1. Osservazioni introduttive
Il problema della tutela cautelare e delle misure di protezione nell'ambito e con riferimento alla crisi di impresa alla luce del nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza[1] (di seguito CCII, in attuazione della l. 19 ottobre 2017, n° 155 e di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n°14), merita di essere affrontato avendo come primario riferimento lo scopo principale della predetta normativa, volta a far sì che le imprese sane in difficoltà finanziaria possano ristrutturarsi in una fase precoce in modo da evitare l'insolvenza, massimizzandone il valore totale per creditori, dipendenti, proprietari e per l'economia nazionale[2].
Così si esprime il Considerando 1 della Raccomandazione della Commissione della Unione europea del 12 marzo 2014 su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all'insolvenza, sfociato nella recente direttiva UE del 20 giugno 2019 in materia di ristrutturazione ed insolvenza (intervenuta in modifica della direttiva 2017/11321); il tutto attraverso, principalmente, la creazione di un sistema di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi di cui al Titolo II del CCII.
Ove le soluzioni stragiudiziali di composizione della crisi non portino ai risultati sperati, perché non attivate o concluse positivamente, le situazioni di crisi o di insolvenza debbono necessariamente trovare uno sbocco in ambito giudiziario.
Il nuovo CCII, a differenza della precedente legge fallimentare, disciplina in termini unitari il procedimento di accertamento giudiziale della crisi e dell'insolvenza, prevedendo una sorta di contenitore processuale uniforme delle iniziative di carattere giudiziale fondate sulla prospettazione della crisi o della insolvenza (di cui agli artt. 7 e 40 CCII) nel quale proporre tutte le domande ed istanze anche contrapposte di creditori, pubblico ministero e debitore, in vista della adozione o della omologazione, da parte del giudice competente, della soluzione più appropriata alle situazioni di crisi o di insolvenza.
In questa cornice, con al centro la finalità della riforma, trovano collocazione le misure cautelari e le misure protettive disciplinate unitariamente e, per qualche tratto indifferentemente, dagli artt. 54 e 55 CCII.
La domanda di accesso alle procedure regolatrici della crisi o dell'insolvenza di cui all'art. 40 CCII può infatti essere accompagnata dalla richiesta (al Tribunale o alla Corte di appello in pendenza del giudizio di reclamo di cui all'art. 50) di “misure protettive e di misure cautelari” che, pertanto, il tribunale può emettere sia nel corso del procedimento per l'apertura della liquidazione giudiziale che della procedura di concordato preventivo o anche di omologazione degli accordi di ristrutturazione[3].
Si tratta, tuttavia, di misure con ratio e finalità molto diversa: mentre le prime vengono disposte per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi e, di conseguenza, sono misure a tutela del debitore avverso iniziative dei creditori, le misure cautelari, viceversa, sono poste a tutela del patrimonio o dell'impresa del debitore, siccome pensate quali misure a tutela dei creditori avverso atti pregiudizievoli del debitore.
Com’è stato acutamente rilevato[4], con una è il debitore che richiede protezione manifestando l'esigenza che né i creditori (per esempio con una azione esecutiva individuale) né la legge (ad esempio con le conseguenze previste per la perdita di capitale sociale ex artt. 2446 e 2447 c.c.) possano pregiudicare il suo patrimonio al fine della regolazione della crisi, mentre con l'altra sono i creditori che non vogliono che il debitore compia atti pregiudizievoli al suo patrimonio tali da compromettere la procedura di liquidazione.
Del resto, il tema delle forme di protezione del patrimonio che debbono accompagnare le trattative con i creditori per garantirne il successo si è sempre “intrecciato”[5] con l'altro della richiesta in via cautelare, da parte dei creditori e nel corso dell'istruttoria fallimentare di un intervento del tribunale sul governo della società per ottenere, attraverso la sostituzione dell'imprenditore con un terzo che desse garanzie di indipendenza, il duplice risultato di influire sulla gestione della attività compromessa da scelte erronee o anche semplicemente dalla mancanza di obiettivi, dell'imprenditore prossimo al fallimento, e nel contempo evitare la dispersione dei valori della impresa nell'attesa della decisione sulla insolvenza.
Il tutto a seconda dell'angolo visuale in cui ci si ponga: quello dei creditori o piuttosto quello del debitore, con la non lieve differenza, oggi, che lo scopo della intera riforma è quello di evitare l'insolvenza; il che, inevitabilmente, incide sui presupposti per la concessione delle singole misure e sulla loro interrelazione.
In altre parole, la trattazione unitaria delle domande disposta dall'art. 7 del nuovo Codice può far confluire nel procedimento di accesso alle procedure di regolazione della crisi o della insolvenza, tanto le iniziative volte alla soluzione negoziale, quanto quelle rivolte alla apertura della liquidazione giudiziale.
Si tratta, in entrambi i casi, di provvedimenti provvisori che il giudice può emettere nell'unico procedimento o nei procedimenti riuniti ai sensi dell'art. 7, nell'ambito dei quali le pronunce verranno richieste. E, ancora, sono misure che presuppongono la pendenza della procedura e, nel caso delle misure protettive, l'indicazione nel ricorso introduttivo.
Su questa premessa di sistema, veniamo alle principali questioni che il delicato tema suggerisce di affrontare alla luce di una disciplina per certi tratti scarna e che pertanto, per la risoluzione di numerose questioni di non espressa soluzione, impone una ricostruzione che tenga necessariamente conto di principi processuali di carattere generale.
