Magistratura democratica
Diritti senza confini

Le disposizioni penali del d.l. 20/2023. Ancora un insensato inasprimento delle sanzioni in materia di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare

di Luca Masera
professore ordinario di diritto penale, Università degli Studi di Brescia

In reazione alla tragedia di Cutro, e al dichiarato fine di porre rimedio ad una presunta inadeguatezza delle sanzioni previste per le diverse ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, il legislatore interviene aumentando le pene per tali reati, ed introducendo una nuova fattispecie di «morte come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina». Nelle pagine che seguono illustreremo perché ci pare trattarsi di una riforma priva di alcuna base razionale, dal momento che già secondo la legislazione pre-vigente in caso di vicende come quella di Cutro i responsabili del naufragio potevano essere puniti con sanzioni che raggiungono il limite massimo di 30 anni di reclusione, e che ottiene il solo risultato di impedire l’applicazione di pene proporzionate nei casi di minore gravità, avendo fissato il legislatore il limite di pena minimo di 20 anni quando dal favoreggiamento sia derivata, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone.

Il d.l. n. 20/2023, varato dal Governo a Cutro dopo il naufragio dell’imbarcazione carica di migranti che ha causato oltre novanta vittime, è intervenuto su vari fronti: ha abrogato la protezione speciale nei confronti delle persone che in Italia già avevano costruito una vita privata e familiare; ha ulteriormente irrigidito le pene nei confronti di chi«dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato»; ha aumentato le quote di ingresso di chi ha già un’offerta di lavoro in Italia, al fine di scoraggiare gli ingressi “irregolari”; ha reso più difficile la possibilità di opporsi al provvedimento di espulsione. Questione giustizia come suo costume si interroga sulla portata delle norme introdotte con indifferibile urgenza dopo l’ultima delle tante tragedie che hanno segnato il fallimento della politica di respingimento, Offre pertanto ai suoi lettori, a partire da oggi, quattro interventi mirati sulle singole questioni che vanno a comporre il quadro legislativo che ha trovato ispirazione in una tragedia di così enorme portata, e di così evidente insensatezza rispetto alle illusioni di fermare con gli strumenti repressivi il fenomeno epocale dell’immigrazione.

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Sommario: 1. Premessa – 2. L’innalzamento delle sanzioni detentive previste dall’art. 12 co. 1 e 3 TUI – 3) La nuova ipotesi di «Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina» (art. 12-bis TUI) – 3.1) Gli elementi costitutivi della nuova disposizione e la sua natura di figura autonoma di reato o di circostanza aggravante – 3.2 Gli effetti pratici della nuova disposizione – 3.3 La disposizione in materia di giurisdizione – 4. Considerazioni conclusive

 

1. Premessa

Il decreto-legge n. 20/2023, approvato dal Governo dopo la tragedia di Cutro contiene due disposizioni di natura penale, che intendono inasprire il sistema di contrasto al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: l’art. 8 co. 1 lett. a) aumenta di un anno le cornici edittali previste all’art. 12 TUI co. 1 e co. 3, mentre l’art. 8 co. 1 lett. b) introduce nel TUI l’art. 12-bis, ove è disciplinata la nuova ipotesi di Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina.

Di seguito andremo ad analizzare tali modifiche, svolgendo alcune considerazioni sulla loro effettiva portata innovativa e sul significato politico-criminale della riforma.

 

2. L’innalzamento delle sanzioni detentive previste all’art. 12 co. 1 e co. 3. TUI

Il d.l. in commento prevede, come accennato, l’aumento di un anno delle cornici edittali, peraltro già assai elevate, previste per le ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione (e dell’emigrazione) irregolare semplice e aggravato. La fattispecie-base di cui all’art. 12 co. 1 TUI[1], per cui era prevista la pena della reclusione da 1 a 5 anni (oltre alla multa di euro 12.000 per ogni persona di cui è favorito l’ingresso irregolare: il decreto non interviene sulle sanzioni pecuniarie), risulta oggi punibile con la reclusione da 5 a 6 anni, mentre la fattispecie aggravata[2] di cui al co. 3[3], prima punibile con la reclusione da cinque a quindici anni, ora comporta la reclusione da sei a sedici anni (oltre alla multa di 15.000 per ogni straniero irregolare).

