1. Il decreto legge n. 90/2014: ufficio per il processo e tirocini formativi.
Il decreto legge n. 90/2014 detta misure urgenti per l’efficienza degli uffici giudiziari. L’art. 50, intitolato “Ufficio per il processo”, è collocato nel titolo IV, capo II del decreto (“Disposizioni per garantire l’effettività del processo telematico”) e contiene due norme di importanza cruciale per conseguire gli obiettivi che il decreto si propone (e, come vedremo, non solo per questi). Le due norme vanno a modificare leggi diverse, ma sono fra loro strettamente – se non inscindibilmente - collegate.
- Il 1° comma dell’art. 50 (attraverso l’inserimento dell’art. 16-octies nella l. 221/2012), costituisce presso le Corti d’Appello e i Tribunali “strutture organizzative denominate ufficio per il processo”, di cui fanno parte, oltre al personale di cancelleria e ai giudici onorari, coloro che svolgono presso quegli uffici i tirocini formativi disciplinati dall’art. 37 della l. 111/2011 e quelli disciplinati dall’art. 73 della l. 69/2013.
- Il 2° comma dell’art. 50 modifica proprio quest’ultima norma (l’art. 73) prevedendo, da un lato, che i tirocini possano svolgersi, oltre che presso i Tribunali e le Corti d’Appello, anche presso le Procure della Repubblica presso i Tribunali; e dall’altro che l’esito positivo di questi stages costituisce titolo per l’accesso al concorso per magistrato ordinario.
Queste disposizioni non sono nuove. L’ufficio per il processo compare per la prima volta in un disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 23 maggio 2007. La “corsia preferenziale” di accesso al concorso per gli stagisti era prevista nel testo originario del decreto legge 69/2013 (c.d. “decreto del fare”), ma era stata cancellata in sede di conversione. Qual è la portata di queste norme? Perché erano state cancellate e, soprattutto, perché si è avvertita la necessità di introdurle di nuovo?
2. L’ufficio per il processo: le risposte degli uffici a una necessità organizzativa.
L’ufficio per il processo è una struttura di supporto al lavoro giudiziario. La sua introduzione costituisce una rivendicazione storica della magistratura, che avverte l’inadeguatezza di un modello organizzativo in cui il magistrato è lasciato sostanzialmente solo a svolgere una moltitudine di incombenze, talvolta non particolarmente qualificate, e che spesso poco hanno a che vedere con l’essenza della funzione giurisdizionale. La richiesta di una assistenza effettiva al lavoro giudiziario (che esiste in pressoché tutti i paesi europei) è sentita con più urgenza quando, come nel momento presente, si fanno più forti le istanze e le pressioni per garantire un processo ragionevolmente breve.
Questa richiesta – sulla cui fondatezza nessuno muove contestazioni – è tuttavia rimasta insoddisfatta principalmente a causa della carenza di risorse economiche adeguate a realizzare un simile servizio. Da qui è nata negli ultimi anni l’iniziativa di alcuni uffici giudiziari che hanno sperimentato forme di organizzazione in qualche modo innovative, variamente coinvolgendo le università e i consigli dell’ordine degli avvocati. E’ così accaduto, nei fatti, che la strada dell’organizzazione ed efficienza degli uffici si è incrociata con l’istituto dei tirocini, volto a soddisfare un’esigenza apparentemente distante, quella di formazione e di inserimento delle nuove generazioni nel mondo del lavoro.
L’art. 50 del D.L. 90/14 prevede che facciano parte dell’ufficio per il processo: il personale di cancelleria, i giudici onorari di tribunale, gli stagisti che svolgono presso gli uffici il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/13 ovvero la formazione professionale ex art. 37 d.l. 98/11. Poiché le prime due categorie di soggetti sono già inquadrate, a vario titolo, fra il “personale ausiliario”, la loro presenza nell’ufficio del processo nulla aggiunge alle risorse di cui il “sistema giustizia” già oggi dispone; tanto più che a questo personale non possono essere destinate nuove risorse, visto il divieto di maggiori oneri a carico della finanza pubblica contenuto nello stesso art. 50 del decreto. E’ quindi evidente che l’ufficio per il processo potrà avere un positivo impatto sull’organizzazione giudiziaria solo se di esso faranno parte (stabilmente e in numero adeguato) i tirocinanti. In questo senso si può dire che il legislatore ha riconosciuto il valore, l’efficacia e la potenzialità espansiva di quelle esperienze in cui gli stagisti sono stati proficuamente inseriti nell’organizzazione dell’ufficio.
