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La class action pubblica

di Sonia Sasso
funzionaria UdP presso il Consiglio di Stato

Uno strumento di tutela dei consociati, tra diritti collettivi e tutela del mercato

La tutela dell’utente di pubblici servizi, figura da assimilare sotto vari aspetti a quella del consumatore, viene resa in forma collettiva tramite il sistema delle class action. La fattispecie si declina e conforma in modo diverso nel sistema civile (art.840-bis c.p.c.) e in quello amministrativo (d.lgs.198/2009), offrendo oggi all’operatore del diritto plurimi spunti di riflessione, anche di politica giudiziaria.

Una recente sentenza della V sezione del Consiglio di Stato (n.7493/2022) ha delineato i presupposti oggettivi della class action pubblica, strumento poco usato e su cui il formante giurisprudenziale appare carente; al contempo l’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) ha avviato un’azione di classe contro i ritardi operati dalla Prefettura di Roma sulla regolarizzazione del lavoro (art. 103, D.L. 34/2020) su cui si dovrà esprimere il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea dal canto suo, con la sentenza 28 aprile 2022, n.319, ha riconosciuto la legittimazione ad agire delle associazioni dei consumatori anche in materia di tutela dei dati personali. 

In ambito civilistico, poi, è da evidenziare la recente modifica operata con la legge 12 aprile 2019, n. 31 che ha introdotto nell'ordinamento una disciplina organica dei procedimenti civili collettivi (cd. class action), assorbendo e ridisegnando le azioni inibitorie e di classe già previste dagli artt.  139, 140 e 140-bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del consumo), che sono stati contestualmente abrogati.

In tale contesto appare interessante valutare i sistemi offerti non solo al consumatore ma anche all’utente di pubblici servizi, che condivide con esso una posizione asimmetrica e di debolezza negoziale[1], bisognosa di forme di tutela rafforzata. Non appare casuale la disposizione del codice del consumo, di cui art. 2, lett. g, d.lgs. 206/2005, che trattando dei diritti degli utenti dei servizi pubblici, richiede che gli stessi vengano garantiti dallo Stato e dalle Regioni, nell'ambito delle rispettive competenze «attraverso la concreta e corretta attuazione dei principi e dei criteri previsti della normativa vigente in materia». 

La giurisprudenza civile, affrontando il problema dell'applicabilità del Codice agli utenti di pubblici servizi, sembra aver accolto la tesi della sostanziale parificazione degli utenti con i diritti dei consumatori, pur osservando come «ancorché la disciplina dettata dal codice del consumo sia tendenzialmente riferibile all'utente del servizio pubblico, l'applicazione ad uno specifico rapporto di utenza di una singola norma del Codice è subordinata al riscontro dell'idoneità di detto rapporto ad essere ricondotto a tale disposizione»[2]

La tutela del mercato concorrenziale si pone allora come limite e, al tempo stesso, come interesse pubblico da tutelare per il raggiungimento di un sistema dei servizi pubblici efficiente, efficace ed economico poiché è proprio il mercato concorrenziale a garantire agli utenti servizi pubblici di buona qualità e a costi contenuti.

Interessante allora analizzare le differenze tra il sistema civilistico e quello della class action pubblicistica, d.lgs. 198/2009, e il ruolo che ricopre il giudice amministrativo.

 

1. La class action consumeristica e i nuovi procedimenti collettivi

L’azione di classe, c.d. class action, nasce nel sistema di common law e viene inserita nel nostro ordinamento all’interno del codice del consumo all’art.140 bis. 

Lo strumento, a prescindere dal nomen, si differenzia dalla class action statunitense, in quanto la connessa tutela inibitoria o risarcitoria opera solo nei confronti di coloro che abbiano espressamente aderito all’azione. Nel sistema oltre oceano[3] invece il soggetto agente, lead representative, agisce per conto proprio ma nell’interesse anche altrui; a seguito della fase di certificazione, rule 23 del Federal Rules of Civil Procedure, la sentenza produce effetti nei confronti di tutti i soggetti che rientrano nella definizione prevista per la classe (sistema c.d. di opt out[4]). Si tratta di un sistema che si allontana dalla natura soggettiva della nostra giurisdizione tesa a offrire rimedio ad una posizione soggettiva lesa e non a veicolare un controllo oggettivo della legittimità dell'azione dei privati e dell’amministrazione stessa.