La modifica di tali cornici edittali si ripercuote poi sul quantum di pena concretamente applicabile alla luce del complessivo apparato di circostanze comuni e speciali delineato dalla norma. Le pene di cui al co. 1, infatti, sono aumentate da un terzo alla metà (con multa di 25.000 per straniero) quando ricorrono le ipotesi di cui al co. 3-ter[4], mentre le pene previste per la fattispecie aggravata di cui al co. 3, oltre ad essere aggravate da un terzo alla metà ai sensi del co. 3-ter, sono anche aggravate ex co. 3-bis[5] sino ad un terzo quando ricorrono due o più delle ipotesi delineate al co. 3 (entrambe le circostanze, ex co. 3-bis e 3-ter, non sono state interessate dall’intervento di riforma). Alla stregua del sistema previgente, quindi, la pena (detentiva) massima applicabile nell’ipotesi in cui ricorressero tutte le aggravanti speciali previste dall’art. 12 già raggiungeva la soglia massima di 30 anni prevista nel nostro ordinamento per le pene detentive temporanee (15 anni ex co. 3 + 7 anni e 6 mesi ex co. 3-ter + 7 anni e 6 mesi ex co. 3-bis[6]); oggi, alla luce dell’aumento della pena prevista per il co. 3, il limite dei 30 anni verrebbe superato (16 anni + 8 + 8), ma la sua invalicabilità ai sensi dell’art. 66 c.p. (per cui «se concorrono più circostanze aggravanti, la pena da applicare per effetto degli aumenti…non può comunque eccedere gli anni 30, se si tratta di reclusione») sterilizza sotto questo profilo gli effetti della riforma.

Si tratta, insomma, di una modifica dal significato più mediatico che reale. Le pene per il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare erano già talmente elevate prima dell’intervento normativo, che l’innalzamento delle cornici edittali ha un impatto molto modesto sulla complessiva dosimetria sanzionatoria, e per quanto riguarda i limiti massimi di pena non ha propriamente alcun effetto, posto che già prima della riforma si poteva pervenire al limite invalicabile di 30 anni di reclusione. Del resto, già la scelta di aumentare simbolicamente di un anno tutte le cornici edittali (minimi e massimi, della fattispecie-base come di quella circostanziata) tradiva le reali intenzioni del legislatore, che voleva semplicemente poter annunciare l’ennesimo inasprimento delle pene per gli scafisti, al di là di qualsiasi considerazione in ordine all’inadeguatezza delle pene su cui si andava ad intervenire.

Quanto poi agli effetti indiretti che l’innalzamento delle pene può comportare sul complessivo trattamento giuridico del reato, l’unica differenza rispetto al passato (se non vediamo male) è quella di consentire l’uso delle intercettazioni telefoniche anche per le ipotesi di favoreggiamento semplice di cui al co. 1[7], e non solo per le ipotesi aggravate di cui al co. 3. Le ipotesi di cui al co. 3 sono tuttavia di frequentissima verificazione (si pensi in primis alla circostanza che gli stranieri di cui si favorisce l’ingresso siano 5 o più, o a quella relativa al numero di concorrenti uguale o superiore a 3), al punto che è assai raro che il reato venga contestato nella sua forma-base: sicché anche tale novità si rivela priva di un significativo impatto nella prassi.

 

3. La nuova ipotesi di «Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina» (art. 12-bis TUI)[8]

3.1. Gli elementi costitutivi della nuova disposizione e la sua natura di figura autonoma di reato o di circostanza aggravante

Il nuovo art. 12-bis TUI introduce un’ipotesi speciale della figura di reato ex art. 586 c.p., di cui la rubrica riprende in modo esplicito la denominazione. L’elemento specializzante della nuova disposizione rispetto alla norma codicistica risiede nello specifico delitto da cui derivano eziologicamente la morte o le lesioni: mentre l’art. 586, come noto, fa riferimento ad ogni delitto doloso, la norma di nuovo conio si concentra su una specifica ipotesi di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare, cioè l’ipotesi di cui all’art. 12 co. 3 lett. b) o c), che la norma integralmente riproduce[9]. La condotta tipica è dunque quella del favoreggiamento dell’ingresso (o dell’espatrio) irregolare (si punisce chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente»: esattamente la condotta delineata dall’art. 12 co. 1, e testualmente riprodotta dal co. 3), con l’ulteriore requisito del ricorrere (in via alternativa) di una delle situazioni descritte dal co. 3 alla lettera b) («quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità») e alla lettera c) («sottoponendole a trattamento inumano o degradante»).

La nuova fattispecie si configura quando, dalla condotta così descritta, derivi, quale conseguenza non voluta, uno degli eventi descritti dalla norma. Se è stata cagionata la morte di più persone, si applica ai sensi del co. 1 la reclusione da 20 a 30 anni (la medesima pena si applica anche qualora si verifichi la morte di una o più persone e lesioni gravi o gravissime a una o più persone); se, secondo il disposto del co. 2, si è stata causata la morte di una sola persona, è comminata la reclusione da 15 a 24 anni; se infine si verificano lesioni gravi o gravissime a una o più persone, si applica la reclusione da 10 a 20 anni.

La relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del decreto considera pacifico che la norma introduca una autonoma figura di reato, e non un’ipotesi circostanziata della fattispecie di favoreggiamento[10]; ma tale qualificazione, per quanto certamente plausibile, non ci pare affatto così scontata come ritengono i redattori della relazione, e vale la pena soffermarvisi, tenuto conto delle notevoli conseguenze applicative che la scelta comporta.

