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La trasparenza negata. Commento a Tar Lazio n. 5714/2019

di Salvatore Messineo
già vice-avvocato generale dello Stato
Il potere di archiviazione pre-disciplinare del P.G. è libero da controlli e gli atti di archiviazione sono inconoscibili con lo strumento dell’accesso civico generalizzato

Tar Lazio, Sezione I, sentenza 7 MAGGIO 2019, N. 5714, (I. Correale Pres., L.M. Brancatelli Est.) - Link al testo integrale

Accesso civico generalizzato – Archiviazione predisciplinare de plano nei confronti dei magistrati ordinari – Diritto del denunciante all’ostensione della motivazione – Esclusione.

“Attesa la necessità di evitare che l’istituto dell’accesso generalizzato operi oltre il perimetro voluto dal legislatore, sconfinando in settori che, seppur formalmente amministrativi, sono connotati dalla correlazione con l’esercizio dell’attività giurisdizionale, deve affermarsi che anche il provvedimento di archiviazione adottato al termine della fase pre-disciplinare, essendo strettamente inerente all’esercizio dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato, e quindi a una funzione di natura giurisdizionale, non soggiace alla regola della generale ostensione degli atti amministrativi prevista dal d. lgs. n. 33/2013” (Fattispecie concernente istanza di accesso civico generalizzato alla motivazione del provvedimento con cui il Procuratore Generale presso la Cassazione ha disposto de plano l’archiviazione di un esposto a carico di magistrati ordinari).

(Artt. 16, 2° e 5° bis del D. lgs. n. 109 del 2006, 5 e 5 bis del D. lgs. n. 33/ 2013). 

1. La sentenza affronta un tema di grande interesse: la visibilità e la trasparenza dei provvedimenti di archiviazione pre-disciplinare adottati dal P.G..

Questi i tratti salienti del quadro normativo: la Costituzione affida al Csm il potere di adottare provvedimenti disciplinari nei confronti dei magistrati (art. 105) attribuendo al Ministro della Giustizia la “facoltà” di promuovere la relativa azione (art. 107); il legislatore ordinario ha integrato il disegno: in attuazione del principio di uguaglianza ha fissato la regola dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare, affidandone l’esercizio al P.G..

La preoccupazione di salvaguardare la funzionalità del Csm ha indotto a introdurre un filtro all’elevato numero di segnalazioni: ai sensi del comma 5-bis dell’art. 16 del d.lgs n. 109/2006, quale modificato dalla legge 269/2006, il P.G. dispone l’archiviazione «se il fatto addebitato non costituisce condotta disciplinarmente rilevante ai sensi dell'articolo 3-bis o forma oggetto di denuncia non circostanziata ai sensi dell'articolo 15, comma 1, ultimo periodo, o non rientra in alcuna delle ipotesi previste dagli articoli 2, 3 e 4 oppure se dalle indagini il fatto risulta inesistente o non commesso».

Il potere di filtro ha assunto un ruolo centrale: basti dire che nel sessennio 2012-2018 sono stati definiti con provvedimenti di archiviazione pre-disciplinare ben il 91,6% delle segnalazioni [1].

Si tratta di un potere monocratico il cui esercizio sfugge a qualunque controllo di organo terzo; la prevista comunicazione delle archiviazioni al Ministro non ingenera in quest’ultimo obblighi di sorta: la posizione giuridica di cui egli continua a essere titolare permane strutturata in termini di facoltà, sicché anche in presenza di archiviazioni carenti o ingiuste non è tenuto a esercitare l’azione disciplinare.

L’assenza totale di reali controlli sull’operato del P.G. fa comprendere la grande importanza che assume la possibilità di esercitare l’accesso civico generalizzato: costituendo esso lo strumento residuale per garantire, attraverso il dibattito pubblico, un minimo di trasparenza e una qualche possibilità di accertare il «perseguimento delle funzioni istituzionali» ed il buon «utilizzo delle risorse pubbliche» in un settore così importante.

