La individuazione degli enti da qualificare come pubblici è una di quelle questioni del diritto penale che rimangono per lungo tempo “sotto traccia” per poi emergere all’improvviso sotto la spinta della realtà fenomenica.
Il punto di riferimento sono quelle norme nelle quali la natura pubblica di un ente assume rilievo quale elemento della fattispecie criminosa (art. 316 bis c.p.: malversazione a danno dello Stato o di “altro ente pubblico”; art. 316 ter c.p.: indebita percezione di erogazione a danno dello Stato o di “altri enti pubblici”; art. 640 bis c.p.: truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche da parte dello Stato o “di altri enti pubblici”) o quale circostanze aggravante speciale (art. 640 c.p.: truffa aggravata ai danni dello Stato o di “un altro ente pubblico”).
Le sentenze in materia attengono in massima parte all’interpretazione della nozione di “ente pubblico” di cui al reato di truffa aggravata.
Già in epoca risalente si era affermato che le società controllate dall'istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.), sia che tale controllo si esplichi mediante una partecipazione diretta di tale istituto al capitale sociale sia che, invece, si svolga indirettamente mediante società finanziarie sussidiarie, di cui l'istituto medesimo possegga una partecipazione di controllo, hanno natura giuridica di enti di diritto privato, sì che una truffa a danni di tali società non può ritenersi aggravata ai sensi del cpv. n. 1 dell'art. 640 cod. pen. (fattispecie concernente la società autostrade concessioni e costruzioni autostrade s.p.a.). (Sez. 1, n. 949 del 23/03/1987 - dep. 23/06/1987, Lucarelli, Rv. 176224).
Il processo di privatizzazione di molti enti pubblici in società per azioni ha determinato molteplici pronunce, tutte nel segno della esclusione della natura pubblica di tali società sulla base della semplice considerazione della loro veste formale, producendosi, peraltro, la dicotomia tra la natura dell’ente ritenuta privata e coloro che amministrano tali società o che operano per le stesse, i quali possono assumere la qualità di incaricati di pubblico servizio e talora di pubblici ufficiali, ai sensi degli artt. 357 e 358 c.p. quando l'attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche (da ultimo: Sez. 6, n. 37099 del 19/07/2012 - dep. 26/09/2012, Balducci, Rv. 253477; Sez. 6, n. 49759 del 27/11/2012 - dep. 20/12/2012, Zabatta, Rv. 254201).
In definitiva si afferma che la natura del servizio prestato e delle funzioni svolte non sono determinanti per giungere ad affermare una diversa natura giuridica del soggetto, che rimane una società di diritto privato, pur con talune deroghe rispetto alla comune disciplina. Così è stato affermato che:
- Il delitto di truffa in danno delle Ferrovie dello Stato è punibile a querela, non potendosi configurare, in ragione della natura privatistica (società per azioni) del soggetto passivo, l'aggravante di cui all'art. 640 cpv. cod. pen., n. 1 (Cass. Sez. 2 sent. n. 5028 del 17.3.1999 dep. 20.4.1999 rv 213154);
- Con la trasformazione dell'ente pubblico economico "Poste Italiane" in società per azioni, non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato di truffa, in quanto la natura eventualmente pubblica del servizio prestato assume rilievo esclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agenti, secondo la concezione funzionale oggettiva accolta dagli artt. 357 e 358 cod. pen. (Cass. Sez. 2, sent. n. 8797 in data 11.2.2003 dep. 24.2.2003 rv 223664);
- Con la trasformazione dell'ente pubblico economico "Azienda Trasporti Milano" in società per azioni non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato di truffa, in quanto la natura eventualmente pubblica del servizio prestato assume rilievo esclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agenti, secondo la concezione funzionale oggettiva accolta dagli artt. 357 e 358 cod. pen. (Cass. Sez. 2 sent. n. 35603 del 23.6.2004 dep. 27.8.2004 rv 229728);
- In tema di truffa in danno dell'E.N.E.L., per effetto della trasformazione di questo da ente pubblico in società per azioni ad opera del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 15, conv. in L. 8 agosto 1992, n. 359, non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato, con la conseguenza che non può procedersi d'ufficio ma a querela di parte. (Cass. Sez. 5 sent. n. 38071 del 5.4.2005 dep. 19.10.2005 rv 233073. Fattispecie nella quale la Corte, d'ufficio, ha rilevato la mancanza di querela ed ha annullato senza rinvio il capo concernente la condanna per il reato di truffa, eliminando la relativa pena);
- Con la trasformazione dell'ente pubblico economico "Azienda Torinese Mobilità" in società per azioni non è più configurabile l'aggravante inerente alla natura pubblica della persona offesa dal reato di truffa, in quanto la natura eventualmente pubblica del servizio prestato assume rilievo esclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agenti, secondo la concezione funzionale oggettiva accolta dagli artt. 357 e 358 cod. pen. (Sez. 2, n. 35603 del 23/06/2004 - dep. 27/08/2004, P.G. in proc. Finotti, Rv. 229728.; Cass. Sez. 2 sent. n. 7226 del 7.2.2006 dep. 27.2.2006 rv 233158).
