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La convenzione francese sul fine vita. La democrazia deliberativa per superare un’impasse?

di Nello Rossi
direttore di Questione Giustizia

La Convenzione francese sul fine vita - composta da cittadini scelti per sorteggio in base a criteri che fanno della Convenzione un campione rappresentativo della popolazione - rappresenta un interessante esperimento di “democrazia deliberativa”, destinato ad integrare i processi decisionali propri della democrazia rappresentativa. Dando la parola ad una assemblea di cittadini ed ascoltando la loro opinione informata, si è voluto attingere al senso della realtà della gente comune per ricercare soluzioni ragionevoli ad un problema spinoso, superando le pregiudiziali religiose, culturali, ideologiche che possono ostacolare il cammino di norme innovative sull’eutanasia attiva e sull’aiuto al suicidio. All’esperimento francese dovrebbe guardare con interesse il nostro Paese, nel quale - dopo la inevitabile declaratoria di inammissibilità del referendum abrogativo parziale dell’art. 579 c.p. e la mancata approvazione, nella scorsa legislatura, del pur timido testo di legge unificato sulle disposizioni in materia di morte medicalmente assistita – l’iniziativa sul fine vita potrebbe essere rilanciata dall’istituzione di una Convenzione cittadina sul modello francese, chiamata ad informarsi, dialogare e pronunciarsi sull’assistenza attiva a morire. 

Sommario: 1. Due modi opposti di ricorrere al sorteggio - 2. La Convention Cytoienne Cese sur la fin de vie - 3. Struttura e funzione della Convenzione - 4. Ciò che la Convenzione non è… - 5. Un esperimento di democrazia deliberativa - 6. Le risposte della Convenzione sui temi del fine vita - 7. Torniamo in Italia

 

1. Due modi opposti di ricorrere al sorteggio

Si può discettare di sorteggio in maniera improvvisata, strumentale e inconcludente. E’ quanto avvenuto in Italia a proposito del criterio di scelta dei componenti togati del CSM, quando alcuni giuristi e alcuni magistrati non hanno esitato a indicare nella “sorte” il miglior metodo per la provvista di un organo di rilievo costituzionale. 

Mostrandosi così incuranti del dettato della carta costituzionale - degradato ad un optional di cui è possibile liberarsi per uno scatto di nervi- ed animati dalla discutibilissima convinzione che i compiti di “amministrazione della giurisdizione” possano essere affidati a ciascun appartenente al corpo della magistratura, a prescindere da ogni specifica competenza e sensibilità istituzionale e dal consenso degli altri magistrati. 

Oppure, come sta avvenendo in Francia, si può utilizzare il sorteggio per comporre – rispecchiando fedelmente la composizione della compagine sociale del paese - un organismo chiamato ad esprimere un’opinione informata e meditata su una questione di cruciale importanza per ogni cittadino, come la disciplina di sostegno del fine vita. 

Il disappunto per un confronto che si rivela impietoso per il nostro Paese è solo uno stimolo in più, che si somma alle molte altre ragioni che consigliano di analizzare attentamente l’importante esperimento “democratico” d’oltralpe, descrivendone i tratti essenziali e cogliendone le molteplici valenze sistematiche. 

In particolare a questo compito non possono sottrarsi quanti guardano con giustificata preoccupazione alla crisi delle istituzioni democratiche e ritengono che esse vadano rivitalizzate non promuovendo meccanismi di concentrazione verticistica del potere ma mettendo in campo un maggior tasso di partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica e promuovendo l’ascolto dell’opinione dei cittadini da parte dei governanti. 

 

2. La Convention Cytoienne Cese sur la fin de vie

Varata il 13 settembre 2022 dal Presidente della Repubblica francese Emanuelle Macron, la Convention Cytoienne Cese sur la fin del vie, gestita dal CESE (Conseil èconomique social et environmental), è stata chiamata a dare risposta alla seguente domanda: il quadro di sostegno del fine vita è adeguato alla diversità di situazioni che si riscontrano nella realtà o dovranno essere introdotte eventuali modifiche?[1]

Come è noto, in Francia la legge Claeys-Leonetti n. 87 del 2016[2] ha autorizzato la “sedazione prolungata e continua” per i malati che siano in imminente pericolo di vita[3] ma non l’assistenza attiva nel morire, a differenza di quanto è previsto in Belgio o in Svizzera.

La disciplina francese presenta perciò significative analogie con quella vigente in Italia a seguito della entrata in vigore della legge 22 dicembre 2017, n. 219 contenente «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento[4]».