2. La vicenda esaminata dal Tar appare emblematica: l’archiviazione di cui è stata negata l’ostensione concerne la segnalazione di condotta oggettivamente contraria a puntuali doveri posti direttamente dalla legge a tutela di rilevanti interessi pubblici.

Come è noto, con le riforme del 2006 e del 2009 il legislatore ha inteso contrastare con più efficacia le diffuse forme di abuso del processo civile: all’art. 96 cpc è stato aggiunto il terzo comma, per il quale «in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'articolo 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata».

Si tratta di «prestazione patrimoniale imposta in base a legge», che ha natura di “sanzione” [2].

L’intento perseguito dal legislatore è risultato vanificato dalla prassi: l’Ufficio statistico della Cassazione ha rilevato che nel periodo 2006-2015 si sono registrate in sede di legittimità soltanto sei condanne sanzionatorie! Un numero davvero insignificante, ove raffrontato alle decine di migliaia di ricorsi dichiarati inammissibili o giudicati manifestamente infondati in tale decennio.

Dalla sentenza del Tar si apprende che la segnalazione in sede disciplinare della su descritta condotta è stata archiviata de plano e che il relativo provvedimento non è conoscibile con l’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato.

3. Per chi ha cuore i problemi di efficienza del “sistema Giustizia” e ritiene funzionale a tal fine la trasparenza dell’azione di chi vi esercita poteri il risultato cui è pervenuto il Tar suscita preoccupazione e appare connotato da evidenti profili di irrazionalità.

a) Invero, appare incoerente ed illogica una disciplina normativa che nei casi di incolpazione assoggetta il provvedimento finale – di “non luogo a procedere”, di assoluzione o di condanna – al regime di pubblicità piena, proprio delle sentenze: sicché chiunque ha diritto di ottenerne copia (e ciò anche se ne derivi la conoscenza di fatti lesivi della onorabilità del magistrato ivi giudicato); mentre la soluzione antitetica – di negazione della sua conoscibilità − è invece predicata nei casi opposti di favorevole archiviazione pre-disciplinare per accertata assenza di profili rilevanti sul piano disciplinare.

b) Irrazionalmente, la possibilità «di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche» risulta preclusa proprio nel caso (di esercizio di un potere non sottoposto a controlli) in cui ve n’è assoluta necessità.

c) La soluzione recepita dal Tar implica anche un’inaccettabile disparità di trattamento: l’accesso civico generalizzato sarebbe escluso per i provvedimenti di archiviazione concernenti i magistrati ordinari, mentre esso risulta pacificamente esercitabile – per rif. si veda, ad es., Cons. Stato n. 1162/2012 − con riferimento a tutti i provvedimenti (anche di archiviazione) adottati nei confronti dei magistrati amministrativi. La giurisdizione, per quanto ripartita tra diversi apparati, è pur sempre unitaria (per come, tra l’altro, attestato positivamente sul piano ordinamentale dalla disciplina in tema di translatio iudicii), sicché la trasparenza ed il controllo sociale debbono essere assicurati in modo uniforme.

d) Il bisogno di trasparenza è divenuto ineludibile: una segretezza − anche parziale – appare inspiegabile e ingenera nel cittadino sfiducia nei valori fondanti della magistratura e della giurisdizione [3].

I segnalati profili di irrazionalità, valutati alla luce dell’art. 3 Cost., dovevano indurre il Tar a ricercare risultati interpretativi rispettosi della Costituzione e, all’esito, a sollevare, eventualmente, incidente di costituzionalità.

4. I ragionamenti svolti in sentenza non appaiono condivisibili. Il Tar muove dalla previsione contenuta nell’art. 5-bis, 3° del d.lgs n. 33/ 2013, che esclude l’accesso generalizzato «nei casi … in cui l'accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all'articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990»: uno di tali “casi” è da Tar individuato nell’art. 16 del d.lgs 109/2006, là ove prescrive che «Per l'attività di indagine si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale»; per il Tar, tale «previsione … si applica anche alla fase iniziale delle indagini, che può eventualmente concludersi con l’adozione del provvedimento di archiviazione ai sensi dell’art. 16, comma 5-bis del d.lgs n. 109/2006».