2. Le misure cautelari
Nella disciplina riformata, la nozione di “misura cautelare” si ricava espressamente dall'art. 2 (dedicata alle “definizioni”) lett. q, CCII), ai sensi del quale debbono intendersi misure cautelari “i provvedimenti cautelari emessi dal giudice competente a tutela del patrimonio e dell'impresa del debitore che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti delle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza”.
Si tratta di misure analoghe a quelle disciplinate dal previgente art. 15, 8° comma. l. fall. secondo cui, lo si ricorda, il tribunale, su istanza di parte, poteva emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o della impresa oggetto del procedimento (i quali avevano efficacia limitata alla durata del procedimento stesso e venivano confermati o revocati dalla sentenza dichiarativa del fallimento o revocati dal decreto che rigettava l'istanza)[6].
La norma, peraltro, ancora in vigore sino al 15 agosto 2020, è inserita nel procedimento di accertamento prodromico alla dichiarazione di fallimento e ha conosciuto una notevole diffusione, specie relativamente alle iniziative per la dichiarazione di fallimento promosse dal pubblico ministero[7].
Ebbene, al primo comma dell’art. 54 CCII[8] si stabilisce che nel corso del procedimento di accesso ad una della procedure di regolazione della crisi, segnatamente apertura della liquidazione giudiziale, procedimento di concordato preventivo o di omologazione degli accordi di ristrutturazione, su istanza di parte[9], il tribunale, può emettere provvedimenti cautelari che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza che dichiara l’apertura della liquidazione giudiziale o che omologa il concordato preventivo o gli accordi di ristrutturazione.
Infatti, nel dare indicazioni sul possibile contenuto del provvedimento[10], la formulazione del 1° comma dell'art. 54, menzionando i provvedimenti cautelari che appaiano, secondo le circostanze, più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della sentenza, evoca, inequivocabilmente, il disposto dell'art. 700 c.p.c. ed imprime al provvedimento cautelare il carattere della atipicità.
Dalla lettura della norma si evincerebbe pertanto trattarsi di una tutela cautelare atipica, che tuttavia non esclude il ricorso a misure più tradizionali, conservative del patrimonio, come i sequestri (sia pur intesi nella particolare chiave che li “cala” nell'ambiente fallimentare) e ciò nonostante la nuova norma non ne faccia più menzione.
Al pari di quanto accadeva in passato, pertanto, possono essere autorizzati sia i sequestri conservativi[11] che giudiziari[12].
Si tratterebbe, in tal modo, di potersi disporre ogni misura adatta a soddisfare l’esigenza cautelare che si manifesti nel singolo procedimento.
Come è stato subito opportunamente rilevato, nel passaggio dallo schema di decreto delegato elaborato dalla Commissione Rordorf alla versione attuale del codice, è stata modificata l'espressione per la quale la misura cautelare mirava ad assicurare provvisoriamente l'attuazione della sentenza di apertura della liquidazione giudiziale o di omologa del concordato preventivo o dell'accordo di ristrutturazione.
Assicurare l'attuazione anziché gli effetti della decisione stava così ad indicare l'esigenza che il contenuto della misura richiesta non fosse ricalcato esattamente ed interamente su quello delle pronunce, con l'esclusione perciò di una provvisoria dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale o della nomina di un curatore provvisorio.
Il particolare nesso di strumentalità che lega le misure cautelari al provvedimento conclusivo del procedimento aperto dal ricorso ex art. 40 CCII la cui attuazione la misura si voleva chiamata ad assicurare, postula pertanto oggi misure a carattere non totalmente anticipatorio[13].
Il comma 1° dell’art. 54 CCII prevede, peraltro, anche una forma specifica o tipica di cautela: la nomina di un custode dell’azienda o del patrimonio del debitore sulla falsariga del sequestro giudiziario di cui all'art. 670 c.p.c.[14]
Nell’esercizio dei propri poteri cautelari, il giudice può, cioè, nominare un amministratore giudiziario vero e proprio, il quale finisce per sostituire, di fatto, l’organo amministrativo del patrimonio e della impresa.
Indicando in positivo la nomina del custode, la volontà del legislatore delegato era quella di escludere, senza dirlo espressamente, figure diverse e più invasive[15], sulla falsariga dell'art. 2409 c.c., quali la nomina di un amministratore giudiziario vero e proprio in sostituzione in tutto e per tutto dell'organo amministrativo; ipotesi che si voleva riservata alla denuncia di gravi irregolarità sociali e non ripresa nel contesto della legge fallimentare in difetto di previsione espressa.
La fattispecie di cui all'art. 2409 c.c., pertanto, in mancanza di disposizione espressa come richiesto dall'art. 2908 c.c., pare non potersi trapiantare ex art. 54, nonostante l'atipicità dell'art. 700 c.p.c., in astratto, consenta la concessione di provvedimenti di ampia portata.
2.1. I presupposti della tutela cautelare
Trattandosi di misure cautelari di diritto civile, il creditore che agisca ai sensi dell'art. 54 CCII deve dimostrare l'esistenza dei consueti presupposti della tutela cautelare vale a dire il periculum in mora ed il fumus boni iuris, non constando ragioni per differenziarle.
