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Diritto alla riservatezza e all’oblio: la giurisprudenza della Corte di Cassazione, coerenza e limiti

di Rita Russo
consigliera presso la Corte di Cassazione

I diritti fondamentali della persona costituiscono un catalogo aperto in cui si sono inseriti, nel tempo, anche il diritto alla riservatezza e il diritto all'oblio, vale a dire il diritto dell’individuo a che le vicende della sua vita privata vengano dimenticate quando non sono più di pubblico interesse. L'Autrice esamina come questo diritto riceve tutela, nella interpretazione della giurisprudenza nazionale ed europea, tenendo conto del differente potenziale della diffusione di una notizia per mezzo della stampa cartacea e tramite siti web.

1. I diritti dell’uomo

I diritti dell'uomo costituiscono una classe variabile o un catalogo aperto che mutano a seconda delle trasformazioni sociali, del mutare dei bisogni e degli interessi della comunità, ma anche a seconda delle trasformazioni tecnologiche e culturali; ciò che sembra fondamentale in un'epoca storica e in una determinata civiltà non è necessariamente fondamentale in altre epoche ed in altre culture.

E’ molto difficile individuare il fondamento dei diritti umani e nel corso degli anni è apparsa sempre di più illusoria l'idea di individuare questo fondamento in una costante, di natura trascendente o immanente; si è piuttosto preso atto che a seconda delle diverse epoche storiche una comunità di esseri umani (più o meno ampia, a dimensione nazionale o sovranazionale) raggiunge il consenso su quali siano i diritti umani che la comunità stessa riconosce e protegge.

Pertanto, i diritti umani si possono oggi individuare come quei diritti riconosciuti e come tali ritenuti degni di protezione dalla comunità in cui viviamo, positivizzati nelle carte dei diritti, in primo luogo nella nostra Costituzione che ci indica quali sono i diritti umani da proteggere all'interno dello Stato, ma anche -a più ampio raggio- le carte dei diritti delle comunità sovranazionali: per esempio la Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea (Carta di Nizza), la Convenzione europea dei diritti dell'uomo e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.

Alla radice di questi diritti si trovano i valori, che guidano e orientano le scelte della collettività e identificano gli obiettivi che la collettività si propone di conseguire e soprattutto si trova il valore cardine, intorno al quale ruotano tutti gli altri e cioè il rispetto della dignità umana, che non a caso è solennemente enunciato, e definito inviolabile, nell’art. 1 comma primo della Carta di Nizza. Negli stessi termini la nostra Costituzione (art. 2) che prima di enunciare i singoli obiettivi (uguaglianza, libertà, lavoro, salute, progresso culturale e scientifico etc.) enuncia il metodo attraverso il quale questi obiettivi si perseguono, affermando che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, ma al tempo stesso richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. E questo rende evidente che la Repubblica non è un ente sovraordinato alla comunità e che può garantire i diritti in virtù di una forza che le è propria ed innata, ma che la forza attraverso la quale riesce a garantire i diritti dell’uomo proviene dalla stessa comunità e cioè dall’adempimento da parte di tutti i suoi componenti dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. 

Da qui possiamo compiere un'ulteriore riflessione e cioè che un portato della età contemporanea è la progressiva specificazione dei diritti umani; vale a dire che a fronte della originaria – e ancora oggi valida- enunciazione dei diritti dell'uomo come diritti che riguardano tutti gli esseri umani, nell’età contemporanea si avverte anche l'esigenza di riconoscere e proteggere questi diritti declinandoli nella loro specificità, in relazione alla condizione del loro titolare e alla sua appartenenza a determinati gruppi sociali, specie se si tratta di gruppi deboli o esposti a particolari rischi: ad esempio i diritti delle donne, i diritti dei bambini, i diritti dei disabili, specificamente considerati in apposite convezioni internazionali, quali esemplificativamente la Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (11 maggio 2011), la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo (20 novembre 1989) e la Convenzione di New York sui diritti delle persone con disabilità (13 dicembre 2006). 