3. Quali tirocini è possibile svolgere oggi negli uffici? A chi sono rivolti?
Attualmente è possibile svolgere un tirocinio presso gli uffici giudiziari in base alle disposizioni di due norme: l’art. 37 della 111/2011 e l’art. 73 della l. 98/2013. Si tratta di tirocini che, pur avendo contenuto analogo, hanno presupposti e finalità differenti. Infatti:
- i tirocini ex art. 37 presuppongono la stipula di una convenzione fra l’ufficio giudiziario e il consiglio dell’ordine, o la facoltà universitaria, o la scuola di specializzazione (SSPL); hanno durata di 12 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica forense per l’ammissione all’esame da avvocato, o il primo anno del corso di dottorato o il primo anno della scuola di specializzazione;
- i tirocini ex art. 73 non richiedono alcuna convenzione, né l’iscrizione del tirocinante alla pratica forense o alla scuola di specializzazione; richiedono però il possesso di requisiti soggettivi (età, voto di laurea, voti in alcuni esami); hanno durata di 18 mesi; sostituiscono il primo anno di pratica per l’ammissione all’esame da avvocato o da notaio; sostituiscono anche il primo anno di scuola di specializzazione, ma il tirocinante è comunque tenuto a sostenere le verifiche intermedie e finali (e quindi deve essere iscritto alla scuola e pagare le relative tasse); l’esito positivo di questo tirocinio costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi pubblici, e titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario.
In sostanza, i tirocini del primo tipo (che, nella pratica, sono stati attivati solo in base a convenzioni con gli ordini degli avvocati, non essendo state stipulate convenzioni con le SSPL) si inseriscono in un percorso formativo orientato alla libera professione; sostituiscono quindi (solo se vengono stipulate convenzioni con i consigli dell’ordine e alle condizioni in esse stabilite) un anno della pratica presso lo studio di avvocato; resta ferma la necessità per il tirocinante di completare il percorso svolgendo altri 6 mesi di pratica effettiva presso uno studio professionale. Al termine di questi 18 mesi, chi ha scelto di percorrere questa strada, potrà accedere all’esame da avvocato. Va anche notato che le convenzioni con gli ordini professionali prevedono di solito un controllo da parte del Consiglio sull’attività formativa svolta durante lo stage.
I tirocini del secondo tipo sono piuttosto destinati a chi intende entrare a far parte dell’amministrazione della giustizia; chi vi accede non è tanto interessato a sostenere l’esame da avvocato (per il quale dovrebbe svolgere 18 mesi di tirocinio più altri 6 di pratica legale effettiva: quindi 24 mesi invece di 18); intende piuttosto svolgere un’esperienza in stretto affiancamento a un magistrato, inserito nella organizzazione giudiziaria (l’art. 73 4° comma prevede fra l’altro che il Ministero debba fornire a questi stagisti l’accesso ai sistemi informatici). Del tutto coerentemente quindi l’art. 73 prevede il titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi; e considera questi stages titolo di preferenza per la nomina a giudice onorario.
E’ perciò paradossale che, in sede di conversione del d.l. 69/13, si sia abrogato il comma 12 dell’art. 73 che riconosceva a questi tirocini il valore di titolo d’accesso al concorso per magistrato ordinario. In questo modo infatti si è impedito il più naturale sbocco al percorso formativo di questi stagisti; e si è privato questo istituto di ogni appeal, come dimostrano le scarsissime domande fino ad oggi pervenute agli uffici giudiziari.
4. Perché la norma sull’accesso degli stagisti al concorso era stata cancellata?
Dai lavori parlamentari (si veda la discussione al Senato del 7 agosto 2013) emergono tre ordini di motivi a supporto della scelta di sopprimere il comma 12 dell’art. 73, che consentiva agli stagisti, dopo 18 mesi di tirocinio, di accedere al concorso per magistrato:
- l’esigenza di non discriminare la partecipazione al concorso sulla base del voto di laurea (che è uno dei requisiti per accedere ai tirocini), ritenuto indicativo non tanto della preparazione dello studente, ma piuttosto della sua possibilità di accedere (magari a pagamento) a università “privilegiate” e meno selettive; da questo stato di cose deriverebbe anche una discriminazione sulla base del censo per l’accesso alla magistratura;
- l’esigenza di non favorire gli stagisti (i quali potrebbero accedere al concorso per magistrato dopo 18 mesi) rispetto ai praticanti avvocati (che, invece, per accedere in magistratura, dovrebbero prima completare la pratica e poi superare l’esame da avvocato);
- l’incompletezza, per gli stagisti, del percorso formativo che conduce al concorso, a cui potrebbero partecipare anche senza aver frequentato la SSPL né sostenuto l’esame da avvocato.
