1. Breve storia delle disposizioni in materia di contratti pubblici. Ratio originaria ed evoluzione
La contrattualistica pubblica italiana è stata per lungo tempo disciplinata dalla legge e dal regolamento di contabilità di Stato, degli anni 1923 e 1924 (ancor prima: dalle regie Patenti del 29.5.1817 e dalla l. 23.3.1853 del Regno di Sardegna); ivi era disegnato un sistema puntuale principalmente incentrato sull’ esigenza di difendere l’Amministrazione da frodi.
E’, questa, una ratio fondante (o, se si vuole, un filo logico) che ha sempre fatto capolino, anche nella legislazione successiva, pur in un contesto storico e (soprattutto) normativo in costante evoluzione e profondamente mutato sulla scorta del diritto Ue.
Un quadro normativo, quello recente, che: tutela la concorrenza di per sé considerata; è stato decisivamente influenzato dalle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, informate all’apertura del mercato e alla tutela della competizione; culmina nella sentenza Stadz Graz (Cgue 30.9.2010, C-314) che innesta nel sistema italiano (che trova nell’art. 2043 cc la sua grundnorm: Sez Un. nn. 500 e 501 del 1999) una “responsabilità senza colpa” per violazione di regole poste (non a presidio dell’Amministrazione, ma) a tutela del mercato; sfocia nelle vigenti direttive del 2014 che consolidano il trend già presente (cfr Dir. Consiglio 21.12.1989, 89/665/CEE) volto a perseguire una dimensione “politica” (in senso economico, ambientale e sociale) degli appalti pubblici.
Adattando il motto degli Asburgo: «fiat aemulatio mercatoria et pereat mundus» ( o «ne pereat mundus»?).
Si badi però: la Ue non ha mai trascurato (cfr. art. 57 Dir.n. 24/2014) che in un mercato nel quale le Amministrazioni rappresentano una porzione preponderante della committenza ogni disattenzione alla moralità degli attori produce una concorrenza deviata: la contrattualistica pubblica resta quindi centrale in ottica di contrasto in realtà a diffusa presenza criminale.
Pur in un sistema progressivamente mutato, quindi, non sembra arbitrario affermare che quella ratio fondante cui si era fatto cenno prima, non è mai, anche in tempi recenti, venuta meno.
2. La legislazione speciale recente
Procedendo per sintesi: la legislazione del 1994 (Legge quadro in materia di lavori pubblici 11.2.1994, n. 109 c.d. “Merloni) risente delle coeve vicende ben note come “tangentopoli” ed innesta nel sistema italiano un corpo normativo fortemente restrittivo nei confronti di istituti (il subappalto, ad esempio) pur noti all’ordinamento nazionale ed apprezzati dal Legislatore comunitario in quanto proconcorrenziali, introducendo al contempo divieti assoluti di partecipazione alle gare non “condivisi” dal Giudice comunitario (emblematica la vicenda di cui a Corte giustizia UE sez. IV, 19.5.2009, n.538 in C-538/07,)
Il successivo d.lvo. 12.4. 2006 n.163, ha smussato numerose rigidità risalenti al 1994, introdotto l’istituto dell’avvalimento, di matrice europea, ma non ha rinunciato a forme di cautela “endogena” (id est: inserita nella stessa normativa speciale in materia di appalti) con riguardo ad istituti che, seppur favorevolmente valutabili in chiave di apertura del mercato, possono presentare problematiche di infiltrazione criminale.
Sulla stessa linea si muove il codice ancor oggi vigente (d.Lgs. 18.4. 2016 n. 50 che, ha “confermato” il limite dei 40000 euro per gli “affidamenti diretti” già contenuto nel d.Lgs 163/2006).
Neanche queste forme più recenti di cautela “endogena” risoltesi nel recepire un istituto proconcorrenziale perimetrandolo dall’interno attraverso l’imposizione di limiti applicativi hanno, tuttavia riscosso soverchio successo in ambito giurisdizionale comunitario (es: Corte giustizia UE sez. V, 27.11-2019, n. 402, Tedeschi in C-402/18).