Nel tempo, sono emersi anche diritti “nuovi” poiché le trasformazioni sociali e il progresso scientifico hanno reso evidente l'esigenza di tutelare situazioni che prima non erano considerate dall'ordinamento; in alcuni casi perché connesse a scelte in precedenza disapprovate e marginalizzate dalla comunità, in altri perché lo stato del progresso tecnologico non era tale da consentire determinate attività ovvero di mettere seriamente a rischio interessi umani rilevanti.

Si potrebbe forse dire che non si tratta neppure di diritti nuovi, quanto di nuovi modi di tutelare la dignità umana a fronte delle trasformazioni sociali, scientifiche e culturali.

 

2. Il diritto alla riservatezza e all’oblio

La rapida evoluzione tecnologica nel settore dei mezzi di comunicazione, unita anche ad una significativa evoluzione sociale, che ha determinato una crescita esponenziale di interesse per i fatti della altrui vita, pubblica e privata, ci porta inevitabilmente a focalizzare l’attenzione sul diritto dei singoli al riserbo, per tutte quelle vicende che non sono di interesse pubblico e non si vuole divulgare, e all'oblio, per quel che concerne le vicende passate sulle quali l’interesse -pur inizialmente legittimo- dell’opinione pubblica si è ormai affievolito. 

Questo diritto altri non è che un specificazione del diritto all'identità personale, il cui fondamento è ravvisabile nell'art. 2 Cost., nel quale si intrecciano i molteplici diritti ed interessi che fanno capo alla persona, quali l’interesse a preservare la contezza che ciascuno ha di sé, il diritto di conoscere le proprie origini, il diritto al nome, all’onore, alla reputazione, il diritto a conseguire uno status biologicamente veritiero o in alternativa a mantenerne uno non biologicamente veritiero ma socialmente consolidato, e il diritto alla immagine, inteso non solo in senso materiale, come ritratto della persona, ma anche quale insieme di connotati intellettuali, politici, religiosi, professionali che esprimono la persona e i suoi valori, e che questa non vuole vedere alterato o travisato all'esterno. 

Questo ci ha portato a fissare alcune regole fondamentali: la prima dice che è la persona stessa a disporre della propria immagine ed anche a decidere che cosa di sé vuole manifestare in pubblico e quali opinioni o eventi della sua vita vuole divulgare; la seconda, in giustapposizione alla prima, dice che nel caso di eventi pubblici o di interesse pubblico, necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, l’immagine può essere pubblicata anche senza il consenso dell’interessato. 

Si può incidere sul diritto alla riservatezza pubblicando notizie che riguardano la persona, oppure diffondendone l’immagine, ovvero diffondendo al tempo stesso la notizia e l’immagine; e si può incidere anche sul diritto all’onore e alla reputazione, se la notizia rivela comportamenti e condizioni della persona sui quali la società esprime normalmente un giudizio negativo.

Nella giurisprudenza della Corte di Cassazione da tempo si è affermato che affinché la divulgazione a mezzo stampa di notizie lesive dell'onore, della reputazione o della riservatezza di terzi possa considerarsi lecito esercizio del diritto di cronaca, devono ricorrere le seguenti condizioni: la verità dei fatti esposti, che può essere oggettiva o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca; l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto oggetto della cronaca, vale a dire la pertinenza; le correttezza dell'esposizione e cioè la continenza (Cass. n. 2066 del 13/02/2002; Cass. n. 4242 del 10/02/2023; Cass. n. 29265 del 07/10/2022). 

Si è però precisato che l'interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni legittimanti l'esercizio del diritto di cronaca, va distinto dall'interesse alla pubblicazione o diffusione anche dell'immagine delle persone coinvolte, la cui liceità postula il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata ai fini della completezza e correttezza della divulgazione della notizia, oppure il consenso delle persone ritratte, o l'esistenza delle altre condizioni eccezionali giustificative previste dall'ordinamento (Cass. n. 4477 del 19/02/2021; Cass. n. 2978 del 01/02/2024).

