Tra le forme di sottrazione al fondamentale dovere di solidarietà fiscale, che costituisce attuazione dei doveri, costituzionalmente presidiati, di cui agli art. 2 e 53 Cost. l’elusione o l’abuso del diritto è sicuramente la più insidiosa.
Essa, infatti, a differenza della franca evasione fiscale, che può realizzarsi mediante condotte lineari, o anche grossolane, e comporta, comunque, una diretta violazione delle norme fiscali, si attua in modo assai più subdolo e di difficile accertamento.
La struttura della elusione o abuso del diritto è quella della frode alla legge ed era già ben nota alle fonti romane, che la definivano come la condotta di chi rispetta la lettera della legge, frustrandone la sostanza.
Abusa della norma chi si mantiene con la sua condotta all’interno del significato di una disposizione (anche interpretato con la massima latitudine attraverso l’interpretazione estensiva, sistematica, ecc.), ma, di fatto, ne frustra gli obiettivi.
Nel campo tributario ciò significa ottenere un trattamento fiscalmente favorevole legale, conforme al signifcato delle disposizioni, ma in un caso che, se fosse stato previsto dal legislatore, sarebbe stato escluso.
Per ripristinare la giustizia sostanziale della contribuzione non basta, allora, ritenere che l’operazione abusiva sia nulla, ma occorre qualcosa di più: ritenerla equivalente a quella tassata di più.
E’ evidente che il mezzo di lotta contro abuso ed elusione è un parziale sacrificio del principio di legalità e tassatività: l’applicazione analogica della norma che prevede il trattamento tributario più severo.
I problemi, capitali e fondamentali, che la lotta contro l’abuso pone sono molteplici.
Innanzitutto, quello di stabilire un bilanciamento tra la certezza e prevedibilità del diritto (che osterebbe alla estensione delle disposizioni oltre il loro significato), da un lato, e il dovere di solidarietà (che impone di astenersi da sottrazioni strumentali all’obbligo di contribuire), dal’altro.
Il punto di equilibrio, non da ora,è stato trovato, quanto alle conseguenze fiscali, dalla giurisprudenza comunitaria, da un lato, e dalla legge interna italiana (art. 37 bis d.p.r. 600/1973), dall’altro, valorizzando il concetto di valida ragione economica.
Chi strumentalizza la legge contro il suo spirito (e ottiene quindi un vantaggio che è legale ma non è conforme allo spirito della legge stessa) non può farsi scudo, a fini fiscali, del principio di legalità, se ha agito solo per risparmiare il tributo.
Se, invece, la sua operazione aveva anche una altra solida finalità, la garanzia della legalità non può essere sacrificata, neppure a fini fiscali.
L’agire contro lo spirito della legge e solo per risparmiare tributi è condotta meritevole di minori garanzie rispetto al legislatore tributario: degrada la forza della garanzia del principio di legalità della imposizione: il tributo può essere chiesto anche nel caso analogo, se la condotta non aveva anche motivazioni più solide.
Tra legalità e solidarietà, vince la solidarietà se la condotta è abusiva e non sostenuta da altri motivi.
Il secondo problema, assai complesso ma fondamentale (e spesso tarscurato) è quello di individuare positivamente quando vi sia un abuso.
Sul punto, ancora una volta, la giurisprudenza comunitaria e la legge interna (art. 37 bis) sono molto chiare in termini generali: perché vi sia l’abuso occorre… l’abuso, cioè non basta che il soggetto ottenga un vantaggio tributario, ma che esso, pur legale, sia contrario nello specifico caso, allo scopo della norma che lo prevede.
Il concetto, ad esempio, è consolidato e chiarissimo nel diritto comunitario, anche fuori dal campo della fiscalità:“In particular, it is not open to national courts, when assessing the exercise of a right arising from a provision of Community law, to alter the scope of that provision or to com-promise the objectives pursued by it.”(ECJ, Kefalas (Case C-367/96); “despite formal observance of the conditions laid down by the Community rules, the purpose of those rules has not been achieved”(ECJ, 14 Dec. 2000, Case C-110/99, Emsland-Stärke GmbH v. Hauptzollamt Hamburg-Jonas).
