Con la sentenza n. 1277/2014 (ud. 20.05.2013 – dep. 22.01.2014) la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione analizza, sotto un peculiare punto di vista, la tematica della famiglia di fatto.
Il quesito rivolto alla Suprema Corte concerne la natura giuridica delle elargizioni patrimoniali poste in essere, in costanza di rapporto, dal convivente facoltoso nei confronti della compagna che aveva deciso di seguirlo all'estero, così rinunciando alla propria carriera in funzione della convivenza.
La sentenza ha il merito di risolvere il quesito attraverso una compiuta rassegna dell'evoluzione legislativa e giurisprudenziale in tema di famiglia di fatto, aggiungendo nuovi tasselli al riconoscimento del ruolo determinante dell'istituto nel contesto ordinamentale, a fronte della copertura costituzionale allo stesso offerta dall'art. 2 Cost. secondo cui “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Ne deriva che, pur con aspetti di diversa incisività ed intensità rispetto alla famiglia legittima fondata sul matrimonio, la convivenza more uxorio si manifesta a tutti gli effetti come una comunione di vita fondata sull'affectio e come una formazione sociale meritevole di rilievo costituzionale e di tutela giuridicaai sensi dell'art. 2 Cost.,non tanto e non solo al momento del suo sorgere, ma nella fase dinamica, caratterizzata da doveri di solidarietà e di assistenza reciproca, attuabili anche sotto forma di elargizioni in denaro, non ripetibili e non coercibili secondo la disciplina delle obbligazioni naturali.
La Suprema Corte si cimenta quindi, ancora una volta, in un'interpretazione di adeguamento dell'impianto normativo e giurisprudenziale alla realtà concreta, rendendosi il primo interprete delle norme e del comune sentire della società. In questo come in altri casi, la giurisprudenza è chiamata a dare una risposta ai problemi concreti ed ai modelli del vivere civile, universalmente diffusi, che sfuggono all'attenzione del legislatore.
Passando al merito della pronuncia, la Corte di Cassazione annulla con rinvio la sentenza n. 1823/2007, depositata il 05.12.2007, emessa dalla Corte d'Appello di Torino a conferma della decisione del Tribunale di prima istanza, sulla regolamentazione dei rapporti patrimoniali inerenti ad una convivenza more uxorio segnata da una brusca rottura. Il contenzioso nasce dalla pretesa azionata dal convivente in ordine alla restituzione delle somme di denaro (£ 120.950.000,00) versate a più riprese sul conto corrente della compagna, a seguito del loro trasferimento in Cina per ragioni lavorative e professionali dell'uomo.
Dopo la rottura del rapporto - durato ben cinque anni e dal quale era nato un figlio - i conviventi regolavano i propri rapporti patrimoniali e gli obblighi di mantenimento del padre nei confronti del figlio (affidato alla madre) sulla base di due distinte scritture private, nulla prevedendo in ordine alla restituzione dell'accredito di £ 120.950.000,00. L'attore pretende in citazione la condanna della donna alla restituzione della somma suddetta, qualificando l'erogazione in via principale come mandato ad amministrare utilmente i propri risparmi (di cui chiede alla compagna il rendiconto), in via subordinata come gestione di affari altrui, in extrema ratio in termini di arricchimento senza causa.
La donna si costituisce in giudizio contestando quanto ex adverso dedotto, qualificando la fattispecie in termini di adempimento dell'obbligazione naturale, sempre possibile nel corso della convivenza more uxorio, finalizzato alla creazione di una disponibilità finanziaria in favore della donna che sacrifica la propria carriera dirigenziale, ed il proprio reddito fisso, per seguire il compagno.
Il Tribunale di Torino accoglie la pretesa dell'attore, condannando la convenuta a restituire all'ex-compagno il denaro messo a sua disposizione; esclude tuttavia le prospettazioni dell’attore inerenti alla configurazione della fattispecie in termini di mandato e di gestione di affari altrui, valorizzando la tesi dell'arricchimento senza causa. Ritiene che non possa trattarsi di adempimento dell'obbligazione ex art. 2034 c.c. - come teorizzato dalla convenuta - per una serie di indici presuntivi dell'esclusione degli obblighi morali e sociali tali da giustificare l'erogazione:posizione paritaria dei conviventi;rispettive buone condizioni economiche;convivenza improntata a reciprocità e collaborazione;assolvimento da parte del convivente dei propri doveri verso la donna, assicurandole vitto, alloggio e mantenimento, sia durante la convivenza che dopo, in forza della scrittura privata stipulata;genericità e mancanza di titolo della pretesa della convenuta ex art. 2034 c.c..