In entrambi i Paesi, infatti, non è prevista l’eutanasia attiva né è disciplinato dalla legge l’aiuto al suicidio, temi sui quali la Convenzione francese è stata chiamata ad esprimere le sue opinioni. 

Prima di riportare i risultati dell’attività della Convenzione occorre però soffermarsi sulla sua struttura, sul metodo di provvista, sulle modalità di lavoro e sulla funzione che le è stata assegnata. 

 

3. Struttura e funzione della Convenzione

Prendiamo le mosse dalla dichiarazione con la quale Claire Thoury, membro del CESE e presidente del Comitato per la governance della Convenzione, ha illustrato le ragioni dell’istituzione del nuovo organismo.

«Il tema del fine vita richiede l'apertura di un dibattito nazionale, un dialogo tra cittadini di diversa estrazione, rappresentativo delle diverse sensibilità che si esprimono all'interno della società francese, il più vicino possibile alla complessità degli interessi e delle opinioni. Lo strumento della convenzione dei cittadini è l'ideale per condurre questo dibattito e permettere a tutti di esprimere le proprie opinioni, per arrivare a proposte comuni nel rispetto di ogni libertà di parola. La responsabilità nei confronti dei cittadini sarà una pietra miliare del nostro lavoro: questa convenzione deve riportare i cittadini al centro del dibattito pubblico per informare la legislazione futura. Il comitato di governance della Convenzione sul fine vita, garante di dibattiti sereni, sarà particolarmente vigile sul modo in cui le autorità pubbliche assumeranno questo compito».

Alla guida della Convenzione è stato posto un Comitato di governance, con l’incarico di assicurare il monitoraggio metodologico del sistema e garantire i principi di trasparenza e neutralità. Comitato presieduto da Claire Thoury, che ha riunito membri del CESE, membri del Comitato consultivo nazionale di etica, una filosofa specializzata in etica della salute, un membro del Centro nazionale per le cure palliative e di fine vita, esperti di partecipazione cittadina e cittadini che hanno partecipato al precedente esperimento della Convenzione cittadina sul clima[5]

A comporre la Convenzione sono stati chiamati 184 cittadini, riuniti per informarsi in modo illuminato, dialogare, dibattere e infine delineare prospettive e ipotesi di soluzione condivise sulla problematica del fine vita. 

I componenti della Convenzione sono stati scelti – questa una delle principali e più qualificanti novità della Convenzione – per sorteggio. 

Ma come è stato organizzato e realizzato il sorteggio? 

Un istituto di ricerca e sondaggi, Harris Interactive è stato incaricato di estrarre a sorte numeri di telefono generati casualmente (85% di cellulare e 15% di rete fissa) e di effettuare telefonate per identificare il numero necessario di cittadini rappresentativi della diversità della società francese.

Per garantire il fedele rispecchiamento, in seno alla Convenzione, delle diversità della società francese, il Comitato di governance ha deciso di adottare sei criteri di selezione e di provvista del nuovo organismo: il sesso; l’età (con la definizione di sei fasce, a partire dai 18 anni, proporzionali alla distribuzione della popolazione in classi di età); il territorio di residenza (centri urbani, periferie interne, comuni rurali etcc); la regione di origine (tenendo conto del differente peso demografico di ciascuna di esse); il livello di istruzione (articolato in sei categorie); la categoria socio-professionale (lavoratori, impiegati, dirigenti etcc). 

La Convenzione è stata dunque concepita e attuata come un microcosmo rappresentativo della società francese, come un campione, il più possibile fedele, del corpo sociale, da mettere al lavoro sul tema del fine vita. 

E di un vero e proprio lavoro si è trattato, fatto di audizioni, discussioni, deliberazione e votazione di “proposizioni” sul quesito posto. 

Nel corso di nove sessioni, ciascuna della durata di tre giorni, svoltesi lungo l’arco di 27 giorni tra il dicembre 2022 e l’aprile 2023, i componenti della Convenzione sono stati impegnati nell’ascolto di esperti, francesi e internazionali, operanti in campi differenti – giuridico, medico, religioso, filosofico- e nell’acquisizione, in un contesto di pluralismo ideale e culturale, delle conoscenze necessarie per maturare una opinione informata, formulare meditate risposte al quesito posto e deliberare proposizioni sul fine vita. 

 

4. Ciò che la Convenzione non è…

Se questa è la fisionomia della Convenzione, quale è la natura del nuovo soggetto istituzionale sin qui descritto? 

La parte più semplice e lineare dell’analisi sta nel dire ciò che la Convenzione “non è”. 