Mentre il periculum consiste nel pregiudizio che può subire il diritto in conseguenza dei tempi fisiologici del processo, il fumus consiste, invece, nella presumibile esistenza del diritto che la parte istante ha chiesto o ha intenzione di chiedere in giudizio.
Quanto alla dimostrazione del periculum, tuttavia, esso è insito nella circostanza che l'imprenditore è in stato di allerta o di crisi e, di conseguenza, non va provato, essendo piuttosto in re ipsa, con ciò non costituendo più presupposto specifico della concessione della misura[16].
2.2. Il procedimento: l'art. 55 CCII
Il procedimento per la concessione delle misure cautelari, stando alla lettera della legge, appare chiaramente mutuato dal codice di procedura civile in materia di misure cautelari, vale a dire il rito cautelare uniforme di cui agli artt. 669-bis ss.
In tal modo, è stata colmata quella lacuna procedimentale circa l'iter che nella disciplina previgente il tribunale doveva seguire per la pronuncia dei provvedimenti cautelari di cui all’art. 15, comma 8°.
Circa la competenza, per la concessione delle misure cautelari ai sensi dell'art. 55 CCII, è competente il magistrato cui è affidata la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o della insolvenza dopo la designazione di questi da parte del Presidente del Tribunale o della sezione cui è affidata la procedura. Procede il giudice relatore se già delegato dal tribunale per l'audizione delle parti.
In ogni caso, la pronuncia spetta ad un giudice monocratico (nominato secondo criteri oggettivi e tabellari).
L'atto introduttivo del procedimento non può non essere il ricorso sia in virtù dell'indubitabile richiamo normativo al processo cautelare sia del fatto che il procedimento è comunque deformalizzato e a cognizione sommaria.
Il ricorso, oltre a contenere tutti i tipici elementi della domanda giudiziale, deve far espresso riferimento al fumus boni iuris ed al periculum in mora.
Con riferimento al contraddittorio, poiché l'art. 55 non fa che riprodurre il contenuto dell'art. 669-sexies c.p.c., il nuovo codice della crisi di impresa aderisce alla regola della concessione della misura cautelare con ordinanza dopo aver sentito le parti, vale a dire dopo aver attivato e rispettato il contraddittorio stesso.
Al pari di quanto accade per le misure cautelari di diritto civile, esse possono tuttavia essere concesse anche inaudita altera parte, quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento. In tal caso, si procederà alla concessione con un decreto motivato che conterrà anche la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti al fine della conferma, modifica o revoca del provvedimento.
Viene ad essere ricalcata, pertanto, integralmente, la previsione di cui all'art. 669-sexies c.p.c.[17]
Sebbene dal testo dell'art. 55 manchi il riferimento all'oggetto del provvedimento emanato nel contraddittorio delle parti, vale a dire all'ordinanza di accoglimento o di rigetto, come subito notato, si è trattato sicuramente di un errore giacché è ben chiaro dal tenore letterale dell'art. 55 che esso abbia voluto richiamarsi integralmente all'art. 669-sexies.
Circa l'attuazione delle misure, il nuovo CCII non esplicita alcuna norma. Nel silenzio normativo pare tuttavia doversi applicare integralmente l'art. 669-duodecies[18].
Con riferimento al regime delle impugnazioni, infine, il codice nulla dice. Stante il richiamo alla tutela cautelare del codice di procedura civile, si ritiene che il provvedimento possa certamente essere reclamato ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c[19].
3. Le misure protettive
Secondo la specifica “definizione” di cui all'art. 2 lett. p) CCII, le misure protettive sono quelle “misure temporanee disposte dal giudice competente per evitare che determinate azioni dei creditori possano pregiudicare, sin dalla fase delle trattative, il buon esito delle iniziative assunte per la regolazione della crisi o dell’insolvenza”.
Nell’art. 54 si è voluta sostanzialmente riprodurre la disciplina dell’art. 168 e del c.d. pre-accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis comma sesto l. fall.; istituto oggi decaduto in desuetudine per effetto della sopravvenuta efficacia del concordato con riserva, avente natura cautelare[20].
Così, le misure protettive, contemplate dall'art. 54 comma 2°, sono riprese dai previgenti artt. 168 e 182-bis, comma 6° l. fall. (cioè il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari con riferimento al concordato preventivo e l'accordo di ristrutturazione dei debiti) ed uniformate tra loro[21]. Non si è di conseguenza inteso elencarle specificamente, mentre, all’opposto, esse comparivano nell’originaria formulazione della bozza di schema delegato sotto forma di inammissibilità dell’azioni esecutive o cautelari sul patrimonio del debitore; sospensione delle procedure esecutive; divieto di acquisire titoli di prelazione se non concordati, prevedendosi in questi casi che le prescrizioni fossero sospese e le decadenze non si verificassero.
Dal momento che la suddetta elencazione non compare nella versione definitiva, al fine di stabilire quali siano le misure protettive, occorre mutuarle dalle singole disposizioni del codice.
Potrà trattarsi certamente del blocco delle azioni esecutive e cautelari da parte dei creditori sui beni del debitore (art. 54, 2° comma)[22]; della sospensione della prescrizione e dell'impedimento della decadenza (art. 54, 2° comma); del differimento degli obblighi previsti dagli artt. 2446, 2447, 2482-bis e ter c.c. e la non operatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita di capitale sociale di cui agli artt. 2484 e 2545-duodecies c.c. (art. 20, 4° comma).