Analogamente, si è detto che, in tema di truffa, non è configurabile l'aggravante di cui all'art. 640 n.1) cod. pen. allorché il reato sia commesso ai danni di una "società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale, partecipata o costituita dall'ente titolare del pubblico servizio" (art. 22 Legge n. 142 del 1990) incaricata di gestire il servizio.
La Corte ha precisato che non valgono a mettere in dubbio la natura privatistica della società i vincoli ad essa imposti dall'Ente pubblico in materia di gestione del sevizio, del personale e delle somme introitate: Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005 - dep. 07/03/2005, P.G. in proc. Foa', Rv. 231155).
L'aggravante di cui all'art. 640, comma 1, n. 1 cod. pen. si ritiene configurabile allorché il reato sia commesso ai danni di una delle aziende speciali istituite dai comuni per la gestione dei servizi pubblici (art. 22 e 23 della legge 8 giugno 1990, n. 142 e successive modifiche), le quali rivestono natura di enti pubblici economici, posto che l'art. 640 succitato, ai fini della configurabilità dell'aggravante, non opera alcuna distinzione nell'ambito degli enti pubblici. (Sez. 2, n. 31424 del 03/07/2003 - dep. 24/07/2003, Mozzone, Rv. 226537. V. anche, stesso estensore, Sez. 2, n. 9875 del 2000, Rv. 217701).
Si è infatti sottolineato, al riguardo, che le "aziende speciali" di cui all'art. 23 della legge sulle autonomie locali integrano un ente strumentale dell'ente locale, che conferisce il capitale di dotazione; determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione e provvede alla copertura degli eventuali costi sociali.
La strumentalità, rispetto alla gestione dei servizi pubblici da parte dell'ente locale è testualmente affermata dalla norma, siedi la natura di ente pubblico economico — si è osservato — si desume, quindi da questa particolare posizione della Azienda, la quale, da un lato, ha "l'obbligo di pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi" (art. 23, comma 4) e, dall'altro,è sottoposta ai penetranti controlli di cui all'art. 23, comma 6, tanto invasivi da determinare per l'ente locale l'obbligo della copertura dei "costi sociali".
Anche in questo caso, peraltro, la soluzione viene trovata nella riconducibilità dell’ente in questione alla categoria formale dell’ente pubblico economico; mentre la configurabilità dell’ente pubblico viene esclusa quando la gestione del servizio pubblico sia attuata attraverso una società per azioni o a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico costituita o partecipata dall’ente titolare del pubblico servizio (Sez. 2, n. 8771 del 28/01/2005, Foà, Rv. 231155; Sez. 6, n. 8392 del 05/02/2009, Dalla Libera, Rv. 243667: che espressamente afferma di aderire ad un “criterio di tipo formalistico”).
