1. In un periodo di ormai prolungata crisi economica anche il servizio civile rappresenta una risorsa rilevante per i giovani infra ventottenni[1]. E’ infatti una delle forme in cui si articola il programma europeo Garanzia Giovani di sostegno all’occupazione giovanile.
L’accesso a tale programma è stato accompagnato da un interessante contenzioso processuale che merita di essere evidenziato perché racconta di un percorso di integrazione per i giovani stranieri regolarmente soggiornanti in Italia (spesso da molto tempo e con significativi legami sociali, scolastici ecc. con il nostro paese) che, tuttavia, si imbatte nello scoglio in alcuni casi davvero anacronistico della cittadinanza italiana. E ciononostante quel percorso si alimenti dei sempre attuali principi costituzionali di solidarietà ed uguaglianza che ispirano anche i doveri e la responsabilità di ogni persona nella costruzione della convivenza pluralistica.
2. La vicenda giudiziale che si vuole raccontare ha inizio nel 2011 allorchè avanti al Tribunale di Milano veniva proposta da un giovane pakistano regolarmente soggiornante in Italia l’azione civile contro la discriminazione nei confronti del bando del 2011 per la selezione di 10481 volontari da impiegare nei progetti del Servizio Civile Nazionale (bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 settembre 2011, n. 75, 4^ serie speciale), sostenendone il carattere discriminatorio laddove l’art. 3 del bando richiedeva il requisito della cittadinanza italiana.
Il giudice con ordinanza del 12.1.2012[2] accoglieva il ricorso pervenendo ad una interessante lettura evolutiva del requisito della cittadinanza, inteso quale dovere di solidarietà politica, economica e sociale incombente su tutti i soggetti anche privi dello status civitatis, ma facenti stabilmente e regolarmente parte della medesima comunità. Accogliendo il ricorso il tribunale ordinava la sospensione della selezione, modificando il bando e rifissando una nuova scadenza.
Il provvedimento veniva appellato dall’Avvocatura dello Stato, ma la Corte d’appello di Milano con provvedimento del 22.3.2012 confermava la decisione del tribunale.
Con analoga azione civile contro la discriminazione ai sensi degli artt. 4 d.lgs 286/1998 e a d.lgs 215/2003 una giovane albanese impugnava avanti al Tribunale di Brescia il medesimo bando e, però, il ricorso veniva respinto perchè il requisito della cittadinanza italiana, nemmeno quella comunitaria, era ritenuto ragionevole, un volta ricondotto il servizio civile ad una forma di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria di cui all’art. 52 Cost., alternativo al soppresso servizio militare.
La Corte d’appello di Brescia confermava la decisione in sede di impugnazione proposta dalla giovane albanese.
Mentre la Presidenza del Consiglio proponeva ricorso in Cassazione avverso la decisione sfavorevole al requisito della cittadinanza, veniva emesso il bando 2013 per il servizio civile nazionale che reiterava il requisito della cittadinanza e che era stato oggetto di nuovo ricorso antidiscriminatorio. Va dato atto che sotto il profilo dell’effettività della tutela antidiscriminatoria, in questo caso il ricorso è stato accolto e deciso dal Tribunale di Milano con ordinanza del 19.11.2013 prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande, così consentendo a 90 dei 600 volontari stranieri ma regolarmente soggiornanti che avevano fatto domanda di essere ammessi allo svolgimento del servizio.
Il successivo bando del 2014 non ha richiesto più il requisito della cittadinanza ed anzi nelle FAQ sul progetto Garanzia giovani consultabile sul sito www.serviziocivile.gov.it è espressamente chiarito che alla selezione, il cui superamento comporta per i volontari ammessi ai vari progetti un assegno mensile di euro 433,80, possono partecipare (anche) i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia.
3.Il requisito della cittadinanza italiana non appare tuttavia ancora definitivamente superato, lasciando in dubbio la sua attualità, poichè in data 22.8.2014 è stato licenziato il disegno di legge delega governativo n. 2617 per la riforma del terzo settore che comprende anche una nuova disciplina del servizio civile e che, a parte la nuova denominazione di “servizio civile universale” non disciplina i requisiti di ammissione rinviando al decreto attuativo per la loro specifica individuazione .
Nel frattempo il contenzioso relativo al bando del 2011 è approdato in Cassazione e ha portato alla pronuncia dell’ordinanza delle sezioni unite civili del 1 ottobre 214 n. 20661[3].
