Magistratura democratica
Magistratura e società

Magistratura democratica sessant’anni dopo *

di Luigi Ferrajoli
professore emerito di Filosofia del diritto, Università di Roma Tre

1. Magistratura democratica ieri e oggi. La crisi delle democrazie  

Voglio esprimere, a conclusione di questa bella festa di Md, tutto il mio compiacimento nel vedere in tutti voi – in questa vostra rinnovata e rifondata Magistratura democratica – molti aspetti della mia antica Md, quella di 50 o 60 anni fa. 

Allora, quando nacque Magistratura democratica, negli anni sessanta del secolo scorso, l’Italia usciva da una lunga ibernazione della Costituzione repubblicana e noi, il nostro piccolo gruppo, contribuimmo in maniera rilevante al suo scongelamento. Oggi siamo di nuovo in una fase di ibernazione della Costituzione, che sembra scomparsa dall’orizzonte della politica dei nostri governi. Il ruolo di Md, oggi come allora, è perciò il medesimo: prendere sul serio i principi costituzionali, che sono tutti – l’uguaglianza, i diritti, la pace – le leggi dei più deboli, in alternativa alle leggi dei più forti che, di nuovo, stanno prevalendo proprio a causa del loro venir meno quali limiti e vincoli ai poteri selvaggi della politica e dell’economia.

Viviamo infatti una fase di declino della democrazia, non solo in Italia ma in tutto il mondo occidentale: in Europa, negli Stati Uniti, dove si preannuncia una stagione di razzismo violento e di demolizione dello Stato di diritto, in molti Paesi dell’America Latina, come il Messico e l’Argentina. È una crisi profonda, che si manifesta in forme diverse, accomunate tuttavia da una medesima concezione elementare e semplificata della democrazia: l’idea che la democrazia consista unicamente nella legittimazione elettorale di tutti i pubblici poteri. Ne consegue una degenerazione delle democrazie costituzionali in autocrazie elettive, insofferenti di limiti e vincoli quali sono i principi costituzionali, e cioè i diritti fondamentali e  la separazione dei poteri. Per questo la difesa di questi limiti e vincoli messa in atto da Magistratura democratica è un’azione preziosa: perché essa opera come un forte antidoto, uno dei principali antidoti istituzionali rimasti, contro l’involuzione in atto della nostra democrazia.

In Italia, il segno più clamoroso di questa crisi è il patto perverso tra le tre forze attualmente al governo – Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia – che si sono spartite l’azione di scempio del nostro sistema costituzionale: il premierato elettivo voluto da Fratelli d’Italia, l’autonomia differenziata messa in atto dalla Lega e la riforma della giustizia pretesa da Forza Italia. Ma le radici della mutazione del nostro sistema politico sono assai più profonde, e affondano negli ultimi 30 anni ingloriosi della nostra Repubblica. Affondano, precisamente, in quel misto di liberismo e di populismo che forma il sostrato culturale della crisi generata, sul piano materiale, dalla globalizzazione dell’economia. 

 

2. All’origine della crisi: la globalizzazione, l’asimmetria tra economia globale e politica statale e la subalternità della seconda alla prima

All’origine della crisi, non solo italiana ma globale, c’è infatti l’asimmetria, generata dalla globalizzazione, tra il carattere transnazionale dei poteri economici e finanziari e il carattere locale della politica, del diritto e dei relativi poteri statali, sia governativi che giudiziari. A causa di questa asimmetria, il rapporto tra politica ed economia si è ribaltato: non sono più i governi che assicurano la concorrenza tra le imprese, ma sono le grandi imprese economiche e finanziarie che mettono gli Stati in una concorrenza al ribasso, spostando i loro investimenti nei Paesi nei quali possono sfruttare il lavoro in maniera schiavistica, devastare impunemente l’ambiente, non pagare le imposte e corrompere i governi.