Il rimedio ha una ratio di tutela e garanzia per il privato che così viene posto nella posizione di poter agire anche per situazioni per cui potrebbe essere altrimenti poco incentivato, in ragione della durata dei processi, delle difficoltà a raccogliere prove e dei costi per sostenere un giudizio. Si mira in tal modo ad attuare il principio di uguaglianza sostanziale e a rafforzare forme di cooperazione solidaristiche.

La legge 12 aprile 2019, n. 31, ha trasferito l’azione all’interno del codice di procedura civile. La novella presenta già sotto l’aspetto della collocazione sistematica elementi di novità, in quanto il procedimento collettivo non sarà più uno strumento di tutela dei soli consumatori ma un rimedio di carattere generale. 

L'azione è oggi esperibile da tutti coloro che lamentano una violazione di diritti individuali omogenei. Legittimati all’azione, dunque, non sono solo i consumatori ma anche gli utenti, le imprese e le organizzazioni o associazioni di settore. In particolare si evidenzia un progressivo avvicinamento dell’istituto al suo antenato statunitense nella parte in cui la nuova fattispecie attribuisce alle associazioni o organizzazioni la legittimazione all’azione senza necessità di un mandato, purché nel proprio statuto prevedano la tutela dei diritti individuali omogenei per cui si sta agendo. La legittimazione è ormai riconosciuta in via autonoma, senza più necessità che il consumatore conferisca alle stesse espresso mandato ex ante, come invece era previsto dall'art. 140-bis cod. cons. A tale ampliamento soggettivo corrisponde, tuttavia, una maggiore selezione rispetto alle persone giuridiche che per utilizzare tale rimedio devono essere iscritte in un elenco pubblico, istituito presso il Ministero della giustizia[5].

Occorre sottolineare tuttavia che la nuova azione di classe, non si distacca del tutto dalla linea tracciata dall'art. 140-bis, adottando in ogni caso il meccanismo dell'opt in, incentrato sull'adesione del singolo che però può avvenire anche in una fase successiva, a seguito all’emanazione della sentenza, come previsto all’art.840-sexies, comma 1, lett.e, c.p.c.). Con la sentenza di accoglimento il giudice definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei lesi, al fine proprio di ottenere poi adesioni da parte di soggetti i cui diritti siamo omogenei. 

La principale differenza rispetto all'azione di classe consumerista, allora, riguarda principalmente i tempi dell'adesione, consentita anche dopo la sentenza di accoglimento. 

Ulteriore novità attiene ai legittimati passivi, che possono essere non solo le imprese ma anche gli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle loro rispettive attività. Si assiste allora a un importante avvicinamento tra la fattispecie privatistica e quella pubblicistica, di cui al d.lgs. 198/2009, in cui gli utenti agiscono per l'efficienza delle Amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi.  L'art. 840-bis, comma 3, tuttavia, riconosce la specialità della class action pubblica facendo salve le disposizioni previste dal d.lgs. 20 dicembre 2009, n. 198.

La nuova disposizione rinforza gli strumenti rimediali per l’utente di pubblici servizi che può agire contro i concessionari con entrambi gli strumenti, a seconda del tipo di danno lamentato. La class action pubblica, infatti, richiede dei presupposti oggettivi stringenti in mancanza dei quali gli utenti potrebbero ricorrere al più al nuovo procedimento collettivo. Contro le Pubbliche Amministrazioni, invece, rimane esperibile solo la class action pubblicistica.

La novità evidenziata si inscrive all’interno di un processo evolutivo dell’agire dell’amministratore che sempre più spesso si rivolge al mercato e utilizza strumenti privatistici. I gestori dei servizi pubblici sono per lo più soggetti formalmente privati, costituiti in forma societaria, che svolgono funzioni e compiti di interesse generale anche non in via esclusiva. Si tratta di enti, talvolta, rientranti nel moderno istituto dell’organismo di diritto pubblico, nato dalla giurisprudenza euro-unitaria e oggi codificato, o di soggetti che solo in parte qua svolgono funzioni a tutela di interessi di carattere generale e sovra individuale..