Un’impostazione completamente diversa è formulata per la prima volta nella sentenza della Sez. 6, n. 40830 del 03/06/2010 - dep. 18/11/2010, Marani, Rv. 248786, la quale, ai fini della sussistenza del delitto di malversazione ai danni dello Stato, afferma che l'ente pubblico erogatore dei fondi distratti dalla loro destinazione si identifica con l'organismo pubblico di cui all'art. 3, comma 26, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, con cui è stato approvato il codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE 2004/18/CE, per cui è tale qualsiasi organismo istituito, anche in forma societaria, per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetto al controllo di questi ultimi ovvero il cui organo di amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da componenti dei quali più della metà sia designata dai medesimi soggetti suindicati, nonché, infine, sia dotato di personalità giuridica.
Tali elementi distintivi vengono ravvisati, nel caso di specie, in Investimenti Italia s.p.a., che è dotata di personalità giuridica; la cui attività è finanziata interamente con capitale pubblico ed è soggetta al controllo o alla vigilanza da parte dello Stato, tramite il Ministero dello sviluppo economico; per la quale, in particolare, «non sussiste il requisito negativo dello svolgimento dell'attività nel mercato concorrenziale con criteri di economicità, con assunzione dei rischi economici direttamente a carico dell'ente. Resta perciò confermato il rispetto del criterio di individuazione costituito dal criterio formale, basato sull'appartenenza della persona giuridica all'apparato organizzativo della P.A.».
La sentenza, peraltro, non esplicita il percorso argomentativo che la porta ad applicare la normativa comunitaria recepita in Italia. La giurisprudenza maggioritaria, soffre non solo della limitazione costituita dal riferimento ad un criterio espressamente definito “formalistico” (sent. n. 8392 del 2009 cit.), ma soprattutto del suo essere avulsa da una visione più ampia che collochi gli istituti sia nel loro sviluppo storico che nel complessivo sistema ordinamentale.
Solo così risulterà evidente che il concetto di ente pubblico non può essere quello del tempo di emanazione del codice penale e neppure quello dei primi anni ’90 durante il quale anche il modello dell’ente pubblico economico diventa recessivo con le leggi sulle privatizzazioni.
In verità, il problema dei criteri di identificazione della natura giuridica di un ente è un problema che si è posto sin da quando sono state abbandonate le teorie che basavano l’identificazione della pubblicità di un ente pubblico sui suoi collegamenti con lo Stato-persona.
Superato il dogma dello statalismo, con l’affermazione nel nostro sistema politico dei principi di pluralismo autonomistico, laddove la natura pubblica o privata di un ente non risultasse chiaramente dalla legge o non fosse convalidata da una lunga tradizione giuridica, si è posto il problema degli “indici di riconoscimento” della natura pubblica di un ente, variamente individuati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, sul presupposto comune, peraltro, della impossibilità di individuare una nozione unitaria di ente pubblico, abbracciando tale nozione una fenomenologia estremamente varia e multiforme.
Il problema si è accentuato con il processo di privatizzazione di enti pubblici e la tendenza legislativa a riconoscere in capo a soggetti operanti normalmente iure privatorum la titolarità o l’esercizio di compiti di spiccata valenza pubblicistica.
Proprio questa tendenza ha accentuato il dibattito concentrandolo, in modo particolare, sulla configurabilità di enti pubblici a struttura societaria.
Sulla base di tale premessa, la questione della attribuibilità della qualifica di ente pubblico ad una società per azioni partecipata da enti pubblici viene esaminata ampiamente dalla recente sentenza della Sez. 2, n. 42408 del 21/09/2012 - dep. 30/10/2012, Caltagirone Bellavista, Rv. 254038, la quale ha ritenuto, ai fini dell'applicazione della circostanza aggravante di cui all'art. 640, comma secondo, n. 1, cod. pen., che costituisce ente pubblico la Porto Imperia s.p.a., società per azioni partecipata da un ente pubblico - il Comune di Imperia - e concessionaria di opera pubblica su area demaniale, nella quale è previsto che l’ente locale nomini il Presidente e il Vicepresidente ed eserciti i propri poteri pubblicistici di vigilanza e controllo attraverso un’apposita commissione.
