Le convenzioni per l’effettuazione di stages o praticantati presso gli Uffici Giudiziari, fiorite timidamente qua e là grazie ad iniziative di singoli Tribunali o enti locali finanziatori, legittimate e incoraggiate dal CSM con delibere del 21 novembre 2001, 14 ottobre 2004, 19 luglio 2007 e 23 gennaio 2008, si sono imposte all’attenzione generale con l’art. 37 , 4° co. del D.L. n. 98/2011 conv. in L. n. 111/2011, in cui si è vista da alcuni una possibile base legale per la costituzione o almeno la sperimentazione del tanto agognato “ufficio per il giudice”.
Il CSM è immediatamente intervenuto con la risoluzione 22 febbraio 2012, “Criteri per l’applicazione della disciplina di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 37 della l. 111 del 2011”, con la quale: affermava il proprio potere regolamentare in materia, individuava un procedimento costituito da una fase consultiva e di controllo innanzi al Consiglio Giudiziario, riservava per sé la definitiva delibera di presa d’atto, disegnava un percorso costituito dalla fissazione di linee guida (contenute nella risoluzione medesima), da un successivo periodo di sperimentazione e monitoraggio da parte dei CG (che deve riferire annualmente sulle convenzioni in atto nel distretto), dall’adozione (ancora a venire) di una dettagliata normativa secondaria “allo scopo di individuare modelli standard di accordi disponibili per gli uffici”.
Le linee guida si sintetizzano in : a) fissazione di un numero massimo di tirocinanti per ciascun magistrato (già nella del. del 2007); b) specificazione degli elementi si cui si fonda la valutazione; c) svolgimento del tirocinio in regime di esclusività; d) possibilità di attribuzione di compiti di studio, ma anche di assistenza e aiuto al magistrato; e) individuazione per ogni tirocinante di un tutor designato dal Capo dell’Ufficio (già previsto nel 2007), previo interpello; f) previsione degli obblighi di segretezza di cui all’art. 15 TUICS, di riserbo di cui alle del. del 2003 e 2007, di esclusione dalle attività giudiziarie coperte da segreto o riservate; g) la previsione della facoltà di recesso per venir meno del rapporto fiduciario affidatario – tirocinante o per l’inidoneità di quest’ultimo.
Si tratta di indicazioni in linea col testo normativo, che tengono conto delle specificità dell’attività giudiziaria e della natura dello stage o praticantato, che, sempre, risponde ad un criterio di duplice utilità/finalità: per il praticante, che acquista una conoscenza “professionale” e pratica, e per l’ente che lo accoglie, che utilizza giovani energie nell’ambito di finalità e servizi predeterminati.
Iniziata la sperimentazione con conclusione di numerose convenzioni, interviene oggi, sollevando un acceso dibattito sulle mailing lists, la delibera 12 febbraio 2013 con cui la Sesta Commissione richiede ai Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello di integrare le convenzioni predisposte per i loro uffici sotto i profili della mancata previsione: della prestazione del praticantato in regime di esclusiva; dell’incompatibilità dominus/tirocinante/affidatario; del rispetto degli obblighi di segreto e riserbo; del divieto di affidare compiti privi di valenza normativa; del numero di partecipanti e dei criteri di selezione degli affidatari; della mancata copertura assicurativa.
Il caso si presta ad alcune osservazioni:
Il Consiglio si sofferma, nei suoi vari atti, su due
nodi importanti: l’esclusività del praticantato e l’esigenza di
“organizzare” la presenza di tirocinanti all’interno
dell’ufficio, prevedendone numero, destinazione, modalità di
affiancamento.
