Magistratura democratica
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La vicenda italiana tra fascismo e democrazia. Il fascismo (parte seconda) *

di Davide Conti
storico, ricercatore Fondazione Lelio e Lisli Basso

È davvero un grande piacere per me essere qui questa mattina e diciamo che partire dal titolo del doppio stato di Frankel ci consente di ragionare sulla misura, sui caratteri che hanno informato la transizione dal fascismo alla democrazia nel nostro paese. Ebbe un nuovo fiorire di interesse questo testo - lo ricordo abbastanza nitidamente - nel momento in cui specie l'ultima commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi in Senato lavorò, presieduta da Pellegrino, a proposito delle vicende che avevano caratterizzato il periodo soprattutto degli anni 70/80 in Italia, in relazione al fenomeno dello stragismo, al fenomeno dell'eversione anticostituzionale contro la Repubblica, collocata nel contesto della guerra fredda che aveva in realtà appunto informato i caratteri della transizione dal fascismo alla democrazia, modificando il contesto internazionale attraverso la divisione bipolare del mondo, attraverso la rottura dell'alleanza antifascista che aveva vinto la guerra calda e che, nel passaggio alla guerra fredda, trasformava lo status degli ex alleati in nuovi nemici e simultaneamente contestualmente trasformava lo status degli ex nemici della guerra calda in nuovi strategici fondamentali alleati della guerra fredda. 

Ed è in questo contesto ed in questo quadro che si trova da un lato come proiezione del carattere internazionale della divisione bipolare la frattura costituente delle forze che hanno dato vita alla Repubblica e hanno scritto la Costituzione repubblicana e dall'altro quell'elemento duale che è ben rappresentato dalla formula che separa, che divide la Costituzione formale da quella materiale, sostanziale, proprio in ragione degli equilibri della guerra fredda che modificano la prospettiva di applicazione costituzionale soprattutto negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto: quel decennio che gli storici chiamano del “congelamento costituzionale”, dal 1946 al 1956, quando per la prima volta cominciano ad assumere funzioni e forme istituti della nostra democrazia costituzionale fondamentale - il consiglio superiore della magistratura, la Corte costituzionale pur presieduta dall'ultimo presidente del tribunale della razza Gaetano Azzariti. 

In questo contesto rappresentare i caratteri della continuità di quella che è il più grande storico del tema, Claudio Pavone, ha indicato come continuità dello Stato ci consente di affrontare, di porre al passato quelle domande indispensabili per offrirci dei caratteri interpretativi del tempo che ci è toccato vivere. E allora, in questo senso, se la continuità è senz'altro di istituti - pensiamo al protrarsi del codice Rocco, dei codici fascisti - questa continuità è informata sul piano politico in ragione della prosecuzione, meglio della promozione degli uomini del fascismo dentro il corpo della nazione repubblicana. Una prosecuzione di queste carriere che segnerà come un'ipoteca pesante lo sviluppo storico della nostra democrazia. Farò qualche brevissimo esempio. 

All'indomani della fine della guerra degli oltre mille criminali di guerra italiani iscritti nelle liste delle Nazioni unite per essere processati da una Corte penale internazionale o estradati nei paesi che ne fanno richiesta - la Jugoslavia, l'Albania, la Grecia, l'unione sovietica, la Francia, la Libia, l’Etiopia, l'Eritrea - questi paesi di questi criminali di guerra che rappresentano un numero superiore alle mille persone non verranno mai processate, non si darà mai luogo ad una Norimberga italiana, cioè ad un momento in grado di segnare una faglia, una rottura tra un prima e un dopo e soprattutto una presa in carico di coscienza rispetto al precipitato storico, cioè l'eredità del fascismo in questo paese e nel resto del mondo. Questa mancata Norimberga italiana è figlia del contesto internazionale bipolare, perché naturalmente l'Italia che fa capo alla fine del secondo conflitto mondiale al campo Atlantico che sta costituendo l'alleanza atlantica - appunto la NATO - deve essere rapidamente riorganizzata sul piano industriale, sul piano del sistema politico, ma soprattutto sul piano del sistema degli apparati di forza militare. E dunque i criminali di guerra italiani che hanno compiuto stupri di massa, fucilazioni, deportazioni di centinaia di migliaia di civili, che hanno dato vita a quella che gli storici chiamano la guerra totale ovvero la guerra ai civili durante le occupazioni nazifasciste dei territori, non solo non vengono puniti ma vengono immediatamente reimmessi e promossi come personale qualificato alla battaglia anticomunista all'interno dei gangli vitali dello Stato. Il capo della terza sezione del controspionaggio del SIM fascista si chiamava Giuseppe Pièche. Era stato il responsabile della missione italiana in Spagna durante la guerra civile del ’36. Aveva compiuto un'attività di intelligence per il fascismo essenziale, intercettando i volontari repubblicani che andavano a combattere in Spagna per arrestarli, eliminarli oppure trasformarli - dopo torture o ricatti- in spie. Compì a tal punto, e con efficienza, questo compito che al suo rientro Mussolini lo promuove suo braccio destro e gli assegna la riorganizzazione del casellario politico centrale, la più grande schedatura di massa della storia del nostro paese. Nel 1941 Pièche viene promosso vicecomandante generale dell'arma dei carabinieri e inviato a Spalato in Jugoslavia ad organizzare la polizia politica degli ustaša croati, dei nazisti croati. Si rende responsabile dei crimini di guerra. L'8 settembre del 1943, rientra in Italia e gli alleati angloamericani immediatamente lo intercettano e lo promuovono. Diventa comandante generale dell'arma dei carabinieri per il Mezzogiorno liberato, prefetto di Ancona e di Foggia e a partire dal 1946, passato indenne l'epurazione viene nominato dal nuovo ministro dell'Interno Mario Scelba suo braccio destro. Il braccio destro di Mussolini diventa il braccio destro del ministro dell'Interno della Repubblica democratica antifascista nata dalla Resistenza, come vuole la formula canonica. Mario Scelba chiede a Giuseppe Pièche di fare quello che ha sempre fatto perché gli equilibri della guerra fredda hanno mantenuto il nemico di ieri nello status di nemico di oggi. Riorganizza il casellario politico centrale, struttura una difesa civile che deve essere elemento armato in grado di sostituire in determinati momenti di crisi - così viene detto - i prefetti in carica ed eventualmente organizzare quello che all'epoca si chiamava un giro di vite anticomunista e antisocialista nel paese in vista di un eventuale risultato negativo per il fronte conservatore nelle elezioni politiche del 18 Aprile del 1948. Giuseppe Pièche parteciperà nel 1970 al tentato golpe borghese del 7/8 dicembre di quell'anno. Fuggirà dall'Italia, riparerà a Malta e rientrerà in Italia soltanto quando - caso unico nella storia dei processi credo in Italia - tutti gli imputati saranno assolti, persino i rei confessi. 

