Magistratura democratica
giurisprudenza di legittimità

La PAS innanzi alla Corte
di Cassazione

di Fernando Prodomo
Presidente di sezione del Tribunale di Firenze
E' fisiologico che sulla sindrome di alienazione parentale le Corti si dividano. E', tuttavia, necessario che il giudice eserciti il suo potere istruttorio, anche di ufficio, per trovare la soluzione nel migliore interesse del minore
La PAS innanzi alla Corte <br>di Cassazione

Con la sentenza n. 7041/13 del 6-20 marzo 2013, la I sezione della Corte di cassazione ha affrontato alcune questioni giuridiche di grande rilievo per la pratica quotidiana in materia di esercizio della potestà genitoriale sui figli minorenni, sul loro affidamento, e sulla valenza del contenuto delle conclusioni dei consulenti tecnici in relazione alla scientificità o meno delle loro affermazioni.

La pronunzia, assieme ad altra di cui si dirà appresso, ha aperto una vivace discussione tra gli operatori, gli esperti, le loro associazioni, con un discreto risalto sui mezzi di comunicazione.

L’occasione è stata data da un triste caso di cronaca, quello conosciuto come “il bambino di Cittadella portato via con la forza alla madre da parte della polizia giudiziaria”, intorno al quale è nato un (asfittico, come vedremo) dibattito sulla cosiddetta PAS, un’asserita sindrome neuropsichiatrica (ParentalAlienationSyndrome) che colpirebbe i bambini contesi tra due genitori in fase di separazione, o comunque di crisi coniugale, sindrome che sarebbe indotta dal comportamento di uno dei genitori- di norma, l’affidatario principale- che, attraverso parole e comportamenti, negativizza la figura dell’altro genitore sino al punto che il figlio non intende più incontrarlo in assoluto; ovvero, quando lo incontra, ha comportamenti e reazioni di rigetto nei confronti di quella figura parentale.

Il termine PAS è stato coniato dallo psichiatra infantile e forense statunitense Richard Gardner, nel 1985; lo studioso la definisce allora come “..un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli….un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (alienato)…non una semplice questione dilavaggio del cervello o programmazione, perchéil bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione.E’ proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS; in presenza di reali abusi o trascuratezza la diagnosi di PAS non è applicabile.

Il Gardner ha poi indicato otto sintomi primari della sindrome, 4 criteri aggiuntivi e tre livelli di intensità della stessa, in ordine ai quali non è necessario addentrarsi nei dettagli, in quanto va subito precisato che la PAS non è inserita come sindrome o disturbo psichiatrico nel DSM-IV-TR , né è previsto un suo riconoscimento nel prossimo aggiornamento DSM-V: ciò significa che la sindrome non sarebbe riconosciuta come tale dalla comunità scientifica internazionale psichiatrica.

Lo scopo del DSM-IV-TR (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) è quello di fornire descrizioni chiare delle categorie diagnostiche, al fine di consentire ai clinici e ai ricercatori di classificare e studiare i diversi disturbi mentali e di curare le persone che ne sono affette.

Si tratta di un manuale ampiamente utilizzato dai professionisti del settore, alcune associazioni dei quali peraltro, e non di non scarsa importanza, hanno criticato i contenuti del manuale, in quanto portatori di un’eccessiva medicalizzazione di condizioni in realtà fisiologiche ( ad esempio, in questi termini è la presa di posizione della Petizione della Society for HumanisticPsychology e di altre 43 associazioni scientifiche americane e di altri paesi, alla Task Force DSM-5 contro il rischio di medicalizzazione di condizioni fisiologiche).

In conclusione, siamo di fronte a materie in cui non è semplice individuare lo stato dell’arte della ricerca epidemiologica o diagnostica, a causa del gran numero di variabili indotte dalla difficoltà di accertamenti oggettivi o quantificabili, oltre che dalla necessità di non discostarsi dal singolo caso sottoposto al giudice.

Sul tema sono intervenute due recentissime pronunzie della I sezione della Suprema Corte di Cassazione in punto di rapporti tra figli e genitori che si trovano in crisi di coppia, decisioni nelle quali si accenna alle problematiche relative alla c.d. PAS.

La prima pronunzia in ordine di tempo è quella recante il n. 5847/13, decisa all’udienza del 12.2.2013.

In essa si è preso in considerazione il caso, nell’ambito di una separazione personale di coniugi, di un affidamento dei figli minorenni dapprima congiunto, poi, a seguito di giudizio d’appello, trasformato in esclusivo alla madre, sulla base di una relazione del servizio pubblico di Psichiatria competente per territorio, poiché il comportamento negativo dei figli verso la madre era stato provocato dal comportamento ostruzionistico del marito-padre, che aveva ostacolato le visite dei bambini alla madre e ne aveva screditato la figura, “danneggiandone l’equilibrio psichico(dei figli, ndr)” ; aggiunge espressamente poi la decisione in commento che il provvedimento d’appello relativo all’affidamento esclusivo alla madre è motivato “in regione dell’esistenza di una sindrome di alienazione parentale (PAS) causata da pressioni paterne che avrebbero inficiato i risultati dell’audizione ( si ritiene, dei minori, ndr)”.

