Corte costituzionale n. 57 del 2015
L'art. 2 dell'allegato 3 d.lgs. n. 104/2010, nel prevedere che, per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore c. proc. amm., continuano a trovare applicazione le norme previgenti, non è interpretabile che nel senso della sua riferibilità anche all'ipotesi di successione tra un termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale il termine di decadenza sub art. 30 d.lg. n. 104/2010, essendo una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali “in corso”) innegabilmente “contra Constitutionem”, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo della tutela, ma della esistenza stessa della situazione soggettiva.
Cons. Stato n. 6 del 2015
Il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall'art. 30, comma 3, c.p.a., non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all'entrata in vigore del codice.
1. Premessa.
L’art. 30 c.p.a. disciplina l’azione di condanna nel processo amministrativo, prevedendo che possa essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.
I casi previsti dal “presente articolo” sono appunto i casi di azione di condanna che abbia ad oggetto il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima o da inerzia o ritardo nel provvedere della P.A.
Con riferimento all’azione risarcitoria, in particolare, l’art. 30 c.p.a. distingue l’azione autonoma (commi 3 e 4), ossia esercitata a prescindere dall’azione di annullamento dell’eventuale provvedimento illegittimo, nel qual caso è soggetta al termine di decadenza di centoventi giorni che decorre dal giorno in cui il fatto lesivo si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel caso di danno derivante dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di decadenza non decorre fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, inizia a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.
Insomma, il c.p.a., nel superare la regola della c.d. pregiudizialità amministrativa e nel sancire l’autonomia processuale dell’azione risarcitoria, la ha assoggettata ad un termine decadenziale, autonomo rispetto a quello per l’impugnazione dell’atto amministrativo, di 120 giorni, decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento lesivo (comma 3).
Il comma 5, invece, disciplina l’azione risarcitoria conseguente all’azione di annullamento del provvedimento illegittimo, prevedendo che la domanda risarcitoria possa essere formulata sia nel corso del giudizio, ovvero nel ricorso introduttivo insieme alla domanda caducatoria oppure successivamente con atto notificato alle controparti e non semplicemente depositato in giudizio, sia sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Come chiarito dall’AdunanzaPlenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 3 del 2011, “non sussiste più la pregiudiziale di rito, secondo cui l'azione risarcitoria era inammissibile ove non preceduta o accompagnata dall'azione demolitoria”. Dagli artt. 30 e ss. c.p.a emerge, tuttavia, che il legislatore delegato non ha condiviso né la tesi della pregiudizialità amministrativa né tanto meno quella della totale autonomia dei due rimedi, impugnatorio e risarcitorio, ma ha optato per una soluzione che valuta l'omessa tempestiva proposizione del ricorso per l'annullamento del provvedimento lesivo non come fatto preclusivo dell'istanza risarcitoria, ma come condotta che, nell'ambito di una valutazione complessiva del comportamento delle parti in causa, può autorizzare il giudice ad escludere il risarcimento o a ridurne l'importo ove accerti che la tempestiva proposizione del ricorso per l'annullamento dell'atto lesivo avrebbe evitato o limitato i danni da quest'ultimo derivanti, con conseguente incidenza sulla fondatezza della domanda risarcitoria.
In un rinnovato sistema normativo, introdotto dal codice del processo amministrativo e sensibile all'esigenza di assicurare piena protezione all'interesse legittimo inteso come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, è logico e coerente che la domanda risarcitoria, ove si limiti alla richiesta di ristoro patrimoniale senza mirare alla cancellazione degli effetti prodotti del provvedimento, possa essere proposta in via autonoma rispetto all'azione impugnatoria e non si atteggi più a semplice corollario di detto ultimo rimedio secondo una logica gerarchica che il codice del processo amministrativo ha con chiarezza superato. La disciplina recata dal nuovo codice del processo amministrativo (in specie, dagli art. 30, commi 1 e 3, e 34, commi 2 e 3) consacra, in termini netti, la reciproca autonomia processuale tra la tutela caducatoria e quella risarcitoria, con l'affrancazione del modello risarcitorio dalla logica della necessaria "ancillarità" e "sussidiarietà" rispetto al paradigma caduca torio[1].