Il figlio di Giuseppe Pièche si chiamava Augusto. Viene introdotto dal padre all'interno del SID (Servizio Informazioni Difesa) ed è l'uomo, il colonnello del SID, che organizza nel maggio del 1968 il viaggio di formazione dei neofascisti di ordine nuovo e avanguardia nazionale nella Grecia dei colonnelli, che dal 21 Aprile del 1967 è diventata un regime militare. Quel viaggio serve agli uomini come Pino Rauti, come Mario Merlino, come Stefano Delle Chiaie per formarsi alla guerra psicologica e a strutturare quella misura -la cosiddetta strategia della tensione- che a partire dal 12 dicembre del 1969 con gli attentati di Roma e Milano e la strage di piazza Fontana segnerà un quindicennio della vicenda repubblicana. 

Ettore Messana e Ciro Verdiani erano stati durante il fascismo in questori di Lubiana occupata durante la Seconda guerra mondiale. Avevano da quella carica disposto rastrellamenti, fucilazioni, distruzioni di comparti agricoli e industriali, deportazioni di civili, di donne, di bambini nei campi di internamento - 202 costruiti dal ministero della guerra fascista e disposti dalla Val d'Aosta alla Sicilia di cui il nostro paese non ha memoria oggi dove vengono internati oltre 100.000 jugoslavi, per esempio, oltre a etiopi e greci. Ecco, Ciro Verdiani ed Ettore Messana alla fine del secondo conflitto mondiale, anch'essi scritti nella lista dei criminali di guerra, vengono immediatamente riassorbiti nel personale del ministero dell'Interno e vengono promossi nello stesso ordine in cui hanno guidato la questura di Lubiana alla guida dell'ispettorato della pubblica sicurezza della Sicilia, della Sicilia del tempo: quella dei moti contadini, delle lotte contro il latifondo per l'assegnazione delle terre, per la riforma agraria del 46/48. Nel 1952, la Corte d'assise di Viterbo pronuncia la sentenza per la strage di Portella della Ginestra. Individua i responsabili materiali di quella strage: il bandito Salvatore Giuliano e gli uomini della sua banda, ma i giudici non si esimono dallo scrivere nero su bianco, da lasciare nero su bianco in quella sentenza scritto che a proteggere, offrire armi, denaro, documenti falsi, cure mediche e alloggi al bandito Salvatore Giuliano e agli uomini della sua banda erano stati i due capi dell'ispettorato di pubblica sicurezza Ciro Verdiani ed Ettore Messana, che avevano attraversato questa transizione dal fascismo alla democrazia indenni ed immediatamente erano stati reimmessi nel circuito della misura del conflitto, della guerra non ortodossa al comunismo appunto che distingue, disgiunge la Costituzione materiale da quella formale. 

