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Recensione a "Amianto, Casistica, questioni processuali e sostanziali, prospettive future"

di Simone Perelli
Sostituto Procuratore Generale Cassazione

La recensione al volume di Carlo Brusco, edito da Giuffrè (2021)

E’ recentemente uscito in libreria, per i tipi della Giuffrè, nella collana Teoria e pratica del diritto, un nuovo libro di Carlo Brusco intitolato Amianto, Casistica, questioni processuali e sostanziali, prospettive future.

Come ha bene osservato Mauro Iacoviello nella sua introduzione sono molte le ragioni per le quali vale la pena leggere questo testo, anzi studiarlo e meditarlo con attenzione.

In primo luogo, perché Carlo Brusco è un profondo conoscitore della materia e nella sua carriera giudiziaria ed editoriale si è occupato della colpa e del rapporto di causalità nei reati colposi, scrivendo motivazioni esemplari e pubblicando importanti monografie, tuttora imprescindibili per ogni giurista che voglia seriamente occuparsi di questa materia.

Le sue tesi o le sue considerazioni non sono mai frutto di improvvisazione o, peggio, di posizioni  preconcette dettate, o condizionate, da ragioni più o meno recondite, ma, al contrario, sono frutto di meditazioni approfondite che si fanno carico di comprendere le ragioni sottostanti alle tesi non condivise, e, soprattutto,  non perdono di vista l’importanza, lo scopo e la centralità dell’accertamento giudiziario.

In secondo luogo, perché Carlo Brusco con questa pubblicazione si guarda bene dal prendere posizione sulle questioni scientifiche problematiche (o aperte) che caratterizzano i processi  per amianto, limitandosi a fornire al giurista la preziosa “cassetta degli attrezzi” o, se si preferisce, a indicare il faticoso percorso da effettuare per giungere alla corretta soluzione  dei problemi.

Come egli osserva nel libro, non si preoccupa della possibile divergenza di soluzioni, anzi afferma che tale divergenza rappresenta il prezzo necessario da pagare se si vuole salvaguardare il bene della libertà scientifica, che non presuppone affatto uniformità dei risultati della ricerca (anzi ne diffida!) ma unicamente la condivisione delle regole della ricerca.

I primi capitoli di questo volume sono dedicati all’amianto e alle malattie provocate da questa sostanza: viene passata in rassegna la normativa italiana sull’amianto, vengono illustrati gli effetti nocivi dell’amianto e l’affermarsi delle conoscenze scientifiche a livello internazionale, la pericolosità dell’esposizione e la diffusione delle conoscenze in Italia, viene poi affrontato il tema della causalità nell’indagine delle malattie  provocate dall’amianto  nonché l’accertamento giudiziario dell’elemento soggettivo nei processi per amianto.

Gli altri capitoli, nell’affrontare  il tema cruciale dei processi per amianto, trattano dell’effetto acceleratore delle ulteriore esposizioni sulle malattie cagionate dall’amianto, riservando motivate critiche alla sentenza Cozzini[1]  per essersi allontanata dal sentiero battuto, sino a quel momento,  dalla giurisprudenza di legittimità, occupando terreni propri del giudice di merito, giungendo a suggerire (o approvare) tesi scientifiche la cui verifica di validità o di fallacia non rientra tra le competenze del giudice della nomofilachia.

Molti sono gli spunti di riflessione per i giuristi.

In primo luogo, l’Autore indica al giudice di merito un metodo, ossia il percorso motivazionale da seguire per poter affermare (o negare) il nesso di condizionamento causale e, quindi,  per poter ravvisare (o escludere) l’elemento soggettivo del reato (colpa) in capo al datore di lavoro, ovvero al responsabile dell’attività produttiva (lato sensu).

Ma le considerazioni più interessanti sono riservate ai giudici di legittimità, con l’individuazione delle questioni problematiche che sono sul tappeto.

Infatti, sono  particolarmente stimolanti le domande che l’Autore pone, nel tentativo di spiegare l’actio finium regundorum del giudizio di legittimità, laddove osserva se competa al giudice di legittimità la valutazione sulla validità della prova scientifica, o se non si tratti, invece, di materia riservata esclusivamente al giudice di merito. Ovvero, laddove si domanda se la Corte di cassazione, in questo ambito, possa andare oltre la valutazione riguardante l’esistenza della motivazione (ossia limitandosi a scrutinare se il giudice di merito abbia effettivamente motivato e non solo in modo apparente) e se l’apparato motivazionale sia esente dai vizi di contraddittorietà e manifesta illogicità. O, ancora, dove si interroga sui criteri di valutazione  da impartire al giudice del rinvio,  nei casi in cui l’annullamento sia deciso esclusivamente  per vizio di motivazione e non anche per erronea interpretazione di una norma.