Non basta che vi sia un risparmio e non basta che questo sia l’unico obiettivo della operazione, ma occorre che si dimostri positivamente che quel vantaggio è “immeritato”, contrario all’art. 53 Cost., asistematico, che, insomma, se il legislatore avesse previsto quel caso, il vantaggio sarebbe stato espressamente escluso.
Non vi è abuso se il vantaggio corrisponde, al contrario a una operazione “diversa”, che merita un trattamento diverso.
Un esempio, di mera fantasia, chiarificatore del concetto può essere costruito con riferimento al pagamento del pedaggio autostradale. A fronte dell’obbligo di pagare il pedaggio esistono varie strategie per chi non voglia sostenerne l’onere. La prima è percorrere la strada statale. La seconda passare, con la forza o con l’inganno il casello, e non pagarlo. La prima ipotesi è, evidentemente, una condotta lecita, un risparmio di imposta consentito: il viaggiatore non paga il pedaggio perché non ne realizza il presupposto. La seconda condotta è, evidentemente una condotta illecita: il soggetto commette una evasione, visto che pone in essere il presupposto (l’uso della autostrada) ma non adempie all’obbligo. L’elusione è, invece un comportamento intermedio, quello che cerca di aggirare l’obbligo pur ottenendo il risultato sostanziale cui l’obbligo avrebbe dovuto corrispondere. Nell’esempio dell’autostrada, si ipotizzi, una esenzione che il Regolamento del Concessionario conceda al passaggio di ambulanze, ma si ipotizzi, con la fantasia, che la definizione di ambulanza faccia esclusivo riferimento, analitico e tassativo, alle caratteristiche del veicolo (sirena, luci lampeggianti, presenza di apparecchiature medicali, ecc. ) e non al tipo di concreto utilizzo. Ebbene, se il contribuente utilizza una ambulanza per i suoi spostamenti autostradali, di lavoro o di piacere, e non paga il pedaggio, da un lato non evade, perché il Regolamento esenta le ambulanze, ma, dall’altro, non rispetta lo spirito del regolamento (che, manifestamente, era ispirato all’idea di non chiedere il pedaggio ai trasporti di emergenza). Appare giustificato, anche a fronte di un regolamento che esentava la fattispecie, richiedere comunque il pagamento del contributo.
Nella prassi della Agenzia delle entrate e della giurisprudenza sul punto si assiste invece a qualche disorientamento.
Molto spesso le contestazioni di abuso si limitano a constatare che a) vi è un vantaggio fiscale; b) la condotta era artificiosa, nel senso di “fatta apposta” per ottenere il vantggio ma non era sorretta da valide ragioni economiche diverse.
Ciò,innanzitutto, costituisce un travisamento del concetto di abuso (che viene privato del suo presupposto strutturale centrale: l’ottenimento di un vantaggio “non meritato”, “contrario allo spirito del sistema” che è cosa del tutto diversa e ulteriore da “preordinato” “voluto”), e assegna all’assenza di valide ragioni economiche il ruolo di elemento essenziale, quando, al contrario, è la sussistenza (e non l’assenza) di tali ragioni a costituire un’esimente (e non un presupposto).
Per rimanere all’esempio di cui sopra, la tesi dell’Agenzia delle Entrate che qui si critica equivale a pretendere il pedaggio non solo da chi viaggia in autostrada ma anche da tutti coloro che, fermati su strade statali, non dimostrino di non aver preso l’autostrada per ragioni diverse dal voler risparmiare il pedaggio (il che è, manifestamennte assurdo: il pedaggio si paga per il fatto obiettivo dell’uso dell’autostrada, non per quello psicologico di aver voluto risparmiare, e infatti può essere chiesto a chi, come nell’esempio, usa l’autostrada con un ambulanza per viaggi non medicali).
Ciò costituisce una soluzione contraria ai principi consolidati del diritto comunitario, cui l’Agenzia delle Entrate deve soggiacere.
Ciò costituisce un sacrificio del principio di legalità non proporzionato (come sopra osservato, la deroga è giustificata dall’abuso strumentale, non dal semplice fine di risparmio).
E ciò costituisce un pericoloso fattore di incertezza del diritto che, oltre a presentare profili di dubbia compatibilità con i diritti dei singoli, è fattore di pericolosissima disincentivazione dell’investimento in Italia.
Una volta tanto in cui la tutela dei diritti fondamentali e dei principi appare coerente con la crescita economica è una occasione da non perdere.