Anche le Sezioni Unite della suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25395 del 2010, hanno rilevato come “in tema di azione avanti all'a.g.a. tendente ad ottenere, nei confronti della p.a., il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima, il principio della non necessità della pregiudiziale impugnativa del provvedimento amministrativo, già affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con riferimento al sistema normativo conseguente alla l. 21 luglio 2000 n. 205, è confermato dall'art. 30 d.lg. 2 luglio 2010 n. 104 (c. proc. amm.) secondo cui: a) l'azione di condanna della p.a. può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma (comma 1); b) può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria (comma 2); c) la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3).
2. I dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 30 c.p.a.
Prima il Tar Sicilia, sede di Palermo (con ordinanza del 7.9.2011), poi il Tar Liguria (con ordinanza del 22.1.2014) hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, c.p.a., nella parte in cui prevede un termine di decadenza di 120 giorni per l’esercizio dell’azione risarcitoria, nell’ipotesi di proposizione dell’azione di annullamento.
La norma censurata è appunto quella che, in caso di azione risarcitoria conseguente all’azione di annullamento del provvedimento illegittimo da cui si lamenta essere cagionato il danno, prevede che la domanda risarcitoria stessa possa essere formulata sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
Entrambi i Collegi rimettenti ritengono la suindicata disciplina irragionevole ed eccessivamente comprimente il diritto di difesa, in quanto: A) alla base dei termini di decadenza, previsti in materia di annullamento di atti giuridici emanati da poteri pubblici e da soggetti privati, vi è l’esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici, (connessa al rilievo che l’atto pone un assetto di interessi rilevante sul piano superindividuale), quindi non è ragionevole prevedere un termine a pena di decadenza, anziché un congruo termine prescrizionale – anche diverso da quello stabilito dal diritto comune (ove sussista una ragionevole giustificazione per la differenziazione) – per l’esercizio dell’azione risarcitoria, poiché l’esposizione del debitore alla domanda di risarcimento non incide sul rapporti giuridici di cui lo stesso soggetto è titolare, né sulla certezza delle situazioni e posizioni giuridiche correlate, rilevando solo sul piano della reintegrazione patrimoniale conseguente all’illecito; B) mentre nell’ipotesi di azione risarcitoria proposta autonomamente, ai sensi dell’art. 30, comma 1, c.p.a., l’accertamento – meramente incidentale e, pertanto, senza effetti sostanziali sul rapporto – della illegittimità del provvedimento lesivo potrebbe giustificare la previsione di tale termine, la definitiva certezza giuridica prodotta, sul rapporto, dal passaggio in giudicato della sentenza che annulla il provvedimento priva di giustificazione razionale la previsione di un brevissimo termine decadenziale per la proposizione dell’azione risarcitoria, incidente unicamente sul profilo della regolazione patrimoniale delle conseguenze dell’illecito.
Insomma, l’introduzione del termine decadenziale, in deroga al diritto comune, comprime significativamente le condizioni di accesso alla tutela risarcitoria e contraddice la finalità stessa della previsione dello strumento risarcitorio accanto a quello caducatorio nel sistema della tutela dell’interesse legittimo, non realizzando l’esigenza di pienezza e di effettività della tutela stessa, principi, peraltro, affermati dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 204 del 2004 e 191 del 2006, in presenza di una disciplina dell’accesso al rimedio risarcitorio nei confronti della pubblica amministrazione regolata dal diritto comune.
3. Le pronunce della Corte costituzionale.
Con la sentenza n. 280 del 2012, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione sollevata dal Tar Sicilia, Sede di Palermo, per ragioni processuali.
Nel giudizio a quo, infatti, era stata promossa un’azione di ottemperanza, con contestuale domanda di risarcimento del danno da ritardo nell’esecuzione del giudicato. Il Tribunale rimettente, invece, ha ritenuto che si trattasse di una domanda risarcitoria conseguente a illegittimità dell’atto amministrativo e non alla mancata o tardiva esecuzione del giudicato di annullamento.
Di conseguenza ha ritenuto di dover fare applicazione dell’art. 30, comma 5, c.p.a., in quanto, così riqualificata, l’azione risarcitoria proposta, essendo successiva all’azione di annullamento e al passaggio in giudicato della relativa sentenza, era soggetta al termine decadenziale di 120 giorni.
La Corte costituzionale ha però ritenuto che, così facendo, il giudice a quo abbia modificato la domanda proposta, cadendo nel vizio di extrapetizione. Ha pertanto ritenuto che la sua valutazione della rilevanza della questione fosse implausibile.
