1. La formazione internazionale al tempo del covid-19
In tempo di pandemia da COVID-19, anche la formazione giudiziaria si piega alla regola del distanziamento, sospende la formazione in aula e si trasferisce sul web.
Mentre tra magistrati e avvocati italiani ribolle il dibattito sulla sostituibilità dell’attività processuale tradizionale con quella virtuale e sulla compatibilità dell’udienza a distanza con i principi di difesa e del giusto processo, l’Unione europea ha deciso da tempo di investire nella formazione telematica (E-learning), oltre che nella giustizia telematica (E-justice), riconoscendo nella tecnologia uno strumento dalle grandi potenzialità per la formazione giudiziaria. La tecnologia annulla, infatti, le distanze, consente un agevole accesso alla formazione a docenti e discenti con disabilità, annulla i costi di trasporto e di ospitalità, ha grande capacità diffusiva. Si tratta di vantaggi particolarmente importanti quando grandi siano le distanze dai luoghi di formazione e numerosi siano i destinatari del progetto di formazione, come nel caso del quasi milione e mezzo di “operatori della giustizia” (legal practitioners) a cui guarda la Commissione Europea.
La Scuola Superiore della Magistratura (SSM) ha anticipato i tempi, dotandosi nel corso del 2019 di una nuova piattaforma tecnologica “Teams” concepita per corsi a distanza, che consente un discreto livello d’interattività con i partecipanti, sia nelle relazioni frontali sia nelle apposite “stanze virtuali” adibite ad incontri più ristretti; ha inoltre sviluppato, nello stesso periodo, un nuovo sito web per un più rapido ed efficiente accesso al servizio documentale e di biblioteca, alle procedure e agli archivi, una migliore visibilità e una più razionale organizzazione delle informazioni, oltre che una più efficace gestione delle procedure da remoto. Quando l’epidemia ha isolato Castel Pulci, la SSM ha fatto di necessità virtù, adattando il programma di formazione iniziale alla nuova metodologia a distanza e avviandosi ad un nuovo programma di formazione permanente “virtuale”. E così anche la Rete europea di formazione giudiziaria (RFGE, meglio nota come EJTN, European Judicial Training Network; in seguito anche: Rete) procede alla progressiva conversione di una quota dei corsi programmati per l’anno 2020, da formazione “in presenza” a “formazione a distanza”. Dei 132 seminari inclusi nel programma della Rete per il 2020, sette avrebbero dovuto svolgersi in Italia, quattro dei quali a Scandicci, secondo il principio dell’organizzazione e dell’ospitalità circolari da parte dei membri del network.
Ma il virus ha chiuso frontiere e aeroporti e stravolto i programmi.
La pandemia e la formazione diventano allora un’occasione per ragionare sulla formazione internazionale sul diritto europeo e sulle sue prospettive.
Denuncio subito la tesi: nel contesto della crisi profonda dell’Unione Europea, che vacilla su alcuni dei suoi valori fondativi, come il rispetto dello stato di diritto (articolo 2 del Trattato sull’Unione Europea) dentro le sue frontiere e nei Paesi con cui essa ha stretto Trattati e accordi di preadesione (Turchia innanzitutto), e in una fase storica in cui anche le caratteristiche di non discriminazione, tolleranza e solidarietà della società europea (art. 2 TUE) sono messe in discussione, i giudici restano un’avanguardia a cui l’Unione affida il compito di altissima responsabilità di preservare i valori comuni, dalla tutela dei diritti fondamentali alla promozione dello stato di diritto.
La formazione giudiziaria europea ha un ruolo fondamentale, per la realizzazione di questo compito, perché essa è lo strumento migliore per la costruzione di una cultura giudiziaria comune che sia la base per la reciproca fiducia tra gli ordinamenti. La cultura giudiziaria comune si alimenta innanzitutto di regole etiche e professionali, assistite da garanzie di indipendenza. La formazione deve, dunque, guardare ad un giudice europeo che sia non solo istituzionalmente indipendente, preparato professionalmente e capace di riconoscere e applicare le norme derivanti dalle fonti europee, ma anche attento alla storia e alla società; che sappia ascoltare e guardare ai fatti; sappia comunicare con parti, avvocati e con la società che guarda alla giustizia; utilizzi un linguaggio appropriato; sia, in due parole, guidato dall’etica professionale.
Svilupperò i capitoli che seguono per consentire al lettore di formarsi un’opinione circa la fondatezza di questa tesi. A tale fine è importante ricostruire il contesto storico (paragrafi 2 e 4) in cui è sorta e cresciuta la formazione europea e l’attività della Rete europea di formazione giudiziaria e prospettare lo sviluppo del futuro (paragrafo 3).
Si tratterà poi di calarsi più nel concreto della formazione sul diritto europeo realizzata dalla Scuola Superiore della Magistratura a livello nazionale (paragrafo 5) e nel contesto della Rete (6), per provare, infine, a considerare se le Scuole della Magistratura europee e la stessa Rete abbiano le condizioni di capacità (capitolo 7) e di indipendenza dalla politica (capitolo 8) per assolvere il loro importante ruolo.
Ma per non abbandonare subito il pretesto di questo articolo, consegno al lettore un’altra affermazione, frutto di quattro anni di lavoro nella SSM e nella Rete: la formazione di professionisti esperti, quali sono i magistrati, comporta necessariamente dialettica, confronto, scambio di esperienze secondo un percorso di apprendimento circolare, ben descritto dal famoso “educatore” statunitense David Kolb[1], secondo il quale il meccanismo di apprendimento sequenziale del partecipante esperto muove appunto dall’esperienza concreta, per passare alla riflessione quindi alla concettualizzazione astratta per concludersi nella sperimentazione attiva. L’incontro personale, nell’aula della Scuola o negli spazi degli uffici giudiziari, non è sostituibile a maggior ragione in un contesto europeo, in cui le diversità culturali richiedono un ambiente di confidenza e fiducia per esplicitarsi. Solo dal confronto e dalla comprensione della diversità può nascere la cultura giudiziaria comune.
Ciò detto, come cercherò di dimostrare, la tecnologia resta uno strumento importante per l’integrazione dell’attività formativa in molti ambiti ma non potrà sostituire l’aula.
2. La formazione europea. Una breve ricostruzione storica
Per disegnare la prospettiva futura è necessaria una sommaria ricostruzione storica della formazione giudiziaria in Europa, per comprendere a che punto siamo e come vi siamo arrivati.
Parliamo di storia recente, anche se in rapida evoluzione. Prima e dopo il Consiglio europeo di Tampere del 1999 e il primo programma europeo sulla giustizia, la formazione europea rifletteva l’impeto dell’investimento nei programmi di cooperazione prevalentemente civile, assicurato dal programma denominato Grotius.