Le misure protettive, a differenza di quelle cautelari, sono comunque misure tipiche giacché l'art. 20 stabilisce che il debitore può chiedere quelle “necessarie per condurre a termine le trattative in corso”, e non già prevedendo la possibilità che vengano disposte le misure che appaiano secondo le circostanze più idonee ad assicurare gli effetti della sentenza[23].
Come si è evidenziato in apertura, tali misure sempre diversamente da quelle cautelari, sono finalizzate ad evitare che le azioni dei creditori possano pregiudicare la soluzione della situazione di crisi, tanto che con esse non si chiede al giudice un provvedimento in funzione di un diritto, intendendosi piuttosto impedire un'azione in funzione della regolazione della crisi.
Si tratta, pertanto, di figure sui generis, nonostante che il nuovo CCII le disciplini nell'art. 54 assieme alle misure cautelari, mutuando da esse per sommi aspetti anche il procedimento (art. 55, comma 3° CCII)[24].
Le misure protettive non operano in modo automatico ma sono “disposte dal giudice” (al pari di quelle cautelari)[25].
Tuttavia, dal momento che il debitore ne ha fatto richiesta nella domanda di cui all'art. 40, il divieto opera fin dalla pubblicazione della domanda stessa nel registro delle imprese (art. 54 comma 2°): ciò significa che la misura è soggetta a provvedimento di conferma o revoca da parte del tribunale.
La durata massima delle misure è di 12 mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe ex art. 8 CCII[26].
La temporaneità delle misure può essere correlata anche alla loro revoca; revoca che deve essere disposta dal tribunale (in composizione collegiale) quando emergono atti di frode o quando l’organismo segnala che non vi sono possibilità di pervenire ad una soluzione negoziata della crisi o quando le trattative non progrediscono[27].
Sia il non automatismo delle misure che la previsione in ordine alla loro durata (previsti dall'art. 55 comma 3°) sono atti a garantire il giusto equilibrio tra gli interessi del debitore e dei creditori, in particolare quelli titolari di una garanzia. La durata, in particolare, dovrebbe essere quindi stabilita in funzione della complessità delle misure di ristrutturazione previste.
Le misure protettive, sempre ai sensi del terzo comma dell'art. 54, possono essere richieste dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima del deposito della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione. Possono inoltre essere chieste dal debitore che abbia già presentato l'istanza di composizione assistita della crisi o sia stato convocato dall'organismo OCRI[28]. In tal caso la domanda può essere pubblicata nel registro delle imprese.
Merita infine sottolineare come le misure protettive siano fuori dal perimetro del procedimento di allerta in quanto tale (art. 18 CCII) perché durante la fase dell’assunzione delle informazioni da parte del collegio che compone l’Organismo e durante la fase dell’audizione, non vi è alcuna protezione per il debitore; protezione che può scattare solo se all’esito dell’audizione il debitore decide di avviare la trattativa con i creditori sotto l’egida dell’Organismo medesimo[29].
3.1. I presupposti
Quanto ai presupposti per la concessione delle misure protettive, data la loro natura, appare difficile poter fare per le stesse riferimento al fumus boni iuris ed al periculum in mora.
Il fumus, infatti, è concetto che si perde nelle misure protettive, se con tale espressione si intende, come è opportuno e corretto, la probabilità dell'esistenza del diritto che la parte istante ha chiesto o ha intenzione di chiedere in giudizio. La regolazione della crisi è più da configurare come interesse che come diritto. Occorre offrire, pertanto, solo la prova sommaria della possibilità di attuare la regolazione della crisi medesima se la misura protettiva venga concessa e, viceversa, di non poterla regolare se la misura venga negata.
Quanto poi al periculum in mora esso è, come già per le misure cautelari, insito nella circostanza che l'imprenditore si trova in stato di crisi[30] o allerta.
3.2. Il procedimento
Riguardo al tipo di procedimento, occorre anzitutto fare distinzione tra le misure protettive nella fase di allerta, vale a dire la procedura stragiudiziale che si svolge innanzi agli OCRI, da quelle chieste nelle procedure di regolazione della crisi.
Mentre infatti nel primo caso, ai sensi dell'art. 20 CCII, esse sono chieste alla sezione specializzata in materia di imprese, negli altri la trattazione del procedimento, al pari di quanto accade per le misure cautelari, è affidata al magistrato cui compete la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o insolvenza (art. 55). Ciò significa che per ottenere una misura protettiva l'imprenditore in procedura di allerta deve sempre rivolgersi al tribunale delle imprese mentre, nei casi delle procedure di regolazione della crisi, è mantenuta la competenza dei tribunali circondariali (per le imprese di normali dimensioni).
L'istanza, come per la tutela cautelare, ha senz'altro la forma del ricorso. Il procedimento è disciplinato dall'art. 55.
A differenza delle misure cautelari, le misure protettive operano automaticamente dal momento della pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di accesso alle procedure di regolazione della crisi che sia accompagnata dalla richiesta del divieto di azioni esecutive e cautelari dei creditori (art. 54, comma 2°), ma sono soggette a conferma o revoca ad opera del giudice che ne stabilisce anche la durata.