Essa non è un organismo consultivo classico, perché non è portatrice di uno specifico sapere giuridico o tecnico da trasfondere ai decisori politici. Al suo interno possono ben essere presenti, come nel corpo della società civile francese, detentori di specifiche competenze (di volta in volta scientifiche, economiche, giuridiche, tecniche); ma, nel dare risposta al quesito posto sul fine vita, gli apporti dei “competenti” sono destinati a fondersi con le opinioni e i punti vista di tutti gli altri membri della Convenzione, al pari di quanto accade nella vita sociale. 

Per altro verso, non essendo eletta da appartenenti a categorie socio-professionali né espressa dalle loro associazioni, la Convenzione non può neppure essere considerata come un organismo rappresentativo degli interessi e degli orientamenti di gruppi sociali ed economici. 

Né la Convenzione può essere annoverata tra gli strumenti di democrazia diretta o partecipativa perché la sua azione non è indirizzata a promuovere il voto popolare su di una legge (come nei casi del referendum abrogativo o confermativo) o a stimolare l’intervento del legislatore (come nel caso dell’iniziativa legislativa popolare) e neppure costituisce parte integrante del processo di adozione di una decisione politico - amministrativa. 

Infine, nonostante la procedura per la sua provvista sia affidata alla sorte, l’organismo non può neppure essere qualificato come espressione della “democrazia del sorteggio”. 

Al sorteggio infatti non si fa ricorso per realizzare una selezione di governanti o comunque di soggetti chiamati ad esercitare pubblici uffici, con lo scopo di dar vita ad una «rappresentanza non politica che si proponga come specchio della società, che selezioni casualmente le opzioni, gli umori, le stesse inadeguatezze degli attori sorteggiati a partire da una rappresentazione statistica delle varie situazioni sociali»[6]

Si è voluto, invece, ricreare una agorà, costruire un luogo di discussione e di confronto per favorire la libera espressione di opinioni al fine di far conoscere ai decisori politici gli orientamenti della popolazione su di un tema potenzialmente divisivo. 

 

5. Un esperimento di democrazia deliberativa

Le peculiari caratteristiche della Convenzione - che la collocano al di fuori degli schemi tradizionali della funzione consultiva, della rappresentanza di interessi e della democrazia diretta e partecipativa – vanno ricercate altrove. 

Nelle modalità della sua formazione: un sorteggio attuato con tecniche dirette a dar vita ad un campione stratificato, in grado di rispecchiare fedelmente la popolazione. 

Nel metodo di lavoro adottato: il dialogo informato, svolto in uno spazio neutrale e garantito dalle istituzioni, nel quale vengono fornite ai partecipanti informazioni e testimonianze di esperti e si assicurano le condizioni di un’ampio confronto delle idee e delle opinioni.

Nella funzione svolta: potenziamento dell’opinione dei cittadini, garanzia di ascolto della loro voce da parte delle istituzioni, ausilio democratico ai processi decisionali. 

In luogo del classico sondaggio - che registra l’opinione pubblica “grezza” del cittadino, espressa a partire dalle informazioni di cui egli autonomamente dispone - nell’esperimento della Convenzione si realizza un “sondaggio deliberativo”[7] connotato dall’offerta di informazioni ai componenti di un “campione”[8] rappresentativo della popolazione e dall’invito rivolto ai partecipanti al sondaggio a dibattere, ed eventualmente a modificare, le posizioni di partenza sul tema oggetto di discussione. 

Si è dunque di fronte ad un esperimento di democrazia deliberativa[9], imperniato sull’uguaglianza effettiva dei partecipanti (nel contesto della convenzione), sull’accettazione delle diversità delle opinioni e sulla equità e neutralità delle condizioni in cui si svolge il processo deliberativo. 

La Convenzione si pone così come strumento di integrazione della democrazia rappresentativa che dai modelli partecipativi di ispirazione deliberativa riceve nuova linfa. 

Se in una democrazia rappresentativa «che rispetti quanto più possibile i suoi principi normativi, partecipazione e deliberazione si manifestano in forme libere e spontanee, all’interno di una sfera pubblica critica e di una società civile ben articolata» è possibile incanalare, come avvenuto con la Convenzione «partecipazione e deliberazione in specifici spazi e momenti, istituti e procedure progettati ad hoc, che connettano in modo sistematico e strutturato i processi di formazione delle opinioni politiche e dei giudizi dei cittadini, da un lato, e le procedure istituzionali di formazione delle decisioni politiche amministrative, dall’altro»[10].

In questo schema rientrano i deliberative polling, le giurie cittadine, e le numerose varianti di mini-publics[11] destinate a svolgere una funzione di ausilio democratico nei processi decisionali dei tradizionali istituti rappresentativi. 