Merita di essere ricordato che la sentenza della Corte d’appello di Milano aveva disatteso tutti i motivi di gravame. Sia quello relativo al ritenuto difetto giurisdizione del giudice ordinario, il quale sospendendo le procedure di selezione avrebbe invaso la sfera di competenza del giudice amministrativo, sia quello relativo all’inammissibilità della interpretazione estensiva del requisito della cittadinanza.
In particolare, con riguardo al primo motivo la Corte d’appello si era limitata a richiamare l’interpretazione consolidata delle disposizioni normative su cui si articola la tutela antidiscriminatoria secondo il T.U. n. 286/1998 e gli artt. 4 e 4 bis del d.lgs 215/2003[4], secondo la quale la tutela antidiscriminatoria è riconosciuta anche contro l’atto amministrativo a fronte del quale è possibile per il giudice disattenderlo, tamquam non esset e rimuoverne gli effetti discriminatori.
E’ nondimeno con riguardo al profilo sostanziale dell’inquadramento del servizio civile che la sentenza impugnata in Cassazione presenta il suo maggior interesse.
Partendo dalla constatazione che il servizio civile volontario è ora disciplinato dalla l.6 marzo 2001 n. 64 e dal d.lgs 77/2002, a seguito della soppressione della leva obbligatoria e del superamento dell’istituto dell’obiezione di coscienza al servizio militare, i giudici hanno evidenziato come lo stesso sia orientato a finalità che non si esauriscono nella difesa della Patria con mezzi ed attività non militari, in alternativa al servizio militare obbligatorio.
Infatti l’art. 1 l.64/2001[5] contempla in forma disgiunta una varietà di finalità che non sono ricollegate alla nozione di difesa della patria quanto piuttosto ai doveri di solidarietà, corrispettivi ai diritti riconosciuti anche ai non cittadini, e che fanno capo a tutti coloro che per il fatto di essersi permanentemente stabiliti su un territorio, entrano a far parte della relativa comunità, ben più ampia di quella fondata sul criterio della cittadinanza in senso stretto. In altri termini la Corte d’appello di Milano aveva richiamato il concetto di cittadinanza di residenza (quale emerge dalla sentenza della Corte costituzionale n. 172/1999) e sulla scorta di esso aveva ritenuto che lo scrutinio di ragionevolezza della scelta del legislatore di non consentite allo straniero la possibilità di partecipare attraverso l’istituto giuridico del servizio civile nazionale a quella “collaborazione civica” promossa e organizzata dalla stato che adempie al dovere di solidarietà di cui all’art.2 cit. e a quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società di cui all’art. 4 II comma Cost. vada risolto in senso negativo .
Diversa sul punto era stata la conclusione della Corte d’appello di Brescia che aveva escluso che le finalità elencate nell’art.1 fossero indipendenti dalla prima ed essenziale, costituita dalla difesa della Patria, “che tutte le qualifica e alla quale tutte devono corrispondere, quali diverse modalità destinate a promuovere il fine comune e unificatore rappresentato dalla adesione volontaria ad un nuovo modello di difesa della Patria, concorrente con quello militare (a sua volta divenuto volontario)”.
4.La Suprema corte nonostante la prospettata cessazione della materia del contendere per sopravvenuta acquisizione della cittadinanza italiana da parte del giovane pakistano, oltre che per intervenuto esaurimento del bando, ha, invece, ravvisato nel caso in esame entrambe le due condizioni per una pronuncia d’ufficio ai sensi dell’art. 363 comma 3 c.p.c. relativa all’enunciazione del principio di diritto nell’interesse della legge. Ricorrono cioè sia l’inammissibilità del ricorso che la connotazione di “particolare importanza“ della questione.
5.Per meglio dire e in relazione al tema sostanziale che si vuole approfondire, la Corte di cassazione a sezioni unite, ha ritenuto che la questione della natura discriminatoria o meno dell’esclusione degli stranieri residenti in Italia dall’accesso al servizio civile, non possa essere risolta attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002, poichè il dato letterale della cittadinanza italiana costituirebbe un confine invalicabile, idoneo ad escludere la possibilità di un’interpretazione costituzionale .
Il dubbio circa la costituzionalità dell’art. 3 comma 1 è, peraltro, ad avviso dei giudici di legittimità, oltre che rilevante anche non manifestamente infondato.
