Con la sentenza in commento (Sez. U, Sentenza n. 4319 del 28/11/2013 Cc. - dep. 30/01/2014 - Rv. 257786) le Sezioni Unite chiariscono i limiti e l’estensione dei poteri del giudice per le indagini preliminari in materia di archiviazione nel caso in cui, dagli atti del procedimento, emergano ipotesi di reato che non avevano formato oggetto della richiesta del pubblico ministero o una notizia di reato a carico di persona il cui nome non era stato in precedenza iscritto nel registro degli indagati.
Nel caso in esame, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Lucca, ricorrendo per cassazione, denunciava l’abnormità dell'ordinanza con la quale il G.i.p. del Tribunale della stessa città, all’esito dell’udienza camerale conseguente all’opposizione delle persone offese, nel procedimento a carico di L.F. e L.V., aveva: 1) ordinato la formulazione coatta dell’imputazione a carico di persona il cui nome non era stato iscritto nel registro degli indagati; 2)ordinato l’iscrizione di nuovi reati che il pubblico ministero non aveva ravvisato a carico dell’indagato in precedenza iscritto, con conseguente ordine di formulare l’imputazione coatta per tali nuovi reati.
Secondo il ricorrente, il provvedimento del GIP era abnorme, avendo imposto l’esercizio dell’azione penale per reati e nei confronti di un soggetto per i quali non vi era stata pregressa iscrizione nel registro delle notizie di reato.
Il tema è rilevante perché riguarda, come si legge nella motivazione della sentenza, “la delimitazione dei poteri di controllo attribuiti al giudice per le indagini preliminari sull’operato del pubblico ministero per assicurare il rispetto del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale ex art. 112 Cost.”.
E’ infatti noto che il codice di procedura penale ha affidato i poteri di verifica delle scelte abdicative del pubblico ministero al giudice per le indagini preliminari, tramite il procedimento regolato dagli artt. 408 e ss. c.p.p., riservandogli un potere di controllo e impulso dell’operato dell’organo inquirente, unico titolare dell’azione penale, il cui esercizio è obbligatorio.
Di tale potere è espressione la facoltà per il giudice, se all’esito dell’udienza camerale fissata nei casi previsti dall’art. 409 c. 2 c.p.p. non intenda accogliere la richiesta di archiviazione, di indicare con ordinanza ulteriori indagini, fissando un termine per il loro compimento (art. 409 c. 4 c.p.p.) oppure di disporre che il pubblico ministero formuli l’imputazione entro il termine di dieci giorni (art. 409 c.5 c.p.p.).
La Corte costituzionale prima (Sent. n. 478/1993, e n. 176/1999) e, successivamente, le Sezioni unite della Cassazione (sent. N. 2209 del 31.5.2005, ric. PM in proc. Minervini Rv. 231162) hanno chiarito che la funzione di controllo della scelta abdicativa del pubblico ministero, in applicazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, non può essere confinata nei limiti fissati dall’organo dell’accusa, ma va estesa a tutti gli atti dell’indagine preliminare, che debbono essere valutati nella loro totalità.
Di conseguenza, il giudice di legittimità ha ritenuto (sent. N. 2209 del 31.5.2005, ric. PM in proc. Minervini Rv. 231162) che, sebbene non fosse espressamente previsto dall’art. 409 c. 4 c.p.p., rientri tra i poteri del giudice investito della richiesta di archiviazione quello di disporre l’iscrizione nel registro delle notizie di reato “di altri soggetti non indagati, per i quali il PM non abbia formulato alcuna richiesta, disponendo altresì la prosecuzione di ulteriori indagini”.
E’ infatti naturale che il giudice, dovendo operare un pieno controllo sui risultati delle indagini preliminari per garantire il rispetto del principio di obbligatorietà dell’azione penale, qualora ritenga che debbano essere compiute ulteriori indagini nei confronti di persona o per reati fino ad allora non iscritti nel registro degli indagati, disponga che esse inizino seguendo le regole stabilite dal codice (dall’art. 335 c.p.p.), che prevede l’iscrizione del nome della persona alla quale il reato è stato attribuito e del reato oggetto di indagine.
Non era invece chiaro – e il tema ha determinato l’intervento delle Sezioni unite oggetto di commento – se il giudice investito dalla richiesta di archiviazione potesse disporre l’imputazione coatta ex art. 409 c.5 c.p.p. per fatti diversi da quelli per i quali il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione o nei confronti di persona il cui nome non era stato in precedenza iscritto nel registro degli indagati.
Per la verità, la Sezione rimettente – ordinanza del 6.6.2013 - non aveva sollecitato un intervento sulla ritenuta abnormità dell’imputazione coatta nei confronti di persona non precedentemente iscritta nel registro degli indagati, non ravvisando un contrasto di orientamenti sulla specifica questione.
Le Sezioni unite tuttavia hanno ritenuto opportuno ribadire che è abnorme il provvedimento con cui il giudice ordina l'imputazione coatta di persona non iscritta nel registro degli indagati, sottolineando che tale imposizione priverebbe l'organo della pubblica accusa del potere di “indagare a tutto campo nei confronti di persona non contemplata nella richiesta di archiviazione, ma soprattutto di adottare autonome determinazioni all'esito delle indagini espletate”.
La sentenza evidenzia inoltre che un ordine di imputazione coatta a carico di soggetto non precedentemente iscritto nel registro degli indagati, oltre a incidere sui poteri del pubblico ministero, determina “una lesione dei diritti di difesa” dell’indagato/imputato, “non essendo la persona rimasta estranea alle indagini destinataria dell'avviso ex art. 409 c. 1 c.p.p. e non avendo partecipato all'udienza camerale con la conseguente discovery delle risultanze delle indagini”.