3. Le cautele “esogene” a salvaguardia degli interessi erariali: legislazione antimafia e codice penale
Per altro verso, l’ordinamento nazionale si è, sin da tempo risalente, munito di cautele “esogene” volte a prevenire e perseguire condotte lesive delle “ragioni erariali” nella contrattualistica pubblica (al di là delle cautele “interne” alla legislazione sui contratti pubblici cui si è assai sommariamente fatto riferimento prima).
In particolare, il Legislatore nazionale ha agito su due fronti:
a) la previsione delle c.d. “interdittive antimafia” (d.Lgs. 6.9.2011 n. 159) che connota la specificità, quando non unicità, italiana;
b) una articolata legislazione penale di contrasto che si struttura in 5 disposizioni specifiche (artt. 353-356 cp) e in figure generali che puniscono il mercimonio della funzione pubblica (corruzione, concussione, etc.) e il doloso sviamento rilevante della discrezionalità amministrativa (abuso d’ufficio).
Non svolgendo più da numerosi anni funzioni giudicanti o requirenti penali e non volendo commettere il reato di “pascolo abusivo”, chi scrive non si avventurerà nell’ esame di dette fattispecie.
Sembra però sin d’ora utile precisare (ma sul tema si tornerà più avanti) che per consolidato orientamento della Cassazione penale (sez. VI, 27.1.2022 n.7264; 28.1.2021, n.5536) le disposizioni “specifiche” in punto di tutela degli incanti, possono trovare applicazione soltanto laddove una «gara» vi sia; e siccome «non è ravvisabile una gara in assenza della predeterminazione di precisi criteri di selezione, quando la scelta del contraente è sostanzialmente rimessa alla valutazione fiduciaria della pubblica amministrazione» nel caso dei c.d. “affidamenti diretti” tale presidio viene meno.
Sin qui la “fotografia” del dato storico.
4. La novità: il Decreto legislativo 31 marzo 2023 n. 36
Venendo a tempi più recenti, come è noto, è stato pubblicato in gazzetta ufficiale il nuovo codice degli appalti che recepisce con qualche modifica la “bozza” consegnata dalla Commissione speciale del Consiglio di Stato.
Il progetto di codice licenziato dalla Commissione ha perseguito tre direttrici:
a) in stretta aderenza alle direttive europee, ha operato integrazioni (per tutte: la perimetrazione di cui all’art. 16 sul conflitto di interesse) solo ove indispensabile, recependo per il resto le indicazioni della giurisprudenza comunitaria (es: subappalto a cascata ex art. 119 comma 17);
b) ha enunciato (artt.1-3) tre principi (risultato, fiducia, accesso al mercato) quali norme manifesto e criteri interpretativi dell’intero codice (art.4);
c) conformando l’articolato al principio del risultato (“massima tempestività e migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo,”) ha espresso (cfr. la relazione alla Parte II del primo libro) il convincimento che qualificazione, digitalizzazione e trasparenza costituiscano «valide misure di prevenzione» della corruzione.