L’anno successivo, nel 2000, nacque la Rete europea di formazione giudiziaria dal visionario accordo di associazione di diciannove istituti di formazione di 15 Stati Membri, tra i quali il Consiglio Superiore della Magistratura.
Nel 2006, sull’onda del secondo programma del Consiglio europeo sulla giustizia adottato all’Aia nel 2005[2], la formazione giudiziaria divenne l’oggetto di una comunicazione della Commissione europea che stabilì tre obbiettivi strategici volti a favorire la cooperazione giudiziaria: 1. il miglioramento della conoscenza degli strumenti giuridici dell’Unione europea; 2. il perfezionamento delle competenze linguistiche, onde permettere alle autorità giudiziarie di comunicare direttamente tra loro; 3. lo sviluppo della conoscenza dei sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri al fine di valutarne le rispettive esigenze nell'ambito della cooperazione giudiziaria.
Con il Trattato di Lisbona del 1997, la formazione giudiziaria fu l’oggetto addirittura della normativa primaria dell’Unione: gli articoli 81 e 82 del TFUE individuano la formazione dei giudici e pubblici ministeri, unica categoria professionale menzionata espressamente dai Trattati, quale strumento per la realizzazione della cooperazione giudiziaria. L’“obbligatorietà” della Carta di Nizza apre, inoltre, la strada alla formazione sui diritti fondamentali. Il coevo programma di Stoccolma del Consiglio europeo[3] orientò la formazione su di un obbiettivo principale, che resterà una costante anche dei programmi successivi: la realizzazione della fiducia reciproca tra i diversi ordinamenti da realizzarsi attraverso la creazione di una cultura giudiziaria comune. Il programma individuò anche gli strumenti: scambi, visite di studio e una formazione giudiziaria comune con il sostegno attivo della Rete europea di formazione giudiziaria.
Con la Risoluzione 23 novembre 2010, anche il Parlamento europeo offrì il suo contributo, confermando la costruzione di una cultura giudiziaria europea quale base della cooperazione giudiziaria, da svilupparsi attraverso la formazione professionale e il superamento delle barriere linguistiche.
Dieci anni fa l’Unione europea affidava, dunque, un compito ben preciso e molto ambizioso alla formazione giudiziaria, ossia la costruzione di una cultura giudiziaria comune quale presupposto per la fiducia reciproca dei sistemi giudiziari, con il progressivo superamento delle barriere linguistiche e quindi il ricorso a una lingua comune. La magistratura europea era pertanto considerata l’avanguardia nella costruzione di un’Europa senza barriere culturali.
Non era, tuttavia, ancora chiaro il percorso della costruzione della cultura giudiziaria, se non che essa si potesse alimentare non solo attraverso lo studio del diritto europeo ma anche con l’incontro diretto dei magistrati, una sorta di “Progetto Erasmus” giudiziario, per una migliore conoscenza e comprensione dei sistemi giudiziari nazionali.
Su queste basi, nel 2011, la seconda comunicazione della Commissione europea sulla formazione, intitolata “Alimentare la fiducia in una giustizia europea: una nuova dimensione per la formazione giudiziaria europea”[4] stabilì il piano di azione per l’attuazione del Programma di Stoccolma e fissò un obbiettivo misurabile della propria ambizione: la partecipazione entro nove anni, nel 2020, di almeno metà di tutti gli operatori di giustizia (i cosiddetti legal practitioners), inclusi avvocati, notai, personale amministrativo, ufficiali giudiziari europei[5] ad almeno un corso di diritto europeo; a questo obbiettivo avrebbero concorso tutti gli operatori europei dediti alla formazione giudiziaria. Si trattava di un obbiettivo quantitativo che, ancora una volta, offriva scarsi suggerimenti sul percorso.
Nel 2013 Il Parlamento europeo adottò una nuova risoluzione sulla formazione giudiziaria[6], nella quale si affermava un principio nuovo, idoneo a riempire di contenuto il concetto di cultura giudiziaria comune e cioè che la formazione professionale dei giuristi dovesse insistere su norme comuni di etica professionale e che, per la magistratura, tali regole etiche dovesse essere radicate sui principi di indipendenza e imparzialità, pur nella diversità degli ordinamenti. L’affermazione è di particolare importanza, perché il Parlamento europeo riconosce che una formazione sul diritto sostanziale o procedurale dell’Unione non è sufficiente a realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, se manchi un confronto tra i magistrati -,e comunque tra i legal practitioners- europei, sugli aspetti deontologici e di professionalità, calati in un più ampio quadro di garanzie di indipendenza della magistratura, ossia su condizioni e capacità indispensabili per la realizzazione di una tutela giudiziaria effettiva (articolo 19 del TUE).
Nel 2014 il Consiglio europeo adottò le conclusioni sulla «Formazione degli operatori della giustizia come strumento essenziale per consolidare l’acquis dell’UE»[7], che anticiparono il quarto programma sulla giustizia dell’Unione europea, sostenendo la necessità di aumentare il sostegno finanziario ai progetti di formazione transfrontalieri nel settore della giustizia, riducendo nel contempo gli oneri amministrativi a carico dei beneficiari e aumentando “il sostegno finanziario alla Rete europea di formazione giudiziaria che costituisce lo strumento essenziale per migliorare la formazione dei giudici e procuratori nell’UE”. Il quarto programma sulla giustizia per il periodo 2014-2020, approvato con il Regolamento dell’Unione europea n. 1382/2013[8], nel confermare[9] che la formazione giudiziaria è uno strumento centrale per la costruzione della reciproca fiducia e per il miglioramento della cooperazione giudiziaria, assegnò ben il 35 % della dotazione finanziaria dello stesso programma, pari a 132 milioni di euro, alla formazione giudiziaria.
La crescita di attenzione delle Istituzioni europee verso la formazione giudiziaria si tradusse così in un investimento finanziario molto rilevante, non solo se rapportato in termini percentuali all’intero bilancio destinato alla giustizia dall’Unione Europea (un terzo), ma anche e soprattutto se lo si paragona all’investimento in settori diversi da quello della formazione, per esempio al rafforzamento dei Consigli di giustizia o la Rete che li rappresenta (ENCJ) che opera essenzialmente sulla base di risorse proprie, quando invece EJTN è destinataria di un finanziamento permanente al di fuori delle procedure competitive, cui devono, invece, sottoporsi gli altri enti di formazione e ricerca che intendano beneficiare dei fondi dell’Unione.
Lungo questo percorso si assiste alla progressiva trasformazione della Rete europea di formazione giudiziaria su cui si dirà in seguito.