Successivamente, con l’ordinanza n. 57 del 2015, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, c.p.a. sollevata dal Tar Liguria, sempre per difetto di rilevanza, o meglio di motivazione sulla rilevanza, ma introducendo alcune importante considerazioni.
Nel giudizio a quo, la domanda di risarcimento del danno era stata proposta a seguito dell’annullamento, pronunciato in sede di ricorso straordinario, del provvedimento di esclusione da una gara. Il giudice rimettente aveva ritenuto di dover applicare l’art. 30, comma 5, c.p.a. al caso sottoposto al suo esame, laddove prevede il termine di decadenza di 120 gironi decorrente dal passaggio in giudicato della pronuncia di annullamento per l’esercizio dell’azione risarcitoria, trattandosi di una norma processuale e quindi, come tale, applicabile anche ai giudizi in corso.
La Corte costituzionale ha censurato l’ordinanza di remissione nella parte in cui non ha tenuto conto dell’art. 2 del titolo II dell’all. 3 del c.p.a., rubricato “Ultrattività della disciplina previgente”, secondo cui “Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.
Nel far ciò il Giudice delle leggi ha precisato che la disposizione è applicabile anche all’ipotesi, quale quella in esame, di “successione tra un termine sostanziale e un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 citato, essendo una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali «in corso») innegabilmente contra Constitutionem, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo della tutela ma della esistenza stessa della situazione soggettiva (così, da ultimo, anche Consiglio di Stato, sezione terza, 22 gennaio 2014, n. 297)”.
La Corte costituzionale, quindi, ha preso posizione su aspetti della disciplina in esame ancora controversi nella giurisprudenza amministrativa, in particolare: A) sulla natura processuale del termine di decadenza di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a. (e conseguentemente di cui all’art. 30, comma 3, c.p.a.) per l’esercizio dell’azione risarcitoria; B) sull’applicabilità della disposizione transitoria di cui all’art. 2 del titolo II dell’all. 3 al c.p.a. nell’ipotesi in cui la pronuncia giurisdizionale di annullamento dell’atto amministrativo o l’altro evento da cui decorre (ex comma 3 dell’art. 30 citato) il termine decadenziale si sia verificato prima dell’entrata in vigore del c.p.a., con conseguente applicabilità, all’azione risarcitoria, del regime di prescrizione quinquennale di diritto comune (art. 2947 c.c.).
In proposito, nella giurisprudenza amministrativa si è posto il problema dell’applicabilità – ai fatti antecedenti l’entrata in vigore del c.p.a. – della sopravvenuta normativa in tema di decadenza dell’azione risarcitoria introdotta dal codice stesso, in sostituzione dell’ordinaria disciplina che prevede un termine di prescrizione, per il risarcimento da fatto illecito, di 5 anni.
Il problema riguarda in realtà tanto il comma 3 quanto il comma 5 del citato art. 30: il regime giuridico introdotto dall’art. 30 c.p.a. – il quale, nel superare la regola della c.d. pregiudizialità amministrativa e nel sancire l’autonomia processuale dell’azione risarcitoria, la ha assoggettata ad un termine decadenziale, autonomo rispetto a quello per l’impugnazione dell’atto amministrativo, di 120 giorni – si applica sia all’azione risarcitoria autonoma sia a quella conseguente all’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo, distinguendosi le stesse solamente per il momento in cui comincia a decorrere detto termine decorrente (il giorno in cui il fatto si è verificato ovvero la conoscenza del provvedimento lesivo (comma 3), oppure nel caso in cui sia proposta azione di annullamento il passaggio in giudicato della relativa sentenza (comma 5).
Un primo problema concerne, pertanto, la natura processuale del termine di decadenza introdotto dall’art. 30 c.p.a.
La giurisprudenza amministrativa prevalente ha parlato di un “termine processuale di decadenza, introdotto dal codice” e ha ritenuto che “il codice del processo amministrativo, al contrario, ha previsto che, per i termini ancora in corso alla data della sua entrata in vigore, continui ad applicarsi la precedente disciplina processuale, in deroga al principio tempus regit actum e con previsione, quindi, della ultrattività di tale disciplina”[2].
Un secondo problema attiene alla natura sostanziale del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria proposta prima dell’entrata in vigore del codice.
L’art. 2 dell’ all. 3, nello stabilire che i termini in corso continuano a decorrere dopo l’entrata in vigore del c.p.a., infatti, sembra fare riferimento ai termini processuali già in corso (come previsto anche dalla relazione di accompagnamento al codice stesso). Nel caso di specie invece, prima dell’entrata in vigore del codice, non c’era alcun termine processuale in corso, ma un termine di natura sostanziale, appunto quello quinquennale di prescrizione.