La nuova fattispecie è, anzitutto, riconducibile all’ampio novero dei reati aggravati dall’evento, di quei reati cioè in cui è previsto un autonomo aumento di pena, qualora dalla commissione della fattispecie-base derivi un determinato evento lesivo; quando poi, come nel caso che ci interessa, l’evento aggravatore è costituito da morte o lesioni personali, il reato aggravato dall’evento produce l’effetto di sostituire la cornice edittale delineata ad hoc a quella che risulterebbe applicabile in virtù della disciplina generale (concorso formale del delitto che ha cagionato le morti o le lesioni con l’art. 586)[11]. Rispetto a tale categoria di reati, come noto, la qualificazione come fattispecie autonome, pur autorevolmente sostenuta in dottrina[12], è esclusa dalla giurisprudenza prevalente, che qualifica le ipotesi in questione come figure circostanziate della fattispecie base[13].

Non bisogna neppure dimenticare che, in ordine alla figura delineata al co. 3 dell’art. 12, le Sezioni Unite della Cassazione, con la già citata sentenza nel 2018, sono infine pervenute alla qualifica come ipotesi circostanziata della fattispecie-base di cui al co. 1, contraddicendo il prevalente orientamento dottrinale e pretorio, oltre che la volontà del legislatore desumibile dai lavori preparatori della riforma del 2009, per cui quella descritta al co. 3 avrebbe rappresentato una autonoma fattispecie di reato. Ora la nuova fattispecie è descritta dal legislatore riprendendo letteralmente il disposto dell’art. 12 co. 3, cui è aggiunto l’elemento specializzante della verificazione dell’evento, e quindi non ci pare affatto da escludere che tale pronuncia possa essere invocata per negare natura di fattispecie autonoma anche alla nuova ipotesi delineata dal legislatore.

È chiaro che, se prevalesse la qualifica come fattispecie aggravata, la modifica normativa potrebbe paradossalmente risultare più favorevole per il reo rispetto alla disciplina previgente. La natura circostanziale permetterebbe al giudice di ritenere la circostanza consistente nella verificazione dell’evento morte o lesioni soccombente ex art. 69 c.p. con eventuali circostanze attenuanti, con il risultato di non applicare alcun aumento di pena per la causazione di tale evento; mentre oggi, il reo risponderebbe in concorso formale di favoreggiamento aggravato ex art. 12 co. 3 TUI con gli omicidi o le lesioni colpose aggravate ex art. 586 c.p., e in alcun modo il disvalore dell’evento può essere privato di rilievo sanzionatorio.

L’applicabilità dell’art. 69 c.p. (una volta ovviamente aderito, contro l’intenzione del legislatore storico, alla qualificazione come ipotesi circostanziale della nuova fattispecie) non viene poi negata dalla disciplina proprio in tema di bilanciamento che pure è contenuta nella nuova disposizione. La relazione più volte citata spiega come fosse intenzione del legislatore, nel delineare una fattispecie autonoma, prevedere per la stessa le medesime specificità sostanziali e processuali previste dall’art. 12 per le ipotesi di favoreggiamento aggravato. Per quanto qui interessa, in particolare, i co. 3 e 4 del nuovo art. 12-bis riproducono esattamente i co. 3-bis, 3-ter e 3 quater dell’art. 12, prevedendo, per quanto concerne il co. 3, che «nei casi di cui ai co. 1 e 2, la pena è aumentata, quando ricorre taluna delle ipotesi di cui all’art. 12 co. 3, lett. a), d) ed e). La pena è aumentata da un terzo alla metà quando concorrono almeno due delle ipotesi di cui al primo periodo, nonché nei casi previsti dall’art. 12 co. 3-ter”; mentre il co. 4 dispone che “le circostanze attenuanti, diverse da quelle previste dagli articoli 98 e 114 del codice penale, concorrenti con le aggravanti di cui al comma 3, non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall’aumento conseguente alle predette aggravanti»[14].

Lasciando da parte il contorto disposto del co. 3 (che applica una serie di aggravanti ad una fattispecie già punita con la reclusione da 20 a 30 anni, e per la quale davvero non si avvertiva la necessità di ulteriori aggravamenti di pena, tra l’altro formulati con un rinvio al disposto dell’art. 12 che crea un reticolo normativo di circostanze comuni e speciali di non agevole interpretazione, ma su cui non vogliamo ulteriormente tediare il lettore), ora ci interessa analizzare il disposto del co. 4, che introduce una deroga all’applicabilità del bilanciamento di cui all’art. 69 c.p. Il tenore letterale della disposizione esclude dal giudizio di bilanciamento solo le aggravanti del co. 3, relative come appena visto al ricorrere delle ipotesi di cui ai co. 3 e 3-ter dell’art. 12, che nulla hanno a che vedere con la verificazione di morti o lesioni in conseguenza del favoreggiamento; sicché, una volta che si acceda alla qualificazione della nuova fattispecie come circostanza aggravante, non vi sono ostacoli all’applicabilità delle regole generali in tema di bilanciamento.