3. La prospettiva
All’inizio del 2019 era attesa la nuova strategia dell’Unione europea sulla formazione giudiziaria per gli anni a venire (2019-2025). Nel 2017, la Commissione europea aveva pubblicato una roadmap in vista della nuova strategia, individuando tra le possibili priorità un forte impeto nello sviluppo di metodologie formative e, in particolare, delle metodologie di E-learning (formazione a distanza). Nello stesso documento la Commissione poneva enfasi su temi “nuovi” rispetto al documento del 2011 ma in linea con le priorità individuate dal Parlamento del 2013, quali la formazione dei magistrati sulle capacità (skills) e materie “non legali” (cd. judgecraft [10]) volte a migliorare l’efficienza della giustizia e la fiducia tra gli appartenenti alle professioni legali, e, inoltre, sulle garanzie d’indipendenza della magistratura e sul tema dello stato di diritto (rule of law).
Con questo documento la Commissione abbandona l’approccio “quantitativo” del passato e dimostra di avere acquisito consapevolezza sull’importanza della qualità della formazione giudiziaria, riconoscendo la necessità di un maggiore investimento, con appropriate metodologie formative, sui temi della professionalità e dell’etica dei magistrati europei. Inoltre, il documento introduce un contenuto politico, ponendo in evidenza il deterioramento[11] dello stato di diritto in alcuni Stati membri e riconoscendo nella formazione giudiziaria uno strumento di promozione dell’indipendenza della magistratura.
La nuova strategia, dopo un percorso di ampia consultazione che coinvolse direttamente l’EJTN e gli istituti di formazione nazionale, tra cui la SSM -che partecipò attivamente con la compilazione di questionari e la partecipazione a interviste e conferenze-, si arenò nel clima che precedette le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2019, non rientrando più nelle priorità della Commissione europea in scadenza di mandato.
Il tema della formazione giudiziaria è stato, quindi, ripreso nelle riunioni di due Consigli GAI (Giustizia e affari interni) di giugno 2019 e gennaio 2020, per il rilancio della nuova strategia a Parlamento insediato. I documenti preparatori dei due Consigli, basati sugli esiti della valutazione parziale e finale della precedente strategia (completata nell’ottobre 2019), evidenziano che l’attenzione dell’Unione europea, e quindi anche l’investimento finanziario, si va spostando sulla formazione dei soggetti che, nell’ambito dei cosiddetti legal practitioners, meno ne hanno beneficiato in passato e tra questi in particolare il personale amministrativo e gli avvocati.
Dal rapporto del 2019[12] della Commissione europea sulla formazione giudiziaria, utilizzato per la redazione dei documenti preparatori dei Consigli GAI, emerge, infatti, che solo il 4,16% del personale amministrativo “europeo” e solo il 4,82% degli avvocati europei ha preso parte ad attività di formazione sul diritto europeo nel 2018, contro il 63,08% dei giudici, il 35,97% dei pubblici ministeri, il 22,35% dei notai (pagina 6 del rapporto). Questi dati pongono in serio dubbio il successo, ampiamente pubblicizzato dalla Commissione europea, di avere raggiunto con largo anticipo (nel periodo 2012 -2017) i “target” numerici fissati con la strategia di lungo termine del 2011, ossia la partecipazione entro il 2020 di almeno 700.000 “professionisti legali” (legal practitioners) ad almeno un’attività di formazione sul diritto europeo; essi sembrano piuttosto suggerire che la formazione sul diritto europeo ha ripetutamente attinto giudici e pubblici ministeri e ha prodotto invece, esiti piuttosto sconfortanti per personale amministrativo e avvocati, certamente anche in ragione della platea molto ampia di destinatari: dal rapporto della Commissione si desume che in Europa a fronte di circa 83.000 giudici e poco più di 37.000 pubblici ministeri, vi siano oltre un milione di avvocati (1.038.000) e oltre 350.000 unità di personale amministrativo.
Si tratta, a questo punto, di comprendere come un programma ambizioso di formazione, rivolto astrattamente a circa un milione e mezzo di destinatari e che intenda prestare maggiore attenzione ai legal practitioners finora marginalizzati, possa conciliarsi con un bilancio non solo invariato ma decrescente a causa di Brexit e soprattutto quali siano gli strumenti che consentano di raggiungere l’obiettivo, considerando non solo aspetti di disomogeneità nei destinatari, e quindi diverse esigenze formative, ma anche la disomogenea diffusione e capacità degli enti di formazione.
Per l’EJTN e le scuole nazionali si pone il quesito ulteriore, in previsione di riduzione delle risorse europee per la formazione “transnazionale”, su come orientare i propri programmi per realizzare una formazione che affronti temi di grande complessità, quali la preservazione dello stato di diritto e l’etica professionale del magistrato europeo, con il fine ultimo di garantire la promozione della comune cultura giudiziaria europea e della fiducia reciproca tra gli ordinamenti, ma nella consapevolezza che la fiducia nelle Istituzioni europee, e soprattutto in alcuni ordinamenti nazionali, si va progressivamente riducendo.
4. La mutazione della rete europea di formazione giudiziaria
La Rete europea di formazione giudiziaria[13], fondata nel 2000 a Bordeaux da alcune Scuole europee e dal CSM Italiano con risorse proprie e con una visione pioneristica della formazione giudiziaria[14], animata da un genuino spirito europeo, ha assunto, nel corso degli anni, una dimensione sempre maggiore per numero di attività ma ha anche progressivamente trasformato la propria natura.
Nel 2014, il Consiglio europeo, nell’adottare le conclusioni sulla Formazione degli operatori della giustizia come strumento essenziale per consolidare l’acquis dell’UE[15], ha individuato l’EJTN, quale soggetto posto “nella migliore posizione per coordinare, attraverso i suoi membri, le attività di formazione nazionali e per sviluppare un’offerta di formazione a livello transfrontaliero rivolta a giudici e procuratori”. E così, la Rete, pur mantenendo la forma giuridica di un’associazione senza scopo di lucro, costituita ai sensi della legge belga, è divenuta la destinataria di un ingentissimo e crescente finanziamento dal bilancio dell’Unione europea, che, nel 2019 rappresentava oltre il 97% dell’intero budget di undici milioni di euro dell’organizzazione[16]. Alla Commissione europea la Rete deve rendere conto dell’utilizzo di questo finanziamento; ciò determina un’inevitabile propensione alla convergenza di interessi tra la Rete e la Commissione.
Non casualmente, dunque, così come il successo della strategia della Commissione europea si misura con il numero di destinatari raggiunti dalla formazione, così il successo della Rete si misura con la percentuale di finanziamento effettivamente destinata alla formazione di magistrati europei: conseguentemente, tanto minore è il costo della singola attività formativa, tanto maggiore sarà il numero di destinatari della formazione -che, nell’ultimo anno, ha superato le seimila unità. Il rischio evidente è la preminenza degli aspetti quantitativi su quelli qualitativi.