È agevole osservare in contrario.

A) La previsione che estende all’«attività di indagine» svolta in sede disciplinare, «le norme del codice di procedura penale» appare malamente invocata.

a) Le Sezioni unite hanno già chiarito il significato da attribuire ai rinvii al cpp contenuti nel d.lgs 109/2006: «Nel nuovo sistema introdotto dal D. Lgs. n. 109 del 2006, il legislatore non ha inteso estendere la disciplina processuale penale all'intero procedimento disciplinare, come dimostra il fatto che ne ha limitato il richiamo a specifiche attività come le indagini e la discussione dibattimentale. Con il duplice corollario che deve escludersi l'estensibilità di tali richiami o riferimenti per tutte le attività o i provvedimenti che non risultano disciplinati espressamente o per specifico rinvio c.p.p.; e che quando gli stessi sussistono devono essere interpretati restrittivamente» (così, le sentenze nn. 15969, 18374 e 26809 del 2009, 1771/2013 e 17585/2015: per la cit. sentenza 26809 il richiamo al cpp contenuto nell’art. 16, comma 2, d.lgs 109 «proprio per l'espressa limitazione … esclusivamente alla attività di indagine del P.G. … non può essere esteso al regime dei provvedimenti conclusivi devoluti alla Sua competenza».

Pertanto, l’affermazione del Tar secondo cui la «fase pre-disciplinare» risulterebbe «regolata in conformità al c.p.p.» si pone contro l’insegnamento delle SS.UU.: per le quali il richiamo al codice di rito penale non si estende né al provvedimento di archiviazione, né agli atti diversi da quelli “di indagine”.

b) Oggetto dell’istanza di accesso generalizzato è stata la sola archiviazione pre-disciplinare de plano, non preceduta né da indagini né da incolpazione: sicché la invocazione dei limiti all’accesso previsti per gli atti di indagine appare disancorata dai dati fattuali e costituisce un fuor d’opera.

c) Con riguardo ai provvedimenti di archiviazione pre-disciplinare de plano non si è mai dubitato della loro natura pienamente amministrativa.

Le Sezioni unite – con le sentenze n. 26809/2009 e n. 1769/2013 – hanno sempre attribuito tale natura alle archiviazioni anche nel caso in cui siano state svolte indagini e da esse «il fatto risulta inesistente o non commesso»; nella sentenza n. 14664/2011 le SS.UU. hanno operato un distinguo limitatamente al caso – qui non ricorrente − di svolgimento di indagini con incolpazione, per il quale l’archiviazione avrebbe natura giurisdizionale: nella specie, non è sopravvenuto nessuno degli eventi (svolgimento di indagini o contestazione di addebiti) che, alla stregua del su descritto “distinguo, determinerebbero la “giurisdizionalizzazione” del procedimento disciplinare: sicché gli atti del procedimento definito con l’archiviazione oggetto di richiesta di ostensione hanno mantenuto sempre la loro natura amministrativa.

d) Le “norme del cpp”, richiamate dall’art. 16 d.lgs. n. 109/96, non precludono in via permanente l’accesso agli atti: stabilisce, invero, l’art. 329 cpp che il segreto cessa «comunque non oltre la chiusura delle indagini preliminari»; ne consegue che anche il segreto relativo all’«attività di indagine» disciplinare viene meno naturaliter e non è più opponibile allorché risulti emesso il provvedimento di archiviazione: attestando esso “la chiusura delle indaginio la loro superfluità.