La Corte d'Appello di Torino, adita dalla convenuta in sede di gravame, conferma il provvedimento del Tribunale.
La Corte di Cassazione, di seguito interpellata, espone, secondo un preciso ordine gerarchico delle fonti, le più rilevanti prese di posizione dell'ordinamento sovranazionale e di quello interno, nonché della giurisprudenza, sul ruolo della famiglia di fatto e sulla qualificazione giuridica della dazione di denaro espletata da uno dei conviventi in favore dell'altro nel corso del rapporto, e sposa infine l'orientamento giurisprudenziale più evoluto ed aderente alla realtà concreta, che assimila le obbligazioni nascenti dalla convivenza more uxorio alle obbligazioni naturali, peraltro collocando nell'ambito delle unioni di fatto il luogo più fecondo per l'insorgere di doveri dettati dalla morale sociale e per l'attuazione di impegni nascenti dall'affettività.
La Corte rileva infatti che <<le unioni di fatto - nelle quali alla presenza di significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale si associa l'assenza di una completa e specifica regolamentazione giuridica, cui solo l'elaborazione giurisprudenziale e dottrinale ovvero una legislazione frammentaria talora sopperiscono - costituiscano il terreno fecondo sul quale possono germogliare e svilupparsi quei doveri dettati dalla morale sociale, dalla cui inosservanza discende un giudizio di riprovazione ed al cui spontaneo adempimento consegue l'effetto della “soluti retentio”, così come previsto dall'art. 2034 c.c.>>.
L'excursus approntato dalla Cassazione muove dall'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, che sancisce il principio per cui “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare”: la Corte di Strasburgo ha ribadito l'esegesi del diritto de quo, nella recente sentenza 24.06.2010, Prima Sezione, nel caso Schalk - Kopft c/ Austria, secondo cui il concetto di famiglia non è - e non può essere - limitato alle relazioni basate sul matrimonio, ricomprendendo tutti gli altri legami familiari di fatto, rappresentati dalle convivenze instaurate fuori dal vincolo di coniugio.
Quanto alla tutela costituzionale della convivenza more uxorio, la Corte richiama l'indirizzo più recente della Consulta - ormai espresso in innumerevoli pronunce - che spostando l'attenzione dall'art. 29 Cost. all'art. 2 Cost., valorizza il riconoscimento dell'unione di fatto in termini di “stabile convivenza tra due persone, anche dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone - nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge - il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” (Corte Cost., n. 138/2010; Corte cost. n. 404 del 1988, con cui il convivente more uxorio è stato inserito tra i successibili nella locazione, in caso di morte del conduttore; ed ancora Corte cost. n. 237 del 1986).
Tale previsione costituzionale consente dunque di inquadrare la famiglia di fatto nell'ambito delle formazioni sociali e delle conseguenti intrinseche manifestazioni solidaristiche, ove si deve ricondurre “ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico”; consente altresì di attribuire un differente fondamento costituzionale alla famiglia legittima ed alla convivenza more uxorio, giustificandone, alla luce del principio di ragionevolezza, la mancata equiparazione.
L'analitica rassegna della Suprema Corte prosegue quindi con l’esame della legislazione nazionale ove si riscontrano “ancorché in maniera disorganica, e ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio”, indici sempre più eloquenti e significativi della rilevanza della famiglia di fatto. Si pensi, in particolare, alla recente Lg. 10.12.2012, n. 219, che ha definitivamente eliminato ogni discriminazione tra figli "legittimi" - nati dal matrimonio - e figli "naturali"; alla Lg. 08.02.2006, n. 54, che ha esteso la regola dell'affidamento condiviso, con la relativa disciplina, ai procedimenti relativi ai figli di coppie di conviventi; all’art. 5 della Lg. 19.02.2004, n. 40 , che consente alle coppie di fatto di poter ricorrere alle tecniche di fecondazione artificiale (rimangono esclusi da tale disciplina i singles); alla Lg. 09.01.2004, n. 6, che cita più volte “la persona stabilmente convivente” con il beneficiario, sia in relazione ai criteri di scelta che devono guidare il Giudice nella designazione della persona più adeguata a rivestire il ruolo di amministratore di sostegno (408 c.c.), che per la promozione delle istanze di interdizione, di inabilitazione e di nomina dell'amministrazione di sostegno (artt. 417, 406 c.c.); alla Lg. 04.04.2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter, predisponendo sia a tutela del coniuge che del convivente more uxorio, il regime di protezione contro gli abusi familiari; infine alla Lg. 28.03.2001, n. 149, art. 7, che, modificando l'art. 6, co. 4 della Lg. 04.05.1983, n. 184, ha previsto che il requisito della stabilità delle coppie adottanti può sussistere anche al di fuori della famiglia legittima, ove la coppia abbia“convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni”.