Esso involge la ragionevolezza, di una disparità di trattamento fra cittadini e stranieri nell’ambito del godimento dei c.d. diritti inviolabili di cui all’art.2 Cost, di quei diritti, cioè, che fanno capo a ciascuno in quanto essere umano piuttosto che quale partecipante di una determinata comunità politica.
In proposito la Cassazione richiama la conclusione di un recente sindacato di costituzionalità che ha avuto per oggetto l’art. 15 comma 1 lett.b) della legge della Provincia autonoma di Bolzano 19 novembre 2012, n.19 (disposizioni per la valorizzazione dei servizi volontari in provincia di Bolzano e modifiche delle leggi provinciali in materia di attività di cooperazione allo sviluppo e personale), nella parte in cui escludeva i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilità di prestare servizio sociale volontario (sentenza n. 309/2013).
Sulla scorta di quanto ritenuto dal giudice delle leggi in materia di servizio civile regionale, le sezioni unite hanno ravvisato un possibile contrasto dell’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002 con gli artt. 2,3,76 Cost. .
Non pare né ragionevole né proporzionata l’esclusione degli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia dal godimento di quei diritti che sono espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa e che assicurandole il pieno sviluppo sociale ne favoriscono l’integrazione nella comunità di accoglienza.
Né l’attività di impegno sociale cui la persona è chiamata nell’ambito del servizio civile nazionale implica l’esercizio di pubblici poteri che possa giustificare l’esclusione degli stranieri.
La norma sarebbe altresì sospettata di incostituzionalità per aver violato il criterio direttivo della legge delega n.64/2001 che all’art. 2 nel delegare il Governo ad adottare uno o più decreti volti ad individuare i soggetti ammessi , indicava quali criteri direttivi quello dell’"ammissione al servizio civile volontario di uomini e donne sulla base di requisiti oggettivi e non discriminatori”. L’art. 3 invece aveva introdotto un criterio discriminatorio che precludeva al non cittadino regolarmente soggiornante in Italia la possibilità di un pieno dispiegamento della libertà e dell’uguaglianza nei suoi rapporti sociali e personali in una prospettiva di solidarietà e di apertura al confronto nell’ambito di una convivenza pluralistica.
Né ad avviso della Suprema corte la collocazione delle attività del servizio civile nazionale nell’orizzonte dell’art. 52 Cost che configura la difesa della Patria come sacro dovere del cittadino, può assumere una valenza di esclusione dovendosi riconoscere alla norma la funzione positiva di garantire che a nessun cittadino possa essere riservato il privilegio di una esenzione immotivata dall’obbligo di leva.
6.La decisione della Corte di cassazione con cui la questione è stata rimessa alla Corte costituzionale, arriva qualche giorno prima del parere espresso il 9 ottobre 2014 dal Consiglio di Stato[6] su richiesta dell’Ufficio legislativo del Ministero del Lavoro e delle politiche Sociali, su sollecitazione del Dipartimento della gioventù e del Servizio Civile nazionale in vista dell’adozione di bandi straordinari.
Al Consiglio di stato veniva rappresentata la necessità di chiarire se l’art. 3 comma 1 del d.lgs 77/2002 si ponga in contrasto con gli artt. 18 e 24 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e concernenti rispettivamente la non discriminazione dei cittadini dell’Unione e la libera circolazione dei lavoratori, nonché con l’art. 24 della direttiva 2004/38/CE ( che riguarda i cittadini comunitari e i loro familiari) con l’art.11 della direttiva 2003/109/CE (in relazione ai cittadini extracomunitari lungo soggiornanti), con l’art. 26 della direttiva 2004/83/Ce ora abrogato e sostituito dall’art.26 della direttiva 2011/95/UE di analogo contenuto (per quanto riguarda i beneficiari di protezione internazionale).
La natura discriminatoria del requisito della cittadinanza italiana per l’accesso al servizio civile è stata ravvisata dalla Commissione europea che ha aperto due casi EU Pilot - c.d.procedura di “pre-infrazione”- alle disposizioni del trattato e delle direttive sopra ricordate.
Anche la Commissione come la giurisprudenza espressa dal Tribunale di Milano riconduce il servizio civile così come descritto nell’art. 1 della l.n. 64/2001, non solo al dovere di difendere la patria (art.52 Cost) ma anche ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.) gravanti non solo sui cittadini italiani, ma anche sui cittadini stranieri che risiedono nel nostro Paese.