 

2. La class action pubblica

Il d.lgs. 20 dicembre 2009 n. 198 disciplina la c.d. class action pubblica atta a eliminare forme di inerzia delle Pubbliche Amministrazioni e incentivare i concessionari dei servizi pubblici a rispettare gli standard qualitativi e le prescrizioni delle Carte dei Servizi.

L’azione ha ad oggetto l’accertamento di forme di inadempimento e inefficienza della P.A. e l’eventuale condanna all’esecuzione in forma specifica degli stessi. La pronuncia ivi ha natura dichiarativa e va ad accertare il cattivo funzionamento dell’amministrazione o l’inerzia della stessa, senza valutare gli eventuali profili risarcitori. L’art.1 del decreto al comma VI espressamente esclude che con tale procedimento collettivo si possa richiedere la condanna al risarcimento del danno per cui «restano fermi i rimedi ordinari». Sotto tale profilo la fattispecie si distanzia dal rimedio civilistico, utilizzato principalmente al fine di ottenere ingenti risarcimenti.

In materia sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo chiamato a verificare la legittimità sostanziale dei comportamenti dell'amministrazione e dei concessionari, senza però avere un potere di sostituzione[6]

Il legislatore delegato, infatti, ha eliminato la previsione della giurisdizione di merito contenuta in origine nella legge delega n. 15/2009. Pertanto, il giudice non può adottare atti in sostituzione dell'amministrazione inerte, né può stabilire le concrete modalità di riorganizzazione del servizio inefficiente. Rientra, infatti, nella sola potestà dell'amministrazione valutare e scegliere gli specifici rimedi per rimuovere le cause dei disservizi e assicurare il corretto svolgimento della funzione pubblica[7]. L’art.4 prevede, in tal senso, che la sentenza che accoglie la domanda nei confronti di un concessionario di pubblici servizi è comunicata all'amministrazione vigilante per le valutazioni di competenza in ordine all'esatto adempimento degli obblighi scaturenti dalla concessione e dalla convenzione che la disciplina.

Legittimati all’azione sono «i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori». Le due categorie, anche in tal caso accostate, possono agire in giudizio nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, a seguito di una lesione dei propri interessi e non solo al fine di attuare gli standard previsti. 

Causa petendi dell’azione è dunque la lesione diretta, concreta e attuale di «interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti», in virtù della natura soggettiva della giurisdizione amministrativa[8].  L’attuazione del buon andamento della P.A. è un effetto indiretto e ulteriore del rimedio che tramite la tutela dell’interesse del privato garantisce un sistema più efficiente.

Sul punto, tuttavia, si rintraccia la presenza di un diverso orientamento in dottrina che ritiene che tale azione sia di giurisdizione oggettiva o che, comunque, presenti molti tratti di tale modello, riguardando la sussistenza di un'effettiva situazione di inadempimento o di inefficienza e svolgendo una funzione correttiva e di controllo.

L’azione pubblicistica, denominata ricorso per l'efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, viene posta in essere al fine di ripristinare i livelli di efficienza prestabiliti e il buon andamento della pubblica amministrazione, a vantaggio della generalità dei consociati danneggiati.

La disciplina definisce puntualmente i presupposti oggettivi, escludendo forme di controllo generalizzato che renderebbero il giudice una sorta di sostituto dell’amministrazione, in violazione del principio di separazione dei poteri, emblema dello Stato di diritto. 

L’azione è esperibile contro inadempimenti specifici e tipizzati dal decreto, nei termini seguenti:

- violazione di standard qualitativi ed economici;  

- violazione degli obblighi contenuti nelle Carte dei Servizi; 

- omesso esercizio dei poteri di vigilanza, di controllo e sanzionatori; 

- violazione dei termini;

- mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori.

L’azione collettiva è dunque esperibile, in forma collettiva, in presenza dei presupposti soggettivi (lesione di situazioni soggettive omogenee) e di quelli oggettivi sopraindicati. 

 

3. Il caso dei pendolari di Piacenza di fronte alla V sezione del CdS

Di recente la V sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n.7493/2022, ha delineato il suddetto sistema occupandosi dell’ipotesi di violazione di standard qualitativi ed economici.