La sentenza introduce poi osservazioni ed interpretazioni interessanti ai fini del tema in discussione: in primo luogo la validità, in base ai poteri istruttori officiosi del giudice della famiglia, dell’acquisizione della relazione del servizio di psichiatria territoriale ( redatta nell’ambito di una mediazione familiare attivata dal tribunale per i minorenni), nella quale si concludeva per una diagnosticata sindrome di alienazione parentale dei figli evidenziandosi il danno irreparabile loro causato per la privazione del rapporto con la madre; inoltre, il fatto che la decisione d’appello non si è fondata esclusivamente sulle conclusioni di quella relazione, ma ha preso in considerazione anche il giudizio negativo circa le attitudini genitoriali del padre ,desunto anche dalla reiterata condotta ostruzionistica posta in essere per ostacolare in ogni modo gli incontri dei figli con la madre.

Gli aspetti rilevanti sono quindi due: la Corte, sia pure incidentalmente e senza affrontare espressamente la questione della validità scientifica della c.d. PAS, conferma la correttezza della valutazione del giudice di merito che ha utilizzato a livello probatorio l’accertamento diagnostico di una sindrome psichiatrica indotta nei figli dal comportamento alienante di un genitore nei confronti dell’altro ( ha inciso verosimilmente su tale sceltala completezza e bontà dell’analisi svolta dal servizio di psichiatria, che qui si può evidentemente solo presumere); inoltre, viene affermata la circostanza per cui l’affidamento esclusivo ad un genitore non è basato solo sulla diagnosticata PAS, ma anche su altri elementi di fatto, rivelatori di incapacità genitoriale da parte del padre.

La sentenza n. 7041/13, pronunciata all’udienza del 6 marzo 2013, ha anch’essa affrontato il tema dell’affidamento di un figlio di una coppia separata consensualmente: inizialmente era stato previsto nell’omologa un affidamento esclusivo alla madre, ma a fronte dell’aggravarsi dei rapporti tra padre e figlio il primo adiva il competente TM, per sentire dichiarare la decadenza della madre dalla potestà genitoriale, pronunzia che in effetti interveniva in data 2 ottobre 2009; il bambino veniva affidato al servizio sociale del comune di residenza, pur rimanendo convivente con la madre; veniva disposto anche un percorso di riavvicinamento del figlio al padre, con i necessari sostegni psicologici ai tre componenti della famiglia; in sede di reclamo, la difesa del padre aveva sostenuto che la sindrome di alienazione parentale già diagnosticata nel corso di una CTU svolta evidentemente in primo grado, imponeva una diversa collocazione del bambino, anche al fine di favorire i rapporti con il babbo; la difesa della madre, dal canto suo, chiedeva la reintegra nella potestà, il rigetto delle domande del padre ed un riavvicinamento progressivo ed osservato figlio-padre.

La corte d’appello competente disponeva quindi nuova consulenza tecnica, affidandola al medesimo professionista, e constatava come “…l’equilibrio psicofisico del minore risultasse minato ed esposto a grave pericolo in relazione alla condizione patogenetica in cui versava, determinata da un forte conflitto di fedeltà nei confronti della madre” : riteneva quindi che l’ingiustificato rifiuto del figlio ad avere relazione con il padre fosse da attribuirsi ad un evidente alleanza collusiva con la mamma la quale, malgrado la dichiarata decadenza dalla potestà, aveva in realtà mantenuto un controllo e potere assoluto sul figlio, in alcun modo utilizzato per ricostruire il rapporto con il padre: disponeva allora l’affidamento a quest’ultimo genitore, con collocamento del minore in una struttura residenziale educativa, incontri con entrambi i genitori e contemporaneo inizio di un percorso psicoterapeutico.

Dopo aver redarguito la corte territoriale per non aver verificato la propria (in)competenza, la Cassazione indica il ragionamento per cui ritiene fondati i motivi di ricorso presentati dalla difesa della madre: non avere la corte d’appello esaminato le specifiche censure avanzate in tema di validità scientifica della PAS, sindrome posta alla base della sua pronunzia; non avere il giudice di secondo grado verificato l’effettiva esistenza dei sintomi della sindrome per madre e figlio.

All’esito di una forte analisi critica verso la scientificità della presunta sindrome, la Suprema Corte non ha potuto che cassare il decreto impugnato e rimettere alla sezione minorenni di diversa corte territoriale.