Dopo una ricognizione della normativa a partire dalla emanazione della legge n.772/1972 con cui si è disciplinata per la prima volta in Italia l’obiezione di coscienza e l’introduzione del servizio civile, obbligatorio e sostitutivo a quello militare, nonché delle sentenze della Corte costituzionale 164/1985 e n. 470/1989 per arrivare alla legge 230/1998 che ha riconosciuto l’obiezione di coscienza come diritto del cittadino, il Consiglio di Stato si sofferma sulla progressiva diversità che, dal suo punto di vista, finisce per caratterizzare il servizio civile.
I passaggi significativi sono costituiti dal riconoscimento normativo contenuto nell’art.1 della legge 230/1998 laddove il servizio civile è definito come “diverso per natura e autonomo dal servizio militare, rispondente al dovere costituzionale di difesa della Patria e (al contempo) ordinato ai fini enunciati nel “Principi fondamentali della Costituzione”. A seguito poi della sospensione del servizio obbligatorio di leva sancito dal d.lgs. 8 maggio 2001 n. 215 e anticipato dal 1 gennaio 2007 al 1 gennaio 2005 (dall’art.1 legge 23 agosto 2004, n.226/2004) e dell’emanazione della legge 6 marzo 2001 n.64, tale diversità è stata resa ancora più evidente dalla indicazione delle altre finalità che si affiancavano a quella tradizionale del concorso alla difesa della Patria. Si tratta di finalità di assistenza, di utilità sociale e di promozione culturale e professionale volte a favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale.
Pertanto, il nuovo servizio civile su base volontaria come regolato dal d.lgs 77/2002 è aperto alle donne, accessibile tramite pubblico concorso e caratterizzato da finalità molto più ampie.
Tuttavia, il giudice delle leggi - chiamato a scrutinare la legittimità delle disposizioni della legge 64/2001 – ha nella sentenza 228/2004 ricondotto anche il servizio civile volontario nella matrice unitaria nella difesa della Patria. Al contempo ha delineato una prospettiva innovativa secondo la quale “il dovere di difendere la Patria deve essere letto alla luce del principio di solidarietà espresso nell’art. 2 della Costituzione, le cui virtualità trascendono l’area degli “obblighi normativamente imposti”chiamando la persona ad agire non solo per imposizione di una autorità, ma anche per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa. In questo contesto, il servizio tende a proporsi come forma spontanea di adempimento del dovere costituzionale di difesa della Patria “.
Una simile lettura del concetto di difesa della Patria, fondato sull’adesione volontaria e che attinge ai doveri inderogabili di solidarietà sociale e ai doveri di concorrere al progresso materiale e spirituale della società sanciti dagli artt. 2 e 4 della Cost. e gravanti non solo sui cittadini italiani ma anche sugli stranieri che risiedono nel nostro Paese, pone seriamente il dubbio del carattere discriminatorio del requisito della cittadinanza italiana.
Il Consiglio di Stato osservando poi che il servizio civile non determina l’instaurazione di un rapporto di lavoro (cfr. art. 9 comma 1), lo assimila all’istituto del tirocinio formativo, rafforzando con questa argomentazione la conclusione che l’art.3 comma 1 del d.lgs 77/2002 - non essendo suscettibile di interpretazione costituzionalmente orientata nel senso di poter riferire il termine “cittadini” anche agli stranieri - debba essere disapplicato perché incompatibile con il divieto sancito dalla normativa europea di prevedere per i cittadini stranieri (comunitari, extracomunitari lungo soggiornanti o beneficiari di protezione internazionale) anche in ordine alla formazione professionale un trattamento diverso da quello stabilito per i cittadini nazionali.
Come dire che per il Consiglio di Stato il dubbio di costituzionalità è definitivamente superato ed assorbito nella ritenuta incompatibilità fra l’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002 e la normativa comunitaria, con conseguente applicazione del principio che, in caso di contrasto della normativa nazionale con quest’ultima sancisce la necessità del giudice comune di disapplicare la normativa nazionale contrastante.
7.A questo punto sorge, come si suol dire, spontaneo oltre all’interesse sulla risposta che verrà data dal giudice delle leggi, anche interrogarsi sulla condivisibilità dei due percorsi argomentativi tracciati.
Uno, quello del Consiglio di Stato, che risolve il dubbio sulla natura discriminatoria dell’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002 attraverso l’indagine di compatibilità con la normativa comunitaria richiamata per effetto dell’inquadramento dato al servizio civile nazionale come formazione professionale e, l’altro, della Cassazione che ha optato per ricondurre l’interpretazione della norma alla sede ritenuta naturale del controllo accentrato di costituzionalità.