Ne risultano travolte entrambe le dimensioni della democrazia costituzionale quale è venuta affermandosi negli ordinamenti avanzati: in primo luogo della dimensione formale o politica della democrazia, cioè della rappresentatività popolare delle funzioni e degli organi di governo; in secondo luogo della dimensione sostanziale o garantista della democrazia, determinata dai limiti e dai vincoli di contenuto imposti al potere legislativo e a quello esecutivo dalla stipulazione costituzionale dei diritti fondamentali, di libertà e sociali, e dalla separazione dei poteri tra istituzioni di governo e istituzioni di garanzia. 

La dimensione formale o politica, espressa dalla rappresentanza, è resa sempre più inattendibile e ineffettiva dal fatto che è venuto meno il rappor­to tra poteri decisionali e popolo. Le deci­sio­ni che contano non sono più prese da poteri statali, ma da pote­ri so­vrastata­li, o peggio da poteri di altri Stati o, peggio anco­ra, dai poteri economici del mercato. E i governi ritengono di dover rispondere assai più ai mercati, dai quali sono sottoposti a valutazioni e a pagelle, che non agli elettori. Al di là delle riforme istituzionali, si è già prodotta di fatto, in Italia e non solo in Italia, la semplificazione dei sistemi politici imposta dai mercati. È quella che nel lessico liberista viene chiamata, con espressione non a caso affermatasi dopo l’uso fattone nel 1975 dal celebre rapporto di M. Crozier, S.P. Huntington e J. Watanuki alla Commissione trilaterale, “governabilità”: che significa massima potenza della politica sulla società e sui diritti delle persone quale condizione della sua massima impotenza e dipendenza dai mercati. A questi fini servono non già parlamenti divisi tra più partiti, tanto più se radicati nella società, bensì una personalizzazione dei sistemi politici come quella realizzata in Italia tramite riforme elettorali di tipo fortemente maggioritario. L’esito ultimo di questi processi è l’autocrazia elettiva, che in Italia la nostra Presidentessa del Consiglio vorrebbe perfezionare con il premierato elettivo, che certamente, dietro gli sbandierati sovranismi, è la forma di governo più funzionale alla soggezione della politica al dominio dell’economia. 

Quanto alla dimensione sociale, o sostanziale o garantista della democrazia, essa è stata ancor più apertamente aggredita dai mercati globali, i quali hanno imposto la distruzione delle garanzie dei diritti dei lavoratori, la privatizzazione dei servizi pubblici e la riduzione delle imposte sui grandi redditi e i grandi patrimoni, e quindi i tagli alle spese sociali in tema di salute, istruzione e sussistenza. Sostenibilità economica è la condizione cui vengono sottoposte tutte le spese sociali in materia di salute, di istruzione, di lavoro, di cooperazione internazionale e di transizione ecologica. Si è trattato, chiaramente, del ribaltamento della gerarchia dei valori disegnata da tutte le costituzioni avanzate, le quali, al contrario, vorrebbero le politiche economiche e fiscali funzionalizzate alla sostenibilità umana, alla sostenibilità democratica e alla sostenibilità ambientale.

Come si è prodotta questa mutazione del sistema politico? Si è prodotta grazie all’alleanza perversa avvenuta, non solo in Italia, tra liberismo e populismi di tipo nazionalista. Le politiche liberiste promosse dai mercati globali, aggredendo le garanzie e la stabilità dei rapporti di lavoro, hanno demolito il vecchio diritto del lavoro, sopprimendo l’uguaglianza dei lavoratori nei loro diritti. Con la precarietà e la differenziazione dei rapporti di lavoro, esse hanno così disgregato la composizione sociale del mondo del lavoro, ponendo fine all’unità, alla solidarietà e perciò alla soggettività politica di quello che una volta chiamavamo “movimento operaio”. Hanno così creato le basi sociali dei populismi, che le ideologie nazionaliste e razziste e le campagne demagogiche sulla sicurezza hanno riaggregato in chiave identitaria e reazionaria, dando vita a nuove soggettività politiche basate sul rancore, sulla paura e sull’ostilità a nemici comuni, identificati con i differenti, come sono i migranti e i delinquenti di strada e di sussistenza. Il conflitto sociale ha così cambiato direzione. Non è più la vecchia lotta di classe degli operai contro i padroni, ma la concorrenza al ribasso tra lavoratori precari e, insieme, la lotta ai nuovi nemici, identificati con i soggetti più deboli e vulnerabili della società. Non più la lotta alle disuguaglianze, ma la lotta alle differenze.