La sentenza esamina la giurisprudenza della Corte costituzionale, fin dalla sentenza n. 466 del 1993 per arrivare alla n. 363 del 2003 e n. 29 del 2006, delle Sezioni Unite civili (n. 8225 del 16 marzo 2010; n. 10063 del 7 dicembre 2010; n. 9940 del 12/05/2005, Rv. 580687; n. 24722 del 07/10/2008; n. 26806 del 19/12/2009; n. 3692 del 09/03/2012; n. 27092 del 22/12/2009, Rv. 610699), del Consiglio di Stato (sez. VI, 1 aprile 2000, n. 1885; sez. VI, 2 marzo 2011, n. 1206; sez. VI 17 settembre 2002, n. 4711; sez. VI, 5 marzo 2002, n. 1303; Sez. V, 22 agosto 2003, n. 4748) e della Corte dei conti (Sez. I, 17 novembre 2009, n. 651; Sez. II, 20 marzo 2006, n. 125; Sez. I, 5 maggio 2004, n. 152), desumendosi da tale esame come ai fini della identificazione della natura pubblica di un soggetto la forma societaria abbia carattere neutro, rilevando le finalità che con esso si intendono perseguire e più in particolare la c.d. strumentalità pubblicistica e il conseguente assoggettamento ad una disciplina derogatoria rispetto a quella dettata per il modello societario tradizionale.
L’unica particolarità, in tale panorama giurisprudenziale – nota la citata sentenza – è rappresentato da quelle sentenze delle Sezioni Unite civili, in materia di riparto fra giurisdizione ordinaria e quella contabile, che escludono l’azione di responsabilità a carico degli amministratori o dipendenti di una società per azioni a partecipazione pubblica per il danno patrimoniale subito dalla compagine sociale a causa delle condotte illecite di tali soggetti, con la conseguenza che la relativa controversia è assoggettata alla giurisdizione del giudice ordinario.
Si tratta, però, di una soluzione interpretativa che non esclude la configurabilità delle suddette società quali organismi pubblici (in tal senso espressamente, da ultimo, Sez. U, n. 3692 del 09/03/2012), ma si basa essenzialmente sulla previsione di un’azione sociale di responsabilità per il danno inferto dagli organi della società al patrimonio sociale e sull’impossibilità di realizzare un «soddisfacente coordinamento sistematico» tra la stessa azione di responsabilità e quella dinanzi al giudice contabile.
Coordinamento, peraltro, che non è ritenuto impossibile in senso assoluto, in quanto si fa «salva la specificità di singole società a partecipazione pubblica il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis, come nel caso della RAI» (Sez. U, sentenza n. 26806 del 19/12/2009), in cui si ravvisa nel danno arrecato alla società partecipata un danno diretto ad un ente pubblico (Sez. U, ordinanza n. 27092 del 22/12/2009, Rv. 610699).
Al fine di individuare gli indici di riconoscimento dell’ente pubblico, la citata sentenza della Sezione 2 penale, ritiene, pertanto, che analogamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza esaminata, debba essere adottata una nozione di organismo pubblico, che fa leva essenzialmente su una concezione sostanzialistica, che richiama quanto stabilito ed elaborato dalla legislazione e dalla giurisprudenza comunitaria.
L’art. 1 direttive 92/50/CEE (servizi), 93/36/CEE (forniture) e 93/37/CEE (lavori), ora art. 3, comma 26, D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, definisce l’organismo di diritto pubblico come «qualsiasi organismo, anche in forma societaria: - istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; - dotato di personalità giuridica; - la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico».
Secondo il costante insegnamento della Corte di Giustizia (15 gennaio 1998, causa C-44/96 Mannesmann anlagenbau Austria AG c. Strodal Rotationdruck GmBH; 16 ottobre 2003, causa C-283/00, Commissione c. Spagna; 15 maggio 2003, causa C-214/00, Commissione c. Spagna), i tre requisiti devono essere soddisfatti cumulativamente, sicché, in assenza anche di uno solo di essi, un organismo non potrà essere considerato di diritto pubblico.