Quale che sia la qualificazione che la giurisprudenza intenderà adottare, non ci pare invece vi possano essere incertezze quanto al coefficiente soggettivo di imputazione dell’evento morte o lesioni, che la nuova norma si limita a precisare debbano rappresentare «una conseguenza non voluta» dall’agente. Qualora si reputi la nuova ipotesi una circostanza, sarà direttamente il disposto dell’art. 59 co. 2 c.p. ad imporne l’imputazione solo nelle ipotesi di colpa; qualora invece la si ritenga un reato autonomo, sarà l’applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite Ronci nel 2009 in relazione all’art. 586 c.p. a prescrivere l’accertamento della concreta prevedibilità dell’evento lesivo. Dopo le storiche decisioni della Corte costituzionale del 1988, del resto, non sono più ammissibili forme di responsabilità oggettiva in materia penale, e anche nel caso che ora ci interessa l’imputazione dell’evento lesivo a titolo di colpa ci pare conclusione che non può essere revocata in dubbio, nonostante il legislatore non abbia espressamente previsto la necessità di tale coefficiente psicologico rispetto all’evento aggravatore della nuova fattispecie.

 

3.2. Gli effetti pratici della nuova disposizione

Come già evidente da quanto sin qui riferito, la nuova fattispecie non ha sortito alcun effetto espansivo dell’area del penalmente rilevante, nel senso che le ipotesi da essa disciplinate già risultavano punite ai sensi della disciplina previgente. Il decreto non fa che delineare un reato complesso, nel quale vengono fatte confluire l’ipotesi di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare di cui all’art. 12 co. 3 lett. b) e c), e gli omicidi o le lesioni colpose aggravate ex art. 586 c.p.[15] Trattandosi quindi della individuazione di una autonoma cornice edittale per ipotesi che altrimenti sarebbero state riconducibili alla disciplina del concorso formale di reati, per comprendere la reale portata della riforma non ci si può limitare a constatare l’estrema durezza delle pene previste dalla norma, ma è importante fare un raffronto con il trattamento sanzionatorio che sarebbe risultato applicabile secondo le norme generali sul concorso di reati.

In effetti, valutato in termini assoluti, il rigore sanzionatorio della nuova disposizione non può che apparire eccezionale. 30 anni di reclusione per la causazione non volontaria della morte è un quantum di pena che, se non andiamo errati, trova riscontro solo nelle ipotesi di sequestro di persona a scopo di estorsione o a scopo di terrorismo o di eversione e nelle ipotesi di tortura, che prevedono la pena della reclusione di 30 anni quando dal sequestro derivi come conseguenza non voluta la morte della persona offesa (art. 630 co. 2 c.p., 289-bis co. 2 c.p. e 613-bis co. 5)[16].

Per comprendere però la vera portata innovativa della riforma, è necessario, come già accennato, porre a raffronto tale trattamento sanzionatorio con quello applicabile prima della stessa, e così facendo ci si rende conto che, almeno per quanto riguarda il limite massimo della sanzione applicabile, la novità è soltanto apparente. Proviamo, infatti, a verificare la pena cui sono esposti i presunti responsabili della tragedia di Cutro, cioè proprio della vicenda in seguito alla quale il Governo ha ritenuto di dover intervenire con la disposizione in commento, ritenendo inadeguate le pene sino ad allora previste in casi del genere. Gli scafisti di Cutro, qualora se ne accertasse la responsabilità, sarebbero responsabili del delitto di favoreggiamento aggravato di cui all’art. 12 co. 3 TUI (ci paiono ricorrere nel caso di specie addirittura 4 delle 5 ipotesi previste dalla norma: il numero di persone di cui si è favorito l’ingresso irregolare superiore a 5, il pericolo per la vita delle persone trasportate, la loro sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, il numero dei concorrenti superiore a 3), ulteriormente aggravato ai sensi del co. 5-bis (poiché ricorrono almeno due delle ipotesi descritte al co. 3) e del co. 5-ter (i fatti sono stati commessi al fine di trarne profitto, anche indiretto): un congegno normativo che, come visto sopra, consente di raggiungere il limite massimo di 30 anni. Con tale reato ovviamente concorrerebbe quello di omicidio colposo plurimo (limite massimo di 15 anni ex art. 589 co. 4 c.p.), aggravato ex art. 586 c.p. (con pena massima quindi di 20 anni: 15 anni + 1/3), e quello di naufragio (punito – ove ritenuto doloso, almeno a titolo di dolo eventuale – con la reclusione da 5 a 12 ex art. 428 c.p., e con la reclusione ex art. 449 da 1 a 5 anni se ritenuto colposo). Siamo ben oltre la soglia dei 30 anni che l’art. 78 c.p. pone quale limite massimo di pena detentiva temporanea applicabile nel nostro ordinamento.