Inoltre, la Rete ha conosciuto un progressivo allargamento dei propri membri che, da statuto, debbono essere soggetti cui la legge nazionale attribuisce competenza in materia di formazione giudiziaria: compongono oggi la Rete trentasei enti di diversa natura dei ventotto
-dopo Brexit- Stati membri dell’Unione, oltre all’Accademia di diritto europeo di Treviri (ERA) e sedici membri osservatori (inclusi i tre istituti di formazione giudiziaria del Regno Unito, la Commissione europea e il Consiglio d’Europa). Tra i criteri di ammissione alla Rete non rientra l’indipendenza del soggetto deputato alla formazione: spesso si tratta di un ufficio ministeriale (come in Germania o Austria) o una sua articolazione. L’ampliamento dei Membri ha frammentato il voto nell’assemblea generale, perché lo statuto della Rete contiene una regola, la cui razionalità è altamente controvertibile, che attribuisce ad ogni membro così pari diritto alla partecipazione alle attività come al voto, a prescindere dalla dimensione della sua magistratura (e pertanto la SSM italiana ha, ad esempio, pari diritti del Judicial Studies Committee di Malta, cui peraltro è legata da uno storico rapporto di amicizia). La diluzione dei membri ha, per converso, determinato un rafforzamento della segreteria, oggi composta oltre che dal segretario generale eletto dall’assemblea, da oltre venti unità di personale e che è, spesso, a torto identificata con la stessa EJTN, quando la segreteria dovrebbe invece essere a servizio della rete di istituzioni nazionali. Inoltre, l’alto numero di procedure che deve gestire la segreteria, con annesse pratiche di rimborsi dettate dalle rigide regole contabili della Commissione, determina una tendenza alla standardizzazione delle attività per un più agevole raggiungimento degli obbiettivi quantitativi di cui si è detto, a scapito dell’innovazione.
La Rete assomiglia così sempre di più ad un’agenzia della Commissione europea. La sua indipendenza è ampiamente affidata alla capacità del suo Comitato Direttivo, nel quale la SSM è stata eletta per i due successivi trienni nel 2016 e nel 2019, di orientare le scelte della Commissione piuttosto che subirle; e questa capacità a sua volta dipende dal livello d’indipendenza dei componenti del Comitato Direttivo eletti dall’assembla. Tra questi componenti spicca per continuità di presenza, l’Accademia di diritto europeo che, a differenza di tutti gli altri membri, non ha un mandato legale alla formazione di magistrati nazionali e che offre servizi di formazione a livello europeo, anche a pagamento. ERA mantiene saldamente da molti anni anche il coordinamento del principale gruppo di lavoro della Rete, quello sui “programmi”.
In definitiva la Rete è oggi al crocevia di diversi interessi, dei membri nazionali, dell’Accademia di diritto europeo, della segreteria della Rete e della Commissione europea; l’incrocio di questi interessi genera una tensione che diventa palpabile nel clima che precede e accompagna l’assemblea generale che ogni triennio elegge gli organi direttivi della Rete: il comitato di pilotaggio, il segretario generale e i coordinatori dei gruppi di lavoro. Si tratterà dei soggetti che meglio soddisfano le aspettative dei diversi Paesi che, come detto, sono rappresentati da istituzioni che godono di un diverso livello di indipendenza e che dispongono di un pari numero di voti ciascuno.
Quantità e qualità della formazione hanno, nel contesto descritto, un improbabile punto di incontro, perché si muovono su logiche divergenti.
5. Il contributo della scuola della magistratura agli obbiettivi della strategia della commissione europea
La Scuola Superiore della Magistratura ha contribuito sostanzialmente agli obbiettivi della strategia del 2011 della Commissione europea. L’investimento italiano nella formazione di giudici e pubblici ministeri sul diritto europeo è ben riflesso dai rapporti dal 2017 al 2019 della Commissione europea sulla formazione giudiziaria. Il rapporto 2019[17] (prima tavola a pagina 8 e prima tavola a pagina 9) vede l’Italia al terzo posto in Europa per numero di giudici (quasi seimila) e ad al secondo posto per numero di pubblici ministeri (quasi duemila) che hanno avuto accesso nell’anno precedente, in sede centrale o decentrata, alla formazione sul diritto europeo. Valga considerare che la SSM, in sede centrale e decentrata, organizza oltre seicento attività di formazione l’anno e molte di queste includono sessioni o relazioni sul diritto dell’Unione. Guardando all’ultimo biennio, l’Italia si trova al secondo posto in Europa per numero assoluto di giudici che hanno avuto accesso alla formazione giudiziaria sul diritto europeo, dietro la Germania; tuttavia, se si considera il secondo grafico a pagina 8 del rapporto 2019 si nota che l’investimento italiano è stato proporzionalmente molto maggiore rispetto a quello tedesco, perché l’Italia ha accolto nella formazione sul diritto europeo tra il 78 e il 98% dei giudici in un biennio mentre la Germania (in ragione del molto più alto numero di giudici in servizio) si attesta tra 65% e il 75%.
Questi risultati sono l’effetto di una risposta della Scuola della Magistratura, intesa complessivamente come struttura centrale e decentrata, alle esigenze formative reali di giudici e pubblici ministeri italiani e non certo la reazione ai target numerici stabiliti dalla Commissione europea. Essi sono il portato della consapevolezza che il diritto dell’Unione europea è integrato con il diritto nazionale in moltissimi settori dell’attività giudiziaria ed entra necessariamente anche nei corsi nazionali che non siano espressamente dedicati al diritto europeo, al diritto internazionale o al diritto comparato.
Si deve poi considerare il prepotente sviluppo della tutela dei diritti umani e del relativo impatto sulla giurisprudenza nazionale, sia che si tratti di Costituzione, di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o di Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si consideri che, oltre ad includere numerosi corsi sui diritti fondamentali nell’ultimo quadriennio di programmazione ordinaria, la SSM ha, dal 2016 al 2019, ottenuto l’assegnazione, sia pure nella veste di co-beneficiaria in collaborazione -complessivamente- con oltre cento istituti di formazione, universitari o di ricerca italiani ed europei, di sedici progetti transnazionali e pluriennali di formazione e ricerca, co-finanziati con fondi dell’Unione europea: di questi ben sette hanno riguardato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea o comunque i diritti fondamentali[18], cinque la cooperazione in materia penale[19] e quattro la cooperazione civile[20].