Nel caso della Convenzione francese sul fine vita il ricorso alla democrazia deliberativa ha uno specifico valore aggiunto che consiste nella possibilità di superare – grazie al senso della realtà ed al pragmatismo dei cittadini comuni – eventuali pregiudiziali culturali e ideologiche delle forze politiche sull’eutanasia e sull’aiuto al suicidio. 

 

6. Le risposte della Convenzione sui temi del fine vita

Nel rispondere all’interrogativo che le è stato posto, la Convenzione è stata concorde[12] nel ritenere che in Francia il quadro di sostegno del fine vita non è adeguato alla diversità di situazioni che si riscontrano nella realtà per due ragioni: da un lato, la disparità di accesso al supporto di fine vita e, dall'altro, la mancanza di risposte soddisfacenti a determinate situazioni di fine vita, in particolare nel caso di sofferenze fisiche o psicologiche intrattabili. 

Di qui la convinzione dei membri della Convenzione che è necessario migliorare l’accompagnamento alla fine della vita con una serie di misure: lo sviluppo del sostegno a domicilio; una migliore formazione degli operatori sanitari; la garanzia dei finanziamenti necessari per rendere efficace il supporto; una migliore formazione degli operatori sanitari nella materia delle cure palliative e il rafforzamento dell'accesso alle cure palliative per tutti e ovunque; una maggiore informazione di tutti i cittadini e l’intensificazione degli sforzi di ricerca e sviluppo per gestire meglio la sofferenza e sviluppare rimedi futuri, migliorando l'organizzazione del percorso di cura di fine vita.

Al termine di un dibattito definito «vivace e rispettoso» la Convenzione dei cittadini ha votato a maggioranza (75,6% dei votanti) a favore dell'assistenza attiva nel morire, ritenuta il modo più appropriato per rispettare la libertà di scelta dei cittadini e per rimediare alle carenze del quadro giuridico, in particolare ai limiti della sedazione profonda e continua. 

Inoltre - ha soggiunto la maggioranza della Convenzione - questa soluzione porrebbe fine all'ipocrisia con cui ancora viene affrontato il tema del fine vita. 

E’ emersa dunque, in seno alla Convenzione, una posizione maggioritaria sulla «necessità di introdurre sia il suicidio assistito che l'eutanasia, nella misura in cui il suicidio assistito da solo o l'eutanasia da sola non danno risposte soddisfacenti all’insieme di situazioni riscontrate». 

Per una parte dei componenti della Convenzione, il 28,2%, «il suicidio assistito dovrebbe prevalere e l'eutanasia dovrebbe rimanere un'eccezione». Per altri, il 39,9%, «il suicidio assistito e l'eutanasia dovrebbero essere l’oggetto di una libera scelta». 

Circa un quarto dei cittadini – il 23,2%- si è dichiarato contrario all'introduzione di forme di assistenza attiva nel morire, sottolineando la mancanza di conoscenza e la scarsa applicazione della legge Claeys-Leonetti del 2016 e ritenendo preferibile puntare sulla piena applicazione della normativa già in vigore. 

Particolarmente forti, nei sostenitori di questa posizione, sono stati i timori di possibili abusi ai danni di persone vulnerabili (non autosufficienti, disabili o con deficit di discernimento, ecc.) e di destabilizzazione del sistema sanitario in conseguenza delle resistenze degli operatori sanitari. 

Nel definire le situazioni che possono dare accesso all’aiuto attivo a morire, si è naturalmente posto l’accento sul prerequisito indispensabile della volontà del paziente e sono stati individuati i principali criteri cui fare riferimento: la capacità di intendere e di volere, la consapevolezza[13], l’incurabilità[14], la prognosi vitale, la sofferenza (refrattaria, fisica, psicologica, esistenziale), l’età[15].

Da ultimo la Convenzione ha delineato il percorso da seguire per ottenere l’assistenza attiva nel morire individuando una sequenza che prevede: 

-l’ascolto della richiesta, che deve garantire che la volontà espressa sia libera e informata; 

-un supporto medico e psicologico completo, che includa una valutazione della consapevolezza del richiedente dell’assistenza; 

-una convalida attraverso una procedura collegiale e multidisciplinare; 

-l’esecuzione della procedura sotto la supervisione della professione medica (anche in caso di suicidio assistito) in un luogo scelto dalla persona (sia esso una struttura medica o il domicilio); 

- l’istituzione di una commissione di monitoraggio e controllo che garantisca il rispetto della procedura.

La grande maggioranza dei membri della Convenzione – il 78%- ha poi ritenuto che debba essere riconosciuto agli operatori sanitari il diritto all’obiezione di coscienza con il conseguente indirizzo dei pazienti ad un sanitario non obiettore. 