L'intervento del giudice è pertanto spostato ad un momento successivo. La misura protettiva, dunque, ha sempre a monte un procedimento giurisdizionale. Si tratta di un procedimento deformalizzato a cognizione sommaria che ricalca quello cautelare all'esito del quale la misura è emanata nel contraddittorio tra le parti nonostante il codice propenda per il decreto e non per l'ordinanza giacché normalmente emanato dal giudice delegato nelle procedure concorsuali riveste tale forma.
Quanto agli artt. 669-bis e ss., essi potranno applicarsi in quanto compatibili. Ad esempio è considerato senz'altro applicabile l'art 669-duodecies con riferimento al loro rispetto e attuazione.
Circa le impugnazioni, infine, mentre per le misure protettive di cui all'art. 54, comma 2° è previsto il reclamo - sia pur non ex art. 669-terdecies bensì ex art. 124 - niente è stabilito con riferimento alle misure concesse nell'ambito del procedimento di composizione assistita ex art. 20.
Nel silenzio della legge è dunque ipotizzabile l'applicabilità dell'art. 669-terdecies c.p.c[31].
4. Osservazioni conclusive
L’interpretazione delle nuove norme come sopra delineata può consentire di trarre alcune, sia pur provvisorie, conclusioni, non solo in merito alle singole novità introdotte dalla riforma, ma più in generale sulla portata complessiva della stessa.
Nello specifico, se le misure cautelari dipendono sempre da un provvedimento del giudice, non così è anche per le misure protettive le quali talora sono automatiche[32], altre volte semi-automatiche[33] o ancora affidate alla sensibilità e discrezionalità del giudice stesso[34].
Ancora, le misure cautelari non hanno una scadenza predeterminata, bensì funzionalizzata al risultato da perseguire.
Le misure protettive, invece, sebbene anch’esse siano funzionalizzate, hanno una durata nel tempo che dipende da molteplici varianti; variabili che spaziano dalla discrezionalità del giudice di concederle, alla volontà del medesimo di non revocarle o ancora dal periodo massimo di applicazione.
Come rilevato in dottrina, vista la durata contingentata delle misure protettive, è certamente auspicabile un coordinamento con le misure cautelari in funzione non di limitare gli spazi di autonomia del debitore ma di dare la risposta più rassicurante per tutti i soggetti coinvolti nella crisi[35].
Ad ogni modo, la lacuna legislativa più rimarchevole sembra consistere nell’assenza di dovute indicazioni in merito a come debba essere affrontata la pendenza parallela del procedimento di composizione della crisi o del procedimento di allerta con la compresenza di un procedimento diretto alla apertura della liquidazione giudiziale. Infatti, allo scopo di paralizzare la concorrente iniziativa giudiziale le misure protettive non appaiono certamente idonee.
Si palesa allora il rischio che un tribunale possa dichiarare l’insolvenza trascurando quanto accade davanti all’OCRI. Difficilmente infatti sembrerebbe potersi applicare l’art. 7 CCII, laddove si stabilisce che il tribunale deve dare priorità di trattazione alle domande volta alla regolazione della crisi, poiché tale disposizione si fonda sulla compresenza di due procedimenti giurisdizionali, mentre quello dinanzi all’OCRI non lo è.
Secondo ancora parte della dottrina[36], l’unica soluzione sarebbe quella di considerare l’esaurimento del procedimento amministrativo come una sorta di causa di improcedibilità del procedimento giurisdizionale.
Certo è che l’esigenza di una riforma della crisi d’impresa e dell’insolvenza è nata per porre rimedio all’eccesso di produzione legislativa che ha interessato – specialmente tra il 2005 e il 2012 – le procedure concorsuali e che ha alimentato la formazione di contrasti giurisprudenziali e dottrinali; un’esigenza di risistemazione complessiva della materia concorsuale che si è resa necessaria anche in ragione delle sollecitazioni provenienti dall’Unione europea[37].
Se queste sono state le premesse di fondo, il legislatore delegato ha mancato (o forse perso) l’occasione di dar vita ad una riforma capace di condurre ad un procedimento cautelare-protettivo concretamente più unitario, meno burocratizzato e maggiormente celere.
[1] Al nuovo Codice della crisi dell’impresa è specificamente dedicato, con numerosi ed ampi contributi, l’Obiettivo 2 del fascicolo 2/2019 di questa Rivista.
[2] La nuova disciplina sarebbe dovuta entrare in vigore, salvo eccezioni e/o evenienze sopravvenute, in data 15/08/2020, cioè decorsi 18 mesi dalla pubblicazione sul S.O. n. 6/L alla G.U. 14/02/2019 n. 38. Fino a quel momento, la crisi d’impresa avrebbe pertanto continuato ad essere regolata dalle norme vigenti, tra tutte, il R.D. 19/03/1942 n. 267 e la L. 27/01/2012 n. 3. In ragione dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 l’entrata in vigore del Codice è rinviata al 1° settembre 2021.
[3] Unica è la domanda di accesso, disciplinata alla stessa maniera dell’art. 40 (“il ricorso deve indicare l’ufficio giudiziario, l’oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni ed è sottoscritto dal difensore munito di procura”), ma i procedimenti sono tenuti distinti, e regolati da norme differenti, a seconda che si tratti del procedimento per l’apertura della liquidazione giudiziale (art. 41) o del procedimento di accesso ad una procedura di regolazione concordata della crisi (art. 44). La trattazione unitaria è garantita dunque non già dalla previsione di un contenitore unico, quale sembrava essere ciò cui alludeva la legge delega e ciò che era stato immaginato nello schema di decreto delegato licenziato dalla Commissione presieduta da Renato Rordorf sul finire del 2017, ma, piuttosto, dalla disposizione (art. 7 del Codice), per la quale “le domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza sono trattate in via di urgenza e in un unico procedimento”, grazie al fatto che “ogni domanda sopravvenuta va riunita a quella già pendente”. Così Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in Le Società, 2019, 438.