Si tratta di risultati importanti che sono stati raggiunti con un forte investimento in formazione “in presenza”, che ha coinvolto non solo i giudici ma anche, seppure in misura minore, gli avvocati. Proprio nel rapporto con l’avvocatura, la formazione italiana rappresenta una virtuosa eccezione nel panorama europeo: perché la SSM, include una quota di avvocati (circa il 5% dei partecipanti ai corsi) nella maggior parte dei corsi nazionali, in forza di uno specifico accordo con il Consiglio Nazionale Forense; perché due avvocati fanno parte del Comitato Direttivo della Scuola; perché gli avvocati partecipano costantemente alla programmazione di numerose iniziative di formazione territoriale. L’Italia è, dunque, l’unico Paese europeo che ha, di fatto, avviato un percorso, sia pure con canali e strumenti differenziati, di formazione comune tra magistratura e avvocatura, nella convinzione di dover rispondere a esigenze comuni. L’esempio italiano è stato più volte menzionato quale prassi virtuosa nei documenti della EJTN che però, quando si è trattato della propria programmazione, si è finora dimostrata tenacemente contraria a condividere le proprie iniziative con l’avvocatura. Maggiore apertura ha dimostrato, piuttosto, il Consiglio d’Europa con un progetto sulla formazione sui diritti denominata HELP[21], destinato a magistrati e avvocati, cui la SSM ha sempre offerto un contributo significativo. Si tratta però di formazione a distanza che non consente un autentico confronto diretto tra partecipanti.
6. La Ssm e la rete. La ricerca della qualità
Dove la SSM ha più ricevuto, ricambiando, nel contesto transnazionale della Rete, è il gruppo di lavoro metodologie formative (Judicial training methods -JTM), ossia il laboratorio dell’innovazione dell’intera organizzazione.
Il gruppo JTM fu creato nel 2015, quale evoluzione del precedente sottogruppo di lavoro denominato “formazione dei formatori”. Dal novembre 2016 e per il successivo triennio, la SSM ne ha assunto la guida in seguito alle elezioni dell’assemblea di Amsterdam di giugno 2016.
La creazione di questo gruppo di lavoro ha rappresentato la consacrazione dell’attenzione delle scuole della magistratura europee ai temi cruciali dei metodi di apprendimento dei professionisti e alla valutazione dei risultati dell’attività formativa, intesa non solo quale sistema di misurazione della soddisfazione dei partecipanti (la reazione), ma anche e soprattutto quale verifica dell’efficacia dell’attività formativa sui cambiamenti comportamentali e, in definitiva, sulla qualità dell’attività giudiziaria.
Il lavoro del gruppo JTM ha spostato l’attenzione della formazione dal docente al discente e alle sue esigenze formative specifiche. La formazione giudiziaria è rivolta a partecipanti esperti, che hanno la potenzialità per diventare essi stessi attori del percorso di formazione, attraverso metodi che consentano lo scambio di esperienze professionali, la riflessione critica individuale e di gruppo e la maturazione di convincimenti che possano successivamente condurre a un’azione, e quindi alla modifica di interpretazioni, prassi o comportamenti.
Il formatore ha così il compito di individuare obbiettivi formativi che siano conformi a esigenze di gruppi di magistrati o perfino individuali (si pensi ai corsi cosiddetti di “riconversione”), per poi costruire un programma di formazione che si sviluppi intorno a metodi di formazione utili a raggiungere quegli obbiettivi, ed, infine, di valutare se gli obbiettivi siano stati centrati per il miglioramento dell’azione successiva.
Il gruppo metodologie formative ha prodotto e pubblicato nel 2016 un manuale sulla metodologia della formazione giudiziaria in Europa[22], volto appunto a raccogliere e condividere le migliori esperienze metodologiche maturate nei diversi contesti di formazione europei, e, nel 2017, sotto il coordinamento della SSM, un secondo manuale contenente le linee guida sulla valutazione della formazione[23].
Questo secondo manuale, per molti aspetti innovativo rispetto alle più avanzate esperienze di valutazione realizzate dagli istituti di formazione europei, vuole indirizzare gli enti di formazione a sviluppare un procedimento di valutazione su quattro livelli: 1. il livello di gradimento dei partecipanti; 2 il livello dell’ apprendimento; 3. il livello del cambio di comportamento conseguente all’apprendimento; 4. l’impatto del cambio di comportamento sulla qualità della giustizia. Gli ultimi due livelli riguardano la cosiddetta valutazione di lungo periodo e mirano a porre in relazione la qualità della formazione con la qualità dell’attività giudiziaria. Il valore del documento ha indotto la Commissione europea a tradurlo in tutte le lingue ufficiali dell’Unione europea.
Lo stesso gruppo di lavoro ha poi sperimentato, nel triennio 2017-2019, i suddetti metodi formativi in due settori considerati “orizzontali” per i magistrati europei e, pertanto, fortemente indicatori di una cultura giudiziaria comune europea.
I due settori sono quelli dell’etica professionale (judgecraft) e della leadership.
Questi temi, unitamente alla formazione su rule of law, come sopra anticipato, sono stati successivamente considerati dalla Commissione europea nella roadmap nel 2018, come cruciali per la futura strategia sulla formazione giudiziaria dell’Unione europea.
Come già chiarito, si assiste così allo spostamento delle priorità della formazione europea: dalla formazione tecnico giuridica alla formazione sulle cosiddette soft skills o non legal skills, ovvero su competenze che siano funzionali a una pari effettività di tutela dei diritti negli Stati Membri e che si radicano nei principi di professionalità e indipendenza del giudice.
La sperimentazione della formazione della Rete in tema di judgecraft si è nel triennio alimentata e arricchita con i risultati delle esperienze nazionali. Valga qui la menzione dei numerosi corsi della SSM che, nel quadriennio scorso, si sono occupati, tanto nella formazione permanente quanto in quella inziale, di psicologia del giudizio, di qualità della giustizia e di giustizia procedurale, di etica professionale, di comunicazione, di linguaggio.
La formazione su judge craft è stata poi indicata quale priorità anche nella strategia di lungo periodo adottata dalla Rete nell’assemblea generale tenuta a Bucarest del giugno 2019.