Dopo la consegna del rapporto della Convenzione è iniziata una nuova fase contrassegnata dal confronto con la politica, le istituzioni, i media. 

Riassumendo l’iniziativa, il presidente Macron ha dichiarato di volere un progetto di legge sul fine vita «entro la fine dell'estate 2023» e, intervenendo dinanzi alla Convenzione civica nazionale sul fine vita, ha promesso un «piano decennale nazionale per l'assistenza al dolore e per le cure palliative che verrà accompagnato dai necessari investimenti». 

Si delinea così un «modello francese sul fine vita», nel cui ambito lo Stato assume un obbligo di risultato nei confronti dei cittadini, garantendo un «accesso effettivo e universale alle cure di accompagnamento al fine vita».

 

7. Torniamo in Italia 

Una volta osservata più da vicino l’esperienza francese, torniamo in Italia. 

Anche nel nostro Paese la disciplina del fine vita, dell’eutanasia attiva e del suicidio assistito sono temi particolarmente travagliati, sin qui oggetto di infruttuosi tentativi di soluzione. 

Da un lato, infatti, vi è stato il referendum promosso dai radicali che proponeva la pura e semplice abrogazione della sanzione penale prevista dall’art. 579 c.p. per l’omicidio del consenziente – la reclusione da sei a quindici anni – mantenendo in vita l’altra parte dell’art. 579 cha sanziona il fatto commesso contro un minore, contro un infermo di mente e un soggetto in condizione di deficienza psichica o contro la persona il cui consenso sia stato estorto o carpito con l’inganno. 

Referendum dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 50 del 2 marzo 2022, poiché, rendendo lecito l’omicidio di chiunque avesse prestato a tal fine un valido consenso, avrebbe privato la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione. 

Dall’altro lato, nella scorsa legislatura non è stato approvato il testo unificato recante «disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita», adottato come base dei lavori parlamentari a seguito della presentazione di una pluralità di proposte legislative, la prima d’iniziativa popolare e le successive presentate da deputati di diverse forze politiche[16]

Testo per più versi limitato e criticabile[17] ma tale da rappresentare comunque un passo in avanti perché definiva i presupposti e le condizioni della richiesta - da parte della persona affetta da una patologia irreversibile o con prognosi infausta - di assistenza medica al fine di porre volontariamente ed autonomamente fine alla propria vita[18] e individuava in termini sufficientemente chiari la relativa procedura[19]

La dichiarata avversione di partiti dell’attuale maggioranza all’introduzione nel nostro ordinamento dell’eutanasia e del suicidio assistito deve far ritenere che che l’inerzia del parlamento sia destinata a proseguire e che non vi siano possibilità, almeno nel corso dell’attuale legislatura, di sbloccare l’impasse verificatasi in passato? 

Dovranno essere ancora la Corte costituzionale e i giudici ordinari a intervenire sui casi tragici e spinosi del fine vita, come è sinora avvenuto[20]

L’esperienza della Francia nella quale - sulla scia dei risultati della Convenzione sul fine vita- è stata preannunciata l’adozione di una nuova legge sul fine vita entro il 2023 sembra suggerire che è possibile rilanciare l’iniziativa su questo terreno, promuovendo, anche in Italia, la costituzione di una Convenzione sul fine vita, con l’intento di chiedere ad una platea di cittadini “rappresentativa” del Paese di pronunciarsi sulle soluzioni auspicabili. 

Una proposta di legge di iniziativa popolare o una iniziativa legislativa parlamentare miranti all’istituzione di una Convenzione sul fine vita, sul modello di quella francese, potrebbero rimettere in modo il processo di elaborazione di una innovativa disciplina, la cui mancanza produce conseguenze tragiche e un carico di laceranti incertezze per i cittadini colpiti da malattie gravi e irreversibili[21]


 
[1] Questo il testo del quesito sottoposto alla Convenzione: «Le cadre de l'accompagnement de la fin de vie est-il adapté aux différentes situations rencontrées ou d'éventuels changements devraient-ils être introduits?».

[2] L’iter legislativo è stato complesso. Infatti la proposta di legge , depositata il 21 gennaio 2015 e approvata in prima lettura dall’Assemblea nazionale il 17 marzo 2015, era stata rigettata dal Senato nel giugno dello stesso anno. A seguito delle modifiche apportate da entrambe le camere nell’ottobre 2015, il testo messo a punto dalla commissione mista paritetica è stato approvato in via definitiva il 27 gennaio 2016.