Non a caso, ricorda Carlo Brusco, sino al 2010, cioè sino alla pronuncia della sentenza Cozzini, il giudice di legittimità,  nell’effettuare la verifica della soluzione del problema data dal giudice di merito, in ordine all’esistenza o inesistenza  di un effetto acceleratore delle ulteriori esposizioni da amianto dopo l’iniziazione del processo tumorale, si limitava ad accertare se la soluzione posta a fondamento della decisione fosse stata adeguatamente  motivata e se nella valutazione delle prove e delle conoscenze scientifiche fossero stati seguiti corretti e adeguati criteri logici.

Prova ne sia che, come sottolinea l’Autore, le risposte al quesito sono state di diverso genere: in alcuni casi le sentenze che avevano accertato l’esistenza  di questo effetto acceleratore furono confermate (non perché il giudice di legittimità avesse manifestato di condividere la sottostante tesi scientifica accolta dal giudice di merito che giustificava questa soluzione bensì perché non era stata ravvisata l’esistenza di vizi di motivazione censurabili in sede di legittimità), in altri casi, invece, furono annullate (anche quelle di condanna) perché era stata ravvisata l’esistenza di quei vizi.

Fino al 2010, dunque, il problema riguardante la scelta della soluzione scientifica accolta dal giudice di merito era del tutto irrilevante nel giudizio di legittimità. 

In questo giudizio l’unico tema al quale era necessario fornire risposta era se la soluzione scientifica adottata, o la scelta della legge scientifica da applicare al caso di specie, operata dal giudice di merito, fossero state adeguatamente e modo logico motivate. 

Perché come osserva impeccabilmente Carlo Brusco: non possono mutare i criteri di valutazione della prova scientifica a seconda dei campi di ricerca e, soprattutto, a seconda della rilevanza degli interessi in gioco (che nel caso dell’amianto, riguardano la vita di decine di migliaia di persone, e, dunque, richieste di risarcimento  i cui livelli sono facilmente immaginabili, tali da costituire il settore che ha dato e darà luogo alla più ingente controversia, sotto il profilo economico, di tutti i tempi: così a pag. 158). 

L’Autore si interroga, poi, sul criterio che il giudice di legittimità dovrebbe seguire per valutare (non l’attendibilità del sapere scientifico introdotto nel processo: non è compito suo) se il giudice di merito abbia logicamente motivato sull’attendibilità di tale sapere scientifico . A tal proposito, nell’assenza di criteri enucleati dalla nostra giurisprudenza, sono richiamati i parametri elaborati dalla Corte Suprema Federale degli Stati Uniti a partire dalla sentenza relativa al caso Daubert, del 1993. 

Quindi, l’importanza  della controllabilità, falsificabilità e verificabilità della teoria o della tecnica posta a fondamento della prova, la percentuale di errore conosciuto o conoscibile, la possibilità che la teoria o la tecnica abbia formato oggetto di controllo da parte di altri esperti perché divulgata in pubblicazioni scientifiche o con altri mezzi, la presenza di standard costanti di verifica, il consenso generale da parte della comunità scientifica.

Dunque, il consenso generale della comunità scientifica, scrive Brusco, non può più essere l’unico parametro al quale ancorare la valutazione dell’attendibilità del sapere scientifico (di qui una delle critiche mosse alla sentenza Cozzini  che, invece, sembra avere privilegiato questo parametro, dal 1993 ritenuto insufficiente dalla Corte Suprema degli USA).

Come avverte il nostro Autore, mai come in questa materia il consenso della comunità scientifica rischia di essere fuorviante in ragione dei tentativi di “inquinamento” di natura scientifica perché: <<è naturale, e addirittura ovvio, che i potenziali responsabili dei danni  -che alla fine di questa vicenda assumerà, o forse ha già assunto, le caratteristiche del più grande, e di più ingente valore, complesso di controversie riguardante il risarcimento danni che sia stato da sempre avviato- si rivolgeranno  (anzi ci si può esprimere anche per il passato perché ciò è già avvenuto) ai più illustri scienziati per essere tutelati nei giudizi e che questi scienziati, ovviamente in buona fede, e nello svolgimento del loro mandato, cercheranno di individuare gli aspetti di debolezza delle teorie che vanno a detrimento dei loro assistiti, ottenendo il giusto compenso, non necessariamente in denaro ma anche con l’attribuzione di incarichi bel remunerati per l’opera svolta>>. 

Dunque, prosegue Brusco, è ragionevole ritenere che su questo tema mai si raggiungerà il consenso della comunità scientifica. 