A loro volta, le destre populiste hanno ricambiato questo contributo al loro successo con contributi non meno rilevanti al successo delle politiche liberiste: dall’abbassamento delle imposte, a costo della riduzione delle garanzie dei diritti sociali, alla precarizzazione del lavoro, dalla rottura dell’uguaglianza nei diritti promossa dal progetto dell’autonomia differenziata alla riforma della giustizia diretta a ridurne l’indipendenza, fino alla semplificazione del sistema politico che proverrebbe dall’introduzione del premierato elettivo, perfettamente congeniale a tutti i populismi e diretto a ridurre sia il pluralismo politico, per la neutralizzazione delle opposizioni, che il pluralismo istituzionale per l’occupazione di tutto l’apparato pubblico da parte delle forze di maggioranza e, per esse, del loro capo. 

Il trionfo delle destre in tutto il mondo sta insomma manifestandosi nello sviluppo di due assolutismi – l’assolutismo dei poteri del mercato e l’assolutismo dei poteri della politica – accreditati e legittimati dalla loro connotazione con due parole che le destre hanno sottratto al lessico progressista e radicalmente deformato: la democrazia e la libertà. È con queste nobili parole che vengono chiamate e rivendicate, rispettivamente, le autocrazie elettive e i poteri selvaggi dell’economia globale, entrambi intolleranti di limiti costituzionali e di controlli giurisdizionali, gli uni perché espressioni della volontà popolare e gli altri perché espressioni delle libere dinamiche dei mercati. Tali limiti e controlli, cioè i diritti fondamentali e la separazioni dei poteri, le garanzie delle libertà e dei diritti sociali e l’indipendenza del potere giudiziario, sono tutti principi profondamente estranei alle concezioni sovraniste e assolutiste della politica e dell’economia che contrassegnano il nuovo autoritarismo di tutte le destre, liberiste e populiste, non a caso alleate. È poi evidente che dei due assolutismi, è quello dei poteri economici e finanziari che è realmente sovrano, mentre quello politico, per l’asimmetria più sopra illustrata, è ad esso oggettivamente e culturalmente subordinato.

 

 

3. Violazioni dei diritti e aggressioni alla separazione dei poteri

È su questo secondo aspetto della crisi – l’aggressione ai diritti fondamentali e alla separazione dei poteri, cioè ai due elementi con cui l’art. 16 della Déclaration francese dei diritti definisce la costituzione e, perciò, la democrazia costituzionale – che voglio soffermarmi, giacché esso è quello che maggiormente interessa la giurisdizione. Queste aggressioni, ho già detto, si sono già verificate di fatto, nelle politiche di questo Governo, ben prima delle mutazioni istituzionali progettate. 

 

3.1. L’aggressione ai diritti fondamentali

Innanzitutto l’aggressione ai diritti. Ho già detto dello smantellamento in atto dello Stato sociale e perciò della riduzione delle garanzie dei diritti sociali – alla salute, all’istruzione e alla sussistenza – onde favorire la sanità privata, le scuole private e le assicurazioni private. Ma l’aggressione ha colpito anche i diritti di libertà, attraverso la repressione del dissenso politico realizzata con i tanti provvedimenti adottati da questo Governo in materia penale e coronati dall’ultimo disegno di legge in tema di sicurezza. In tutti questi provvedimenti sono duramente punite – con la previsione talora di nuovi reati, talora di pesanti aggravamenti di pena per reati già esistenti nel nostro ordinamento, talora con l’ampliamento delle misure di prevenzione – tutte le espressioni del dissenso provenienti da manifestazioni di piazza di gruppi pacifisti, o ecologisti o in difesa dei migranti e dei diritti umani: sit in, blocchi stradali puniti da sei mesi a due anni se commessi da più persone, danneggiamenti, resistenza di qualunque tipo a pubblici ufficiali. Sono norme che non limitano soltanto il diritto di riunione, ma anche la libertà di manifestazione del pensiero: giacché la riunione è il solo medium di cui dispongono i comuni cittadini, i quali non pubblicano libri, non parlano in televisione, non scrivono sui giornali, ma possono solo esprimere il loro pensiero con le loro manifestazioni collettive di protesta. 