Quanto alla giurisprudenza di legittimità, la Corte esamina una serie di pronunce rilevanti che hanno affermato, in specifici settori, il ruolo della convivenza more uxorio quale formazione sociale idonea a favorire l'evoluzione della personalità del singolo e della coppia, da cui sorgono doveri di natura sociale e morale, nonché peculiari conseguenze di natura giuridica. La giurisprudenza di legittimità ha infatti riconosciuto, sotto il profilo risarcitorio, la tutela delle posizioni soggettive derivanti dalla famiglia di fatto (Cass. Civ., 22.07.1999, n. 500; Cass. Civ., 31.05.2003, n. 8827 e 8828; Cass., 11.11.2008, n. 26972 e ss.), ha affermato la responsabilità aquiliana sia nei rapporti interni alla convivenza (Cass. Civ., 15.05.2005, n. 9801), che nelle lesioni arrecate da terzi al rapporto nascente dall'unione de qua, che risulti stabile e duratura (Cass. Civ., 21.03.2013, n. 7128, secondo cui “integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 c.c. - giacché lede un interesse della persona costituzionalmente rilevante, ai sensi dell'art. 2 Cost. - il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione”; ancora cfr. Cass. Civ., 16.09.2008, n. 23725). In altre pronunce, si è invece attribuita rilevanza alla convivenza intrapresa dal coniuge separato o divorziato ai fini del riconoscimento dell'assegno di mantenimento o di quello di divorzio (Cass. Civ., 10.11.2006, n. 24056; Cass. Civ., Sez. I, 10.06.2007, n. 17643; Cass. Civ., Sez. I, 11.08.2011, n. 17195; Sez. I, 12.03.2012, n. 3923); inoltre, muovendo dalla qualificazione della disponibilità dell’immobile del convivente in termini di detenzione qualificata - che ha titolo nel negozio giuridico di tipo familiare - si è affermato che “l'estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio nei confronti dell’altro quand’anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi” (Cass. Civ., 21.03.2013, n. 7214). Sul punto, una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione si è spinta ancora oltre, riconoscendo la tutela possessoria al convivente del detentore qualificato dell'immobile, anche nel caso in cui la condotta di spoglio sia commessa da un soggetto terzo - proprietario del bene - nei confronti della coppia (Cass. Civ., 02.01.2014, n. 4).
Ciò premesso, la Corte di legittimità misura la propria interpretazione sul caso concreto, ponendo l'attenzione soprattutto sul piano funzionale della fattispecie. Infatti, la convivenza more uxorio, come tutti i rapporti di fatto, trova la sua compiuta realizzazione non tanto nella fase genetica - che muove dall'autodeterminazione delle parti - ma in quella esecutiva, caratterizzata dalla perdurante unità di intenti, dall'affectio tra i suoi membri, dalla tendenziale stabilità del rapporto, dalla coabitazione, dalla comunanza di vita e di interessi dei suoi protagonisti, dalla reciproca assistenza morale e materiale. Non si tratta in questo caso di obblighi giuridici in tutto e per tutto analoghi a quelli nascenti dal matrimonio, ma di contegni osservati spontaneamente da ciascun convivente, nella comune convinzione che siano dovuti in forza di doveri di solidarietà morale e familiare, in virtù del riconoscimento del rapporto di fatto esistente. Ne deriva un consorzio di vita familiare meritevole di tutela giuridica nelle sue molteplici manifestazioni.