A questo proposito, si sono affermate, in giurisprudenza, diverse soluzioni, tanto che con l’ordinanza n. 1351 del 2015 la questione dell’applicabilità del termine di decadenza previsto dai commi 3 e 5 dell’art. 30 c.p.a. alle controversie risarcitorie relative a fatti anteriori, ma introdotte con atto successivo all’entrata in vigore del c.p.a. è stata rimessa all’Adunanza Plenaria, la quale si è di recente pronunciata con la sentenza n. 6 del 2015.
Secondo un primo orientamento, la novità della previsione di un termine decadenziale in precedenza sconosciuto al sistema processuale, unitamente al già richiamato principio di irretroattività della legge, dovrebbe comportare che ai fatti illeciti anteriori al 16 dicembre 2010 si applichi in toto il regime normativo anteriore, e quindi che la relativa azione risarcitoria soggiaccia unicamente al termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. (cfr. Cons. Stato, n. 524 del 2014; n. 297 del 2014; n. 6296 del 2011).
Questa soluzione interpretativa è stata motivata con due distinti iter argomentativi.
Da un lato, indipendentemente dell’applicabilità dell’art. 2 dell’All. 3 del codice (contenente la disciplina transitoria), non potrebbe comunque trovare applicazione, alle fattispecie fonti di responsabilità aquiliana della Pubblica Amministrazione perfezionatesi prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, la disposizione codicistica, in quanto si applica, in mancanza di diversa previsione normativa, il generale principio in forza del quale la legge non provvede che per il futuro, non avendo efficacia retroattiva. Ad esse, quindi, si applica la previgente disciplina del codice civile in materia di prescrizione.
Dall’altro, si argomenta proprio dalla norma transitoria richiamata, ritenendo che “se la volontà dell’ordinamento è ben chiara, nel rapporto tra vecchi e nuovi termini processuali, ancor di più deve esserlo nella successione tra un termine sostanziale e un nuovo termine processuale, precedentemente non previsto, poiché altrimenti si perverrebbe all’iniqua conclusione che una disciplina processuale, nell’introdurre un limite temporale all’esercizio di una situazione giuridica soggettiva, possa modificare in peius e retroattivamente la meno restrittiva disciplina sostanziale applicabile a situazioni già esauritesi, in spregio, peraltro, degli artt. 3, 24 e 111 Cost. (…) Se il legislatore ha inteso evitare tale conseguenza sul piano della successione tra diversi termini processuali, nella disciplina transitoria prevista dall’art. 2, eguale conclusione si impone, e a fortiori, anche nel trapasso da un regime, che prevedeva la sola prescrizione dell’azione risarcitoria,ad uno in cui questa è soggetta ad un termine di decadenza che, per quanto abbia (o dai più si ritenga avere) natura processuale, finisce per incidere sostanzialmente non solo sulla tutela, ma sull’esistenza stessa della situazione giuridica soggettiva”[3].
Questa soluzione è stata condivisa e seguita dall’ordinanza n. 57 del 2015 della Corte costituzionale, la quale, richiamando appunto la sentenza del Consiglio di Stato n. 297 del 2014, richiamata anche dall’ordinanza di rimessione della questione di diritto all’Adunanza Plenaria, ha ritenuto che “la disposizione transitoria sia applicabile anche all’ipotesi di “successione tra un termine sostanziale e un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 citato, essendo una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali «in corso») innegabilmente contra Constitutionem, per la compromissione, che ne deriverebbe, non solo della tutela ma della esistenza stessa della situazione soggettiva”.
Secondo altro orientamento, invece, la disposizione transitoria non sarebbe applicabile all’ipotesi di azione risarcitoria relativa a fatti anteriori all’entrata in vigore del c.p.a., ma promossa successivamente, in quanto questa era prima soggetta a un termine sostanziale di prescrizione e non processuale di decadenza, caratterizzati peraltro da un diverso regime di rilevabilità (su eccezione di parte il primo, d’ufficio il secondo).
La norma transitoria, infatti, fa riferimento solamente ai termini processuali in corso già prima dell’entrata in vigore del codice e tale non era il termine prescrizionale.