[4] V. Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi dell'impresa, in Judicium.it. il quale rileva che mentre le misure cautelari di cui al CCII sono corrispondenti a quelle presenti nel diritto civile, le misure protettive rappresentano una assoluta novità poiché con esse non si chiede al giudice un provvedimento in funzione di un diritto, ma un provvedimento “contra ius in funzione della regolazione della crisi”.
[5] Così Pagni, La tutela cautelare del patrimonio e dell'impresa nell'art. 15 l. fall. alla luce della novità della l. 7 agosto 2012, n°134, in Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, a cura di Fimmanò, Milano, 2012, 438.
[6] Su cui Pagni, op. ult. cit., 79 ss.
[7] Cfr. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, in Riv. dir. proc., 2019, 851.
[8] Nell’art. 54, misure cautelari e misure protettive sono disciplinate insieme, anche se non in modo identico, sul presupposto che la trattazione unitaria delle domande, disposta dall’art. 7 del Codice, possa far confluire nel procedimento di accesso alle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza iniziative di segno diverso, volte tanto alla soluzione negoziale quanto alla apertura della liquidazione giudiziale, sicché è logico che vi sia un’unica disposizione a regolare tutti i provvedimenti provvisori che il giudice può emettere nell’unico procedimento, o nei procedimenti riuniti, nell’ambito dei quali le pronunce verranno richieste. Così Pagni, in Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in nuovodirittofallimentare.it, 220.
[9] Si tratta di misure disposte in corso di causa giacché nell’art. 54, primo comma, la domanda cautelare “accompagna” il ricorso ex art. 40 e non lo precede, su “istanza di parte”. Ciò significa che potranno essere richieste dai creditori soltanto quando questi siano parte di quel procedimento, ossia abbiano agito per ottenere la dichiarazione di insolvenza, e non nel caso in cui il debitore abbia presentato domanda di accesso ad una delle procedure regolatrici previste dal Codice e i creditori non abbiano preso l’iniziativa dell’art. 41. Così intesa la norma supera le perplessità che aveva manifestato Ambrosini, La riforma della disciplina della crisi e dell’insolvenza: motus in fine velocior, in www.ilcaso.it, 10, paventando, con riferimento alla formulazione della disposizione contenuta nello schema di decreto delegato dalla Commissione Rordorf, che il riferimento anodino alla “istanza di parte” consentisse ai creditori di far porre sotto sequestro l’azienda o il patrimonio del debitore anche in presenza di domanda del debitore di accesso alla procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza. Aveva manifestato le stesse perplessità anche Bozza, L’enigma del concordato con riserva nella bozza del codice della crisi e dell’insolvenza, in www.ilcaso.it, 17, per il timore che la menzione generica dell’istanza legittimasse un intervento legislativo, “concepibile nel caso delle proposte alternative per fronteggiare l’inerzia o addirittura l’ostruzionismo del debitore alla attuazione della proposta altrui”, ma inconcepibile, viceversa, “per realizzare la proposta dello stesso debitore dal momento che la sua inadempienza è già sanzionata con la risoluzione e senza, peraltro, collegarlo a precise circostanze”. V., in argomento, ancora, Pagni, La tutela cautelare del patrimonio e dell’impresa nell’art. 15 l.f. alla luce delle novità della l. 7 agosto 2012, n. 134, in Diritto delle imprese in crisi e tutela cautelare, a cura di Fimmanò, cit., 79 ss.
[10] Il contenuto delle misure cautelari dev’essere individuato dal ricorrente nel rispetto del principio della domanda, e il giudice pronuncerà nel rispetto di quel principio e di quello di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (con esclusione, perciò, di un potere generale di cautela da parte del tribunale). Così Pagni in Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell’insolvenza, in nuovodirittofallimentare.it, 221.
[11] Trib. Nocera Inferiore, 23 novembre 2007 in www.dejure.it.
[12] Trib. Sulmona, 11 novembre 2009, ivi; Trib. Verona, 21 maggio 2008, ivi.
[13] Così Pagni, Le misure protettive e le misure cautelari nel codice della crisi e dell'insolvenza, cit., 442.
[14] Nel senso, invece, dell’ammissibilità nel sistema attuale, della nomina di un amministratore giudiziario come misura cautelare disposta ex art. 15, ottavo comma, l. fall., v. Trib. Vicenza, 15 gennaio 2018, est. Limitone, in Le Società, 2018, 513 ss.
[15] La nomina del custode, diversamente da quella dell'amministratore giudiziario che la giurisprudenza ha talora disposto utilizzando in via analogica l'art. 2409 c.c. non incide infatti sulla titolarità dei poteri e non produce mutamenti nel centro di imputazione di obblighi e diritti che restano in capo al debitore, senza che si abbia, con la nomina del terzo, la sostituzione dell'imprenditore, ma solo un affiancamento. V. ancora Pagni, op. ult. cit., 442.
[16] Così Scarselli, Le misure cautelari e protettive del nuovo codice della crisi di impresa, cit.