Lo svolgimento in esclusiva della pratica presso l’Ufficio Giudiziario è, com’è ovvio, particolarmente rilevante in relazione al tirocinio professionale per l’abilitazione alla professione di avvocato. In questi anni ci siamo ripetuti e abbiamo sentito ripeterci sovente la massima per cui “si deve non solo essere imparziali ma anche apparire di essere imparziali”. Orbene, praticanti che siedono accanto al giudice o al PM al mattino e accanto all’avvocato al pomeriggio – quand’anche si sia in presenza di soggetti di indiscussa integrità – possono ingenerare negli utenti e nei cittadini l’ambigua impressione di una commistione di funzioni e di interessi che certamente nuocerebbe all’immagine dell’Ufficio Giudiziario, soprattutto se si tratti del Tribunale o della Procura di una piccola o media cittadina di provincia, delle quali è composta in gran parte l’Italia. Ai problemi di immagine si aggiungerebbero poi le problematiche, foriere di incompatibilità, relative alle cause dell’avvocato, il cui praticante sia allo stesso tempo (“arlecchino servitore di due padroni”) tirocinante del giudice, davanti a cui le cause pendono. Per questo, la previsione consiliare sulla esclusività è stata recepita da molte convenzioni e accolta con favore dai Consigli dell’Ordine preoccupati dei risvolti deontologici del tirocinio, di cui si potrà modulare la durata (fino al massimo di un anno) anche sull’intensità ed esclusività dello stesso.
Inserire tirocinanti in una amministrazione richiede una chiara visione organizzativa al fine di evitare che, da fattore positivo di supporto, divengano un elemento di aggravio e disorganizzazione. Per questo le Convenzioni devono prevedere il numero di tirocinanti, la loro destinazione, il numero e la funzione dei giudici da affiancare, anche nell’ottica di un efficace inserimento dei tirocinanti in una sperimentazione dell’ ”ufficio del giudice”. In proposito, il concentrarsi sulle convenzioni come strada per l’ufficio del giudice o del processo sembra un po’ il segno di una profonda sfiducia nella possibilità che innovazione ed efficienza dell’amministrazione della giustizia passino per misure di tipo generale (le uniche che possono garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge) e che si debba invece ripiegare su una logica di prassi e soluzioni locali.
Va certamente sottolineato il valore delle molte e molto positive sperimentazioni, che hanno un ruolo di propulsione, scoperta, diffusione di soluzioni innovative e di grande efficacia. Proseguendo su tale strada, è al contempo il momento di tornare a chiedere con forza e con tutti i mezzi a disposizione dell’azione associativa investimenti per la giustizia (in fondo, basterebbe un po’ del denaro impiegato per le molte missioni all’estero), riassetto della sua organizzazione su base tecnologica, adeguatezza di risorse umane (tra cui gli assistenti legali che, in molti sistemi europei, lavorano a fianco del giudice transitando successivamente alla carriera giudiziaria, con procedure di selezione semplificate).
In ultimo: la delibera della Sesta Commissione non fa altro che richiamare quanto già indicato nella risoluzione di anno fa; nel criticarla, si contesta l’arrogazione di potere regolamentare che sarebbe stata operata dal CSM, che meglio avrebbe fatto a lasciare la gestione delle convenzioni al livello spontaneistico locale. Questa posizione sembra a chi scrive assai pericolosa: perché il localismo giudiziario non può che sfociare sul lungo periodo in disparità di trattamento e ingiustizie (se non divenir anticamera di soluzioni federaliste) e perché il Consiglio, con le sue imperfezioni, resta allo stato il miglior strumento di cui godiamo per l’amministrazione della giustizia e dobbiamo salvaguardarne le prerogative.
Certamente a volte il CSM è portatore di rigidità e burocratismi di cui non si sente alcuna necessità, ma è il dialogo tra uffici, consigli giudiziari, CSM e associazionismo che può portare a quell’equilibrio fra iniziative locali e coordinamento nazionale che funge da antidoto a derive possibili e aiuta il CSM a trovare le soluzioni migliori. … nel caso che ci interessa, in vista dell’attuazione dell’art. 44 della Ln. 247/2012 secondo cui: “L'attività di praticantato presso gli uffici giudiziari è disciplinata da apposito regolamento da emanare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, dal Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il CNF".