Si tratta della combinazione di requisiti non solo strutturali, ma anche funzionali. In definitiva, la nozione di “ente pubblico” rilevante ai fini dell’applicazione delle fattispecie penali può, nel nuovo sistema ordinamentale nel quale si inserisce, essere mutuata dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria, recepita nella legislazione italiana e che trova applicazione nella giurisprudenza delle diverse giurisdizioni, certamente corrispondente all’originario intento del legislatore del codice penale di sanzionare tutte quelle condotte che incidono su soggetti–persone giuridiche strumentali al perseguimento di «bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale» e, in tal senso, posti in situazione di stretta dipendenza nei confronti dello Stato, degli enti pubblici territoriali o di altri organismi di diritto pubblico in senso formale.
La questione di diritto in tal modo posta dalla citata sentenza della Sezione 2 penale ha determinato la decisione di altro collegio della stessa sezione, che, con ordinanza n. 12885 del 15 marzo 2013 dep. il 20 marzo 2013, ha rimesso la questione stessa alle Sezioni Unite penali, le quali, peraltro, probabilmente non potranno esaminare il merito della questione a causa di un vizio formale del ricorso.
La stessa ordinanza, comunque, evidenzia come ormai sia necessaria «una puntualizzazione che fornisca con chiarezza gli indici di "riconoscibilità esterna" dell'ente, al di là dell'approccio casistico sin qui seguito, prima della innovativa sentenza Caltagirone». Tale ordinanza solleva, in particolare, due problematiche:
- la prima: i «variegati indici di riconoscimento della natura pubblica dell'ente distillati dai diversificati apporti giurisprudenziali diffusamente passati in rassegna dalla sentenza Caltagirone, paiono risentire non poco delle specifiche "finalità" che le diverse pronunce sono state chiamate a soddisfare nei rispettivi ambiti di giurisdizione (costituzionale, ordinaria, contabile, comunitaria)»;
- la seconda: «agitandosi la questione sul terreno del diritto penale sostanziale, la nozione di "ente pubblico", agli effetti che qui interessano, non può che essere ragguagliata ai paradigmi della tassatività e determinatezza che trovano nell'art. 25, secondo comma, Cost., la relativa copertura costituzionale» anche a norma dell’art. 7 della CEDU, per come costantemente interpretato dalla Corte di Strasburgo.
Sulla prima questione si può osservare che nei diversi ambiti di giurisdizione la ricostruzione del sistema vigente in materia di riconoscibilità della pubblicità degli enti si può dire convergente ed unanime nel senso di una concezione sostanziale e non formalistica e non si vede la ragione per la quale anche la nozione penalistica di ente pubblico non debba essere collocata nel sistema, poiché solo in tal modo si rispetta quella che sicuramente è la ratio delle norme di fornire particolare tutela e protezione a tutti quei soggetti che perseguono “bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale e commerciale” e che, proprio per questa ragione, sono dotati di un particolare regime giuridico che li caratterizza dal punto di vista strutturale.
In altri termini, la concezione sostanzialistica alla base delle elaborazioni giurisprudenziali nei diversi ambiti di giurisdizione ha una comune ed imprescindibile ragione d’essere, come già osservato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 466 del 1993, quella, cioè, di evitare che l’impiego della società per azioni quale strumento organizzativo per il perseguimento di finalità di interesse pubblico sottragga al controllo e alle relative sanzioni la dispersione del patrimonio pubblico.
Sulla seconda questione si può osservare, in primo luogo, che il dibattito sulla natura giuridica pubblica o privata di un ente non data da oggi, ma è anteriore alla stessa legislazione comunitaria, la quale anzi, ha il merito di avere fornito indicazioni precise, prontamente recepite nella legislazione nazionale, e, soprattutto, indicazioni attente al dato sostanziale, che, certamente, è quello che sta alla base della ratio di aggravamento della pena nel reato di truffa.