Si procede quindi ad un contemperamento tra libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto alla privacy ed all’identità personale, diritti aventi entrambi non solo copertura costituzionale, ma anche riconosciuti dalla Carte sovranazionali (art.2 e 21 Cost. artt. 8 e 10 CEDU, artt. 8, 10 e 11 Carta di Nizza). Trattandosi di beni ugualmente protetti, in sede giudiziale si applica il criterio di "gerarchia mobile", dovendo il giudice procedere, di volta in volta, all'individuazione dell'interesse da privilegiare a seguito di un'equilibrata comparazione tra diritti in gioco, volta ad evitare che la piena tutela di un interesse finisca per tradursi in una limitazione di quello contrapposto, capace di vanificarne o ridurne il valore contenutistico (Cass. n. 18279 del 05/08/2010; Cass. n. 15160 del 31/05/2021).

In questa dicotomia si inserisce il diritto all’oblio, che altri non è che una delle forme che può assumerne il diritto alla riservatezza, pensato e definito dalla giurisprudenza come il diritto a non subire gli effetti pregiudizievoli della ripubblicazione, a distanza di tempo, di notizia pur legittimamente diffusa in origine, ma non più giustificata da nuove ragioni di attualità; diritto la cui tutela sconta, sul piano applicativo, e segnatamente su quello del bilanciamento degli interessi, una criticità data dalla possibilità che siano conservate in rete notizie, anche risalenti, spesso superate da eventi successivi, e perciò inattuali. E’ stato quindi enunciato il principio che la diffusione di notizie sulle persone è lecita se in quel momento c’è interesse della collettività, dato dalla notorietà o dal ruolo pubblico. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva (Cass. s.u. n. 19681 del 22/07/2019). 

 

3. Come proteggere il diritto enunciato: cancellazione e deindicizzazione

La differenza tra notizia web e notizia su supporto cartaceo (quotidiani, riviste) non è la conservazione del contenuto ma la facilità con cui si arriva al contenuto stesso. I motori di ricerca hanno infatti degli indici attraverso i quali digitando una parola chiave oppure il nome di una persona appare un elenco di risultati e si viene indirizzati a pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni di vario genere relative a quella persona, anche molto risalenti nel tempo. Così, ad esempio, digitando il nome di un professionista, eventualmente specificando anche il settore di attività per affinare la ricerca, si avranno notizie sulla sua attività professionale, ma anche su eventuali illeciti disciplinari o penali, ovvero della sua eventuale partecipazione ad attività politica e sociale, e in definitiva di qualsivoglia episodio della vita di quella persona che -sia pure per poco tempo- abbia attirato l’attenzione di un mezzo di comunicazione dotato di una pagina web. Invece, per operare una simile ricerca su una pubblicazione a stampa (ad esempio un quotidiano) occorre fare una ricerca mirata e quantomeno ricordarsi in quale periodo si colloca l’informazione sulla vita di quella persona e di che genere di informazione si tratta.

Per questa ragione diventa estremamente complesso assicurare il diritto all'oblio nell'era della informazione digitale, in quanto il nome, eventualmente accompagnato da qualche altro dato identificativo o da parola chiave, è sufficiente a far riaffiorare anche vicende sulle quali si è (o si dovrebbe essere ) spenta l’attenzione.

In questi casi il diritto all’oblio si tutela tramite la deindicizzazione, che non elimina il contenuto, ma lo rende non direttamente accessibile tramite motori di ricerca esterni all'archivio in cui quel contenuto si trova.