B) Il Tar invoca il passo delle Linee Guida (delibera n. 1309/2016, art. 7.6), in cui l’Anac ha fornito “indicazioni operativesui limiti all’accesso previsti dall’art. 5 bis, 1° lett. f) del d.lgs n. 33 del 2013: che denega l’ostensione ove ciò sia «necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a ...: f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento». Al fine di evitare “possibili sovrapposizionidel diritto di accesso «con l’esercizio dell’attività giudiziaria» l’Anac ha ivi precisato che tale diritto non può essere invocato per «gli atti giudiziari, cioè gli atti processuali o quelli che siano espressione della funzione giurisdizionale, ancorché non immediatamente collegati a provvedimenti che siano espressione dello “ius dicere”, purché intimamente e strumentalmente connessi a questi ultimi»; tale conclusione, secondo il Tar, varrebbe anche per l’archiviazione pre-disciplinare.

Si tratta di deduzione infondata.

a) Il richiamo alla tematica dei limiti all’accesso sugli atti di “conduzione di indagini” appare una evidente forzatura: e ciò per il semplice fatto che, nella specie, non ricorre alcuna «conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento» non risultando l’esistenza di indagini di sorta.

b) La preoccupazione di possibili «sovrapposizioni con l’esercizio dell’attività giudiziaria» considerata nelle linee guida richiede la coesistenza di più atti: nella specie, invece, esiste un solo ed unico atto (quello recante l’archiviazione), sicché già ragioni logiche impediscono di invocare i limiti all’accesso previsti dall’art. 5 bis, 1° lett. f) del d.lgs n. 33 del 2013.

c) L’Anac, nel passo richiamato, non ha inteso introdurre innovazioni al preesistente quadro: Essa si è limitata a riprodurre gli insegnamenti del Consiglio di Stato in tema di rapporti tra accesso e segreto a tutela delle indagini penali, alla cui stregua «Non ogni denuncia di reato presentata dalla P. A. all'autorità giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale e come tale sottratta all'accesso, in quanto, se la denuncia è presentata dalla P. A. nell'esercizio delle proprie istituzionali funzioni amministrative, non si ricade nell'ambito di applicazione dell'art. 329, c.p.p.» mentre se la trasmette «nell'esercizio di funzioni di polizia giudiziaria specificamente attribuite dall'ordinamento, si è in presenza di atti di indagine compiuti dalla polizia giudiziaria … come tali … soggetti a segreto istruttorio» [4].

Si ripete: nella vicenda qui esaminata non ricorrono minimamente i presupposti fattuali per ipotizzare una connessione tra atti.

5. Un’ultima notazione. La statuizione con cui il Tar ha affermato che l’accesso all’archiviazione pre-disciplinare soggiace alle «regole autonome previste dai rispettivi codici di rito», imponeva di scrutinare la domanda di accesso civico generalizzato facendo applicazione diretta di tali regole”: sicché, lo stesso Tar avrebbe dovuto accertare se da esse derivasse o meno un ostacolo all’esercizio del diritto di accesso civico generalizzato.

Va soggiunto che ove l’assimilazione dell’archiviazione pre-disciplinare ad un atto giurisdizionale ed il correlato riferimento aicodici di rito” diversi dal codice del processo amministrativo siano stati intesi dal Tar come fattori espressivi di una propria carenza di potestas iudicandi, coerenza imponeva una statuizione non già di rigetto, bensì di declaratoria della improponibilità della domanda dinanzi a sé, con individuazione del diverso giudice (Sezione disciplinare del Csm, giudice penale, giudice civile: quale?) avente giurisdizione e del termine decadenziale per provvedere alla translatio iudicii.



[1] Intervento del P.G. presso la suprema Corte per l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2019, pag. 105, tabella n. 2.

[2] Così, Corte costituzionale n. 139 del 6 giugno 2019.

[3] Permane attuale il monito di Filippo Turati (in Atti del Parlamento italiano, Camera dei deputati, sess. 1904-1908, 17 giugno 1908, p. 22962): «Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un momentaneo segreto, la casa dell’amministrazione dovrebbe essere di vetro».

[4] Così Cons. Stato VI, n. 6117/2008: nello stesso senso, tra le più recenti, VI, 2863/2016 e IV, 4537/2016.

07/10/2019
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