Nel caso di specie l’Associazione Pendolari Piacenza e la Confconsumatori APS (già Confederazione Generale dei Consumatori) aveva agito collettivamente nei confronti della società Grandi Stazioni Retail S.p.a., al fine di ottenere l’accertamento della “lesione diretta, concreta e attuale degli interessi degli associati utenti/pendolari per la violazione degli standard qualitativi stabiliti per la concessionaria di servizio pubblico per quanto concerne l’utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale” e ad ottenere la condanna della società «ad adeguare l’uso degli spazi in gestione nel pieno rispetto dell’interesse dell’utenza, e quindi ad aumentare le sale e/o spazi attrezzati per l’attesa dei viaggiatori in arrivo ed in partenza, in modo da raggiungere il giusto rapporto proporzionale fra destinazione pubblica e destinazione commerciale dei suddetti locali e a provvedere, altresì, a ripristinare il preesistente sistema d’informazione sugli orari dei treni in arrivo ed in partenza (tabelloni) o comunque a predisporne uno di corrispondente dimensione ed efficacia».

In particolare, i ricorrenti ritenevano violati gli standard qualitativi insiti nella destinazione a pubblico servizio dei beni. Secondo la tesi difensiva la nozione di servizio ferroviario imporrebbe di per sé una gestione volta a soddisfare al meglio le esigenze della collettività, senza un’ingiusta discriminazione tra gli utenti dei treni regionali e quelli dell’alta velocità, in ordine alla dotazione adeguata di spazi d’attesa dei treni e di altrettanto adeguati sistemi di informazione sugli orari di arrivo e partenza.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto corretto il ragionamento del Tribunale amministrativo per la Lombardia che aveva rigettato il ricorso per mancanza dei requisiti oggettivi. 

L’azione per la violazione degli standard qualitativi presuppone la presenza di una definizione dei livelli qualitativi ed economici, che non siano semplicemente desumibili dalla natura e destinazione dei beni di cui si tratta, ma più, specificamente, «stabiliti, per i concessionari di servizi pubblici, dalle autorità preposte alla regolazione ed al controllo del settore», ossia, nella fattispecie, dall’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART). 

La natura stessa dell’azione precluderebbe al giudice la possibilità di definire in via autonoma gli standard qualitativi richiesti al concessionario, in tal caso relativi all’utilizzo degli spazi della Stazione di Milano Centrale.

Spettava, invece, all’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) definire gli standard di qualità del servizio. L’articolo 37 del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha istituito, nell'ambito delle attività di regolazione dei servizi di pubblica utilità di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481, l’Autorità di regolazione dei trasporti, prevede in via espressa, al comma 2, lettera d) che la stessa provveda «a stabilire le condizioni minime di qualità dei servizi di trasporto nazionali e locali connotati da oneri di servizio pubblico, individuate secondo caratteristiche territoriali di domanda e offerta».

Il caso di specie appare emblematico per ricostruire l’ambito di applicazione di tale azione, esperibile solo nelle ipotesi espressamente previste dal legislatore. Del resto in ragione del principio della domanda il giudice non avrebbe potuto modificare la richiesta delle parti.

Il Consiglio di Stato, tuttavia, nel rigettare il ricorso ha sottolineato come l’invocata tutela avrebbe potuto trovare accoglimento con il diverso utilizzo dell’azione, volta non ad accertare la violazione di standard non predeterminati ex ante ma a sollecitare il concessionario e/o il gestore alla redazione di Carte di servizi o alla emanazione di disposizioni, che definiscano per gli utenti della stazione i livelli qualitativi dei servizi. La class action è esperibile infatti per l’accertamento della mancata emanazione di atti amministrativi generali obbligatori, tra cui certamente rientrano quelli dell’ART. 

Il rimedio collettivo, dunque, può operare sia come propulsore per l’emanazione delle Carte di Servizi, dei regolamenti e delle disposizioni in materia di erogazione dei servizi pubblici che come strumento di accertamento, ex post, delle violazioni operate dalle amministrazioni o dai concessionari alle regole qualitative o alle disposizioni delle Carte di Servizi predisposte a monte.

Il ricorso alla class action per violazione delle Carte di Servizi o degli standard è volto al ripristino della corretta erogazione del servizio, la quale richiede necessariamente una precisa qualificazione dei livelli qualitativi ed economici, non potendo il giudice sostituirsi all’amministratore.