E' stato così affermato nella giurisprudenza della Suprema Corte che in tema di protezione del dati personali, la cancellazione delle copie cache relative a una informazione accessibile attraverso il motore di ricerca, in quanto incidente sulla capacità, da parte di detto motore di ricerca, di fornire una risposta all'interrogazione posta dall'utente attraverso una o più parole chiave, non consegue alla mera constatazione della sussistenza delle condizioni per la deindicizzazione del dato a partire dal nome della persona, ma esige una ponderazione del diritto all'oblio dell'interessato col diritto avente ad oggetto la diffusione e l'acquisizione dell'informazione relativa al fatto, attraverso parole chiave anche diverse dal nome della persona (Cass. n. 3952 dell’ 08/02/2022).

Il diritto di ogni persona all'oblio, strettamente collegato ai diritti alla riservatezza e all'identità personale, deve essere bilanciato con il diritto della collettività all'informazione, sicché, anche prima dell'entrata in vigore dell'art. 17 Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), qualora sia pubblicato sul web un articolo di interesse generale ma lesivo dei diritti di un soggetto che non rivesta la qualità di personaggio pubblico, noto a livello nazionale, può essere disposta la deindicizzazione dell'articolo dal motore ricerca, al fine di evitare che un accesso agevolato, e protratto nel tempo, ai dati personali di tale soggetto, tramite il semplice utilizzo di parole chiave, possa ledere il diritto di quest'ultimo a non vedersi reiteratamente attribuita una biografia telematica, diversa da quella reale e costituente oggetto di notizie ormai superate (Cass., n. 15160 del 31/05/2021).

Il diritto all'oblio consiste quindi nel non rimanere esposti senza limiti di tempo ad una rappresentazione non più attuale della propria persona con pregiudizio alla reputazione ed alla riservatezza, a causa della ripubblicazione, a distanza di un importante intervallo temporale, di una notizia relativa a fatti del passato, ma la tutela del menzionato diritto va posta in bilanciamento con l'interesse pubblico alla conoscenza del fatto, espressione del diritto di manifestazione del pensiero e quindi di cronaca e di conservazione della notizia per finalità storico-sociale e documentaristica (Cass. n. 9147 del 19/05/2020; Cass. n. 34658 del 24/11/2022,) e non comporta una totale cancellazione della notizia alla cui conservazione può permanere un interesse (Cass. 2893 del 31/01/2023).

Si è così affermato che è lecita la permanenza di un articolo di stampa, a suo tempo legittimamente pubblicato, nell'archivio informatico di un quotidiano, che riguardi fatti risalenti nel tempo oggetto di una inchiesta giudiziaria poi sfociata nell'assoluzione dell'imputato, purché, a richiesta dell'interessato, l'articolo sia deindicizzato e non sia reperibile attraverso i comuni motori di ricerca ma solo attraverso l'archivio storico del quotidiano, e purché, a richiesta documentata dell'interessato, all'articolo sia apposta una sintetica nota informativa, a margine o in calce, che dia conto dell'esito finale del procedimento giudiziario in forza di provvedimenti passati in giudicato è necessaria la richiesta dell'interessato (Cass. n. 6806 del 07/03/2023).

La giurisprudenza nazionale è coerente con la giurisprudenza della Corte di giustizia europea (CGUE).

La Grande Sezione della CGUE, con sentenza dell'8 dicembre 2022 nella causa C-460/20, ha dichiarato che il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma deve essere considerato in relazione alla sua funzione sociale ed essere bilanciato con altri diritti fondamentali, conformemente al principio di proporzionalità. Il Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, (in acronimo GDPR, General Data Protection Regulation che abroga la direttiva 95/46/CE, in Italia attuata con decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, poi modificato in attuazione del GDPR) prevede espressamente, infatti, che è escluso il diritto alla cancellazione allorché il trattamento è necessario all'esercizio del diritto relativo, in particolare, alla libertà di informazione. Al tempo stesso però l’art. 17 del GDPR prevede che interessato può richiedere al fornitore di un motore di ricerca online di cancellare uno o più collegamenti a pagine web dall'elenco dei risultati visualizzati a seguito di una ricerca effettuata sulla base del suo nome.