La massima innovazione sotto il profilo metodologico è stata raggiunta dal gruppo JTM nella sperimentazione riguardante la formazione alla leadership. In questo settore la SSM ha guidato, un progetto europeo lungo cinque anni (dal 2015 al 2019), che si è snodato attraverso conferenze e seminari (Salonicco 2015, Barcellona e Parigi 2016, Roma e Praga 2017, Tallin e Nicosia 2018, Stoccolma 2019) e che si è poi concluso con la redazione di un Manuale sulla formazione alla leadership giudiziaria (dicembre 2019.)[24], al quale hanno contribuito 28 membri della Rete oltre all’istituto di formazione giudiziaria israeliano e il Judicial College degli Stati Uniti d’America. È interessante ricordare il percorso che ha condotto al risultato finale e che si è snodato non solo attraverso seminari tematici, volti a fare il punto della situazione nei diversi contesti di formazione, ma anche attraverso alcuni workshops del tutto privi di relatori. In questi seminari (Tallin e Nicosia 2018) i partecipanti stessi, capi di uffici giudiziari o formatori, hanno individuato i temi di confronto rilevanti, sotto il coordinamento di facilitatori esperti che li hanno guidati attraverso documenti preparatori e metodi di discussione volti a stabilire soluzioni operative “a cascata” (il cosiddetto metodo snowball). Il progetto si è concluso con la individuazione di obbiettivi e metodi formativi in tre settori della leadership giudiziaria: la leadership personale e morale, il tema della gestione delle organizzazioni complesse e dei cambiamenti organizzativi (change management) e il tema della comunicazione, soprattutto interna agli uffici giudiziari. Lo spazio di questa nota non consente di entrare nei dettagli ma valga qui considerare l’importanza, in tempo di pandemia o anche solo di conversione tecnologica di una parte significativa dei processi organizzativi degli uffici o addirittura delle procedure giurisdizionali, di una formazione che serva ad apprendere la gestione dei cambiamenti organizzativi. Nella relativa elaborazione, la SSM ha fatto tesoro dell’ampia esperienza formativa maturata nel quadriennio nei numerosissimi corsi per “aspiranti dirigenti”, previsti dalla legge istitutiva della Scuola, nei quali si è appunto spostata l’attenzione dal tema della organizzazione, in funzione di difesa dell’ indipendenza esterna e interna, alla valorizzazione dei temi organizzativi anche in chiave di efficacia e di omogeneità dell’amministrazione, di eguaglianza di trattamento dei cittadini utenti, di ragionevole celerità delle attività degli uffici giudiziari.
Forte della sperimentazione europea, la SSM ha, poi, progressivamente introdotto, a partire dalla formazione iniziale per poi passare ai corsi di formazione permanente, metodi di lavoro interattivi, che potessero mettere i partecipanti nella posizione di discutere prima con riflessione individuale e poi con lavori in piccoli gruppi, estesi successivamente a una partecipazione più ampia, questioni controverse della pratica giudiziaria. Questi metodi si sono dimostrati particolarmente efficaci, quando si è trattato di mettere in gioco più che conoscenze, esperienze legate all’attività professionale che involgessero la psicologia del giudizio, la comunicazione interna ed esterna all’ufficio, l’etica. E la SSM ha anche rivisto e semplificato i propri moduli di valutazione, al fine di raccogliere, oltre che il gradimento dei partecipanti sulle relazioni o sui relatori o coordinatori delle attività, anche l’opinione dei partecipanti sulla corrispondenza del corso alle aspettative, onde verificare, ai fini della programmazione futura, se gli obbiettivi del corso fossero effettivamente centrati sulle esigenze dei partecipanti.
7. Il futuro della formazione europea e il coraggio del cambiamento. Il ruolo della tecnologia
Numericamente le attività del gruppo metodologie formative sono però una piccolissima quota delle attività di formazione internazionale promossa della Rete.
La maggior parte dell’investimento ricade su “scambi” e corsi.
Con riguardo a questi ultimi, nel solo anno 2019, duecentoquaranta magistrati italiani hanno partecipato ad attività di formazione internazionale all’estero mentre la SSM, nello stesso anno, ha ospitato a Castel Pulci, nel contesto di diverse attività formative, duecentottantanove magistrati provenienti da diversi Paesi dell’Unione europea.
Si tratta, tuttavia, di seminari e di scambi, che presentano, come già detto, un elevato indice di ripetitività; e proprio il carattere ripetitivo delle attività giustifica la resistenza di diversi Membri della Rete ad adottare per le attività dell’organizzazione, e quindi non solo per quelle nazionali, le linee guida per la valutazione di lungo periodo elaborate dal gruppo metodologie formative. Vi è il timore, espresso senza mezzi termini da alcuni membri nel contesto del gruppo di lavoro “Programmi”, che la valutazione di lungo periodo dimostri che i risultati sono inferiori alle aspettative della Commissione europea e che ciò possa comportare una riduzione del sostegno europeo.
Inoltre, a differenza della SSM, che ha scelto da tempo la strada della piena trasparenza, la Rete non rende pubbliche le valutazioni di sintesi dei partecipanti ai corsi.
Queste forme di resistenza all’innovazione producono l’effetto di rendere la formazione giudiziaria europea più fragile di fronte al probabile mutamento di strategia dell’Unione, di cui si è detto, e che, volenti o nolenti, condurrà alla riduzione delle risorse destinate ai magistrati in favore di altre categorie professionali.
Le Scuole europee dovrebbero, invece, trovare la forza di guidare il cambiamento, anziché subirlo e di tracciare esse la strada verso la qualità della formazione.
Per quanto riguarda i corsi, la tecnologia potrebbe giungere in soccorso. La Rete potrebbe, infatti, trasferire su supporti elettronici (podcast) le relazioni ripetitive e trasformare i non pochi corsi ripetitivi in formato e-learning¸ in modo da renderli accessibili ad una più vasta platea di interessati, potenzialmente anche in lingue diverse; per poi investire sull’insostituibile confronto in aula sulle tematiche nuove o controverse o che siano comunque cruciali per lo sviluppo di una cultura giudiziaria comune; si pensi, ad esempio, a quest’ultimo riguardo all’impatto attuale e potenziale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sulla giurisprudenza nazionale. Per inciso, sul tema degli effetti e applicabilità della Carta, la Rete ha dedicato nell’ultimo triennio un unico seminario annuale, coordinato proprio dalla SSM in cooperazione con l’Agenzia dell’Unione europea dei diritti fondamentali di Vienna (FRA).
La tecnologia è, poi, uno straordinario strumento di diffusione di documenti digitali: il portale europea della giustizia elettronica potrebbe così diventare il centro di raccolta per tutti i documenti digitali riguardanti la formazione giudiziaria europea.
Inoltre, come reso evidente dal primo workshop su e-learning ed e-tools, organizzato dal gruppo metodologie formative nel maggio 2019 a Tallin, gli strumenti tecnologici possono essere molto utili per metodi formativi che rendano più efficace la stessa formazione “in presenza”, ad esempio attraverso strumenti di confronto interattivo, oppure per la preparazione a distanza degli incontri in aula o ancora per sviluppare un confronto successivo alla conclusione del corso. Mentre, invece, webinar o corsi E-learning “puri” si adattano meglio a obbiettivi di divulgazione di massa di nuovi temi, di “alfabetizzazione giuridica” (per esempio per la conoscenza di un nuovo Regolamento processuale europeo) oppure per l’apprendimento linguistico.
Non è, invece, utile, se non in fase preparatoria, il ricorso a strumenti di formazione a distanza per l’attività formativa più nota e più diffusa tra i giudici europei, ossia gli “scambi” tra magistrati o uffici giudiziari. Solo calandosi in una diversa realtà giudiziaria è infatti possibile comprenderne il “clima”, la sua organizzazione, i carichi di lavoro, il modo dei giudici di trattare con i legali, con le parti, di conciliare; la comunicazione interna ed esterna agli uffici; il livello di indipendenza individuale; nonché aspetti legati alla vita professionale dei magistrati, quali la retribuzione, la valutazione periodiche, di professionalità.