Il sistema così delineato trova una sua ragione anche di matrice economica e relativa alle esigenze proprie della finanzia pubblica. La definizione in via preventiva degli obblighi contenuti nelle Carte di servizi e degli standard qualitativi ed economici viene effettuata dall’amministrazione competente valutando anche l’impatto finanziario e amministrativo degli stessi nei rispettivi settori. La materia dei servizi pubblici si caratterizza, del resto, per la continua tensione tra le esigenze proprie degli utenti e le concrete possibilità della macchina statale, vincolata dal bilancio pubblico e priva talvolta dei mezzi adeguati per fornire servizi di qualità.

Lo stesso d.lgs.198/2009 sottolinea che nel giudizio di sussistenza della lesione degli interessi degli utenti il giudice deve considerare, anche ex post, le risorse strumentali, finanziarie, e umane concretamente a disposizione delle parti intimate. Simili valutazioni devono essere operate non tanto nella fase di accertamento dell’inadempimento quanto in quella della condanna al ripristino.

Sussiste il concreto rischio che tali vincoli economici, come la carenza del personale, soffochino la potenzialità di tale strumento rimediale specie quando legittimata passiva sia un’amministrazione pubblica.

 

4. La class action come rimedio avverso il silenzio. Il caso della mancata regolarizzazione dei lavoratori stranieri

Interessante l’utilizzo della class action per il mancato rispetto dei termini e dunque avverso il silenzio.

La proponibilità di un'azione collettiva per violazione dei termini sembrerebbe ovviare alla limitazione processuale prevista per l’azione ex art.117 c.p.a. non esperibile in via collettiva, se non in presenza di stretti vincoli di connessione oggettiva. La giurisprudenza amministrativa di merito ha evidenziato il ruolo ricoperto in tal senso dalla class action con cui «potrebbero essere proposte cumulativamente azioni avverso il silenzio concernenti una stessa tipologia di procedimento, ancorché non altrimenti connesse» (T.A.R. Roma, Lazio, sez. II, 06 settembre 2013, n.8154). In tale ipotesi la portata della sentenza presenta caratteri diversi da quella tipica in materia di silenzio in quanto non si spingerebbe a dichiarare l'obbligo di provvedere sulla singola domanda rimasta inevasa ma darebbe indicazioni di massima affinché le Amministrazioni pongano, in generale, rimedio ai ritardi operati.

La giurisprudenza, in più occasioni, ha evidenziato che il ricorso per l'efficienza nell'ipotesi di violazione dei termini e l'azione avverso il silenzio-inadempimento di cui agli artt. 31 e 117 c.p.a. — pur partendo da un analogo presupposto, relativo dall'inosservanza del termine fissato per l'adozione del provvedimento conclusivo del procedimento — si differenziano proprio per l'oggetto della domanda giudiziale. Nella class action la domanda del ricorrente è molto più articolata di quella ex art.117 c.p.a., circoscritta alla condanna dell'amministrazione a provvedere, essendo volta ad ottenere che da quel momento in poi l'ente intimato ponga fine al comportamento costantemente violativo delle regole sul rispetto dei termini procedimentali.

Il ricorso collettivo, inoltre, può essere proposto non solo nel caso di violazione di termini del procedimento amministrativo, ossia relativi alla funzione amministrativa stricto sensu intesa, ma anche nell'ipotesi di inosservanza dei tempi fissati per l'erogazione di servizi pubblici, per cui l'azione avverso il silenzio-inadempimento è in radice esclusa.

Si tratta dunque di rimedi alternativi tra loro, con spazi di applicazione diversi.

Prima di dare atto del recente ricorso avviato dall’ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) contro i ritardi operati dalla Prefettura di Roma sulla regolarizzazione del lavoro (art. 103, D.L. 34/2020) appare interessante far riferimento a un precedente degno di nota, proprio del T.A.R. Lazio, che si è occupato del silenzio inadempimento dell’amministrazione sempre nel campo del diritto dell’immigrazione e quindi in materia di diritti fondamentali[9].

In particolare era stata proposta un'azione collettiva per il mancato rilascio entro i termini di legge del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo nonché per la condanna dell'amministrazione al ripristino del corretto svolgimento della funzione amministrativa ad essa assegnata.