[3] La legge francese n. 87 del 2016 ha modificato la precedente legge Leonetti del 2005, prevedendo che, su richiesta del paziente di evitare sofferenze e di non subire una «ostinazione irragionevole», possa essere praticata una sedazione profonda e continua che provochi un’alterazione della coscienza mantenuta fino al decesso, associata ad analgesia e all’arresto dei trattamenti di sostegno vitale. La possibilità della sedazione è limitata a due ipotesi specifiche: la prima è che il paziente sia affetto da una malattia grave e incurabile, con prognosi vitale “a breve termine” e subisca sofferenze non altrimenti alleviabili; oppure quando la decisione del paziente, affetto da malattia grave e incurabile, di interrompere un trattamento incida sulla sua prognosi vitale a breve termine e possa causare una sofferenza insopportabile. La legge 87 del 2016 assegna anche un carattere vincolante per ogni intervento diagnostico-terapeutico, alle direttive anticipate di trattamento, con l’eccezione dei casi di emergenza vitale per il periodo necessario a una valutazione completa della situazione, qualora esse appaiano manifestamente inappropriate o non conformi alle condizioni cliniche del paziente. In tal caso la decisione del medico di non applicare le direttive anticipate deve essere presa a seguito di una procedura collegiale.

[4] L’art. 2 della legge 219 del 2017 prevede che «il medico, avvalendosi di mezzi appropriati allo stato del paziente, deve adoperarsi per alleviarne le sofferenze, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario indicato dal medico. A tal fine, è sempre garantita un’appropriata terapia del dolore, con il coinvolgimento del medico di medicina generale e l’erogazione delle cure palliative di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38». Inoltre è stabilito che «Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente».

[5] Sulla Convenzione per il clima v. nota n. 9. Quanto alla composizione del Comitato di governance, va ricordato che in esso sono presenti:
-sei rappresentanti del CESE (Claire THOURY, Presidente del Comitato di Governance, Fanny ARAV, gruppo UNSA del CESE, Michel CHASSANG, gruppo delle libere professioni del CESE, Benoît GARCIA, gruppo CGT dell'ESEC, Jacques LANDRIOT, gruppo di cooperazione del CESE, Kenza OCCANSEY, Gruppo delle organizzazioni studentesche e dei movimenti giovanili del CESE), 
-tre rappresentanti della comunità di ricerca universitaria (Cynthia FLEURY, professoressa, Conservatorio Nazionale di Arti e Mestieri, Hélène LANDEMORE, professoressa di scienze politiche alla Yale University, Sandrine RUI, docente e sociologia, ricercatrice presso il Centro Emile-Durkheim, Università di Bordeaux, Facoltà di Sociologia); 
-due rappresentanti del Comitato Consultivo Nazionale di Etica per le Scienze della Vita e della Salute (Jean-Francois DELFRAISSY e Francois STASSE); 
-un rappresentante del Centro Nazionale per le Cure Palliative e di Fine Vita (CNSPFV) (Giovanna MARSICO, Direttrice del Centro); 
-due cittadini che hanno partecipato alla Convenzione sul clima (Jean-Pierre CABROL e Matteo SANCHEZ).

[6] Così N. Urbinati,L. Vandelli, La democrazia del sorteggio, ed on line, Introduzione, pos. 46. Sul tema dei limiti della democrazia rappresentativa v. anche, sempre di N. Urbinati, Representative Democracy. Principles and genealogy, Chicago, University of Chicago Press, 2006, e Democracy Disfigured: Opinion, Truth, and People, Harvard University Press, 2014.

[7] Sulla democrazia deliberativa c’è una ampia letteratura. Per una compiuta analisi della teoria cfr. J. Fishkin, La nostra voce, Padova, Marsilio, 2003. Tra gli autori italiani v. D. Della Porta, Democrazie, Bologna, Il Mulino, 2011.

[8] Il ricorso al campionamento ed al sorteggio connotano la democrazia deliberativa tutte le volte che si varca la soglia delle piccole assemblee che dibattono e decidono questioni amministrative locali e si entra nelle democrazie dei grandi numeri.