Ma è soprattutto contro i migranti che si è manifestato il disprezzo per i diritti e per le persone che forma il tratto più disumano di questo Governo. Sono state aggravate le misure della detenzione amministrativa e ostacolati, con l’aumento degli intralci burocratici e con le sanzioni, i salvataggi dei migranti in mare. Oggi le deportazioni dei migranti in Albania equivalgono alla negazione della loro identità di persona: un sequestro operato su persone che navigano in mare esercitando il diritto di emigrare e che vengono deportate, contro la loro volontà, in un luogo di detenzione. Evidentemente, per i nostri governanti, questi disperati non sono persone, ma cose, che possono essere impunemente private della libertà personale e rinchiuse in un campo di concentramento. Ebbene, io credo che la questione migranti sia oggi il banco di prova del tasso di civiltà di un ordinamento; e che di queste nostre politiche dovremo un giorno vergognarci. Non dimentichiamo che il diritto di emigrare fu teorizzato in Europa – nel 1539, da Francisco de Vitoria – quando servì a legittimare la conquista e la colonizzazione del Nuovo mondo. Oggi che l’asimmetria si è ribaltata, e sono i disperati della terra che fuggono dalla miseria e dal sottosviluppo generati prima dalle colonizzazioni, poi dalle nostre politiche liberiste, l’esercizio di quel diritto si è trasformato in delitto e ha fatto la sua ricomparsa, in Europa, la figura della persona illegale per la sua sola identità.

Il Ministro della giustizia Nordio, gran parte degli esponenti dell’attuale maggioranza, come già Berlusconi e i suoi sostenitori, si professano garantisti. È un’offesa alla ragione. Si tratta infatti di un garantismo della disuguaglianza e del privilegio, che pretende l’impunità per i ricchi e i potenti e promuove la disumanità nei confronti dei poveri e degli emarginati, destinati a pene draconiane, carcere duro e lesioni della loro dignità di persone: un garantismo della disuguaglianza che si è platealmente manifestato fin dalla legge di conversione n. 199 del 30 dicembre 2022, con cui fu inaugurata la politica penale di questo Governo: da un lato, l’aumento da 26 a 30 anni della pena espiata dagli ergastolani, prima che si possa concedere loro la liberazione condizionale, e la previsione della pena da 3 a 6 anni per le occupazioni «di terreni o edifici altrui al fine di realizzare un raduno musicale»; dall’altro, un regalo ai soli condannati per peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione, consistente nella soppressione, per tutti costoro, del regime del carcere ostativo previsto dall’art. 4-bis, che era stato ad essi esteso dalla legge n. 3 del 9 gennaio 2019.

 

3.2. L’aggressione alla separazione dei poteri

Il secondo aspetto, anch’esso inequivocabile, del disprezzo per lo Stato di diritto è l’aperta violazione della separazione dei poteri o, meglio, la totale ignoranza di questo principio elementare dello Stato di diritto ostentata dal nostro Governo. La Presidentessa del Consiglio, di fronte alla mancata convalida da parte del Tribunale di Roma del trasferimento in Albania di 16 migranti, ha espresso il suo enorme stupore per il fatto che la magistratura italiana non collabori con il Governo e ha addirittura ipotizzato una possibile congiura dei magistrati contro di lei. Evidentemente ignora il senso della separazione dei poteri. Non comprende che esso risiede nella valenza antimaggioritaria della giurisdizione, la cui fonte di legittimazione è non solo diversa, ma opposta a quella delle funzioni politiche di governo, dalle quali deve essere perciò indipendente. Questo senso antimaggioritario è ben espresso dalla famo­sa frase “ci sarà pure un giudice a Berlino”: deve pur es­serci un giudice capace, per la sua indipendenza e imparzialità, di assolvere, in mancanza di prove, anche quando tutti – governi, giornali, forze politiche, opinione pubblica – chiedono la condanna, e di condannare, in presenza di prove adeguate, quando i medesimi soggetti e i medesimi poteri pretendono l’assoluzione.    