Anche gli scambi, tuttavia, hanno assunto una tale ampiezza da sfuggire al coordinamento qualitativo da parte della Rete, sotto la spinta di un’organizzazione routinaria. Per comprenderne l’ampiezza del fenomeno, si consideri che sono otto le tipologie di “scambi” organizzati dalla Rete: di lungo periodo, di due settimane, specializzati, bilaterali, per formatori, per magistrati in tirocinio, per capi di uffici giudiziari e visite di studio alle istituzioni europee. Nel quadriennio 2016-2019, ottocentottantasei magistrati italiani hanno preso parte a scambi all’estero nel contesto della Rete europea di formazione giudiziaria. Parallelamente la SSM ha organizzato, tramite la rete dei formatori territoriali Gaius -i formatori territoriali di diritto europeo- o direttamente, l’ospitalità di scambi per settecentosessantadue magistrati di Paesi dell’Unione europea, sovente destinatari di programmi personalizzati[25]. La dimensione quantitativa degli scambi, che hanno costi elevati, non sempre si accompagna alla qualità dei programmi. In una prospettiva di razionalizzazione delle risorse, la Rete dovrebbe avere la forza di concentrarsi sugli scambi che presentano un chiaro valore aggiunto, quali gli scambi specializzati in settori specifici dell’attività giudiziaria che siano di particolare rilievo per il diritto europeo, ad esempio: il diritto del lavoro e antidiscriminatorio, il diritto di asilo, il diritto industriale, l’anti-terrorismo, la lotta alla corruzione o alla criminalità organizzata; così come sugli scambi per capi di uffici giudiziari che possano comprendere le diverse logiche organizzative di omologhi uffici europei, o, ancora, gli scambi per magistrati in tirocinio e gli scambi tra uffici giudiziari che siano basati su specifici progetti di cooperazione.
8. La capacità della rete di guidare il cambiamento. il livello politico ed il caso del[26] rule of law
In conclusione, nel contesto internazionale, il confronto tra diversi approcci e tradizioni culturali, così come la libertà dalle logiche interne, che pure condizionano la programmazione nazionale della formazione, offrono grandi potenzialità d’innovazione, a beneficio finale delle Scuole nazionali. Ciò implica, però, nel caso della Rete, come in tutte le organizzazioni complesse, la capacità di vincere le resistenze al cambiamento.
Tali resistenze possono derivare non solo dall’insufficiente esperienza o capacità tecnica dei rappresentanti delle diverse istituzioni o più semplicemente dall’assuefazione a meccanismi routinari ma anche da condizionamenti di natura politica. L’indipendenza della formazione giudiziaria, quale corollario dell’indipendenza della magistratura, è un concetto spesso ripetuto nel contesto internazionale[27] ma non sempre praticato a livello nazionale, specialmente nei Paesi in cui la crisi dello stato di diritto (rule of law) è deflagrata negli ultimi anni.
Sarò più chiaro con due esempi.
In seguito alle incarcerazioni e licenziamenti di migliaia di magistrati turchi, occorsi nelle settimane e mesi successivi ai fatti del 15 luglio 2016 e alla decapitazione degli organi direttivi dell’accademia giudiziaria turca, la SSM sollevò nel comitato direttivo della Rete, la questione della sospensione della Turchia dallo stato di osservatore. La proposta di sospensione provvisoria passò a maggioranza nel direttivo e fu sottoposta alla decisione finale dell’assemblea generale, riunitasi a Malta nel giugno 2017. Fui io stesso a sostenere, in rappresentanza della SSM, la mozione della sospensione di fronte all’assemblea mentre il rappresentante del Ministero federale di Germania espresse l’intenzione contraria, per ragioni di prudenza politica. La mozione di sospensione passò a larga maggioranza anche grazie alla modalità segreta di espressione del voto, decisa dal comitato direttivo con il nostro dissenso. Ciò non ha però impedito che due anni dopo, nell’assemblea generale di Bucarest, un rappresentante del Ministero federale di Germania fosse eletto con ampia maggioranza alla segreteria generale della Rete.
In questo clima di prudenza politica, la Rete ha affrontato nel 2018 il primo progetto europeo sulla formazione in materia di rule of law, finanziato dalla Commissione europea con fondi specifici. Sono note le vicende che hanno condotto la Corte di Giustizia, a partire dal febbraio 2018[28] ad affermare, ripetutamente[29], la diretta “giustiziabilità” del principio del rule of law (art. 2 TUE) quale presupposto per la realizzazione di una tutela giudiziaria effettiva (art. 19 TUE), nell’impotenza dei Governi nazionali ad attivare il meccanismo di sospensione del voto previsto dall’art. 7 del Trattato sull’Unione europea. Ebbene, nella preparazione dei seminari, il Comitato scientifico del progetto, di cui facevo parte, ricevette una chiara indicazione, tramite il segretario generale della Rete, di evitare riferimenti a situazioni politiche in corso e di concentrarsi piuttosto su questioni tecniche, come se il tema dello stato di diritto fosse indifferente agli assetti politici[30]. E, infatti, nella concreta esecuzione dei seminari, i partecipanti tornarono insistentemente, nelle loro domande, sulle vicende polacche o ungheresi, dimostrando nei fatti che la formazione giudiziaria si può svolgere solo in un luogo di libertà di pensiero. E così il seminario in materia di rule of law per membri dei consigli di giustizia che la SSM, nell’ambito del progetto, organizzò e ospitò a Scandicci nel mese di marzo 2019, divenne un efficace luogo di confronto, in chiave comparata, sulle garanzie di indipendenza della magistratura nei diversi Paesi, dai criteri di selezione e nomina, alle valutazioni di professionalità, al concetto di “promozione” e “carriera”, alla retribuzione, ai procedimenti disciplinari, e cioè i temi sui quali la Corte di Giustizia è tornata più volte nelle decisioni di condanna dello stato polacco.
In chiusura, per rispondere alla domanda del titolo, la pandemia cambierà anche la formazione internazionale, perché la sospensione del tempo e delle attività non ci conduce solo a sperimentare nuove soluzioni tecnologiche e ad innovare ma anche a riflettere, a rivolgerci verso il passato e a ripensare il futuro. Riaffiorano le ragioni profonde per cui abbiamo creduto nei valori dello stato di diritto, del pluralismo, della non discriminazione, della tolleranza, dalla solidarietà che fondano le basi del progetto europeo e che la formazione giudiziaria può contribuire a consolidare e proteggere; e se il progetto tentenna, sospinto dagli interessi particolari e nazionali esasperati dalla crisi epidemica, si rafforza la convinzione che questi valori meritano un nostro maggiore impegno e l’assunzione di maggiori responsabilità.