[9] Come è noto la Convenzione sul fine vita è stata preceduta da un analogo esperimento: la Convenzione cittadina sul clima alla quale è stata posta la domanda sulle modalità con cui ridurre, in uno spirito di giustizia sociale, le emissioni “climalteranti” almeno del 40%, entro il 2030. Nell’ottobre 2019, aprendo i lavori della Convenzione, il Presidente Macron chiese ai partecipanti di elaborare proposte di legge sul tema e si impegnò a farle giungere in parlamento senza filtri a patto che fossero di qualità e corrette sotto il profilo della tecnica giuridica. L’esperimento della Convenzione sul clima si è però rivelato particolarmente problematico perché dai suoi lavori sono scaturiti «un programma e una politica per il momento non compatibili con il programma e la politica del potere» (in questi termini si è espresso Loïc Blondiaux, docente di Scienze politiche alla Sorbona, esperto di pratiche deliberative e membro del Comitato di governance). Con il risultato che le proposte della Convenzione sul clima non sono state recepite – come ritenuto necessario - nella loro globalità. Su questi aspetti v. l’articolo on line di A. Bertello, Cittadini per il clima, 30.9.2020 nella Rivista Il Mulino.

[10] Così A. Floridia, Democrazia partecipativa e democrazia deliberativa: una risposta plausibile alla “ crisi della democrazia”?, sito on line della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

[11] Le deliberative mini-publics sono tutte le istituzioni nelle quali un corpo differenziato di cittadini è selezionato a caso per discutere insieme una questione di interesse pubblico. Sul tema v. G. Smith, M. Setala, Mini-publics and Deliberative Democracy, Oxford Handbooks Online, 9.10.2018.

[12] In questo senso si è pronunciato il 97% dei membri della Commissione.

[13] Secondo i componenti della Convenzione la capacità di intendere e la consapevolezza della scelta da compiere devono essere sistematicamente prese in considerazione e analizzate, in modo da garantire il rispetto della volontà libera e informata del paziente. Esse possono essere espresse direttamente o indirettamente, attraverso le direttive anticipate o la persona di fiducia.

[14] I criteri di incurabilità, sofferenza refrattaria e sofferenza fisica sono considerati di primaria importanza. E’ stata posta anche la questione della prognosi vitale. Per la minoranza che sostiene una forma di accesso universale (senza condizioni se non la volontà del paziente - 21,7%), l'accesso all'assistenza attiva nel morire è subordinato a un processo e a un sostegno, senza che si tenga conto di alcuna condizione medica. Questo modo egualitario e universale di pensare all'assistenza attiva nel morire potrebbe consentire di rispondere a tutte le situazioni...comprese le condizioni di accesso, le garanzie e i meccanismi di controllo.

[15] Sulla questione dell'età, e in particolare sull'accesso all'assistenza attiva nel morire per i minori, dai lavori della Convenzione non sono emerse considerazioni conclusive. I favorevoli all'accesso dei minori sottolineano che essi possono trovarsi in situazioni di malattia e di sofferenza intrattabili, al pari del resto della popolazione. Altri ritengono che la volontà sia più complessa da determinare nel caso dei minori, le cui volontà devono essere conciliate con quelle dei loro rappresentanti legali.

[16] (C. 2 d’iniziativa popolare, C. 1418 Zan, C. 1586 Cecconi, C. 1655 Rostan, C. 1875 Sarli, C. 1888 Alessandro Pagano, C. 2982 Sportiello e C. 3101 Trizzino).

[17] Sul tema mi sia consentito rinviare alle argomentazioni svolte nel mio scritto, L’impasse del fine vita tra referendum e legge, in Questione Giustizia on line, 24.11.2021, nel quale ho sostenuo che il Parlamento - pur disponendo di una libertà incomparabile rispetto a quella del giudice delle leggi - è sembrato muoversi come un prigioniero nel ristretto perimetro tracciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 242 del 2019 tanto nell’individuazione dei “trattamenti” che legittimano la richiesta di morte volontaria quanto nell’identificazione dell’“atto” che deve essere posto in essere dalla persona che richiede l’assistenza medica per porre fine alla sua vita.

[18] Nel testo unificato era previsto che la richiesta dovesse provenire da una persona maggiorenne, che fosse affetta da sofferenze fisiche o psicologiche ritenute intollerabili e risultasse in grado di assumere decisioni libere e consapevoli. Inoltre, perché l’istanza di morte volontaria potesse essere legittimamente presa in considerazione, il richiedente doveva trovarsi nelle seguenti condizioni: a) essere affetto da una patologia irreversibile o a prognosi infausta oppure portatore di una condizione clinica irreversibile; b) essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; c) essere assistito dalla rete di cure palliative o avere espressamente rifiutato tale percorso assistenziale. Il testo proseguiva individuando i requisiti e la forma della “richiesta” che doveva essere «informata, consapevole, libera ed esplicita», manifestata per iscritto nelle forme previste per il testamento olografo e revocabile «in qualsiasi momento senza requisiti di forma e con ogni mezzo idoneo a palesarne la volontà». Ove le condizioni del malato non consentissero di rispettare questo regime formale la richiesta poteva essere espressa e documentata con qualunque dispositivo idoneo che consentisse al richiedente di comunicare e manifestare inequivocabilmente la propria volontà.