[17] Tale simmetria con l’art. 669-sexies c.p.c. è stata colta anche da Bozza, in Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, in Dir. affari, 2019, 41, il quale però ne fornisce una lettura critica.
[18] Così Scarselli, op. cit. Sul punto v. diffusamente Pagni, op. ult. cit., 443.
[19] Sul procedimento per la concessione delle misure cautelari v. anche Bozza, Protezione del patrimonio negli accordi e nei concordati nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza d.lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, cit., il quale, trattandone assieme alle misure protettive, rileva che quella di cui all’art. 55 è di fatto una disciplina unitaria la quale si distingue a seconda delle due tipologie di misure dal momento che misure cautelari sono disposte dal giudice e quelle protettive operano automaticamente su richiesta del debitore; le prime, nelle procedure di concordato e ristrutturazione dei debiti possono essere chieste fino all’omologa e nella liquidazione fino all’apertura della stessa, mentre le seconde soltanto con la domanda di accesso; le misure cautelari non hanno limiti di durata nel mentre le seconde hanno una durata massima prefissata.
In comune esse hanno la fase introduttiva, che è quella prevista dal primo comma dell’art. 55, per il quale “Nei casi previsti dall’articolo 54, il presidente del tribunale o della sezione cui è assegnata la trattazione delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento, cui procede direttamente il giudice relatore, se già delegato dal tribunale per l’audizione delle parti”; previsione quest’ultima che riguarda l’ipotesi in cui, a seguito di una istanza di apertura del procedimento di liquidazione giudiziale, sia stato già nominato, a norma del comma sesto dell’art. 41, un giudice istruttore, delegato, tra l’altro, a sentire le parti.
Competente a decidere sulle misure cautelari e protettive è pertanto un giudice monocratico, giacché non è previsto che questi riferisca poi al collegio né esiste una norma che riservi al tribunale in composizione collegiale la decisione sulla conferma o revoca delle misure protettive e cautelari.
Al primo comma si collega l’ultimo, per il quale “I provvedimenti di cui all’articolo 54, commi 1 e 2 possono essere emessi anche dalla corte di appello nel giudizio di reclamo previsto dall’articolo 50”.
La corte di appello può pertanto emettere misure cautelari o protettive soltanto in caso di reclamo contro il provvedimento che rigetta la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, nella cui fase istruttoria siano state “emesse” delle misure di tutela dei creditori, perché a questa specifica fattispecie si riferisce la norma richiamata. Come è stato dallo stesso Autore rilevato, la previsione che anche i provvedimenti di cui al secondo comma dell’art. 54 (che, si ricorda, tratta delle misure protettive) possano essere “emessi” dalla corte di appello è impropria perché le misure protettive di cui all’art. 54, comma 2, operano automaticamente, a seguito della semplice richiesta dell’interessato, per cui manca un provvedimento “di cui all’art. 54 comma 2” che possa essere emesso in primo o in secondo grado. Sul procedimento per le misure protettive v. specificamente infra par. 3.2.
Sempre in ordine al procedimento, nell’ambito di una trattazione di carattere unitario che ricomprende tanto le misure cautelari che quelle protettive v. Crivelli, Le “misure cautelari e protettive” nel procedimento unitario del codice della crisi e dell’insolvenza, in Giustiziacivile.com, n°9/2019.
[20] Così Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 868.
[21] L’art. 54 comma 3 del d.lgs. 14/2019 conferma sostanzialmente quanto previsto dall’art. 182-bis comma 6° del RD. 267/1942. È, infatti, stabilito che le misure protettive possono essere richieste dall’imprenditore anche nel corso delle trattative, e prima del deposito della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, allegando la documentazione di cui all’art. 57 del d.lgs. 14/2019, che richiama il precedente art. 30 (oltre all’art. 56 in merito al contenuto del piano). Il debitore deve depositare la proposta di accordo, corredata dall’attestazione del professionista indipendente in merito alla circostanza che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e che la stessa, se accettata, è idonea ad assicurare il pagamento integrale dei creditori con i quali non sono in corso trattative, o che comunque hanno negato la propria disponibilità di negoziazione. Conseguentemente, non è più prevista la “dichiarazione dell’imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti” (art. 182-bis comma 6° l.f.). La disciplina è espressamente applicabile anche agli accordi ad efficacia estesa (art. 61 d.lgs. 14/2019), mentre è esclusa per quelli agevolati di cui all’art. 60 del d.lgs. 14/2019.
[23] Così Scarselli, op. cit. par.7.1 e 7.2.
[24] Sulle misure protettive ed il relativo procedimento v. da ultimo ampiamente Carratta, La composizione assistita della crisi e le misure di protezione “anticipate” nel codice della crisi e dell’insolvenza, in www.dirittofallimentaresocieta.it.