In ultimo - e chiudo - la memoria pubblica delle stragi cioè del neofascismo, di quel fenomeno tutto italiano particolarissimo che a partire dal 26 dicembre del 1946 quando nasce un unicum nel contesto delle democrazie occidentali al capitalismo avanzato ovvero si forma un partito esplicitamente richiamante all'eredità di fascista - il movimento sociale italiano - che nasce prima della Costituzione repubblicana promulgata il 1° gennaio del 1948. Ecco, quel partito, il cui simbolo oggi è rappresentato dal partito di maggioranza relativa che governa questo paese, esprime immediatamente al momento della sua formazione due tipi di carattere. Il primo: quello di coagulo dei post fascisti, cioè di quella classe dirigente di quadri del regime e del fascismo di Salò che hanno attraversato da sconfitti l'esperienza storica del fascismo e quindi possiamo definirli i post fascisti. Ecco, quel partito si propone nello stesso tempo però non solo come raccolta dei reduci sconfitti dalla storia ma si propone con una misura strategica come qualsiasi partito che nasce. E qual è la misura strategica del movimento sociale italiano, di questo unicum, di questo baco costituente e costituzionale della nostra democrazia? È sicuramente quello di proporsi di aggregare, formare, organizzare l'attività politica di nuove generazioni di fascisti, dei fascisti in democrazia, dei neofascisti. Quelli che Almirante nel 1956 nel Congresso del partito chiama appunto «i fascisti in democrazia», «il grande equivoco», dice in quel suo intervento: «Cari camerati è uno e uno soltanto ed è dirsi ed essere fascisti in democrazia», essere cioè capaci di diventare fascisti del proprio tempo, un tempo che non è più quello del manganello, della camicia nera e dell'olio di ricino, ma un tempo in cui dentro il corpo della nazione repubblicana quell'elemento, quel partito deve rappresentare l'elemento ostativo all'applicazione integrale della Costituzione. 

Lo ricorda in maniera davvero precisa, perfetta a mio giudizio Aldo Moro nel Congresso della Democrazia Cristiana del 1962 quando lo statista democristiano, nel momento di maggiore sviluppo probabilmente post bellico del nostro paese - l'Italia cresce con un saggio economico compreso tra il 7 e l'otto per 100 di PIL e l'anno all'epoca - è attraversato da un processo di modernizzazione che ha svuotato le campagne e ha riempito i centri urbani e i nuclei industriali del nostro paese, che ha modificato antropologicamente, socialmente il nostro paese, in quel momento Aldo Moro sente la necessità di rappresentare ai delegati del suo partito cosa sia il fascismo in Italia all'alba degli anni ‘60, non all'alba degli anni ‘20. Lo fa recuperando da un lato la nozione gobettiana - il fascismo come autobiografia della nazione, come elemento che squaderna di fronte ai nostri occhi le aporie e i limiti, le contraddizioni del processo che ha formato lo stato nazione in Italia - dall'altro recupera la nozione gramsciana del sovversivismo dall'alto delle classi dirigenti, peculiarità tutta italiana che nel ‘22 dà vita al fascismo e che a partire dal ‘69 esprime con l'utilizzo della manovalanza fascista una misura paramilitare che si propone di recuperare sul terreno della violenza, dell'uso della forza ciò che si è perduto a partire dall'autunno caldo sul terreno del conflitto democratico con lo statuto dei lavoratori. E dunque la strage di piazza Fontana che interviene il 12 dicembre di quell'anno, nel pomeriggio di quel giorno, succede di solo quattro ore all'approvazione in prima lettura al Senato dello statuto dei lavoratori che diventerà legge il 20 maggio del 1970 e il Giano Bifronte che racconta appunto i caratteri di questa transizione incompiuta, la democrazia che al 1965 registra nel nostro paese 64 prefetti su 64 di carriera fascista in carica, 125 su 127 tra questori e vicequestori di carriera fascista. Di carriera fascista è tutta l'alta magistratura, tutto l'alto funzionariato ministeriale e naturalmente di carriera fascista il vertice dell'arma dei carabinieri, della pubblica sicurezza, della Guardia di finanza, dei servizi di sicurezza. Nell'ambito dell'inchiesta del per la strage di Piazza della Loggia del 1974 ci imbattiamo come consulenti in un'informativa davvero incredibile. Inizia come un romanzo ma purtroppo non lo è. È un'informativa che racconta la nascita e la storia di un servizio segreto clandestino e inizia con queste parole: «Questa è la storia di un servizio segreto clandestino fondato nel 1944 dal generale ex capo del SIM Mario Roatta, il numero uno della lista dei criminali di guerra dell’ONU». Ora cosa c'entrasse un servizio segreto clandestino che noi abbiamo imparato a conoscere col nome di Anello fondato nel ‘44 dal numero uno della lista dei criminali di guerra come una strage compiuta il 28 maggio del 1974 a Brescia rendeva in maniera visibile, plastica questo carattere di continuità e le e la sua capacità di incidere negativamente sull'applicazione organica, strutturale della nostra Costituzione che rimane il punto fondamentale di difesa della nostra democrazia.

 

[*]

Testo dell''intervento pronunciato alla quarta edizione del festival Parole di Giustizia, dedicato quest'anno a Democrazia e autoritarismi (Urbino/Pesaro, 18−20 ottobre 2024)

17/01/2025
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