[19] Questi nel testo i passaggi essenziali della procedura di presentazione, valutazione ed eventuale accoglimento della richiesta di morte volontaria: a) presentazione della “richiesta” al medico di medicina generale o al medico che ha in cura il paziente ovvero a un medico di fiducia; b) redazione da parte del medico destinatario dell’istanza di un “rapporto” sulle condizioni cliniche del richiedente e sulle motivazioni che l’hanno determinata (rapporto di importanza cruciale nella complessiva economia della procedura perché, oltre ad essere corredato da copia della richiesta e della documentazione medica e clinica ad essa pertinente, deve contenere precise indicazioni sulle informazioni fornite in merito alla condizione clinica, alla prognosi, ai trattamenti sanitari ancora attuabili, a tutte le possibili alternative terapeutiche, alla conoscenza del diritto di accedere alle cure palliative, con la specificazione dell’eventuale assistenza già in atto sotto questo profilo o del rifiuto di tale percorso assistenziale); c) inoltro del rapporto al Comitato per l’etica territorialmente competente, tenuto ad esprimere, entro sette giorni dal ricevimento della richiesta, un parere motivato sulla esistenza dei presupposti e dei requisiti a supporto della richiesta di morte volontaria medicalmente assistita, trasmettendo il parere al medico richiedente ed alla persona interessata; d) invio, a seguito dell’eventuale parere favorevole del Comitato, da parte del medico autore del rapporto, del parere e dell’intera documentazione, alla Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria Territoriale o alla Direzione Sanitaria dell’Azienda Sanitaria Ospedaliera di riferimento, tenute ad effettuare le verifiche necessarie a garantire che la morte avvenga - nel domicilio del paziente o presso una struttura sanitaria pubblica - nel rispetto della dignità della persona malata ed in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi. 
Sulle modalità di realizzazione della morte volontaria il testo si limitava a prevedere la presenza e l’assistenza di un medico – ed eventualmente di uno psicologo – e l’obbligo, da parte del sanitario, procedente di verificare la persistenza della volontà di porre fine alla propria vita e delle condizioni soggettive ed oggettive legittimanti l’intervento eutanasico. 
Restava invece integralmente rimessa alla scienza medica l’adozione delle tecniche più adeguate a determinare una morte dignitosa e priva di sofferenze ulteriori rispetto a quelle proprie del paziente. 
Le norme di chiusura della disciplina di questa forma di eutanasia attiva volontaria riguardavano la qualificazione giuridica del decesso e l’esclusione della punibilità di quanti avessero partecipato alla procedura. Da un lato, infatti, il decesso a seguito di morte volontaria medicalmente assistita era equiparato a tutti gli effetti di legge alla morte per cause naturali. Dall’altro lato era esclusa la punibilità, ai sensi degli artt. 580 e 593 del codice penale, del medico e del personale sanitario e amministrativo che avessero dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita nonché di tutti coloro che avessero agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la procedura eseguita nel rispetto delle disposizioni di legge. 
Clausola, questa, dotata di efficacia retroattiva per le condotte di agevolazione della morte volontaria medicalmente assistita poste in essere in presenza di situazioni e condizioni analoghe a quelle legittimate dalla nuova legge.

[20] Sugli interventi dei giudici in questa materia v. oltre al già citato L’impasse del fine vita tra referendum e legge, v. N. Rossi, I giudici di Ancona sul fine vita nel caso Mario. Solo una postilla, in Questione Giustizia on line 24.11.2021.

[21] Su di un diverso terreno si colloca la proposta di legge regionale di iniziativa popolare - Veneto, recante norme su «Procedure e tempi per l’assistenza sanitaria regionale al suicidio medicalmente assistito ai sensi e per gli effetti della sentenza n. 242 del 2019 della Corte costituzionale». Proposta elaborata e promossa dall’associazione Luca Coscioni e destinata a fare da battistrada di altre analoghe proposte di leggi regionali. 
La proposta - scrivono i presentatori – si pone un obiettivo parziale e circoscritto: definire il rispetto e la diretta applicazione, relativamente a ruoli, procedure e tempi del Servizio Sanitario Nazionale/Regionale, delle condizioni e delle modalità di accesso alla morte medicalmente assistita definite dalla sentenza della Corte costituzionale n. 242 del 2019 ai fini dell’esclusione della punibilità dell’aiuto al suicidio. Nella relazione viene però ribadita «l’esigenza di una legge nazionale che abbatta le discriminazioni tra malati oggi in atto». 

04/05/2023
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04/05/2023