Sapremo presto se le proposte di referendum radicali per la giustizia giusta abbiano raccolto il numero sufficiente di firme.
Accanto ai condivisibili (a parere di chi scrive) referendum su ergastolo e misure cautelari, altri tre toccano temi "caldi" di ordinamento giudiziario: separazione delle carriere (anche se il quesito ha il ben più modesto scopo di abrogare le previsioni che consentono il passaggio di funzioni, non toccando la struttura dell'ordine e carriera unica che hanno fondamento nella costituzione), responsabilità civile dei magistrati (la cui limitazione attraverso l'arcaico procedimento di ammissibilità dell'azione dovrà presto essere affrontata, anche alla luce della procedure di infrazione aperta dal'Unione Europea) e, infine, magistrati fuori ruolo.
Mi soffermo su quest'ultimo, che ha una particolarità. Mentre separazione delle carriere e responsabilità civile sono temi cari alla "politica" che ne hanno fatto cavalli di battaglia simbolici, il magistrato fuori ruolo (e il Consiglio che lo autorizza) sono piuttosto un obiettivo, o meglio un bersaglio, interno alla magistratura. Basta scorrere i dibattiti che si rincorrono da una mailing list all'altra per comprendere che vi è un movimento "culturale" trasversale alla magistratura associata e non che vede nel collega fuori ruolo un privilegiato che, per sponsorizzazione e non per meriti, lascia la trincea della giurisdizione per accaparrarsi posti succulenti al CSM, nei Ministeri, alla Corte Costituzionale e così via. Il tema è sentito in modo così forte che perfino nel dibattito sulla (grave) caduta mediatica del collega Esposito a proposito della sentenza Berlusconi si è evocata una perdita di fiducia nei confronti dell'organo di autogoverno causata dalla "politica" sui fuori ruolo!
La strana coincidenza dovrebbe spingere a una attenta lettura dei quesiti e ad uno sforzo di comprensione, chiedendosi perché, nella visione dei promotori del referendum, abolire i 220 circa posti di fuori ruolo (su un organico di circa 10.000 magistrati) dovrebbe concorrere all'obiettivo della "giustizia giusta".
Il lungo e complesso quesito e' riassunto così: "Perché centinaia di magistrati dislocati nei vertici della Pubblica Amministrazione tornino alle loro funzioni originarie, così da smaltire l’enorme quantità di processi che si sono cumulati, destinati inesorabilmente a diventare carta straccia per prescrizione." È spiegato come segue: "Si intende porre un freno al fenomeno dei cosiddetti “fuori ruolo”, ossia a quei magistrati collocati presso gli uffici legislativi dei gabinetti ministeriali, garantendo con ciò la separazione dei poteri ed eliminando la commistione tra magistratura e alta amministrazione."
E nella spiegazione sta il cuore dell'iniziativa, non tanto nella garanzia della separazione dei poteri (che non è chiamata in gioco quando un magistrato ordinario, amministrativo o militare - per la sua specifica competenza - svolge funzioni amministrative mentre le sue funzioni giudiziarie restano "sospese") quanto nell'esclusione (non del magistrato singolo in sé) della concezione dello stato di diritto (e del ruolo della giurisdizione per l'attuazione dei diritti) tipica della magistratura dai gangli decisionali dello Stato.
Conviene in proposito leggere qualche passo della relazione che il Prof. Di Federico, da sempre critico sulla "lobby" dei magistrati all'interno delle istituzioni, ha svolto in occasione del Convegno annuale degli studiosi del processo civile del 2012 (in Le novità in materia di ordinamento giudiziario, Atti del XXIX convegno nazionale, Bononia Universita Press, 2013, spec. pag 27 ss.); dopo aver sottolineato la sottrazione di forze agli uffici giudiziari ed ai pericoli per l'indipendenza rappresentati dall'elargizione di posti da parte della "politica", si viene al punto nevralgico: "La presenza di numerosi magistrati in tutti i gangli decisionali che si occupano di giustizia, inoltre, pregiudica gravemente il corretto funzionamento dei pesi e contrappesi su cui si regge una efficiente divisione dei poteri; una presenza che è sinora stata in vari modi capace di servire gli interessi corporativi dei magistrati (sia per promuovere le riforme volute che per impedire quelle sgradite)" (e analoghe osservazioni valgono nella visione dell'Autore per categorie che, come gli assistenti di studio presso la Corte Costituzionale, possono influire sulla giurisprudenza di alte corti).
Si può guardare al fenomeno da due diversi punti di vista e con diverse finalità: possiamo dire, coi promotori del referendum, che i magistrati fuori ruolo sono una lobby da debellare oppure che si tratta di una risorsa preziosa per l'affermazione dei principi dello stato di diritto e dei valori della giustizia e della giurisdizione.
A mio avviso una riflessione che parta da qui sarebbe assai utile. Certo e' necessaria trasparenza (l'albo dei fuori ruolo), si deve continuare per la strada del rispetto dei limiti di legge, il CSM - anziché inseguire al ribasso gli "elettori" sul terreno degli incarichi fuori ruolo - dovrebbe governarli (come si fa in altri Paesi, come la Francia) individuando i settori in cui impiegare le risorse, in consultazione con le istituzioni cui i fuori ruolo dovrebbero essere destinati e con il Ministero della Giustizia e quello degli Esteri, e ampliando la platea da cui attingere attraverso procedure semplici e accessibili (individuazione di possibili destinazioni, dichiarazioni di disponibilità).
Concludo con una notazione che nasce da un'esperienza personale, tre anni e un mese in Kosovo come Presidente dei giudici europei, esercitando funzioni giudiziarie (capo di ufficio giudiziario e giudice della corte Suprema) in corti ibride assieme, tra l'altro, a un fantastico gruppo di giudici e pubblici ministeri italiani. Certo non abbiamo realizzato la "RULE of LAW"' molto resta da fare...ma abbiamo introdotto tecniche di investigazione contro corruzione e crimini gravissimi, abbiamo contribuito al processo di creazione di un nuovo sistema legislativo, introdotto regole per l'assegnazione dei casi per criteri obiettivi, supportato l'applicazione diretta della CEDU, aiutato i colleghi kosovari a trattare casi di crimini di guerra che, senza la presenza internazionale, non sarebbero mai stati celebrati; abbiamo visto una completa nuova selezione di giudici e PM e aiutato i nuovi a percorrere la strada per divenire giudici europei.
Tutto questo è stato non solo un'esperienza professionale elettrizzante ma anche la via per migliorare sia l'esercizio della giurisdizione in quel pese sia la cooperazione giudiziaria e l'efficacia della lotta al crimine transnazionale nei vicini Paesi europei, tra cui il nostro.
L'apporto dei magistrati italiani nelle missioni dell'UE, nelle organizzazioni internazionali e nelle Corti internazionali (dalla CEDU alla CPI) è essenziale, va supportato e incoraggiato, non può essere annullato nel tritacarne della contrapposizione (inesistente) tra peones in trincea e privilegiati a spasso. I giovani magistrati, che hanno maggiori abilità linguistiche, per primi dovrebbero sostenere il sogno dei diritti "presi sul serio" in tutto il mondo.