In questi mesi, i tribunali e le procure d’Italia si stanno popolando di nuove figure: gli stagisti del c.d. decreto del fare, d’ora in poi amichevolmente “faristi”, che si sommano ai colleghi in tirocinio ordinario e mirato, ai tirocinanti delle scuole di specializzazione, ai tirocinanti delle tante convenzioni stipulate dagli uffici giudiziari.
La presenza di questi ragazzi, molto spesso preparati, spesso motivati, rappresenta una grande occasione per la magistratura italiana.
Molti di loro, tenteranno e supereranno il concorso ed avremo colleghi che già sono abituati allo studio dei fascicoli ed alle discussioni in camera di consiglio.
Molti di più, e questo mi pare più importante, eserciteranno la professione forense. Avremo dunque una generazione di giovani avvocati che hanno avuto dimestichezza con il lavoro del giudice, ne hanno conosciuto la fatica e la solitudine, hanno visto le difficoltà quotidiane ed hanno potuto sperimentare come una leale collaborazione fra le parti possa rendere un servizio giustizia migliore.
Per questo, se e quando lavoriamo con questi ragazzi dobbiamo dare il meglio di noi, spendendoci con generosità e mantenendo alti i livelli di professionalità. Solo così, essi avranno una buona immagine della magistratura e porteranno questo ricordo nella loro eventuale futura professione.
La presenza dei "faristi", poi, per un tempo anche lungo, diventa un continuo stimolo per i giudici affidatari formatori, che sono interrogati e si interrogano sul perché di certe scelte organizzative o di certe decisioni o di certi comportamenti. Insomma, uno stimolo continuo a non dare nulla per scontato.
La scommessa dei faristi è quella di “formarsi facendo”: l’amministrazione della giustizia offre ai ragazzi esperienze formative in cambio di attività al servizio degli uffici.
Per raggiungere tale obiettivo è necessario evitare sia modelli di organizzazione degli stage troppo accademici, zeppi di lezioni frontali, sia il bieco sfruttamento dei “faristi” in attività manuali.
Siamo agli inizi ed è difficile inquadrare i “faristi” e capire cosa in concreto debbano e possano fare. Possiamo cominciare a chiarirci cosa è opportuno che non diventino.
Devono essere banditi (anche se è naturale che la tentazione venga a tutti e qualche “scappatella” è ammessa):
1) il “farista” peripatetico, che segue il suo giudice affidatario formatore per i corridoi del Tribunale, sentendolo distillare le sue pillole di dottrina giuridica;
2) il “farista” garzone, che prende il caffè dalla macchinetta, porta i faldoni in cancelleria, va a spostare all’ombra l’auto del giudice formatore affidatario quando il sole comincia a picchiare;
3) il “farista” soprammobile, che rimane seduto su un cumulo di faldoni (sedie libere non ce ne sono mai) a cercare di intuire quello che il giudice affidatario formatore sta facendo;
4) il “farista” svuota armadi, che viene subito investito del compito di fare quelle liquidazioni dei compensi del custode che ci guardano tristi dagli armadi da mesi e non abbiamo mai il coraggio di prendere in mano;
5) il “farista” strafigo, che siccome ha un dottorato in diritto penale viene subito incaricato di scrivere quella maledetta sentenza di colpa medica, i cui termini stanno scadendo (anche perché, altrimenti, i MOT a che servono?).
I “faristi” devono fare e, facendo, devono imparare e, facendo, devono dare una mano all’amministrazione della Giustizia.
Devono allora essere coinvolti in attività che servano a loro ma che aiutino noi.
Sicuramente, i “faristi”, dopo un congruo periodo di allenamento, possono redigere la scheda del processo.
Per esempio, possono, per ciascun processo, su una scheda standard magari digitale così da rendere più facili le modifiche e le condivisioni con il magistrato affidatario formatore, appuntare i dati dell’imputato, i difensori nominati, il domicilio eletto (aggiornandolo ogni volta che cambia), il suo status cautelare (segnando i termini di fase di eventuali misure e aggiornando periodicamente gli “scadenzari” cartacei o informatici che siano), il suo status processuale; il reato contestato, con l’indicazione delle eventuali condizioni di procedibilità e termini di prescrizione; le liste depositate, verificandone la tempestività o la ripetizione dei nomi dei testimoni (aggiornando ogni volta l’elenco dei testi sentiti e di quelli da sentire); l’indice dei documenti prodotti e la verifica se tutti i documenti dei quali si è chiesta l’acquisizione siano stati effettivamente prodotti.
La cura sistematica di questi dati rappresenta un’importante esercitazione per il “farista” che impara a maneggiare i fascicoli, a distinguere le carte che servono da quelle altre decine di carte che infestano le scrivanie, a calcolare i termini delle misure cautelari e della prescrizione, a valutare il “peso” dell’istruttoria e dunque a calibrare il calendario dell’udienza. Ma è anche un valido contributo per il giudice, che ha sempre sotto occhio il contenuto del fascicolo e per la cancelleria che risale più facilmente allo status dell’imputato, ai suoi difensori, al luogo di elezione del domicilio.