Per quanto riguarda la pena massima applicabile nelle ipotesi più gravi (come nel caso della tragedia di Cutro), la previsione della reclusione sino a 30 anni introdotta con il decreto non produce dunque nessun reale effetto di inasprimento della risposta punitiva; anzi, paradossalmente risulta più favorevole della disciplina previgente, visto che due figure di reato, aventi rispettivamente come pena massima quella di 30 anni di reclusione (il favoreggiamento pluriaggravato dell’immigrazione irregolare) e di 20 anni (l’omicidio colposo plurimo ex art. 586 c.p.), sono state unificate in un reato complesso punito con la pena massima della reclusione di 30 anni.

Dove invece la riforma incide, ed in modo assai significativo, è sui minimi edittali applicabili in ipotesi di morte come conseguenza del reato di favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare. Prima del decreto, entrambi i reati che risultavano sussistenti in concorso tra loro in ipotesi del genere avevano pene minime non elevatissime (5 anni per il favoreggiamento aggravato ex art. 12 co. 3 TUI, con aumento minimo di un terzo ai sensi del co. 3-ter, e 6 mesi per l’omicidio colposo), e dunque era possibile per il giudice, in casi di minore gravità, attestarsi su un quantum di pena di media entità. Ora, la pena minima prevista in tali situazioni è la reclusione di 20 anni, che, anche concesse e ritenute prevalenti eventuali attenuanti, non scende comunque sotto i 13 anni: questa sì una modifica di notevole impatto nei procedimenti che verranno celebrati in futuro per la nuova fattispecie.

L’effetto della riforma non è allora quello, annunciato dal Governo, di aumentare le pene per i casi più gravi, ma piuttosto quello di uniformare verso l’alto il trattamento sanzionatorio per tutte le ipotesi, gravi e meno gravi, di morte come conseguenza del favoreggiamento. Può sembrare improprio parlare di casi meno gravi, quando comunque si è verificata la morte di più persone, ma basta dare uno sguardo alla concreta fenomenologia degli sbarchi sulle nostre coste per rendersi conto che è al contrario profondamente sbagliato attribuire il medesimo disvalore a tutte le ipotesi ricomprese nella nuova norma.

Pensiamo alla tipologia di sbarchi provenienti dalla Tunisia, in costante aumento negli ultimi mesi a causa della grave difficoltà socio-economica e politica in cui versa il Paese. In molti casi si tratta di piccole o piccolissime imbarcazioni, che trasportano una decina di persone, e che sono state acquistate collettivamente dai partecipanti al viaggio, tra cui normalmente viene scelto qualcuno che abbia una pur minima esperienza di navigazione e possa condurre l’imbarcazione. In molti episodi, anche oggetto di accertamento in sede giudiziaria, non risulta alcuna organizzazione criminale alle spalle del viaggio, ma si tratta solo di gruppi di parenti o conoscenti che si organizzano per lasciare il proprio Paese, ed individuano il “capitano” nella persona con qualche nozione di navigazione. Ebbene, nel caso in cui il viaggio si concluda drammaticamente, con la morte di alcuni migranti, colui che conduceva la nave (posto che risulterà agevole provare che le modalità organizzative del viaggio ponevano a rischio la vita o l’incolumità dei partecipanti, elemento che come visto sopra rappresenta un requisito costitutivo della nuova fattispecie) sarà condannato per un reato che prevede una pena minima di 20 anni.

Eppure, ci pare difficile non vedere la differenza valoriale che intercorre tra un viaggio gestito da una organizzazione criminale, come quelle operanti soprattutto in Libia, che mettono a rischio la vita dei migranti su barconi fatiscenti e sovraffollati, per lucrare il più possibile dai disperati che devono pagare somme ingenti per lasciare i campi di detenzione e di tortura; ed un viaggio come quello descritto sopra, in cui i partecipanti decidono liberamente di partire con l’imbarcazione che sono riusciti a recuperare. Le ipotesi riconducibili alla fattispecie del favoreggiamento aggravato (e dunque anche alla nuova fattispecie, quando il viaggio si sia concluso tragicamente) sono tra loro profondamente diverse, come bene ha messo in luce da ultimo la Corte costituzionale nella sentenza che ha dichiarato l’incostituzionalità di due delle ipotesi descritte al co. 3 dell’art. 12 (l’aggravante dell’aver utilizzato mezzi internazionali di trasporto, e quella dell’uso di atti falsi)[17]. L’unico, vero effetto della riforma è invece proprio quello di impedire irragionevolmente al giudice di differenziare la sanzione in ragione delle peculiarità della vicenda concreta, applicando in ogni caso una cornice edittale che ha come limite inferiore 20 anni di reclusione.