Il tribunale adito aveva accolto il ricorso e per l'effetto condannato il Ministero dell’Interno a porre rimedio a tale situazione mediante l'adozione degli opportuni provvedimenti, entro un il termine di un anno dalla comunicazione della presente sentenza, nei limiti delle risorse strumentali, finanziarie ed umane già assegnate in via ordinaria e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

In tal caso il giudice di merito ha ritenuto esperibile l’azione collettiva pubblica per far valere una generalizzata violazione di termini procedimentali che di fatto impedivano a una generalità di consociati di ottenere il permesso di soggiorno, con importanti conseguenze negative sul piano lavoristico e penale.

La pronuncia presenta interessanti indicazioni rispetto al limite della adeguatezza delle risorse strumentali, finanziarie, ed umane concretamente a disposizione delle parti intimate. Il Collegio, infatti, ritenne esperibile il rimedio poiché la disciplina dei termini di conclusione del procedimento è frutto di un bilanciamento tra interessi, compiuto a livello legislativo e regolamentare, che tiene necessariamente conto delle risorse economiche e strumentali disponibili. L’eventuale preclusione, inoltre, ivi creerebbe un’inspiegabile, nonché irragionevole, differenza di trattamento rispetto alle azioni individuali proposte ex art.117 c.p.a., per cui il giudice non è tenuto a valutare tali profili.

L’azione collettiva contro il ritardo è stata avviata recentemente dall’ASGI per porre fine agli inadempimenti operati in materia di regolarizzazione dei lavoratori migranti[10].

L’articolo 103 del Dl 34/2020 (convertito dalla legge 17 luglio 2020 n. 77) ha introdotto una procedura di emersione per tutti i lavoratori irregolari (italiani, europei o extra-Ue) che operano come domestici o braccianti agricoli. Lo strumento, attivato in piena emergenza pandemica, voleva offrire una tutela aggiuntiva a tutti i lavoratori irregolari, eliminando forme di sfruttamento e lavoro nero e, al contempo, riconoscendo tutela a cittadini extra-Ue con il rilascio del permesso di soggiorno.

L’azione è stata avviata in ragione dei gravissimi ritardi operati dall’amministrazione romana che dopo oltre due anni su 17.371 domande presentate ha esaminato solo la metà delle pratiche. 

In attesa della pronuncia del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio si segnala la presenza di ricorsi individuali, ex art.117 c.p.a., presentati sempre in materia di sanatoria, i quali danno atto della presenza di un obbligo a provvedere in tal senso nel generale termine di trenta giorni. 

Il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Milano, sez. III, con la sentenza 3 dicembre 2021, n. 2682, recentemente ha accolto un ricorso in materia ritenendo «illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione sull'istanza di emersione dal lavoro irregolare, presentata ai sensi dell'art. 103, comma 1, d.l. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni dalla l. 17 luglio 2020 n. 77». In particolare secondo il giudice meneghino, in assenza di un termine normativo ad hoc, sussisterebbe l’obbligo di concludere il procedimento di emersione mediante l'adozione di un provvedimento espresso nel termine ordinario di trenta giorni, ai sensi dell’art.2, l.241/90[11].

Questione centrale, sia per la class action che per l’azione avverso il silenzio inadempimento, riguarda dunque proprio la sussistenza di un termine ad hoc violato (presupposto oggettivo dell’azione) e la valutazione sulle risorse a disposizione dell’amministrazione. Di certo l’allora governo in carica con la misura voleva attuare un processo di regolarizzazione per i lavoratori stranieri da definire in tempi ragionevoli. La mancata definizione di un termine porterebbe a ritenere operante anche in tale materia il generale termine di 30 giorni, così come affermato dai giudici di merito.

Del resto, così come sottolineato dal Consiglio di Stato, sez. III, 7 maggio 2021, n. 2314, «scopo dell' art.103, comma 2, del d.l. n. 34/2020, convertito con modificazioni in l. n.77/2020, è quello di regolarizzare gli extracomunitari che non si sono allontanati dall'Italia alla data dell'8 marzo 2020, ma che dimostrino di aver lavorato anteriormente al 31 ottobre 2019 e, a tal fine, non rileva, per specifica disposizione normativa, che il cittadino straniero non abbia ricevuto regolare retribuzione anteriormente alla data del 31 ottobre 2019, che non sia censito dall'INL o che non siano stati versati i contributi INPS, il cui compito è solo quello di rilevare la mera esistenza di situazioni lavorative, anche irregolari».