Alla luce di tale presupposto, la Suprema Corte, cassando la pronuncia della Corte d'Appello che ha escluso la ricorrenza degli effetti previsti dall'art. 2034 c.c., enuncia il principio secondo il quale “I doveri morali e sociali che trovano la loro fonte nella formazione sociale costituita dalla convivenza more uxorio refluiscono, secondo un orientamento di questa Corte ormai consolidato, sui rapporti di natura patrimoniale, nel senso di escludere il diritto del convivente di ripetere le eventuali attribuzioni patrimoniali effettuate nel corso o in relazione alla convivenza” (Cass. Civ., 15.01.1969, n. 60; Cass. Civ., 20.01.1989, n. 285; Cass. Civ., 13.03.2003, n. 3713; Cass. Civ., 15 maggio 2009, n. 11330).
Come risulta dalle pronunce richiamate, non si tratta di una novità, bensì del consolidarsi di un principio. Difatti, in origine, le elargizioni economiche tra conviventi in pendenza del rapporto more uxorio, venivano qualificate da dottrina e giurisprudenza in un'ottica cd. indennitario-retributiva, quali donazioni remuneratorie, dirette a ricompensare la parte più debole del rapporto della dedizione manifestata verso la casa, i figli ed il compagno. Tale ricostruzione poneva una serie di problematiche connesse alla natura giuridica ed alla disciplina prevista dalla legge per le donazioni, con particolare riferimento alla forma pubblica dell'atto, alla revocabilità della disposizione e così via. Per tale ragione la giurisprudenza di legittimità, con una prima pronuncia resa alla fine degli anni '60, ha superato la prospettiva indennitaria, ponendo l'accento sulla ratio solidaristica di tali esborsi patrimoniali.
La Suprema Corte ha infatti previsto che “nelle attribuzioni patrimoniali fatte dall'uomo alla donna con lui convivente more uxorio, all'atto della cessazione della relazione, può ravvisarsi l'adempimento di un'obbligazione naturale e non una donazione. La differenza tra adempimento di obbligazione naturale e donazione non può ricercarsi nella spontaneità o mancanza di coazione giuridica, sia perché l'art. 2034 c.c. richiede proprio che la prestazione sia eseguita spontaneamente e sia perché la non coercibilità costituisce un carattere essenziale dell'obbligazione naturale. La discriminazione non può agevolmente cogliersi neppure sul terreno psicologico, quanto invece in base a tutti gli elementi oggettivi e all'esistenza del pregiudizio e del danno in relazione alla concreta circostanza del caso, nonché alla proporzionalità tra pregiudizio subito e attribuzione patrimoniale (che sussiste pure nelle obbligazioni naturali), che consentano di accertare se scopo dell'atto sia stato quello di arricchire la donataria o di riparare, invece, a quello che può essere un obbligo morale dell'uomo nei confronti della donna con cui ha convissuto more uxorio” (Cass. Civ., Sez. I, 15/01/1969, n. 60, Magis / Chiodi).
A seguito di tale pronuncia, la giurisprudenza di legittimità ha ancora aggiustato il tiro, prevedendo che nel rapporto di convivenza more uxorio, integra adempimento dell'obbligazione naturale non solo l'assistenza morale prestata da una delle parti in favore dell'altra in caso di difficoltà, ma anche l'esborso di somme effettuato dal convivente - sia esso l'uomo o la donna - al fine di sopperire a singole necessità del partner, a condizione che “possa riscontrarsi un rapporto di proporzionalità tra le somme esborsate ed i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dai conviventi”. Ne deriva la non ripetibilità dell’erogazione, a carico del beneficiario, neanche dopo la sua morte, a carico degli eredi, tipico della soluti retentio (così Cass. Civ., Sez. II, 03/02/1975, n. 389, Faccani / Savani). La giurisprudenza ha in particolare qualificato ai sensi dell’art. 2034 c.c., la promessa di un'attribuzione patrimoniale fatta dal compagno in favore del convivente superstite (costituzione di un usufrutto decennale su di un appartamento con scrittura privata) al solo scopo di rimborsarlo delle spese compiute nell'interesse del defunto.
La natura di obbligazioni naturali delle suddette attribuzioni si rinviene peraltro nella presenza dei requisiti tipici e costanti rinvenuti dalla dottrina (BIANCA) nella fattispecie di cui all'art. 2034 c.c.: la libertà delle forme - salvo che la forma scritta sia imposta dalla natura dei beni oggetto di elargizione - la spontaneità dell'adempimento, la proporzionalità della prestazione alla situazione contingente ed alla disponibilità delle parti.