Si tratta di argomenti per più aspetti non condivisibili, infatti:
- presupporre che i voti universitari (di esame e di laurea) non siano indicativi della effettiva preparazione significa scardinare – senza alcuna argomentazione concreta a supporto – uno dei capisaldi dell’attuale sistema formativo, che a quelle valutazioni annette invece valore (il voto di laurea non è requisito d’accesso per il concorso per magistrato, ma per molti altri concorsi sì);
- non si coglie quale discriminazione “per censo” si verificherebbe consentendo agli studenti di accedere al concorso senza la necessità di frequentare una costosa scuola di specializzazione; pare piuttosto che una simile discriminazione – oggi invero esistente – verrebbe eliminata o ridimensionata;
- lo svolgimento positivo del tirocinio consente l’accesso al concorso, non alla carriera di magistrato: i timori sulla inadeguata preparazione dei futuri magistrati non paiono quindi fondati; non va comunque dimenticato che lo stage ex art. 73 è in affiancamento a un magistrato ed ha finalità formative;
- non sussiste alcuna “discriminazione” rispetto agli stagisti ex art. 37 l. 111/2011, soprattutto se si considera la diversità dei due percorsi come sopra tratteggiata: in entrambi i casi una pratica professionale di 18 mesi, condotta in affiancamento alla figura di riferimento (avvocato o magistrato) dà titolo per accedere ai relativi esami; sono poi i Consigli dell’ordine a decidere volta per volta, con le convenzioni di cui all’art. 37, se e in che modo lo stage presso l’ufficio giudiziario possa sostituire un periodo di pratica professionale (non superiore a 12 mesi).
Va comunque sottolineato che nel dibattito parlamentare dell’agosto 2013 non si è presa in considerazione l’esigenza degli uffici giudiziari di potersi avvalere di personale di supporto. E non sono stati quindi spesi argomenti a favore o contro il mantenimento della norma in questa diversa prospettiva.
5. Quanto sono importanti i tirocini nella organizzazione degli uffici giudiziari?
Per comprendere l’importanza dei tirocini nell’attuale assetto degli uffici giudiziari, va richiamata la recente (29 aprile 2014) risoluzione adottata dal CSM su questo tema. Il Consiglio, muovendo dalla valutazione delle esperienze svolte in alcuni uffici, ha inteso dettare una normativa di dettaglio per favorire l’attuazione di una disciplina uniforme, eliminando dubbi e incertezze applicative.
Si legge in questa risoluzione: “I positivi risultati che stanno emergendo da alcune esperienze, dalle quali si evincono ripercussioni in termini di risparmio di spesa e di maggior efficienza sul lavoro del giudice, con diretta incidenza sull’arretrato, inducono a un approccio di favore verso l’adozione dello strumento dei tirocini formativi presso gli uffici giudiziari, con auspicio di ampia diffusione a livello nazionale”. E ancora: “I tirocini formativi devono ormai considerarsi strumenti organizzativi del lavoro del magistrato, costituendo essi indubbiamente un’occasione di riflessione sui modelli “ufficio del giudice” o “ufficio del processo””. Nello stesso provvedimento i tirocini sono definiti un “fondamentale strumento”, “in grado di imprimere un formidabile impulso organizzativo agli uffici”.
L’opportunità offerta dai tirocini come strumento organizzativo è stata colta dal Governo anche in relazione al processo civile telematico. Non è casuale, infatti, che l’art. 50 sia inserito nel capo II del decreto 90/14, intitolato “Disposizioni per garantire l’effettività del processo telematico”. E l’ufficio per il processo viene istituito proprio per “garantire la ragionevole durata del processo, attraverso l’innovazione dei modelli organizzativi ed assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”. Due considerazioni al riguardo:
- il PCT – che per la sua efficienza di sistema è innovazione da salutare con favore – mette i giudici e il personale di cancelleria davanti a nuove incombenze, che richiedono il continuo interfacciamento con lo strumento telematico; questo nuovo metodo di lavoro prevede “strutturalmente” una figura di assistente per il giudice, tant’è vero che la Consolle del Magistrato prevede l’accesso al sistema come “giudice” o come “assistente del giudice”; questa figura di assistente è però, ad oggi, inesistente;
- il processo telematico non incide, di per sé, sulla durata del processo; anzi, nella misura in cui grava il magistrato di nuove incombenze e modifica il suo metodo di lavoro, rischia di comportare, almeno in una prima fase, una dilatazione dei tempi processuali.
