteri sulla base dei quali tale valutazione dovrebbe essere effettuata. La necessità dell’arresto di un sospettato di crimini contro l’umanità, crimini di guerra e altri crimini internazionali è in effetti oggetto di un’istruttoria complessa, e dell’applicazione altrettanto complessa del diritto penale internazionale – complessità di cui la nota ministeriale del 21 gennaio 2025 prende atto. Lo Stato italiano, prima sottoscrivendo e poi ratificando lo Statuto di Roma, ha demandato tale complessa valutazione alla competenza attrezzata della Corte Penale Internazionale, non ai rappresentanti del potere esecutivo.

D’altra parte, la disposizione di cui all’art. 11 stabilisce che il Procuratore generale di Roma, «ricevuti gli atti» (dal Ministro della giustizia), chiede alla Corte d’appello l’applicazione della misura della custodia cautelare. La disposizione dà per presupposta la circostanza che gli atti siano in effetti ricevuti dal Procuratore generale. Non prende in considerazione, invece, l’eventualità che il Procuratore generale possa non aver ricevuto gli atti dal Ministro, o meglio, per essere più chiari, la situazione nella quale il Ministro non trasmetta gli atti immediatamente. 

Questa constatazione non contraddice la previsione secondo cui i rapporti di cooperazione tra lo Stato e la Corte Penale Internazionale siano curati in via esclusiva dal Ministro della giustizia «al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla corte e di darvi seguito». È certamente vero che attribuzione esclusiva del Ministro è quella di “curare” in via esclusiva i rapporti di cooperazione; ma si tratta appunto di un’attribuzione che si radica su un dovere di curare quei rapporti, e non di trascurarli.

Certamente il Ministro riceve le richieste; e certamente ha anche la competenza a darvi seguito. Nel caso di specie non ha espresso questa sua seconda competenza, che costituisce a ben vedere la veste dell’obbligo di cooperazione, di dare cioè doverosamente seguito alla richiesta di consegna, assicurando (art. 2 co. 3) che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute. 

L’inerzia ministeriale, protratta in violazione dei doveri di cooperazione di cui agli art. 1 e 2 co. 3 della L. 237/2012 e dell’art. 59 dello Statuto di Roma, ha impedito dunque il perfezionarsi dell’iter procedurale cadenzato dall’art. 11 e, secondo le conclusioni dell’ordinanza della Corte d’appello, ha viziato di irritualità l’arresto operato d’iniziativa dalla Polizia di Stato.

È tuttavia incontrovertibile che, pur a fronte di un eventuale arresto irrituale, il Ministro della Giustizia avrebbe comunque potuto e dovuto attivare l’iter procedurale previsto dall’art. 11. Anche successivamente all’arresto di iniziativa da parte della Polizia, la trasmissione degli atti della Corte Penale Internazionale al Procuratore generale avrebbe infatti consentito la richiesta di applicazione della misura cautelare da parte della Procura, e la conseguente applicazione della cautela. Ne dà espressamente atto la Corte d’Appello di Roma laddove attesta di aver chiesto alla Procura di specificare, al di là ed indipendentemente da qualsiasi valutazione sulla legittimità dell’arresto, «se vi sia, comunque, richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti dell’interessato, ai sensi dell’art. 11 L. 237/2012», sentendosi rispondere che non vi poteva essere richiesta in mancanza di trasmissione degli atti da parte del Ministero. 

Se fosse intervenuta la trasmissione degli atti da parte del Ministero, l’esito del procedimento sarebbe stato l’applicazione della custodia cautelare al catturando, indipendentemente dalla convalida dell’arresto. Le ordinanze di non convalida dell’arresto (per difetti di legittimità, i più vari) con contestuale applicazione della misura cautelare, sono invero tutt’altro che infrequenti nella prassi.

Questo secondo, ulteriore, momento di inazione del Ministro della giustizia, del tutto svincolato da qualsiasi apprezzamento sulla legittimità dell’arresto, ha impedito definitivamente l’applicazione della misura cautelare, prescritta dalla legge in ogni ipotesi di richiesta di consegna da parte della Corte Penale Internazionale, in violazione degli obblighi di cooperazione previsti dallo Statuto di Roma e dalla legge.

Ciò constatato, ci si può chiedere se sarebbe stata comunque possibile un’interpretazione alternativa rispetto a quella data dalla Corte d’appello circa la legittimità dell’arresto, con conseguente convalida dell’operato degli Ufficiali ed Agenti della Polizia di Stato.