Tale interpretazione si è poi ulteriormente consolidata. La giurisprudenza ha infatti precisato che l'attribuzione patrimoniale compiuta dalla parte in favore del convivente o della convivente more uxorio configura l'adempimento di un'obbligazione naturale a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata all'entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens: nella fattispecie i giudici hanno escluso il rapporto di proporzionalità tra l'opera edificatoria realizzata, a propria cura e spese, con arricchimento esclusivo di uno solo dei componenti la famiglia di fatto, e l'adempimento dei doveri morali e sociali da parte del convivente more uxorio (Cass. Civ., Sez. I, 13.03.2003, n. 3713, Sanna / Atzori). Ed ancora, la Suprema Corte ha ritenuto configurabile l'ingiustizia dell'arricchimento di un convivente nei confronti dell'altro in presenza di prestazioni a vantaggio del primo di notevole entità, esulanti dal mero adempimento di obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza - il cui contenuto deve essere parametrato alle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto - e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza (Cass. Civ., Sez. III, 15/05/2009, n. 11330, Giorgi / Dieci).
Alla luce di tale evoluzione, la Corte di Cassazione ha rivelato, nella sentenza in commento, la debolezza delle argomentazioni usate della Corte territoriale per escludere la sussistenza, nel rapporto more uxorio, di doveri di solidarietà e dunque di obbligazioni naturali. Anzitutto ha evidenziato che il riferimento alla percezione di “vitto e alloggio”, al fine di escludere la contribuzione ad esigenze personali della ricorrente è un “argomento poco felice e mortificante”; ha osservato poi che il giudice di merito non ha adeguatamente considerato le peculiarità della comunione di vita instaurata dai conviventi, le condizioni economico-sociali della parti ed il criterio di adeguatezza e proporzionalità tra i mezzi, la disposizione e l'interesse da realizzare. Infatti, sostiene il giudice di legittimità che, a prescindere dal riferimento alle minori consistenze patrimoniali di una delle parti rispetto all'altra, non risulta comunque effettuata dalla Corte territoriale - che dovrà provvedervi in sede di rinvio - la valutazione relativa all'esiguità delle elargizioni, in rapporto alle capacità patrimoniali e reddituali del convivente.
La Cassazione ha rimarcato la scarsa attenzione avuta dal giudice di merito per il contenuto oggettivo e sostanziale della relazione, caratterizzato dalla nascita di un figlio, dall’esclusività e dalla stabilità della coabitazione, dalla notorietà dell'unione e da una precisa differenza di ruoli, fondata sul sacrificio delle aspettative professionali della convivente a favore del compagno, dell'unione della coppia e dell'evoluzione del rapporto. Ciò in quanto, come spiega la Cassazione “il dovere di prestare aiuto alla persona convivente affinché adempia alle proprie obbligazioni dovrebbe assumere, sempre nell'ambito dei doveri morali e sociali, un carattere ben più cogente rispetto alla mera contribuzione economica per l'acquisto di beni di consumo pur adeguati a un alto tenore di vita”, andando a pervadere tutte quelle manifestazioni solidaristiche, fondate sull'affectionis causa, che caratterizzano la relazione e che devono valutarsi nel tempo. Una volta prestata la dovuta attenzione ai contenuti sostanziali della convivenza, la Suprema Corte osserva che “il discrimine fra l'adempimento dei doveri sociali e morali, quale può individuarsi in qualsiasi contributo fra conviventi, destinato al “menage” quotidiano ovvero espressione, come nella specie, della solidarietà fra persone unite da un legame intenso e duraturo, e l'atto di liberalità va individuato, oltre che nella spontaneità, soprattutto nel rapporto di proporzionalità fra i mezzi di cui l'adempiente dispone e l'interesse da soddisfare” (cfr. Cass. Civ., cit. n. 3713/2003). Tale requisito, unanimemente riconosciuto dalla dottrina in relazione alle obbligazioni naturali in generale, è stato ancora una volta ribadito dalla Suprema Corte con esplicito riferimento all'adempimento di doveri morali e sociali nella convivenza more uxorio. Peraltro, in quest'ultimo ambito, l’indagine sulla sussistenza dei doveri di solidarietà sociale e familiare che muovono l'adempimento, nonché sul carattere dell'adeguatezza e della proporzionalità della prestazione, si risolve in un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, incensurabile in Cassazione, ove sorretto da sufficiente motivazione, immune da vizi logici e da errori di diritto.
La sentenza in commento può essere letta con nota di Maria Acierno, Le unioni familiari non coniugali: un labratorio privilegiato per le corti dei diritti in questa rivista.