Ed infatti, nella decisione del 24 settembre 2019, C-507/2017 (caso CNIL), la Corte europea ha affermato che l'attività di indicizzazione e memorizzazione automatica delle informazioni messe a disposizione del pubblico di internet costituisce trattamento dati personali, di cui il gestore del motore di ricerca è responsabile; che il diritto alla deindicizzazione deve essere esercitato, per effetto di tali principi, nei confronti del titolare motore di ricerca in quanto titolare di trattamento dati personali, che ha l'obbligo, laddove ricorrono le condizioni previste dalle norme del Regolamento e prima di esso della Direttiva, di rimuovere e sopprimere dall'elenco dei risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link che rinviano alle pagine web pubblicate da terzi, contenenti notizie riguardanti l'interessato, pur se di per sé leciti, ad esempio nei casi in cui la notizia non è più concreta e attuale, salvo il limite in cui per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, prevalga l'interesse pubblico all'ingerenza nei suoi diritti fondamentali.

Una possibile criticità della tutela assicurata dal GDPR è quella della dimensione territoriale, posto che il Regolamento opera se la base operativa dell’organizzazione si trova nell’Unione Europea, ovvero se l’organizzazione, seppure non avente sede nell’Unione Europea, offre beni o servizi (anche gratuitamente) a cittadini europei, oppure se l’organizzazione, seppure non avente sede nell’Unione Europea, monitora il comportamento delle persone che vi risiedono, a patto che tale comportamento abbia luogo all’interno del territorio della UE. 

Si pone quindi il problema delle notizie indicizzate in motori di ricerca che hanno più versioni, una europea e le altre extraeuropee; se l'ordine di deindicizzazione riguardasse soltanto la versione europea, la tutela del diritto all'oblio sarebbe parziale poiché tramite le altre versioni dello stesso motore di ricerca si potrebbe comunque accedere facilmente alla biografia completa della persona, anche per le notizie non più di interesse o superate da altri eventi. 

Sul punto la nostra giurisprudenza nazionale assicura il livello di tutela più avanzato possibile, affermando che quando sono in gioco i diritti fondamentali, come protetti dalla nostra Costituzione, anche il giudice italiano può emettere un ordine di deindicizzazione extraterritoriale (extra UE). Si è quindi affermato che in tema di trattamento dei dati personali, la tutela del “diritto all’oblio”, consente, in conformità al diritto dell’Unione Europea, alle autorità italiane, ossia al Garante per la protezione dei dati personali e al giudice, di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni, anche extraeuropee, del suddetto motore, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla protezione dei suoi dati personali e il diritto alla libertà d'informazione, da operarsi secondo gli standard di protezione dell’ordinamento italiano (Cass. n. 34658 del 24/11/2022). La decisione è stata assunta nella consapevolezza che in Paesi ove in ipotesi vigesse uno standard di tutela dei diritti della personalità meno protettivo al cospetto di una maggior libertà di informazione, ciò potrebbe comportare il mancato riconoscimento della decisione italiana o una difficoltà di esecuzione del provvedimento, ma -come si nota nella sentenza- si tratta di obiezioni di mero fatto.

In definitiva, anche il diritto all’oblio, così come il diritto alla riservatezza, alla reputazione e alla immagine sconta una criticità comune a tutti i diritti umani: per dirla con le parole di uno dei più grandi filosofi del 900, Norberto Bobbio, quando si tratta di enunciare i diritti umani l'accordo si ottiene con relativa facilità indipendentemente dalla maggiore o minore convinzione del loro fondamento assoluto; ma quando si tratta di passare all'azione, fosse pure indiscutibile il fondamento, cominciano le riserve e le opposizioni. Oggi il problema di fondo relativo ai diritti dell'uomo non è tanto quello di giustificarli, quanto quello di proteggerli, ed è un problema non filosofico ma politico; ma si potrebbe aggiungere, seguendo il ragionamento del filosofo, che è anche un problema di interpretazione ed applicazione della legge, in coerenza con i diritti fondamentali enunciati e i valori posti a base della nostra comunità.

20/06/2024
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