L’uso di margini edittali così schiacciati verso il massimo della pena detentiva applicabile produce sempre effetti distorsivi, che in un caso molto simile sotto il profilo della cornice edittale (il caso del sequestro di persona a scopo di estorsione, punito ex art. 630 co. 1 c.p. con la reclusione da 25 a 30 anni) sono stati censurati dalla Corte costituzionale: al fine di rendere la disciplina compatibile con il principio di proporzionalità e ragionevolezza della risposta sanzionatoria, in quell’occasione i giudici delle leggi hanno ritenuto necessario introdurre una nuova circostanza attenuante non prevista dalla legge, e applicabile dal giudice «quando il fatto risulti di lieve entità»[18]. Prevedere una pena minima di 20 o 25 anni, per fattispecie delineate in modo così ampio da abbracciare al loro interno vicende con un contenuto di disvalore che può essere quanto mai distante, ci pare sempre un’operazione assai discutibile non solo sotto il profilo della tecnica legislativa, ma anche sotto il profilo della legittimità costituzionale. In relazione alla nuova disposizione, la possibilità di qualificarla come circostanza aggravante piuttosto che come reato autonomo potrebbe in verità permettere già alla giurisprudenza ordinaria di sterilizzare la rigidità della cornice edittale, ricorrendo al giudizio di bilanciamento, di cui all’art. 69 c.p.; altrimenti, si renderà necessario un intervento additivo della Corte costituzionale, che introduca come nel caso dell’art. 630 c.p. una diminuente quando i fatti, «per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione»[19], risultino di lieve entità.

In ogni caso, e per concludere sul punto, la nuova fattispecie introdotta dal decreto non serve ad aumentare le pene per i casi più gravi, che già prima dell’intervento normativo erano punibili con la pena detentiva massima prevista nell’ordinamento, mentre impedisce di dosare in modo ragionevole la sanzione nei casi di minore gravità. Se la norma verrà definitivamente approvata, sarà la giurisprudenza a dover individuare gli strumenti per impedire l’applicazione di pene sproporzionate rispetto al disvalore della specifica vicenda sottoposta a giudizio.

 

3.3. La disposizione in materia di giurisdizione

L’ultimo comma del nuovo art. 12-bis TUI contiene una norma speciale in materia di giurisdizione, disponendo che «fermo quanto disposto dall’articolo 6 del codice penale, se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio».

Si tratta di una norma la cui introduzione ci pare opportuna, anche se non è una disposizione che ha carattere realmente innovativo, in quanto risulta confermativa dell’attuale orientamento giurisprudenziale, che – secondo le parole della Relazione di accompagnamento – la previsione ha il precipuo scopo di convalidare. In effetti, il tema della giurisdizione italiana per i reati di omicidio o lesioni personali in relazione a naufragi verificatisi in acque internazionali è stato oggetto di vivace dibattito nella giurisprudenza, che da ultimo, con una sentenza della Cassazione del 2021 citata nella Relazione, era pervenuta alla conclusione di ritenerla sussistente, sulla base di un articolato e controverso ragionamento che non ci pare qui necessario ricostruire[20]. Il tema della plausibilità della ricostruzione offerta dalla Cassazione ha infatti perso la sua rilevanza pratica, almeno per il futuro, posto che l’approvazione della nuova norma permette di fondare univocamente su di essa, ai sensi dell’art. 7 n. 5 c.p., la giurisdizione del giudice penale italiano nei casi di naufragi in acque internazionali di imbarcazioni dirette verso le nostre coste.

 

4. Considerazioni conclusive

L’uso del diritto penale a fini di propaganda mediatica ha raggiunto, con le disposizioni penali dell’ultimo decreto-legge, livelli sempre più elevati, che contengono ormai elementi ai limiti del surreale. Di fronte ad una tragedia che scuote l’opinione pubblica, il Governo non può esimersi dal proclamare e dall’introdurre pene più elevate per i responsabili di fatti simili, anche quando la legislazione vigente già consente di applicare loro il massimo della pena detentiva temporanea prevista nel nostro ordinamento!

Si tratta ormai per i nostri politici di un vero e proprio riflesso condizionato, che scatta inesorabile a prescindere da qualsiasi parvenza di razionalità. Come nel caso dei rave party, non ci si interroga sui reati che già a legislazione vigente sono a disposizione dell’autorità giudiziaria per punire i fenomeni criminali che si intende fronteggiare, né sulla effettiva necessità di intervenire in senso estensivo della rilevanza penale o di aggravamento del trattamento sanzionatorio. A livello comunicativo la soluzione più facile consiste nel proclamare che si introduce un nuovo reato, per porre finalmente rimedio ad una lacuna di tutela imputabile ai Governi precedenti. L’ultimo decreto porta al parossismo tale meccanismo di “legislazione condizionata”, intervenendo ad introdurre una nuova fattispecie rispetto a situazioni che già a legislazione vigente erano punibili, come visto sopra, con pene astrattamente anche superiori al massimo di pena detentiva irrogabile.