[1] David Kolb (Moline, 12 dicembre 1939) è un educatore statunitense e un teorico educativo che ha sviluppato le sue pubblicazioni e i suoi studi sulle seguenti tematiche: l'apprendimento esperienziale, il cambiamento individuale e sociale, lo sviluppo di carriera e la formazione professionale.
[2] Programma dell’Aia: Rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell’Unione europea (2005/C 53/01).
[3] Il programma di Stoccolma: Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (2010/C 115/01).
[4] Com(2011) 511.
[5] Per operatori della giustizia o legal practitioners s’intendono non solo giudici e pubblici ministeri ma anche avvocati, notai, ufficiali giudiziari, il personale amministrativo degli uffici giudiziari.
[6] Risoluzione del Parlamento europeo del 7 febbraio 2013 sulla formazione giudiziaria — coordinatori per il diritto 2012/2864(RSP).
[7] Documento n. 2014/C 443/04.
[8] Regolamento (UE) n. 1382/2013.
[9] Considerando n. 5 del Regolamento (UE) n. 1382/2013.
[10] Judgecraft può essere tradotto come “saper fare”.
[11] In realtà la roadmap utilizza il verbo to challenge.
[12] Il rapporto può essere rinvenuto alla seguente pagina web: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2019_judicial_training_report.final_.web_.pdf .
[13] European Judicial Training Network, EJTN, in lingua inglese e Réseau européen de formation judiciaire, REFJ, in lingua francese.
[14] La Rete fu fondata da 19 istituzioni di 15 Stati Membri dell’Unione europea che si occupavano di formazione giudiziaria. Per l’Italia, membro fondatore fu il Consiglio Superiore della Magistratura.
[15] Conclusioni 2014/C 443/04.
[16] Quanto al finanziamento con mezzo propri, l’Assemblea Generale della Rete nel dicembre 2004 all’Aia, stabilì che il finanziamento annuale erogato dalle istituzioni nazionali in favore della Rete, fosse determinato in ragione del prodotto interno lordo di ciascun Paese e in misura comunque non inferiore ai mille e non superiore ai venti mila euro l’anno (successivamente aumentati fino a trentamila).
[17] Il rapporto può essere rinvenuto alla seguente pagina web: https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/2019_judicial_training_report.final_.web_.pdf .
[18] ACTIONES, in materia di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; Re-Jus (roadmap to European effective justice), in materia di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; Judging the Charter, in materia di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; e-NACT (e-learning National Active Charter Training), in materia di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; Fricore (Fundamental Rights In Courts and Regulation), in materia di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’UE; TRIIAL (TRust, Independence, Impartiality and Accountability of judges and arbitrators under the EU Charter), in materia di Rule of Law; JUSTFREE, (justice and freedom of expression), in materia di libertà di espressione.
[19] Victims and Corporations, in materia di giustizia riparativa; TRAin TRAINING, progetto coordinato dal Ministero della Giustizia italiano, avente ad oggetto la prevenzione del rischio di radicalizzazione nella carceri e nelle famiglie; Cyber-terrorism, riguardante l’uso e l’abuso dello spazio cibernetico e degli strumenti di comunicazione on-line da parte delle organizzazioni terroristiche; RE-JUSTICE, in materia di giustizia riparativa; EFE (evidence for environment), in materia di diritto ambientale.
[20] EUFam's (Planning the future of cross-border families: a path through coordination), in materia di cooperazione civile nel diritto di famiglia; progetto sul Regolamento Bruxelles II, in materia di cooperazione civile nel diritto di famiglia; EU- RMPP (EU cross-border matrimonial and registered partnerships proceedings: EU regulations and e-learning), in materia di cooperazione civile nel diritto di famiglia; EJNita (EJN - Italian Network: building bridges), progetto italiano, coordinato dal Ministero della giustizia con l’obbiettivo di migliorare la capacità dei punti di contatto della rete giudiziaria europea (EJN).
[21] Human Rights Education for Legal Professionals
[22] Il documento può essere rinvenuto alla seguente pagina web: www.ejtn.eu/PageFiles/11019/JUST_IT-TRA-00.pdf .
[23] Il documento può essere rinvenuto alla seguente pagina web: Guidelines for Evaluation of Judicial Training Practices, www.ejtn.eu/PageFiles/17381/EJTN_JTM%20Guidelines%20for%20Evaluation%20of%20judicial%20Training%20Practices%20Handbook%202017.pdf.
[24] Il documento può essere rinvenuto alla seguente pagina web: www.ejtn.eu/Documents/News%20articles/EJTN_Judicial%20Training%20Methods%20Guidelines%20for%20Leadership%20Training_2019.pdf.
[25] Per informazioni più accurate si può consultare la “Relazione finale del Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura sull’attività svolta negli anni 2016-2019”, che può essere rinvenuta nella sezione “amministrazione trasparente”, “atti generali, del sito internet della Scuola.
www.scuolamagistratura.it/documents/20126/642080/Relazione+finale+2016-2019.pdf .
[26] Nei testi in lingua italiana si può trovare tanto l’articolo maschile quanto quello femminile.
[27] L’assemblea generale della Rete approvò, nell’assemblea generale di Amsterdam di giugno 2016 i nove principi della formazione giudiziaria. Il quinto principio ha il seguente contenuto: Nel rispetto del principio di indipendenza della magistratura, la concezione, il contenuto e la concreta organizzazione della formazione giudiziaria devono essere affidati esclusivamente alle istituzioni nazionali responsabili della formazione giudiziaria.
[28] Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 27 febbraio 2018, nella causa C‑64/16, Associação Sindical dos Juízes Portugueses contro Tribunal de Contas.
[29] Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 25 luglio 2018, nella causa C-216/18, LM. Sentenza della Corte (Grande Sezione) del 24 giugno 2019, nella causa C-619/18, Commissione Europea contro Repubblica di Polonia.
[30] Nella stessa Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio intitolata Un nuovo quadro dell'UE per rafforzare lo Stato di diritto (COM/2014/0158 final), la Commissione considera che la fiducia reciproca tra gli Stati membri dell'UE e i rispettivi sistemi giuridici è il fondamento dell'Unione e in quest’ambito riveste un ruolo essenziale il modo in cui lo Stato di diritto è attuato a livello nazionale e che esistono situazioni preoccupanti che si collocano al di fuori del campo di applicazione del diritto dell'Unione e che quindi non possono essere considerate violazione degli obblighi ai sensi dei trattati, ma che comunque rappresentano una minaccia sistemica allo Stato di diritto. In tali situazioni sono applicabili i meccanismi preventivi e sanzionatori dell'articolo 7 del TUE.