Magistratura democratica
Leggi e istituzioni

I giudici di Ancona sul fine vita nel caso “Mario”. Solo una postilla

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

1. Perché una postilla

Nell’articolo pubblicato oggi su questa Rivista con il titolo L’impasse del fine vita è stata già ripercorsa e discussa da chi scrive la tortuosa vicenda istituzionale dell’eutanasia attiva, sospesa tra il referendum abrogativo parziale dell’art. 579 del codice penale (omicidio del consenziente) e il disegno di legge sulla morte volontaria medicalmente assistita. 

Ora si è di fronte ad una nuova svolta dell’accidentato percorso ed a un nuovo intervento dei giudici – questa volta giudici civili - del Tribunale di Ancona, chiamati a decidere un ricorso presentato ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile da un paziente paraplegico, il cui nome è opportunamente oscurato nella pubblicazione degli atti giudiziari e che è convenzionalmente denominato “Mario”. 

Di qui l’esigenza di una breve postilla - limitata a fornire le informazioni essenziali sul caso - e l’opportunità della pubblicazione, in allegato, delle due ordinanze dei giudici di Ancona. 

 

2. Il primo atto della vicenda giudiziaria: il diniego dell’Azienda sanitaria e il ricorso ex art. 700 c.p.c. al Tribunale di Ancona

All’origine della vicenda giudiziaria sta la richiesta di “Mario” all’ASUR Marche, Azienda Sanitaria Unica Regionale, di «accedere con urgenza a farmaco letale per poter procedere con suicidio assistito così come legalmente previsto dalla sentenza n. 242/2019 della Corte costituzionale». 

A seguito del motivato diniego dell’Azienda - adottato dopo aver acquisito uno specifico parere medico legale - il richiedente si è rivolto al Tribunale di Ancona. 

Nel suo ricorso ex art. 700 c.p.c. il ricorrente ha illustrato le gravi condizioni in cui versa: è paralizzato dal 2010 a causa di un incidente stradale nel corso del quale ha subito la frattura della colonna vertebrale con lesione del midollo spinale ed è dipendente dall’assistenza medica e prestata da altri per qualsiasi propria necessità. 

Si è inoltre detto consapevole «della definitiva impossibilità di vivere secondo la propria volontà» e deciso, dopo una profonda meditazione della propria scelta, a «porre fine ad una esistenza che vive di dolore e senza futuro».

Su questa base “Mario” ha chiesto al Tribunale di ordinare «all’azienda sanitaria resistente di prescrivergli, all’esito degli accertamenti previsti dagli artt. 1 e 2 della legge n. 219 del 2017, il farmaco Triopentone sodico» per poterlo assumere e «porre fine alla propria esistenza secondo una modalità rapida, efficace non dolorosa».

Dopo aver analizzato i diversi profili della questione sottoposta al suo esame e ricordato il contenuto delle pronunce della Corte costituzionale (l’ordinanza n. 207 del 2018 e la sentenza n. 242 del 2019), il giudice è giunto alla conclusione che non ci sono «motivi per ritenere che, individuando le ipotesi in cui l’aiuto al suicidio può oggi ritenersi penalmente lecito, la Corte abbia fondato anche il diritto del paziente, ove ricorrano tali ipotesi, ad ottenere la collaborazione dei sanitari nell’attuare la decisione di porre fine alla propria esistenza» (All. 1). 

Ciò anche perché lo stesso giudice costituzionale, nelle sue decisioni, ha ribadito che «dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello –diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire» (Corte cost. ordinanza n. 207 del 2018) . 

Così che il giudice delle leggi ha inteso «escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nei casi considerati, senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici» (Corte cost. sent. n. 242 del 2019). 

Indicazioni, queste, che secondo il Tribunale di Ancona «sono riferibili non soltanto alla diretta somministrazione del farmaco, ma anche alla sua preliminare prescrizione». 

Di qui il rigetto del ricorso. 

 

3. Il reclamo e l’ordinanza Tribunale di Ancona in composizione collegiale

Sul reclamo del ricorrente “Mario” avverso l’ordinanza di rigetto si è pronunciato il Tribunale di Ancona in composizione collegiale. 

In sintonia con il primo giudice, il collegio ha ritenuto che «dal diritto a morire rifiutando i trattamenti (già riconosciuto dal Legislatore) non si può desumere il riconoscimento del diritto a essere lato sensu aiutati a morire, persino tramite il ricorso al Servizio sanitario nazionale» (All. 2). 

Tesi, questa, sorretta - sempre secondo il collegio- dall’organizzazione del Sistema sanitario e dalla previsione dell’obiezione di coscienza, dall’esplicita esclusione di un obbligo di prestare un aiuto a morire in capo al personale medico e dalle previsioni del codice deontologico medico. 