Non scopriamo certo con l’ultimo decreto che il diritto penale dell’immigrazione rappresenta il terreno d’elezione di politiche penali ispirate ad un continuo ed inarrestabile inasprimento sanzionatorio, e conosciamo bene le enormi difficoltà per la cultura giuridica degli ultimi decenni a contrastare tale insensato indirizzo politico-criminale. A conclusione di queste note vorremmo però provare ad abbozzare una brevissima riflessione, rispetto proprio al ruolo che la cultura giuridica potrebbe svolgere in situazioni come quella attuale.

L’idea che è stata veicolata dal Governo a sostegno delle modifiche che abbiamo commentato, per cui la legislazione vigente era troppo morbida nei confronti dei responsabili di tragedie come quella di Cutro, è oggettivamente falsa, perché già prima del decreto essi potevano andare incontro alla pena detentiva massima prevista nel nostro ordinamento (ad eccezione ovviamente dell’ergastolo). La propalazione di una ricostruzione artefatta del quadro normativo vigente è stata possibile perché i rappresentanti del Governo, che hanno fornito ai media tale ricostruzione, non sono mai stati chiamati pubblicamente a dare conto della scelta sul punto; e del resto, quanto alla funzione di cane da guardia della democrazia che dovrebbe svolgere la libera stampa, alcuni tra i più autorevoli quotidiani nazionali hanno pubblicato nei giorni immediatamente antecedenti all’approvazione del decreto la falsa informazione (guarda caso identica a quella dei comunicati-stampa governativi) per cui il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare era punito solo con la pena da 1 a 5 anni, e si rendeva quindi necessario adeguare la legislazione alla gravità del fenomeno criminale emerso all’evidenza a Cutro.  

Il populismo penale si può contrastare anche semplicemente fornendo all’opinione pubblica e al decisore politico la realtà del quadro normativo, specie in settori come quelli del contrasto all’immigrazione irregolare, ove ogni aumento sanzionatorio è semplicemente privo di senso perché il sistema ha già raggiunto il massimo della risposta afflittiva consentita dall’ordinamento. Se i giuristi che hanno accesso al dibattito mediatico, e specialmente i giuristi che hanno la responsabilità di redigere gli articolati normativi o sono comunque a vario titolo coinvolti nel processo di formazione degli atti legislativi, riuscissero a far comprendere ai nostri politici l’insensatezza, e non solo l’illegittimità, di continuare una rincorsa all’aumento delle pene in un settore ove le pene sono già elevatissime, forse si potrà evitare in futuro che vengano approvate disposizioni come quelle appena entrate in vigore. Altrimenti, di fronte agli irragionevoli irrigidimenti introdotti con le nuove disposizioni e analizzati sopra, dovrà essere ancora una volta la giurisprudenza (ordinaria e costituzionale) a porre rimedio agli eccessi del legislatore, ma è facile immaginare che ciò avverrà solo all’esito di lunghe e travagliate vicende interpretative, di cui davvero non si avvertiva la necessità.

 


 
[1] Art. 12 co. 1 TUI: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona».

[2] La qualificazione come ipotesi circostanziale invece che come figura autonoma di reato di tale fattispecie è ormai da ritenersi pacifica dopo l’intervento sul punto delle Sezioni Unite: cfr. Cass., Sez. un., 21.6.2018, n. 40982, in Dir. pen. cont., 14.12.2018, con nota di G. Savio.

[3] Art. 12 co. 3 TUI: «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, è punito con la reclusione da sei a sedici anni e con la multa di 15.000 euro per ogni persona nel caso in cui: a) il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio dello Stato di cinque o più persone; b) la persona trasportata è stata esposta a pericolo per la sua vita o per la sua incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; c) la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale; d) il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro; e) gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o materie esplodenti».

[4] Art. 12 co. 3-ter: «La pena detentiva è aumentata da un terzo alla metà e si applica la multa di 25.000 euro per ogni persona se i fatti di cui ai commi 1 e 3: a) sono commessi al fine di reclutare persone da destinare alla prostituzione o comunque allo sfruttamento sessuale o lavorativo ovvero riguardano l'ingresso di minori da impiegare in attività illecite al fine di favorirne lo sfruttamento; b) sono commessi al fine di trame profitto, anche indiretto».

[5] Art. 12 co. 3-bis: «Se i fatti di cui al comma 3 sono commessi ricorrendo due o più delle ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del medesimo comma, la pena ivi prevista è aumentata».

[6] Per questa modalità di calcolo dei diversi aumenti di pena, per cui ai sensi dell’art. 63 co. 3 c.p. l’aumento per la circostanza ad effetto comune (co. 3-bis) si applica sul quantum di pena risultante dall’applicazione delle circostanze ad effetto speciale (co. 3 e 3-ter), cfr. Cass., Sez. Un, 21.6.2018, cit., che ha modo anche di precisare come «la lettera del comma 3-ter comporta una deroga al principio generale stabilito dall'art. 63, co. 4, c.p., in base al quale, se ricorrono più circostanze aggravanti ad effetto speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave ma il giudice può aumentarla: sia quella del comma 3 che quella del comma 3-ter sono aggravanti ad effetto speciale, ma, in conseguenza della previsione contenuta nella seconda, si applicano entrambi gli aumenti da esse previsti» (§ 11 del “considerato in diritto”).