Il Ministro della Giustizia ha di recente proposto una incisiva riforma del processo civile, con la precipua finalità di ridurne la durata. Tuttavia, se si considerano gli scarsi risultati che le numerose e recenti riforme processuali hanno prodotto sui tempi del processo, è ragionevole ipotizzare che ogni aumento di efficienza del sistema giustizia non possa passare, che attraverso un sacrificio dei diritti individuali (maggiori costi per accedere al processo, riduzione dei gradi del giudizio, filtri per le impugnazioni, ...) o, in alternativa, attraverso un significativo aumento delle risorse. Ma nella attuale fase socio-economica, questa seconda via pare preclusa … (come conferma in modo eloquente anche l’art. 50 del d.l. 90/14, che vuole sì istituire l’ufficio per il processo, ma senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica).
6. Perché le attuali norme non garantiscono l’efficacia degli stages.
In definitiva, l’unico modo per assicurare – subito e con le risorse a disposizione – un concreto supporto all’organizzazione degli uffici, nel momento cruciale della entrata in funzione del PCT, è quello di consentire che, attraverso i tirocini formativi, gli uffici possano contare su un apporto stabile e duraturo di assistenti qualificati. Nella risoluzione dello scorso aprile il CSM sottolineava: “La decisività dello strumento [dei tirocini, n.d.a.] richiede una regolamentazione che sia al contempo duttile ed in grado di rispondere alle diverse ragionevoli esigenze dei tirocinanti, assicurando al contempo agli uffici la disponibilità in continuità e stabilità dell’apporto del giovane, in modo da consentire la realizzazione di moduli organizzativi durevoli, stabili ed efficaci”. In altri termini: non serve un apporto occasionale, ma stabile e duraturo, sul quale l’ufficio possa contare per la propria organizzazione. Le norme sui tirocini (prima del decreto 90/14) non assicuravano un flusso adeguato e stabile di tirocinanti, perché:
- i tirocini di cui alla l. 111/2011 sono destinati a chi è orientato alla libera professione; questa tipologia di studente tende a preferire occasioni di inserimento in uno studio professionale, ritenute più formative rispetto alle sue specifiche esigenze (e anche perché fonte di una, sia pur minima, retribuzione, del tutto esclusa negli stages);
- i tirocini di cui alla l. 98/2013 sono incentivati in modo assolutamente inadeguato: allo stagista è richiesto un profilo personale molto elevato (voto non inferiore a 27 negli esami più importanti del corso di laurea e voto di laurea non inferiore a 105), gli viene imposta una permanenza di ben 18 mesi, a fronte dei quali si vede riconosciuta la “utilità” di essere preferito a parità di punteggio nei concorsi pubblici e di avere un titolo di preferenza per fare il magistrato onorario (è inutile sottolineare che uno studente con quel curriculum difficilmente aspira a fare il giudice onorario …); assolutamente sconveniente è poi questo percorso per chi intenda sostenere l’esame di accesso alle professioni di avvocato o notaio: anziché 18 mesi di pratica dovrebbe svolgere 18 mesi di tirocinio più 6 mesi di pratica. Questo stagista sarebbe il “candidato-tipo” per il concorso da magistrato; ma per poterlo sostenere egli dovrebbe, oltre a fare il tirocinio, anche iscriversi alla scuola di specializzazione (pagare le tasse e sostenere gli esami), pur potendo non frequentarla per il primo anno. In alternativa, egli dovrebbe sostenere l’esame da avvocato (che potrà fare dopo 18 mesi di tirocinio e altri 6 di pratica) e, dopo averlo superato, accedere al concorso.