La ratio della norma appare incompatibile con i termini lunghissimi di espletamento delle pratiche, che volevano essere evitati tramite lo stesso Dl 34/2020 che aveva destinato in tal senso alcune risorse finanziare per assumere negli uffici oltre 800 lavoratori in somministrazione.

Sembrerebbe dunque che anche in tal caso il limite delle risorse pubbliche sia stato valutato e affrontato ex ante dal legislatore.

La questione appare di grande attualità ed oggetto di studio e attenzione da parte della scienza giuridica.

Alla luce di quanto descritto emerge chiaramente come la tutela dell’utente del servizio pubblico e più in generale del consociato, cittadino o meno, avvenga sempre più all’interno del processo amministrativo anche tramite il ricorso alla class action. Il giudice amministrativo, del resto, è giudice naturale a sindacare l’esercizio del potere pubblico anche in materie relative a diritti fondamentali e diritti soggettivi (giurisdizione esclusiva). 

La class action pubblica, pur occupando attualmente un ruolo marginale nell’ordinamento, è un rimedio capace di produrre effetti positivi nell’attuale sistema giudiziario, riducendo il contenzioso tramite procedimenti collettivi idonei a offrire tutela ai singoli, rimediare alle inadempienze delle amministrazioni e al tempo stesso produrre esternalità positive in termini di abbattimento dei tempi della giustizia e dei costi del processo, sia per l’amministrazione giudiziaria sia per il singolo utente.

Ci si auspica un migliore e maggiore utilizzo dello strumento da parte degli operatori del diritto al comune fine di offrire una giustizia più rapida e accessibile. 


 
[1] Il consumatore presenta una situazione di asimmetria informativa rispetto al professionista che lo pone in uno stato di debolezza negoziale. La tutela del consumatore viene attuata tramite un rafforzamento della forma (neoformalismo negoziale) e una maggiore attenzione alla fase delle trattative, il tutto in via strumentale al fine di proteggere il mercato e il sistema concorrenziale. Gran parte della dottrina ha evidenziato tale strumentalità a fronte del regime proprio della c.d. nullità di protezione (art.36, d.lgs. 206/2005). Il vizio della nullità è solitamente utilizzato a guarentigia di interessi di carattere generale, da cui la rilevabilità d’ufficio della nullità, l’insanabilità e l’imprescrittibilità. La nullità di protezione trova un regime intermedio proprio in ragione di tale ratio; il giudice può dichiarare la nullità solo a vantaggio del consumatore, legittimato a eccepirla, tutelando così la sua posizione e in via strumentale il mercato concorrenziale. Cassazione civile, sez. VI, 17 maggio 2021, n. 13259, sul punto ha affermato che «è consentaneo alla natura della nullità di protezione il fatto che il contraente protetto possa articolare la domanda di nullità, nel concreto formulata, in funzione di farla operare secondo il proprio vantaggio».

[2] Si veda la Cassazione civile, 2 aprile 2009, n. 8093, in Foro it., 2009, I, 2683, che ha escluso invece l'applicazione della disciplina del Codice del consumo con riferimento a prestazioni mediche rese da un'azienda sanitaria pubblica con oneri a carico del Servizio Sanitario Nazionale, c.d. servizio pubblico sociale. Si veda sul versante amministrativo T.A.R. Milano, (Lombardia) sez. IV, 7 luglio 2016, n.1339, secondo cui «il Codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206 del 2005, ha un ambito di applicazione delimitato, applicandosi ai rapporti tra operatori economici e consumatori o utenti, definiti come le persone fisiche che agiscono “per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta” e da ciò deriva che non è ipotizzabile una diretta applicazione del codice suddetto al contratto di appalto pubblico di servizi, in quanto il rapporto tra la stazione appaltante e l'operatore economico non rientra tra quelli cui si riferisce il codice».

[3] L. CITRONI e M. STORNARELLO, Class action statunitense e nuova azione collettiva italiana: due sistemi a confronto, in Commercio internazionale, 2009, n.15-16.