[7] Ai sensi dell’art. 266 c.p.p. l’uso di tale strumento di indagine è consentito nei procedimenti per delitti puniti con la reclusione superiore nel massimo a 5 anni, e non era quindi consentito in relazione al favoreggiamento semplice, punito prima della modifica con la reclusione da uno a cinque anni.

[8] «Chiunque, in violazione delle disposizioni del presente testo unico, promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente, quando il trasporto o l’ingresso sono attuati con modalità tali da esporre le persone a pericolo per la loro vita o per la loro incolumità o sottoponendole a trattamento inumano o degradante, è punito con la reclusione da venti a trenta anni se dal fatto deriva, quale conseguenza non voluta, la morte di più persone».

[9] In questo senso la Relazione al disegno di legge di conversione del decreto, comunicata alla Presidenza del Senato il 10 marzo 2023, per cui «la condotta del reato riproduce quella ricavabile dal combinato disposto dei commi 1 e 3, lettere b) e c), dell’articolo 12» (p.9).

[10] La citata Relazione si limita ad affermare che «si tratta, all’evidenza, di una fattispecie autonoma di reato».

[11] Proprio questo è lo scopo che la relazione attribuisce alla novità normativa: «si introduce un nuovo articolo 12-bis, recante una nuova fattispecie di reato intitolata "Morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina", volta ad elidere il concorso del reato di cui al citato articolo12 con la fattispecie codicistica di cui all’articolo 586 del codice penale (Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto)».

[12] Cfr. per tutti, a livello di manualistica, Marinucci, Dolcini, Gatta, Manuale di diritto penale – Parte generale, 2021, p. 638.

[13] Cfr. ad esempio la giurisprudenza relativa ai maltrattamenti in famiglia aggravati dalla morte o dalle lesioni (art. 572 co. 3 c.p.), o alla rissa aggravata da morte o lesioni (art. 588 co. 2).

[14] Il co. 5 dell’art. 12-bis prevede poi l’applicabilità dei co. 3-quinquies (circostanza attenuante speciale per le ipotesi di collaborazione con l’autorità giudiziaria), 4 (arresto obbligatorio in flagranza), 4-bis (custodia in carcere qualora sussistano esigenze cautelari) e 4-ter (confisca del mezzo utilizzato per commettere il reato) dell’art. 12 TUI; i co. 2, 3 e 4 dell’art. 8 del decreto-legge in commento provvedono poi ad inserire la nuova norma nelle disposizioni dell’ordinamento penitenziario e del codice di procedura penale che contengono discipline ad hoc per reati di particolare gravità, e nelle quali era già menzionato l’art. 12 TUI.

[15] A seconda poi della scelta di qualificare la nuova figura come reato autonomo o come fattispecie circostanziale, ci troveremo rispettivamente di fronte ad un’ipotesi di reato complesso del primo tipo (il reato assorbito diviene elemento costitutivo del nuovo reato complesso) o del secondo tipo (il reato assorbito risulta viene ad assumere la veste di circostanza aggravante).

[16] Nel caso della nuova norma, poi, a differenza che in quelle appena citate, non si fa alcun riferimento all’ipotesi in cui la morte sia stata dolosamente cagionata dal reo (ipotesi per la quale tanto l’art. 630 co. 3, quanto l’art. 289-bis co. 3, quanto l’art. 613-bis co. 5, prevedono la pena dell’ergastolo): con il paradosso così che la cornice edittale applicabile qualora emerga che le morti sono state volute (l’art. 575 c.p., che prevede la pena da 21 a 24 anni) risulta meno elevata di quella prevista nell’ipotesi in cui la morte sia una conseguenza non voluta del favoreggiamento.

[17] C. Cost., n. 63/2022: per una riflessione sullo specifico profilo della dicotomia criminologica che la Corte individua all’interno delle fattispecie delineate all’art. 12 TUI, cfr. A. Spena, Favoreggiamento dell’immigrazione irregolare vs. traffico di migranti: una dicotomia rilevante nell’interpretazione dell’articolo 12 TUI? (Ragionando su Corte cost. n. 63/2022), in DIC, n. 3/2022.

[18] C. Cost., n. 68/2012.

[19] Così il dispositivo della sentenza del 2012.

[20] Cass., Sez. I, 2 luglio 2021, n. 31652, in DIC, n.  1/2022, con nota di F. Curi, La giurisdizione in alto mare: tra universalità tentata e territorialità e territorialità consumata (Commento a Cassazione, Sezioni I, 2 luglio 2021, n. 31652, cui rinviamo per un’analisi critica della decisione.

03/04/2023
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