Articoli di Questione Giustizia su referendum
Come molti magistrati ed ex magistrati anche chi scrive il 12 giugno si recherà alle urne per dire un “si” o un “no” sui quesiti referendari sulla giustizia. Ma è utile sgombrare il campo dalla suggestione che scegliere di non recarsi alle urne (o rifiutare le schede dei referendum nel caso di coincidenti elezioni amministrative) sia una scelta deteriore, frutto di inerzia e di apatia politica, espressione di scarso senso civico o di disinteresse verso le grandi questioni della vita collettiva. Al contrario si tratta di una opzione non solo libera, non solo legittima, ma pienamente rispondente alla logica propria del referendum abrogativo disegnato dalla Costituzione che - nel richiedere per la validità del referendum il raggiungimento di un consistente quorum strutturale - ha voluto che esso sia vivificato da una ampia partecipazione popolare. Se non fosse così i referendum, invece di essere un fondamentale istituto di democrazia diretta, diverrebbero una forma di indiretta coazione dei cittadini a scegliere, “a prescindere” da ogni loro valutazione sulla qualità, il merito e l’interesse politico dei quesiti referendari.
Prendendo le mosse dalle recentissime decisioni della Corte costituzionale sui referendum abrogativi riguardanti la disciplina sanzionatoria dell’omicidio del consenziente e le norme sulla coltivazione delle droghe leggere, l’autore ripercorre i complessi sviluppi della giurisprudenza della Corte in tema di ammissibilità dei quesiti referendari ed analizza criticamente il ruolo svolto dal giudice delle leggi nella tormentata materia referendaria.
L'editoriale del direttore al n. 4/2021 di Questione giustizia trimestrale
Tra passioni civili e silenzi della politica, un tentativo di analizzare il contenuto della proposta referendaria alla luce delle opposte visioni che, a livello globale, si contendono il campo della politica delle droghe.
Questione Giustizia e Magistratura democratica hanno tempestivamente dedicato attenzione ai referendum abrogativi sulla cui ammissibilità la Corte costituzionale si pronuncerà a breve. Nell’imminenza delle decisioni del giudice costituzionale riteniamo utile proporre il video del dibattito promosso da Magistratura democratica, intitolato A proposito di referendum, che si è svolto il 16 dicembre 2021 nella sede della Corte di cassazione (partecipanti: Giulia Merlo, Marco Patarnello, Nello Rossi, Francesco Paolo Sisto) e “rilanciare” tre articoli riguardanti i referendum sulla giustizia e sull’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) a firma di Giuseppe Battarino e Nello Rossi pubblicati su Questione Giustizia on line.
A fronte dell’aspirazione di larga parte dei cittadini italiani a vedere introdotta, anche nel nostro Paese, una ragionevole disciplina dell’eutanasia volontaria stanno due iniziative istituzionali per diverse ragioni problematiche: il referendum promosso dai radicali, che propone la pura e semplice abrogazione della norma che prevede una sanzione “minore” per l’omicidio del consenziente, e il travagliato disegno di legge, da tempo all’esame del Parlamento, che dovrebbe dettare una disciplina della morte volontaria medicalmente assistita.
La lettura del quesito referendario e la constatazione dei suoi potenziali effetti rivela il solco profondo che esiste tra la rappresentazione mediatica dell’iniziativa e la sua effettiva portata e dunque tra “desiderio politico” e razionalità sociale e giuridica.
L’orgogliosa riaffermazione del principio di piena disponibilità della propria vita e di un diritto a morire non può rispondere da sola alla reale aspettativa dei cittadini: ricevere dalle istituzioni un’effettiva e tempestiva assistenza medica che sollevi la libera e consapevole decisione di porre termine all’esistenza da un carico di sofferenze ulteriori rispetto a quelle derivanti da malattie inguaribili.
Se si vuole evitare che l’ardua questione del fine vita generi un drammatico groviglio istituzionale è giunto il momento che il Parlamento, sino ad ora rimasto paralizzato anche di fronte alle sollecitazioni del giudice costituzionale, impieghi tutte le sue risorse - di conoscenza, di dialogo, di mediazione – nella rapida ricerca di una soluzione ragionevole.
Un obiettivo realizzabile solo se il legislatore non si aggirerà come un prigioniero entro lo stretto perimetro nel quale la Corte costituzionale ha “dovuto” operare e nel quadro di categorie giuridiche che ci sono state consegnate dal passato ed eserciterà la sua sovranità attraverso scelte meditate e misurate.
Perché separare le carriere non è un'idea su cui riflettere, è incostituzionale
Con un "semplice" emendamento, approvato all’unanimità nonostante il parere contrario del Governo, il Parlamento ha rivoluzionato l’assetto del referendum abrogativo previsto dall’art. 75 della Costituzione e del referendum approvativo previsto dall’art. 138 della carta costituzionale ed ha profondamente trasformato il regime dell’iniziativa legislativa popolare disegnato dall’art. 71, comma 2, della Costituzione. Sono questi gli effetti delle norme che hanno introdotto – accanto alle sottoscrizioni tradizionali - la possibilità che il cittadino elettore usi la firma digitale per aderire ad una iniziativa referendaria o per presentare un progetto di legge di iniziativa popolare. Sono molti gli interrogativi aperti e le questioni sollevate da una innovazione “tecnica” che ha una evidente e indiscutibile rilevanza politica ed istituzionale.
Gli scenari diametrali aperti dal successo nella raccolta delle firme sono quello della dichiarazione di inammissibilità del quesito e quello dell’abrogazione parziale per via referendaria dell’art. 579 c.p., che aprirebbe problemi interpretativi in particolare sul consenso. Ma di fronte alla complessità del tema della disponibilità/indisponibilità della vita e all’insieme delle norme di riferimento è possibile che né il referendum, né la sola iniziativa legislativa in corso in materia di “morte volontaria medicalmente assistita” siano dirimenti.
Dei sei referendum sulla giustizia si parla molto. Ai toni enfatici e propagandistici dei proponenti fanno da contraltare i commenti generici, allusivi, tattici di politici di altri schieramenti. In entrambi i casi l’indifferenza al contenuto effettivo dei quesiti referendari regna sovrana. Non è un bene. Solo entrando nel merito si comprende quanto siano vuote le formule che parlano di “questi” referendum come pungolo, utile stimolo o messa in mora dell’esecutivo e del parlamento per una nuova politica della giustizia. Di qui l’esigenza di esaminare più da vicino le “domande” che si vogliono porre ai cittadini e di misurane il significato e l’impatto sulla giustizia del nostro Paese.