[4] Interessante notare come alcune sentenza abbiano riconosciuto che tale sistema, il quale consente l’estensione degli effetti della sentenza a tutti i soggetti appartenenti alla classe, indipendentemente da una loro specifica adesione all’azione, non appare incompatibile con l’ordina pubblico internazionale e può, dunque, trovare efficacia nel nostro ordinamento tramite l’esecuzione di una sentenza straniera. Tribunale di Milano, sentenza n. 10773/2018, in applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite n. 16601/2017 in materia di esecuzione di sentenza straniera, ha escluso «un’effettiva ontologica incompatibilità del sistema dell’opt out rispetto a quello prescelto dal nostro legislatore imperniato sul sistema dell’opt in o rispetto ai principi di rilievo costituzionale interno», poiché il riconoscimento della vincolatività della sentenza a tutti i membri della classe non è escluso qualora la decisione sia stata adottata nell’ambito di un procedimento che «soddisfa i criteri minimi di garanzia del diritto di difesa».

[5] Il funzionamento di tale registro ha posto dubbi e questioni come emerge dal Consiglio di Stato atti norm., 20 Settembre 2021, n.1458, che ha affermato «con riguardo alla previsione contenuta all'art. 2, comma 4, dello Schema di decreto del Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dello sviluppo economico recante Regolamento in materia di disciplina dell'elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni di cui agli articoli 840-bis del codice di procedura civile e 196-ter delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, come introdotti dalla Legge 12 aprile 2019, n. 31 (Disposizioni in materia di azione di classe) , è opportuno specificare le modalità dell'iscrizione nell'elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni di cui all'artt. 840-bis c.p.c. e 196-ter disp. att. c.p.c., ai fini del popolamento dell'albo e precisamente: se, in relazione al primo popolamento, l'iscrizione delle associazioni dei consumatori e degli utenti che al momento dell'entrata in vigore del decreto risultino iscritte nell'elenco di cui all'articolo 137 del codice del consumo sia comunque subordinata ad una domanda in tal senso presentata dalle medesime; in caso affermativo, va chiarito entro quale termine debba pervenire tale domanda; infine, occorre precisare se l'iscrizione delle medesime ai fini del primo popolamento debba avvenire comunque previo pagamento della quota di iscrizione».

[6] Una parte della dottrina contesta la giurisdizione esclusiva per tale azione, specialmente per le azioni esperibili per violazione degli standard e delle Carte di Servizi, in quanto non sembrerebbe sussistere un collegamento con il potere pubblico in tali casi.

[7] In tal senso Consiglio di Stato sez. III, 27 febbraio 2019, n.1390, secondo cui «la norma è certamente diretta ad assicurare che gli interessati si rivolgano direttamente al giudice amministrativo al fine di ottenere un espresso invito giudiziale rivolto all'Amministrazione, finalizzato ad imporre il ripristino dell'azione amministrativa ai canoni legislativi».

[8] Interessante la sentenza della Corte Costituzionale n. 271 del 2019 che ha evidenziato la natura soggettiva del modello costituzionale di giurisdizione, rilevando che anche « la giurisdizione amministrativa, nelle controversie tra amministrati e pubblico potere », è « primariamente rivolta alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive e solo mediatamente al ripristino della legalità dell'azione amministrativa, legalità che pertanto può e deve essere processualmente perseguita entro e non oltre il perimetro dato dalle esigenze di tutela giurisdizionale dei cittadini ».

[9] TAR Lazio, Roma, Sez. II, 26 febbraio 2014, n. 2257 e TAR Lazio, Roma, Sez. II-quater, 6 settembre 2013, n. 8154.

[10] Su iniziativa di alcuni legali e delle associazioni ASGI, OXFAM Italia, CILD, Spazi Circolari, Nonna Roma, NAGA, Domina Roma Nord e Progetto Diritti è stata depositata al Tar del Lazio una class action, sottoscritta da lavoratori stranieri e alcune delle associazioni menzionate, contro i gravi e persistenti ritardi della Prefettura di Roma, al fine di ottenere in tempi rapidi la conclusione di tutti i procedimenti pendenti.

[11] Nello stesso senso si veda T.A.R., Milano, sez. IV, 17 giugno 2021, n. 1484, secondo cui «nel procedimento di emersione a rapporto di lavoro irregolare di cui all' art. 103 comma 1 del d.l. n. 34/2020 convertito con legge n. 77/2020, il termine per la conclusione del procedimento è quello di ordine generale di cui all' art. 2, comma 2, della legge n. 241/1990, norma da reputarsi applicabile in mancanza di un termine specifico previsto dal succitato art. 103».

24/04/2023
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