Peraltro, la natura processuale della nuova previsione e l’applicazione del principio tempus regit actum rendono ragionevole ritenere che, per i fatti storicamente antecedenti all’entrata in vigore del codice, l’azione risarcitoria andasse comunque proposta nel termine di 120 giorni dalla data in cui l’innovativa disposizione è entrata in vigore (16.9.2010), se l’atto illegittimo, l’evento dannoso o il passaggio in giudicato della sentenza fossero precedenti a tale data[4].
La decorrenza del termine di cui all’art. 30 dall’entrata in vigore del c.p.a. avrebbe inoltre il pregio di impedire irragionevoli disparità di trattamento con fattispecie analoghe, ma connotate solo dal riferirsi a fatti illeciti avvenuti in un momento successivo, senza privare la parte della stessa tutela per quelle riconosciuta.
Alcune pronunce, infine, hanno ritenuto che il termine di decadenza introdotto dall’art. 30 c.p.a. abbia natura sostanziale e si applichi alle fattispecie risarcitorie maturate anteriormente alla sua entrata in vigore in forza dell’art. 252 delle disp. att. c.c., secondo cui “Quando per l'esercizio di un diritto ovvero per la prescrizione o per l'usucapione il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente e alle prescrizioni e usucapioni in corso (…)”.
La giurisprudenza civile, infatti, attribuisce a questa disposizione portata generale, nel senso che “In materia di prescrizione e decadenza, l'entrata in vigore di una nuova normativa, che introduce un termine che prima non era previsto, ha efficacia generale, anche per chi già si trovava nella situazione prevista dalla legge per esercitare il diritto ora sottoposto a decadenza, con l'unica differenza – sulla base del disposto dell'art. 252 disp. att. c.c., espressione di un principio generale dell'ordinamento – consistente nella decorrenza del termine dall'entrata in vigore della legge che lo ha introdotto”[5]. Peraltro, la suprema Corte di Cassazione ha chiarito, con riferimento all’azione giudiziale per le prestazioni d'invalidità civile, rispetto alle quali l'art. 42, comma 3, del d.l. n. 269 del 2003, convertito dalla legge n. 326 del 2003, ha introdotto una decadenza prima inesistente, fissando il termine di sei mesi dalla data di comunicazione all'interessato del provvedimento emanato in sede amministrativa, che “detto termine di decadenza si applica solo se il provvedimento amministrativo sia stato comunicato all'interessato dopo il 31 dicembre 2004, dovendosi ritenere, da un lato, che non rilevi l'art. 252 disp. att. c.c. — norma di principio, che tuttavia concerne il diverso fenomeno dell'abbreviazione del termine di decadenza già esistente — e dall'altro che la comunicazione, integrando il fatto che comporta la decorrenza della decadenza di nuova istituzione, non possa situarsi al di fuori dell'area temporale di operatività della norma che l'ha introdotta”[6]. In senso contrario, si è ritenuto “in conformità ai principi generali dell'ordinamento in materia di termini, che, ove una modifica normativa introduca un termine di decadenza prima non previsto, la nuova disciplina si applichi anche ai diritti sorti anteriormente, ma con decorrenza dall'entrata in vigore della modifica legislativa”[7].
4. La sentenza n. 6 del 2015 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.
Con l’ordinanza n. 1351 del 2015, la questione dell’applicabilità del termine di decadenza previsto dal comma 3 dell’art. 30 c.p.a. agli illeciti consumati in epoca anteriore a detto jus superveniens è stata rimessa all’Adunanza Plenaria, la quale si è pronunciata con la sentenza n. 6 del 2015.
L’Adunanza Plenaria muove “dalla considerazione che l'introduzione di un termine di decadenza di centoventi giorni – decorrente, a seconda dei casi, dalla verificazione del fato lesivo o dalla conoscenza del provvedimento dannoso – costituisce un'innovazione legislativa rispetto al regime prescrizionale quinquennale, ex art. 2947 c.c., operante in epoca precedente a parere di un pacifico indirizzo interpretativo. Detta innovazione si risolve in una compressione del potere di azione giudiziale in quanto dà la stura a una significativa e singolare restrizione della cornice temporale entro la quale è dato agire in giudizio nei confronti dei soggetti titolari di un potere pubblico, con la creazione di una causa di estinzione anticipata della pretesa risarcitoria”.