Questa breve nota non nasce certo per evidenziare la diversità delle due decisioni in commento: una siffatta difformità è, a parere di chi scrive, del tutto fisiologica, anche nell’operato interpretativo di legittimità, dal momento che può discendere da una differente impostazione del ricorso per cassazione, dalla natura dei motivi del medesimo, dal ragionamento del giudice di merito, dalla particolarità della materia trattata.

A ben vedere, poi, la prima decisione accenna alla c.d. PAS solo incidentalmente, dandone per scontata la validità scientifica senza approfondire l’argomento (evidentemente non trattato dalle parti di quel giudizio); la seconda pronunzia, invece, incentra proprio sulla mancanza di certezze in ordine alla sindrome la sua censura al giudice di merito, rilevando un vizio di motivazione da parte della Corte d’appello in quel suo richiamarsi in toto ad una CTU che aveva stabilito l’esistenza della sindrome, senza dare in realtà alcuna risposta alle specifiche censure della ricorrente sul punto.

Alcune considerazioni possono essere dunque già sottoposte agli interpreti.

Per prima, quella fondamentale per cui la querelle intorno all’esistenza e validità scientifica di una sindrome psichiatrica rischia di essere totalmente fuorviante per gli operatori: nessun giudice dovrebbe decidere semplicemente sulla base di un accertamento peritale psichiatrico, demandando così al consulente in via automatica la decisione conseguenziale sull’affidamento, il collocamento, le visite del genitore al minore, poiché egli deve decidere sulla base di quanto allegato e provato, secondo le regole probatorie proprie del processo civile, che nel caso di minorenni che siano parti sostanziali di esso, si allargano sino a comprendere un amplissimo potere istruttorio officioso, che il giudice specializzato in molti casi deve, e non semplicemente può, utilizzare.

In altri termini, pur se attualmente non può dirsi attendibile (al punto da costituire prova ex se) una mera diagnosi di PAS all’esito di specifico accertamento tecnico, ciò non significa certo che non possano essere rilevate nel corso del procedimento condotte di un genitore indirizzate all’allontanamento fisico e morale del figlio minorenne dall’altro genitore, condotte che anzi in misura sempre più rilevante vengono in evidenza nel corso della cause collegate alla crisi di coppia con figli: ostacolo di fatto alle visite del genitore non affidatario o non collocatario della prole minorenne; indottrinamento dei bambini circa le mancanze dell’altro genitore; coinvolgimento di altri membri della famiglia del genitore “alienato” nel giudizio negativo, che viene fatto proprio dal minore per lealtà verso il genitore “alienante”; denunce infondate di molestie , abusi o violenza sessuali nei confronti dei figli od i altri minori da parte dell’alienante nei confronti dell’alienato; legame simbiotico e patologico del minore con il genitore alienante.

Tali comportamenti influenzano non solo e non tanto il diritto del minore alla bigenitorialità, conquista indiscussa ed indiscutibile della attuale normativa europea e nazionale, quanto piuttosto il suo diritto ad una crescita il più possibile serena ed equilibrata: si pensi a quanto possa incidere un comportamento forzato e strumentale sul sano sviluppo psicologico di un bambino, posto al centro di un conflitto nel quale egli non vorrebbe assolutamente trovarsi, e nel quale spesso viene invece costretto dagli adulti a prendere posizione a favore di qualcuno e contro qualcuno.

Niente di peggio per una sua crescita “normale”.

Queste condotte non devono essere accertate solamente nell’ambito di una consulenza tecnica psicologica ( che pure il giudice di merito potrà continuare ad ammettere, al fine di valutare le capacità dei genitore nell’esercizio della loro potestà, il grado di maturità della prole, le dinamiche familiari e parentali, potendo anche suggerire specifici provvedimenti di sostegno o cura), ma devono essere ritenute provate attraverso l’utilizzo dei mezzi di prova tipici ( interrogatorio della parti, testimonianze, documenti, precedenti decisioni) e specifici della materia (ascolto del minore, relazioni dei servizi sociali e psicologici territoriali, o delle aziende sanitarie), al fine di evitare l’ingresso nella decisione di elementi spuri, quasi sempre collegati a convinzioni pregiudiziali ( occorre sempre accondiscendere alla volontà del minore; solo il genitore conosce i suoi figli ed agisce per il loro bene; il padre è superficiale, la madre è di per sé più adatta a crescere i figli).

Solo in tal modo sarà possibile una decisione equilibrata in punto di affidamento, collocamento e visite della prole rispetto ai genitori, e potrà realizzarsi in concreto quell’interesse del minore che troppo spesso viene declamato e sbandierato, per essere in realtà sottomesso ad interessi di altre parti del procedimento.

10/04/2013
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