E però l’ordinanza, all’esito di una attenta valutazione del tenore della domanda avanzata dal ricorrente ha riconosciuto al paziente un diritto diverso e minore: il diritto di pretendere dall’ASUR – Azienda sanitaria unica regionale «l’accertamento…della sussistenza dei presupposti richiamati nella sentenza n. 242 /2019 ai fini della non punibilità di un aiuto al suicidio praticato in suo favore da un soggetto terzo» e «la verifica sull’effettiva idoneità ed efficacia delle modalità, della metodica e del farmaco…prescelto dall’istante per assicurarsi la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile».

All’ASUR è stato perciò ordinato di acquisire il parere del Comitato etico territorialmente competente e di accertare se l’ammalato che ha proposto il reclamo versi nelle condizioni previste dalla sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale e se il farmaco da lui prescelto sia idoneo a provocare una morte rapida, indolore e dignitosa. 

La finalità meramente informativa di questa postilla non consente l’analisi e i commenti necessari a valutare la portata ed il valore delle decisioni dei giudici marchigiani sulle quali la Rivista non mancherà di ritornare. 

Esse confermano però l’indispensabilità – già ampiamente argomentata sulle pagine della Rivista - di un intervento legislativo che disciplini la tormentata materia della morte volontaria medicalmente assistita ed offra un quadro di certezze a tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nelle vicende del fine vita. 

24/11/2021
Altri articoli di Nello Rossi
Se ti piace questo articolo e trovi interessante la nostra rivista, iscriviti alla newsletter per ricevere gli aggiornamenti sulle nuove pubblicazioni.
La convenzione francese sul fine vita. La democrazia deliberativa per superare un’impasse?

La Convenzione francese sul fine vita - composta da cittadini scelti per sorteggio in base a criteri che fanno della Convenzione un campione rappresentativo della popolazione - rappresenta un interessante esperimento di “democrazia deliberativa”, destinato ad integrare i processi decisionali propri della democrazia rappresentativa. Dando la parola ad una assemblea di cittadini ed ascoltando la loro opinione informata, si è voluto attingere al senso della realtà della gente comune per ricercare soluzioni ragionevoli ad un problema spinoso, superando le pregiudiziali religiose, culturali, ideologiche che possono ostacolare il cammino di norme innovative sull’eutanasia attiva e sull’aiuto al suicidio. All’esperimento francese dovrebbe guardare con interesse il nostro Paese, nel quale - dopo la inevitabile declaratoria di inammissibilità del referendum abrogativo parziale dell’art. 579 c.p. e la mancata approvazione, nella scorsa legislatura, del pur timido testo di legge unificato sulle disposizioni in materia di morte medicalmente assistita – l’iniziativa sul fine vita potrebbe essere rilanciata dall’istituzione di una Convenzione cittadina sul modello francese, chiamata ad informarsi, dialogare e pronunciarsi sull’assistenza attiva a morire. 

04/05/2023
La punibilità dell’aiuto al suicidio nel diritto svizzero

Una rilettura della normativa in vigore alla luce di una pièce teatrale di Ferdinand von Schirach

22/06/2022
Referendum sulla giustizia: votare “si”, votare “no”, scegliere di non andare a votare

Come molti magistrati ed ex magistrati anche chi scrive il 12 giugno si recherà alle urne per dire un “si” o un “no” sui quesiti referendari sulla giustizia. Ma è utile sgombrare il campo dalla suggestione che scegliere di non recarsi alle urne (o rifiutare le schede dei referendum nel caso di coincidenti elezioni amministrative) sia una scelta deteriore, frutto di inerzia e di apatia politica, espressione di scarso senso civico o di disinteresse verso le grandi questioni della vita collettiva. Al contrario si tratta di una opzione non solo libera, non solo legittima, ma pienamente rispondente alla logica propria del referendum abrogativo disegnato dalla Costituzione che - nel richiedere per la validità del referendum il raggiungimento di un consistente quorum strutturale - ha voluto che esso sia vivificato da una ampia partecipazione popolare. Se non fosse così i referendum, invece di essere un fondamentale istituto di democrazia diretta, diverrebbero una forma di indiretta coazione dei cittadini a scegliere, “a prescindere” da ogni loro valutazione sulla qualità, il merito e l’interesse politico dei quesiti referendari. 

06/06/2022
Referendum e ruolo della Corte costituzionale

Prendendo le mosse dalle recentissime decisioni della Corte costituzionale sui referendum abrogativi riguardanti la disciplina sanzionatoria dell’omicidio del consenziente e le norme sulla coltivazione delle droghe leggere, l’autore ripercorre i complessi sviluppi della giurisprudenza della Corte in tema di ammissibilità dei quesiti referendari ed analizza criticamente il ruolo svolto dal giudice delle leggi nella tormentata materia referendaria.

30/03/2022
La politica della droga e il “referendum cannabis”. Uno sguardo sulle alternative in campo

Tra passioni civili e silenzi della politica, un tentativo di analizzare il contenuto della proposta referendaria alla luce delle opposte visioni che, a livello globale, si contendono il campo della politica delle droghe.

07/02/2022