L’applicazione del nuovo termine decadenziale a fattispecie sostanziali anteriori, in mancanza di una normativa transitoria ad hoc, pertanto, sarebbe contraria ai principi generali stabiliti dalle disposizioni preliminari al codice civile in materia di efficacia delle leggi nel tempo (art. 11) e di portata applicativa di norme eccezionali (art. 14).
Una diversa soluzione, nel senso dell’ applicabilità, anche ai fatti illeciti pregressi, del termine di decadenza di cui ai commi 3 e 5 dell’art. 30 c.p.a. non può essere giustificata neanche dal principio tempus regit actum, secondo cui le norme processuali, a differenza di quelle sostanziali, sono di immediata applicazione.
Ciò, ad avviso del Consiglio di Stato, non tanto o non solo perché, in tema di successione di norme processuali regolanti i termini, il c.p.a. introduce una disposizione ad hoc – ossia l’art. 2 dell’all. 3, secondo cui “Per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti” –, ma perché, nel caso di specie, “non viene in rilievo un termine schiettamente processuale ma una fattispecie mista, qualificabile, al pari delle decadenze regolate dal codice civile (art. 2964), come istituto sostanziale a rilievo processuale, naturaliter operante solo per i fatti posteriori alla novità normativa”.
Quindi, “il perfezionamento della fattispecie sostanziale, in un torno di tempo anteriore all'entrata in vigore della normativa processuale, impedisce in modo irrimediabile l'applicazione del termine decadenziale”.
Peraltro, questa soluzione ermeneutica non determina alcuna “irragionevole disparità di trattamento”: secondo la costante giurisprudenza costituzionale, infatti, non contrasta, di per sé, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alle stesse fattispecie, ma in momenti diversi nel tempo, poiché il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche[8]. Nell’applicazione di diverse discipline normative, il criterio di discrimine basato su dati cronologici non può dirsi, quindi, fonte di ingiustificata disparità di trattamento, a meno che non sia affetto da manifesta arbitrarietà intrinseca (ordinanza n. 49 del 2012).
Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto che la soluzione ermeneutica proposta trovi cofnerma nel disposto del citato art. 2 dell’all. 3 del codice.
In proposito, si è rimarcato come “la tesi dell'applicabilità di detta norma di salvaguardia anche alla fattispecie in esame – caratterizzata non dalla successione di leggi processuali ma dalla sostituzione di un termine sostanziale di prescrizione con un regime decadenziale di matrice sostanziale ma a rilievo processuale – è confortata dalle seguenti, concomitanti considerazioni: l'onnicomprensività del riferimento letterale a ogni tipo di termine non consente una differenzazione di regime a seconda della natura processuale, sostanziale o mista dei termini in rilievo; l'adesione a un'opzione diversa, importando l'applicazione retroattiva del nuovo regime più sfavorevole, colliderebbe con i canoni costituzionali, comunitari ed europei richiamati dall'articolo 1 del codice del processo amministrativo; la relazione di accompagnamento al codice pone a fondamento della normativa transitoria le esigenze, con chiarezza operanti anche per il rapporto tra normativa prescrizionale e disciplina decadenziale, di evitare incertezza nella regolazione dei rapporti giuridici anteriori e di garantire l'ultrattività delle norme precedenti già in corso di attuazione”.
Da ultimo, l’Adunanza Plenaria ha richiamato proprio la sopracitata ordinanza n. 57 del 2015 della Corte costituzionale che, a suo condivisibile avviso, ha dato avallo alla soluzione interpretativa secondo cui “il termine decadenziale di centoventi giorni previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall'articolo 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all'entrata in vigore del codice”.
[1] Cons. Stato, Ad. Pl., n. 3 del 2011.
[2] Cons. Stato n. 297 del 2014; n. 1419 del 2010; Tar Lazio, sede di Roma, n. 5004 del 2012.
[3] Cons. Stato n. 297 del 2014.
[4] Cons. Stato, n. 2635 del 2014; nonché, nella giurisprudenza di primo grado, e in relazione anche agli analoghi termini previsti dai commi 4 e 5 del medesimo articolo: Tar Abruzzo, L’Aquila, n. 380 e 15 del 2013; Tar Umbria, n. 244 del 2012; Tar Sicilia, Catania, n. 638 del 2012).
[5] Cass. n. 4051 del 2014.
[6] Cass. n. 9647 del 2013.
[7] Cass. n. 25476 del 2009.
[8] Ordinanze n. 25 del 2012, n. 224 del 2011, n. 61 del 2010, n. 170 del 2009, n. 212 e n. 77 del 2008.