I “faristi” possono leggere, studiare e riassumere i contenuti delle deposizioni testimoniali, aggiornando il riassunto dei fatti narrati dai testi, udienza dopo udienza.
In tale modo, si allenano alla scrittura, sempre più negletta nelle scuole superiori e di fatto inesistente nelle facoltà giuridiche, alla selezioni delle notizie rilevanti per il processo, a cogliere le strategie difensive dal modo di fare il controesame.
Esercitazione utilissima e palestra fondamentale per capire in che ordine fare le domande e perché certe domande non conviene farle.
Il giudice avrà sempre “a disposizione” il riassunto delle attività svolte e delle prove raccolte; in tale modo, potrà meglio intervenire nell’istruttoria futura, revocare l’ammissione dei testi divenuti inutili, saggiare l’opportunità di decisioni ex art. 507 cpp, avere già pronta, se il “farista” è formato bene, la motivazione “in fatto” della sentenza.
I “faristi” possono compilare e/o aggiornare le artigianali rassegne di giurisprudenza che ciascuno di noi - immagino- predispone. Molti di noi, raccolgono (in file di testo o nelle “voci di glossario” di Word) piccole raccolte "per argomento" di massime di giurisprudenza, in modo da reperirle, copiarle ed incollarle nelle motivazioni, quando se ne presenta la necessità.
A titolo di esempio, io ho una mezza paginetta di massime su: “l’attendibilità della deposizione della parte civile”, “ la valutazione delle dichiarazioni dei chiamanti in correità”, “l’utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche”, “il dolo nella ricettazione”, “la nozione di atto sessuale”, “il concorso del palo nella rapina”, “il V comma”, “gli atti persecutori”, ecc.
E’ necessario curare ed aggiornare questo archivio personale, sia per dare atto di mutamenti giurisprudenziali, sia pure solo per tenere aggiornate le citazioni.
E’ un lavoro per noi faticoso, salvo scoprirne l’utilità al momento del bisogno, magari quando si è disconnessi e non si ha una banca dati a disposizione oppure si ha un gran fretta.
Per il “farista” è inveca è un’occasione straordinaria di studio, che coniuga fattispecie astratte a problemi concreti.
Assegnare questi piccoli compiti, seguirli nel loro svolgimento, verificarne i progressi mese dopo mese, scoprirli all’improvviso capaci di scrivere bozze di provvedimenti: in poco tempo, l’esperienza di giudice affidatario formatore diventa gratificante ed il “farista” diventa un valido aiuto.
Per raggiungere questo scopo, bisogna sapere motivare i ragazzi che timidamente entrano nelle nostre stanze, coinvolgerli nell’attività del giudice, imparare a lavorare in gruppo, a delegare ed a fidarsi del lavoro altrui.
Serve, dunque, una rivoluzione copernicana rispetto all’immagine classica del giudice, solo nella sua camera di consiglio.
Serve la pazienza per le prime settimane di addestramento, serve abbandonare il sacro terrore che qualcun altro metta mano nel nostro fascicolo (che, quando siamo a casa, è invece mille volte violato in cancelleria), serve mettersi in gioco anche mostrando le debolezze quotidiane del nostro lavoro.
Solo chi è disponibile a fare questo percorso dovrebbe essere scelto come giudice affidatario formatore.
Ma serve anche adottare un modello organizzativo dinamico di giudice penale dibattimentale.
L’attività del giudice non è solo quella di decidere il processo e redigere la sentenza (che un “farista” sicuramente non può scrivere) ma è anche lo studio del fascicolo, la scrittura della sentenza in progress, almeno nella parte “in fatto”, la preparazione dell’udienza, l’aggiornamento professionale.
Una conoscenza approfondita del singolo fascicolo, aggiornata dopo ciascuna udienza, step by step, renderà più veloce la decisione finale e più agevole la scrittura della sentenza.
La verifica, udienza dopo udienza, delle acquisizioni probatorie maturate consentirà di gestire meglio il dibattimento, revocare l’ammissione dei testi divenuti inutili, sollecitare approfondimenti di alcuni temi, arrivare alla fine del dibattimento effettivamente pronti alla decisione.
Il tempo speso, in settimana, per studiare i fascicoli ed appuntarne gli accadimenti, sarà tempo guadagnato in udienza ove nessuna decisione sarà presa a partire "da zero".
Sarà tempi guadagnato in camera di consiglio ove “lo svolgimento del fatto” sarà già chiaro ed appuntato per iscritto.
Sarà utile per calendarizzare il processo perché un calendario funziona, solo se si ha contezza del “peso” di ciascun processo chiamato per ogni udienza.
Solo il giudice che conosce bene il processo è capace di impedire le “divagazioni, interruzioni e ripetizioni” come il codice chiede che faccia.
I “faristi” ci possono aiutare a fare questo.
Se noi aiutiamo loro a farlo, possono davvero essere l’ufficio del processo a disposizione del giudice penale.