La conclusione, scontata, è che qualsiasi studente che non voglia buttare il proprio tempo e le proprie energie si terrà bene alla larga dai tirocini offerti dalla l. 96/2013. Potrà invece accadere (ed effettivamente accade, negli uffici che hanno attivato le convenzioni con i Consigli dell’Ordine) che qualche aspirante avvocato, desideroso di fare un’esperienza formativa diversa, acceda ai tirocini previsti dalla l. 111/2011. Ma questi stagisti non costituiscono certo un flusso continuo, stabile e durevole su cui gli uffici possano impostare un qualsiasi progetto organizzativo.
7. L’importanza della nuova norma nel percorso formativo degli studenti.
L’art. 50 del decreto 90/14 ha invece (re)introdotto una prospettiva di sicuro interesse per gli studenti che puntano al concorso in magistratura e, al tempo stesso, una concreta possibilità per gli uffici giudiziari di disporre di quegli assistenti qualificati oggi indispensabili. Resta da domandarsi: ci sono controindicazioni a questa via? Si sono già esposti i motivi per cui le obiezioni emerse nel dibattito parlamentare (che hanno portato alla cancellazione della norma nell’estate del 2013) non appaiono convincenti. Al contrario, il tirocinio formativo con possibilità di accesso al concorso offre agli studenti una prospettiva che valorizza il loro percorso universitario, dà loro l’opportunità di conoscere da vicino il lavoro giudiziario e di formarsi “sul campo”.
Va poi sottolineato che il tirocinio non si sostituisce alla preparazione teorica, indispensabile per il superamento del concorso. Ma lo studente che sceglie questo percorso potrà (non già dovrà, essendo ben possibile la contemporanea frequenza dei corsi delle scuole di specializzazione) costruirsi questa preparazione teorica in modo diverso. Va invece sottolineato che la possibilità di accesso diretto al concorso assicura ai capaci e ai meritevoli (coloro che hanno i titoli previsti dall’art. 73) un concreto vantaggio economico: non dover sostenere i costi per due anni di iscrizione alle scuole di specializzazione. La norma quindi – lungi dal destare i dubbi di costituzionalità a cui si è fatto riferimento nella discussione parlamentare – costituisce una concreta attuazione del diritto allo studio sancito dall’art. 34 della nostra Costituzione.
8. Stages e risorse per l’organizzazione degli uffici.
Un’ultima osservazione. Uno dei principali elementi che rende privi di attrattiva i tirocini come attualmente disciplinati è la mancanza di ogni remunerazione economica: non sono previste borse di studio, indennità, rimborso spese e neppure coperture assicurative per gli stagisti. Tuttavia entrambe le leggi sui tirocini consentono la partecipazione alle convenzioni coi Tribunali anche di “terzi finanziatori”, che possono erogare borse di studi e rimborsi per i tirocinanti.
Queste norme sono espressione di una scelta legislativa discutibile e da più parti criticata: quella di lasciare ai dirigenti degli uffici giudiziari il compito e la responsabilità di reperire (attraverso convenzioni o accordi con soggetti terzi) le risorse economiche necessarie al buon funzionamento dell’ufficio. Senza considerare che ogni apporto economico non proveniente da fonti istituzionali riduce inevitabilmente la trasparenza e l’imparzialità dell’azione giudiziaria.
La norma inserita nel decreto sembra segnare un’inversione di rotta: il legislatore riconosce di non poter porre a carico della finanza pubblica alcun onere per istituire gli uffici per il processo; tuttavia si fa carico di individuare, responsabilmente e in modo trasparente, il beneficio per i soggetti che di quell’ufficio devono costituire la colonna portante.
9. Conclusioni.
Una norma apparentemente marginale, come quella sulla possibilità per gli stagisti di accedere al concorso per magistrato, si colloca dunque al crocevia fra diverse questioni di stringente attualità: le opportunità di inserimento nel mondo del lavoro per i giovani laureati, la valorizzazione dei diversi modelli di formazione, la durata dei processi, l’organizzazione degli uffici giudiziari e il reperimento delle risorse necessarie a renderli efficienti. Il nuovo comma 11-bis dell’art. 73 è da salutare con estremo favore, perché rappresenta una scelta trasparente, netta e, in qualche misura, innovativa. In chiusura, due auspici:
- che nella (non tanto) calda estate del 2014 il comma 11-bis non subisca la stessa sorte del suo sfortunato predecessore (il comma 12 dell’art. 73), che venne abrogato in fase di conversione;
- che gli uffici giudiziari sappiano cogliere appieno le opportunità del nuovo strumento, adottando moduli organizzativi capaci di coniugare al livello più alto efficienza e offerta formativa.