Il nucleo della pronuncia della Cassazione è articolato su due capisaldi. Il primo è costituito da quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 228/2004 circa l’inquadramento costituzionale del servizio civile nazionale nell’alveo del dovere di difesa della Patria di cui all’art. 52 comma primo Cost., (seppure in una dimensione allargata ad altri doveri costituzionalmente rilevanti come quello di solidarietà e quello di concorrere al progresso materiale e spirituale della società); il secondo si richiama al discrimen fra il potere dovere del giudice di uniformare il diritto da applicare al contenuto precettivo di fonti prevalenti su quello da interpretare ed il limite all’interpretazione adeguatrice. Come sancito dalla Corte costituzionale, “in linea di principio le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perché è possibile darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga di darrne), ma perché è impossibile darne interpretazioni costituzionali” (Corte cost. 356/1996 e n.21/2013). Ebbene, la Cassazione non ha ritenuto che nel caso del requisito della cittadinanza italiana sussistano margini di interpretazione adeguatrice dell’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002 ma pare avere preferito la strada del controllo accentrato di costituzionalità che offre maggiori garanzie all’interprete, soprattutto a fronte di interpretazioni giurisprudenziali contrastanti.
Che la conclusione della Suprema corte sia stata adeguatamente valutata e che si muova nel solco già tracciato dal giudice delle leggi, lo conferma anche la più recente sentenza della Corte costituzionale n. 309/2013 con la quale è stata dichiarata, fra l’altro, l’incostituzionalità dell’art. 15, comma 1, lett.b), della legge della Provincia autonoma di Bolzano n. 19 del 2012, nella parte in cui esclude i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti nello Stato italiano dalla possibilità di prestare servizio sociale volontario.
Posto che in quest’ultimo caso il requisito della cittadinanza italiana era previsto per il servizio sociale volontario, il quale sicuramente non riceve copertura costituzionale dall’art. 52 Cost, il dubbio che il giudice delle leggi dovrà prossimamente sciogliere con riguardo all’art. 3 comma 1 d.lgs 77/2002, attiene al contenuto stesso dell’art. 52 primo comma Cost. e chiarirà se la portata normativa della suddetta disposizione costituzionale sia quella di stabilire in positivo ovvero quella di circoscrivere in negativo i limiti del dovere costituzionale di difendere la patria secondo le forme solidaristiche, non militari e inclusive che il servizio civile nazionale è andato via via negli anni assumendo.
[1] In relazione all’ultimo bando , per il 2015, con scadenza nel prossimo mese di aprile cfr. http://www.serviziocivile.gov.it/media/577960/Bando-nazionale-volontari-SNC-2015-Testo.pdf
[2] In Diritto immigrazione e cittadinanza, n. 4/2012, p.164.
[3] In Foro it. 2014, I, 3435 con nota di F. DAL CANTO , La Corte di cassazione, il principio di diritto nell’interesse della legge e le condizioni di proponibilità della questione di legittimità costituzionale, I, 3447.
[4] Per un riferimento bibliografico aggiornato cfr M. BARBERA, Discriminazione e pari opportunità (diritto del lavoro), in Enciclopedia del diritto, annali VII, pag. 377.
[5] Art.1” 1. E’ istituito il servizio civile nazionale finalizzato a:
a) concorrere , in alternativa al servizio militare obbligatorio, alla difesa della Patria con mezzi ed attività non militari;
b) favorire la realizzazione dei principi costituzionali di solidarietà sociale;
c) promuovere la solidarietà e la cooperazione, a livello nazionale d internazionale, con particolare riguardo alla tutela dei diritti sociali, ai servizi alla persona ed alla educazione alla pace fra i popoli;
d) partecipare alla salvaguardia e tutela del patrimonio della Nazione, con particolare riguardo ai settori ambientale, anche sotto l’aspetto dell’agricoltura in zona di montagna, forestale, storico-artistico, culturale e della protezione civile;
e) contribuire alla formazione civica, sociale, culturale e professionale dei giovani mediante attività svolte anche in enti ed amministrazioni operanti all’estero. “
[6] cfr. su sito www.asgi.it. In Foro it., 2014 , III,701, con nota di F. DAL CANTO, Il servizio civile nazionale e gli stranieri, tra consiglio di Stato e Corte di cassazione .