Se infatti l’udienza camerale è la sede in cui la persona sottoposta a indagini è posta nelle condizioni di esaminare gli atti del procedimento e di sollecitare iniziative difensive, in modo non dissimile da quanto avviene a seguito della notificazione all’indagato dell’avviso previsto dall’art. 415 bis c.p.p. (come chiarito da Corte Cost. n. 286/2012, che ha ritenuto manifestamente infondata questione di legittimità costituzionale dell'art. 409 c.p.p. in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost. “nella parte in cui non prevede che anche a seguito di imputazione ex art. 409 quinto comma c.p.p. sia obbligatoria la previa notifica all'indagato dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari”), la mancata partecipazione all’udienza camerale della persona non ancora sottoposta a indagini la priverebbe, con evidenza, del diritto di difendersi anche in quella sede.
I giudici affrontano quindi la specifica questione rimessa alle Sezioni unite, se sia abnorme il provvedimento “con il quale il giudice per le indagini preliminari ordini l'imputazione coatta nei confronti dell'indagato per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione”, avvertendo che “le disposizioni dell'art. 409 c. 4 e 5 c.p. concernenti i poteri di intervento del giudice per le indagini preliminari sull'esercizio dell'azione penale, devono formare oggetto di interpretazione estremamente rigorosa, al fine di evitare qualsiasi ingerenza dell'organo giudicante nella sfera di autonomia della pubblica accusa.”
Sviluppando le argomentazioni già espresse nella citata pronuncia Minervini, che aveva ritenuto abnorme il provvedimento con il quale il giudice, dopo avere ordinato l'iscrizione di un nuovo indagato e lo svolgimento di ulteriori indagini, aveva disposto il rinvio ad un'ulteriore udienza camerale, ledendo tale rinvio “le prerogative del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale”, la sentenza ribadisce che il giudice, ordinando l’imputazione coatta a carico della persona indagata per fatti costituenti reato diversi da quelli per i quali è stata formulata la richiesta di archiviazione, allo stesso modo, preclude al pubblico ministero di adottare autonome determinazioni “all’esito delle ulteriori indagini, che la pubblica accusa ritenga di espletare sulle diverse ipotesi di reato rilevate dal giudice a seguito dell’iscrizione delle stesse nel registro di cui all’art. 335 c.p.p.”.
Dunque “ è inibito al giudice per le indagini preliminari ordinare al pubblico ministero la formulazione dell’imputazione nei confronti della persona indagata per ipotesi di reato diverse da quelle per le quali è stata richiesta l’archiviazione, dovendo in tal caso il giudice limitarsi a ordinare l’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. degli ulteriori reati che abbia ravvisato nelle risultanze delle indagini portate a sua conoscenza”.
E tale provvedimento è abnorme, perché impone al pubblico ministero “il compimento di atti al di fuori delle ipotesi espressamente previste dal codice di rito.”
Le Sezioni unite pongono pertanto un limite preciso ai poteri di intervento del giudice nella sfera di autonomia del pubblico ministero in caso di non condivisione della richiesta di archiviazione, a salvaguardia della titolarità dell’azione penale in capo a tale organo.
Fermo restando che il giudice investito della richiesta di archiviazione esercita un potere di controllo su tutti gli atti dell’indagine preliminare, non limitato all’interno dei confini tracciati dalla richiesta del pubblico ministero, tale potere tuttavia non gli consentirà di imporre un’imputazione coatta a carico di persona non indagata o per reati non compresi nella richiesta di archiviazione, perché l’iniziativa comporterebbe l’esercizio di prerogative proprie dell’organo inquirente.
In sintesi, il giudice che non condivida le conclusioni cui è pervenuto il pubblico ministero con la richiesta di archiviazione, esercitando i propri poteri di impulso, all’esito dell’udienza camerale, potrà disporre l’imputazione coatta, ai sensi dell’art. 409 c. 5 c.p.p., nei confronti della persona sottoposta a indagini per il reato oggetto della richiesta di archiviazione, in tal modo esercitando un potere che è frutto di un inevitabile adattamento dell’astratto modello accusatorio per renderlo compatibile con il principio espresso dall’art. 112 Cost. (Corte Cost. sent. n.88/1991 e sent. n. 263/1991); nel fare ciò tuttavia non lederà le prerogative del pubblico ministero che, all’esito delle indagini preliminari aveva comunque autonomamente assunto le proprie determinazioni, avanzando la richiesta di archiviazione e cui è comunque riservato, dopo che il giudice ha disposto ai sensi dell’art 409 c.5 di formulare l’imputazione, “il concreto promovimento dell’azione”.
In alternativa all’imputazione coatta, il G.i.p. potrà indicare, ai sensi dell’art. 409 c. 4 c.p.p. ulteriori indagini, indirizzandole anche verso persone o reati in precedenza non iscritti nel registro delle notizie di reato (e in tal caso potrà disporre i necessari aggiornamenti del registro delle notizie di reato), ma non potrà trarre autonomamente dagli atti processuali gli elementi necessari per formulare l’imputazione in ordine a fatti di reato non presi in considerazione dal pubblico ministero nella richiesta di archiviazione o nei confronti di persone non indagate, restando tale compito specificamente riservato al pubblico ministero, che, appunto, esercita l’azione penale, ai sensi dell’art. 405 c.p.p., formulando l’imputazione.
D’altro canto, se il pubblico ministero all’esito delle indagini attivate a seguito dell’ordinanza ex art. 409 c. 4 c.p.p., che restano di sua esclusiva competenza, avanzerà una nuova richiesta di archiviazione, il giudice ne valuterà la fondatezza, svolgendo nuovamente, in ossequio all’art. 112 Cost., il doveroso controllo sul mancato esercizio dell’azione penale.