Il ragionamento articolato nell’ordinanza non risulta condivisibile nella ricostruzione dei rapporti fra legge speciale (la 237/2012) e legge generale (il libro undicesimo del codice di procedura penale). In particolare, il percorso argomentativo appare impreciso nella parte in cui sovrappone gli istituti dell’arresto e dell’applicazione della custodia cautelare.

Altro è la applicazione di misure cautelari, tuttavia, altro è l’arresto. Il primo è un atto dell’autorità giurisdizionale, il secondo è atto tipico della polizia giudiziaria, legittimato ordinariamente nei casi di flagranza, e previsto, in materia di estradizione, nei casi d’urgenza.

Gli artt. 714 e 715 c.p.p. dettano i criteri di applicazione di misure coercitive a persone di cui sia richiesta l’estradizione, nel primo caso a fronte di una richiesta di estradizione già pervenuta allo Stato italiano, nel secondo caso (denominato «arresto provvisorio» come risulta ex art. 701 c.p.p.) in pendenza di richiesta di estradizione da parte di uno stato terzo, qualora siano soddisfatti i requisiti dell’art. 715 co. 2: lo stato estero ha dichiarato di aver emesso una misura cautelare personale o una sentenza di condanna a pena detentiva, e di voler trasmettere la richiesta di estradizione; lo stato estero ha specificato l’identità del catturando, descritto i fatti, e qualificato i reati; vi è pericolo di fuga. L’art. 716 c.p.p. prevede che, nei casi d’urgenza, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto della persona nei cui confronti sia stata presentata domanda di arresto provvisorio, al ricorrere dei requisiti di cui all’art. 715 co. 2. Eseguito l’arresto, la P.G. informa il Ministro della giustizia e mette l’arrestato a disposizione del Presidente della Corte d’appello, entro 48 ore.

Gli artt. 11 e 14 della legge 237/2012 disciplinano il procedimento per la richiesta e l’applicazione di misure cautelari, nel primo caso a fronte di una richiesta di consegna già trasmessa dalla Corte Penale Internazionale, nel secondo caso in pendenza della richiesta di consegna da parte della Corte, qualora siano soddisfatti i seguenti requisiti: la Corte ha dichiarato di aver emesso un provvedimento restrittivo nei confronti del catturando e di voler trasmettere la richiesta di consegna; la Corte ha specificato l’identità del catturando, descritto i fatti, e qualificato i crimini.

A fronte dell’evidente simmetria con gli artt. 714 e 715 c.p.p., la legge 237/2017 non include una previsione corrispondente all’art. 716 c.p.p.

Ebbene, riconosciuta la specialità della legge 237/2012 rispetto alla disciplina codicistica, deve applicarsi l’art. 3 della legge 237/2012, secondo cui si osservano le regole del libro undicesimo del codice di procedura penale se non diversamente disposto dalla legge 237/2012 stessa e dallo Statuto di Roma. Nulla evidentemente impedisce l’arresto del catturando d’iniziativa della polizia giudiziaria nello Statuto di Roma – che anzi esige la cooperazione degli stati firmatari alla consegna dei catturandi. Del pari, nessuna disposizione della legge 237/2012 impedisce l’arresto d’iniziativa secondo le forme dell’art. 716 c.p.p. Gli artt.11 e 14 della legge 237/2017 disciplinano infatti il diverso istituto dell’applicazione di misure cautelari da parte della Corte d’Appello, senza disporre alcunché sul diverso istituto dell’arresto di iniziativa della polizia giudiziaria – per il quale, in mancanza di disposizioni della legge speciale, continuano ad applicarsi le richiamate norme della legge generale.

In conclusione, l’arresto di Osama Almasri Njeem operato dalla Polizia di Stato meritava di essere convalidato ex art. 3 legge 237/2012 e 716 c.p.p.

La mancata cooperazione dello Stato italiano alla consegna del catturando, in violazione dello Statuto di Roma e degli artt. 4, 11 e 14 della legge 237/2012, è dipesa tuttavia dalla inerzia del Ministro della giustizia nella trasmissione alla Procura generale degli atti ricevuti dalla Corte Penale Internazionale – indipendentemente da qualsiasi valutazione sulla ritualità dell’arresto.

[**]

Valeria Bolici, giudice presso il Tribunale di Bologna

Alberto di Martino, professore ordinario di diritto penale, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

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