Con più specifico riferimento al tema oggetto d’analisi le novità di maggior interesse (è evidente che trattasi di una valutazione soggettiva e pertanto ad alto rischio di arbitrarietà) potrebbero essere così elencate:
a) rivisitazione della disciplina in punto di cause di esclusione dalle gare in risposta alle sollecitazioni di cui alla lettera n) della legge-delega attraverso:
I) gemmazione dell’articolato (artt. 94 -98) in luogo dell’unico articolo (80) del codice n. 50 del 2016 resasi necessaria a fini di chiarezza (la materia aveva dato luogo ad imponente contenzioso) quale necessaria “eccezione” al criterio direttivo di cui all’art. 2 lett a) della legge-delega che prescriveva la ’’ riduzione “ (ma anche la “razionalizzazione”, per il vero) delle norme in materia di contratti pubblici;
II) estensione degli istituti premiali (self-cleaning –art. 96-; controllo giudiziario ex art. 34-bis “codice antimafia” dell’impresa interdetta –art. 94 c. 2-) anche successivamente alla presentazione dell’offerta, e sino all’aggiudicazione (che comunque in alcun modo può essere ritardata: art. 96 c. V);
III) tassativa casistica dell’illecito professionale grave (art. 98) e distinzione rigida delle cause di esclusione automatica (ove la committenza non ha margini discrezionali) da quelle “non automatica”;
IV) rigido ancoraggio alle norme processuali penali dei “momenti” a partire dai quali un fatto espulsivo riconducibile a un reato è valutabile dalla stazione appaltante e la durata del periodo rilevante (art. 96 co. 6-10);
b) la “messa a regime” delle soglie individuate dalla legge n. 55 del 14 giugno 2019 (conversione in legge del c.d. “sbloccacantieri” ) e, poi, dalla legislazione emergenziale dovuta alla pandemia, quanto alla latitudine applicativa degli affidamenti diretti (art. 50 comma I del quale è bene, forse, riportare integralmente il testo: «Salvo quanto previsto dagli articoli 62 e 63, le stazioni appaltanti procedono all'affidamento dei contratti di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 14 con le seguenti modalità: a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante; b) affidamento diretto dei servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, di importo inferiore a 140.000 euro, anche senza consultazione di più operatori economici, assicurando che siano scelti soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni contrattuali, anche individuati tra gli iscritti in elenchi o albi istituiti dalla stazione appaltante»).
5. Cautele “esogene” e nuovo codice appalti, con particolare riferimento agli affidamenti diretti
Principio della fiducia nell’operato delle stazioni appaltanti e degli operatori economici, e principio del risultato (non soltanto gare veloci, ma soprattutto contratti bene e tempestivamente eseguiti) sono stati posti a supporto delle innovazioni sinora velocemente tratteggiate; limitandosi all’ultimo profilo prima elencato, i contratti attribuiti mediante affidamenti diretti a «soggetti in possesso di documentate esperienze pregresse idonee all’esecuzione delle prestazioni» costituiranno una porzione assai rilevante, quando non preponderante dei contratti pubblici.
Data per acquisita la giurisprudenza di legittimità penale in punto di inapplicabilità agli stessi dell’art. 353 bis cp, l’eliminazione dal mondo giuridico dell’abuso d’ufficio, pur nella versione “minimale” del luglio 2020 (ove, ovviamente, non “sostituita” da altra, magari più specifica, figura) che sarà prossimamente oggetto di esame del Parlamento dovrà essere attentamente ponderata, sotto il profilo della opportunità di attrarre all’area dell’irrilevanza penale manifestazioni intenzionalmente deviate della discrezionalità valutativa in materia di affidamenti diretti dei contratti pubblici ove pur non trasmodino in condotte corruttive o concussive.
Ciò, più che mai, nel contesto PNRR - la cui eccezionalità è stata tanto autorevolmente sottolineata da rendere superfluo immorarvi.
Per il vero, una recente (3 maggio 2023) iniziativa della Commissione Europea sembra seguire una linea più “conservatrice”: la «proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla lotta contro la corruzione mediante il diritto penale» n. 2023/0135 da essa presentata annovera, infatti, all’art. 11, tra i reati dei quali gli Stati membri dovrebbero dotarsi (ove la direttiva predetta fosse approvata) quello di «abuse of functions» («Member States shall take the necessary measures to ensure that the following conduct is punishable as a criminal offence, when committed intentionally: 1. the performance of or failure to perform an act, in violation of laws, by a public official in the exercise of his functions for the purpose of obtaining an undue advantage for that official or for a third party; 2. the performance of or failure to perform an act, in breach of duties, by a person who in any capacity directs or works for a private-sector entity in the course of economic, financial, business or commercial activities for the purpose of obtaining an undue advantage for that person or for a third party»); e prevede (art. 15 comma3 lett. b) per lo stesso una pena non inferiore nel massimo a cinque anni (superiore, quindi, a quella oggi contemplata dall’art. 323 c.p.).