   

4. Magistratura democratica oggi. Il nostro estremismo costituzionale

È questa duplice violazione dello Stato di diritto – dei diritti fondamentali e della separazione dei poteri, senza la cui garanzia, dice l’art. 16 della Dichiarazione del 1789, non c’è costituzione – che Magistratura democratica ha il dovere di contrastare nell’esercizio della giurisdizione e nel dibattito pubblico. Diritti fondamentali e separazione dei poteri, d’altro canto, sono valori democratici non meno, anzi ancor più del principio di maggioranza. Per due ragioni: perché garantiscono tutti, maggioranze e minoranze, e alludono quindi al popolo nella sua interezza, quale insieme di tutti gli esseri umani che ne fanno parte, e perciò in maniera ancor più pregnante della rappresentanza politica; e perché riguardano non la forma, per di più rappresentativa e perciò indiretta delle decisioni, bensì la loro sostanza, cioè le  libertà fondamentali e i bisogni vitali di tutti.

Oggi come 60 anni fa. Certamente la condizione odierna di Md è ben più difficile della nostra, di 50 o 60 anni fa. Noi nascemmo in una stagione di progresso e di speranza, non solo in Italia ma in tutto l’Occidente. Nascemmo negli anni sicuramente più avanzati della storia della Repubblica, quella delle battaglie civili in difesa dei diritti, ma anche delle principali riforme che la marcarono: dallo statuto dei lavoratori al nuovo processo del lavoro, dal divorzio alla depenalizzazione dell’aborto, dalla riforma carceraria alla riforma sanitaria e a quella del diritto di famiglia. Oggi siamo, invece, al culmine di una fase di declino della democrazia, non solo in Italia ma in tutto il mondo, che si manifesta nello sviluppo dei populismi, nei poteri selvaggi dei mercati, nella riduzione del vecchio Stato sociale, nelle tentazioni illiberali che minacciano tutte le nostre democrazie.

La mia generazione – di magistrati e di giuristi – ha scoperto la Costituzione come fonte di legittimazione sostanziale di tutti i poteri. La generazione attuale ha il compito, oggi come ieri, di difendere la Costituzione quale sistema di limiti e vincoli a qualunque potere. Oggi come ieri Magistratura democratica è accusata di estremismo. È vero, è l’estremismo costituzionale e garantista. È l’estremismo dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali presi sul serio, che sono tutti leggi dei più deboli contro le leggi dei più forti che si affermano senza scrupoli né limiti allorquando uguaglianza e diritti scompaiono dall’orizzonte dei pubblici poteri. È l’estremismo espresso dall’art. 3 capoverso della nostra Costituzione, che impone alla Repubblica di rimuovere gli ostacoli che impediscono di fatto l’uguaglianza e il libero sviluppo della persona, e che perciò è stato scritto pensando proprio ai soggetti più deboli – oggi i migranti, i disoccupati, i poverissimi, gli emarginati, le donne oppresse – che sono tutti vittime di quegli ostacoli, quali titolari di diritti fondamentali violati o insoddisfatti. 

È in questa difesa dei diritti dei più deboli, grazie all’indipendenza della giurisdizione, che consistono il ruolo e l’identità preziosa di Md. E perciò non possiamo non concludere questa festa se non con l’augurio che Md continui a svolgere questo ruolo, a mantenere questa identità, con intelligenza e passione. Non solo oggi, ma nei prossimi 60 anni e più oltre ancora. 

 

[*]

Intervento del 9 novembre 2024, tenuto in occasione del Convegno “Md fa sessanta”, dedicato ai sessant’anni di Magistratura democratica – Roma, Campidoglio, Sala della Protomoteca, 9-10 novembre 2024. Il contributo fa parte del fascicolo n. 4/2024 di Questione giustizia trimestrale, di imminente pubblicazione.

12/02/2025
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