[25] Sia la previsione del non automatismo delle misure, che quella concernente la durata sono state introdotte tenendo conto di quanto dispone, sul punto, la Raccomandazione 2014/135/UE della Commissione del 12 marzo 2014, al punto B), numeri 10 e 13 (per i quali “il debitore dovrebbe avere il diritto di disporre la sospensione temporanea delle azioni esecutive individuali” e “la durata della sospensione dovrebbe garantire un giusto equilibrio tra interessi del debitore e dei creditori, in particolare i creditori titolari di una garanzia. La durata della sospensione dovrebbe quindi essere stabilita in funzione della complessità delle misure di ristrutturazione previste e non dovrebbe essere superiore a quattro mesi. Gli Stati membri possono autorizzare il rinnovo del termine, purché siano dimostrati i progressi dei negoziati sul piano della ristrutturazione. La durata totale della sospensione non può essere superiore a 12 mesi”). Anche la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio in materia di ristrutturazioni del 17 dicembre 2018, nel teso definitivo (salvo revisioni testuali), all’art. 6, par. 7, prevede che “the total duration of the day of individual enforcement actions, including extentions and renewals, shall not exceed twelve months”. Così Pagni op. ult. cit., 440.
[26] V. Scarselli, op. cit., il quale rileva che una delle differenze tra le misure protettive e quelle cautelari, sebbene si tratti di una differenza normativa, è quella temporale. La misura cautelare non ha limiti temporali di efficacia, mentre la misura protettiva, ai sensi dell’art. 8 del codice, non può superare la durata di dodici mesi.
[27] V. Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 866.
[28] L’OCRI, ai sensi dell’art. 16 del CCII, è costituito presso ciascuna Camera di Commercio, industria, artigianato e agricoltura, con il compito di ricevere segnalazioni di crisi, gestire il procedimento di allerta ed assistere l’imprenditore, su istanza dello stesso, nel procedimento di composizione assistita della crisi. Ai sensi dell’art. 17 del CCII, nel caso di segnalazione della potenziale crisi di cui agli artt. 14 e 15 del CCII, o di istanza del debitore ex art. 19 comma 1° del CCII, il referente dell’Organismo ne dà comunicazione agli organi di controllo della società (se esistenti) e procede alla nomina di un collegio di tre esperti tra quelli iscritti nell’albo di cui all’art. 356 del CCII. La competenza territoriale dell’OCRI è individuata in relazione al luogo in cui si trova la sede legale dell’impresa. L’Organismo opera tramite il referente individuato nel segretario generale della Camera di Commercio, o in un suo delegato, nonché tramite l’ufficio del referente (che può essere costituito anche in forma associata da diverse camere di commercio) ed un collegio degli esperti nominato ex art. 17 del CCII. Il referente assicura la tempestività del procedimento, vigilando sul rispetto dei termini da parte di diritti i soggetti coinvolti (art. 16 commi 2, 3 e 4 del CCII). Così Nicotra, Riforma della crisi dell’impresa e dell’insolvenza, in Eutekne, marzo 2019.
[29] Così Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 868. Cfr. Vella, L’epocale introduzione degli strumenti di allerta nel sistema concorsuale italiano, in questa Rivista, Obiettivo 2, fasc. 2/19 cit. Le misure protettive in fase di allerta hanno una durata non superiore a sei mesi (artt. 20 2 comma e 19, 1 comma).
[30] In attuazione del “principio di unitarietà” della procedura di accertamento dello stato di crisi o insolvenza previsto nella legge delega, l’art. 7 del CCII stabilisce che le domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza sono trattate in via d’urgenza e in un unico procedimento. A tal fine, le domande sopravvenute sono riunite a quella pendente (comma 1°); nel caso di proposizione di più domande, la priorità della trattazione ricade su quella diretta a regolare la crisi o l’insolvenza con strumenti diversi dalla liquidazione giudiziale o dalla liquidazione controllata, a condizione che nel piano sia indicata la convenienza per i creditori e che la domanda non sia manifestatamente inammissibile o infondata (comma 2°).
[31] Pare così possibile affermare che a fronte della richiesta delle misure protettive si abbiano due schemi procedimentali, tra loro differenti: per le misure protettive richieste con la domanda di accesso al procedimento unitario ex art. 40 CCII, si ha un procedimento monocratico, innanzi ad un giudice nominato dal Presidente, senza udienza, nel quale il provvedimento deve essere assunto entro trenta giorni dall’iscrizione della domanda nel registro delle imprese, con possibilità di reclamo (art. 55, comma 3°, CCII). In tal caso, il mancato rispetto del termine di 30 giorni, comporta il venir meno degli effetti protettivi automaticamente prodottisi.
Invece, per le misure protettive richieste nel corso delle trattative volte al raggiungimento degli accordi di ristrutturazione e nell’ambito delle procedure di composizione assistita della crisi, il procedimento si conclude con un decreto assunto a seguito di udienza, da tenersi entro un termine di quarantacinque giorni, sulla cui impugnabilità nulla è precisato (art. 54, comma 5°, CCII). In questo caso, il mancato rispetto del termine per la fissazione dell’udienza sembra essere privo di conseguenze, considerata l’assenza di alcuna produzione automatica degli effetti protettivi.
[32] È il caso della inefficacia delle ipoteche giudiziale iscritte nei novanta giorni antecedenti.
[33] Il riferimento è alla domanda del debitore accessoria al controllo o agli accordi.
[34] Ciò nel caso di composizione della crisi o nel caso di pre-accordo.
[35] Così Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 871.
[36] V. ancora Fabiani, Le misure cautelari e protettive nel codice della crisi d’impresa, cit., 871.
[37] Tra le sollecitazioni europee si registra il regolamento UE 20 maggio 2015 n.° 2015/848; la raccomandazione della Commissione 12 marzo 2014 n.° 2014/135/UE ed il regolamento delegato della Commissione UE 2016/451.