Bisogna considerare che il principio di legalità trova fondamento anche nell'art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e che, nella giurisprudenza della Corte EDU, al suddetto principio si collegano i valori della accessibilità (accessibility) della norma violata e della prevedibilità (foreseeability) della sanzione, accessibilità e prevedibilità che si riferiscono non alla semplice astratta previsione della legge, ma alla norma "vivente" quale risulta dall'applicazione e dalla interpretazione dei giudici; pertanto, la giurisprudenza viene ad assumere un ruolo decisivo nella precisazione del contenuto e dell'ambito applicativo del precetto penale. Il dato decisivo da cui dedurre il rispetto del principio di legalità, sempre secondo la Corte EDU, è, dunque, la prevedibilità del risultato interpretativo cui perviene l'elaborazione giurisprudenziale, tenendo conto del contenuto della struttura normativa (Corte EDU 02/11/2006, ric. Milazzo c. Italia; Grande Camera 17/02/2004, ric. Maestri contro Italia; 17/02/2005, ric. K.A. ET A.D. contro Belgio; 21/01/2003, ric. Veeber c. Estonia; 08/07/1999, ric. Baskaya e Okcuoglu c. Turchia; 15/11/1996, ric. Cantoni c. Francia; 22/09/1994, ric. Hentrich c. Francia; 25/05/1993, ric. Kokkinakis c. Grecia; 08/07/1986, ric. Lithgow e altri c. Regno Unito).
Nel caso di specie, si può affermare che si tratti di un risultato interpretativo "conforme ad una ragionevole prevedibilità", tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico. In secondo luogo, deve osservarsi che, nel caso di un rapporto strumentale tra enti, non può parlarsi di danno all’ente partecipante quale mero effetto riflesso della partecipazione societaria, poiché quando è coinvolto in una vicenda di truffa un organismo pubblico nel senso sopra specificato, tutti i profili di danno debbono essere considerati, in quanto il pregiudizio arrecato all’ente strumentale, comunque, si ripercuote sull’ente partecipante, non in modo puramente riflesso e penalmente irrilevante, ma in modo tale da incidere su quei “bisogni di interesse generale” che costituiscono la finalità per la quale la società partecipata è stata costituita e strutturata con un particolare regime giuridico, così da rendere ragione e giustificazione dell’aggravante contestata.
In altri termini, il “filo” della tutela dei fondi pubblici indirizzati al perseguimento di bisogni di interesse generale non viene spezzato da strumenti che assumono una veste solo formale di diritto privato.
E’ lo stesso concetto di fondo che ha improntato, sia pure in diversa fattispecie, altra recente decisione della sezione seconda della Corte di cassazione in tema di pubblici finanziamenti erogati per la realizzazione di corsi di formazione, la quale afferma che, in materia di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640 bis, «le somme provenienti da un pubblico finanziamento, anche in ragione dell'obbligo di rendiconto e di restituzione degli eventuali residui di gestione, continuano ad essere di proprietà pubblica anche nel momento in cui entrano nella disponibilità materiale dell'ente privato finanziato, rimanendo integro il vincolo originario della loro destinazione al fine per il quale sono state erogate» (Sez. 2, n. 19539 del 25/02/2011 - dep. 18/05/2011, D'Alonzo, Rv. 250497).
In altri termini, ciò che rileva, anche ai fini penali, è la provenienza dal bilancio pubblico dei fondi erogati e il dovere facente capo a tutti i soggetti che tali fondi amministrano di assicurarne l’utilizzo per i fini cui gli stessi sono destinati, in modo che non sia frustrato lo scopo perseguito dall’Amministrazione (in questo senso, v. anche Sez. U, civili, sentenza n. 295 del 6 novembre 2012 – 9 gennaio 2013).
Qualsiasi diversa interpretazione potrebbe essere veicolo di condotte elusive delle più gravi sanzioni penali mediante l’utilizzo dello schermo societario e costituirebbe un arretramento di tutela rispetto alla indefettibile e primaria protezione dei “bisogni di interesse generale”.