In ogni caso, mette in guardia l’Autore, una volta verificato che il consenso della comunità scientifica non esiste, in base ai principi indicati, non è giuridicamente corretto (se non nella logica della sentenza Frey, superata, come detto, dalla sentenza Daubert) fermarsi a questa constatazione senza verificare se altri criteri, tra quelli già indicati, siano idonei a far venir meno la situazione di incertezza che il criterio utilizzato genera, «a meno di ritenere che mai sarà possibile accertare la causa di un evento, nei casi in cui ne siano derivati rilevanti danni economici, perché in questi casi, se esistono (come quasi sempre avviene) dubbi sull’individuazione della causa che li ha provocati, avremo sempre esperti in disaccordo sulla risposta da dare al quesito indicato» (pagg. 185, 186). 

Nel nostro campo, prosegue Brusco, il giudice deve quindi verificare la possibilità di utilizzare gli altri criteri indicati  nella sentenza Daubert o altri che siano ragionevolmente ipotizzabili. 

La natura e le caratteristiche di queste controversie (e in particolare la straordinarietà delle risorse economiche che sta alla loro base) richiedono che la ricerca vada corroborata anche da un’indagine effettiva e rigorosa sull’indipendenza degli scienziati (compresi quelli che vengono abitualmente nominati dalle pubbliche accuse)  che hanno espresso i loro giudizi sul tema in questione. 

E a chi deve essere attribuito questo compito se non ai giudici di merito competenti a conoscere delle controversie in esame? 

Fermo restando che se, nonostante l’utilizzazione di tutti i criteri idonei a fornire una risposta, si perverrà a un giudizio che non consente di ritenere superato il limite del ragionevole dubbio, occorrerà prenderne atto. 

L’Autore invece contesta che si possa pervenire a queste conclusioni sulla base di criteri e conoscenze parziali, fondate su una prevalenza di opinioni solo numerica e non di carattere valutativo, osservando come  recentemente si sia fatta strada anche nella giurisprudenza di legittimità (della terza sezione penale) l’affermazione della necessità che, nei casi in cui esistano contrapposte tesi tra gli scienziati il cui parere sia stato acquisito al processo, venga valutato anche il grado di indipendenza di coloro che queste diverse tesi abbiano sostenuti (la sentenza n. 11451 della 3^ Sezione penale del 6-11-2018, Chianura, Rv. 275174  ha affermato che «il contrasto di opinioni scientifiche non è di per sé sufficiente a escludere l’esistenza di una legge di copertura, ove non si verifichi il grado di indipendenza degli esperti e la validità delle argomentazioni sottese alle opinioni antagoniste»).   

Nell’esaminare le contraddizioni della sentenza Cozzini  l’Autore rileva come tale sentenza, pur affermando correttamente  che l’accertamento  sulla validità  della conoscenza scientifica introdotta nel processo compete al giudice di merito, giunga poi a conclusioni opposte. 

Perciò, continua Brusco, se l’accertamento  sulla validità  della conoscenza scientifica introdotta nel processo compete al giudice di merito, ciò equivale a dire che ogni processo è una storia a sé e che una valutazione generalizzante, da parte della Suprema Corte, è consentita solo quando si verta in materia di interpretazione della legge. 

Il vizio di motivazione, invece, può riguardare  esclusivamente la specifica giustificazione della decisione e quindi il singolo processo che viene in considerazione. Per questa ragione, prosegue l’Autore, la sentenza Cozzini  smentisce clamorosamente l’assunto di partenza, con la successiva affermazione il base alla quale: «sul tema dell’accelerazione dei processi eziologici si registra nella giurisprudenza una situazione che, magari giustificata all’interno di ciascun processo e delle informazioni e valutazioni scientifiche che vi penetrano, risulta tuttavia inaccettabile nel suo complesso». 

Secondo l’Autore questa affermazione, che rappresenta il fulcro della motivazione della sentenza Cozzini, vale a immutare profondamente il ruolo del giudice di legittimità: se la Corte si attribuisce un ruolo consistente nel ritenere accettabile o meno un orientamento giurisprudenziale che si è formato (non in merito all’interpretazione di una norma), è evidente che invade il terreno del giudice di merito. Assume un ruolo che fuoriesce dalle sue attribuzioni. I giudici della sentenza Cozzini, scrive ancora Brusco, non si sono resi conto che con l’affermazione secondo la quale sul tema dell’accelerazione la soluzione poteva essere giustificata all’interno di ciascun processo,  hanno sostanzialmente (e inconsciamente?) affermato che, in base ai poteri e alle competenze del giudice di legittimità quelle singole decisioni (di condanna o di assoluzione) avrebbero dovuto essere confermate. 

Insomma, a dire dell’Autore, la sentenza Cozzini ammette implicitamente di aver esercitato un potere non previsto e non consentito al giudice di legittimità e neppure alle Sezioni Unite della medesima Corte! Non può il giudice di legittimità attribuirsi un compito  che non gli spetta perché la situazione di incertezza è intollerabile per il sistema (così si legge nella motivazione della sentenza Cozzini).

Infatti, una situazione di incertezza -peraltro frequentissima nella giurisprudenza civile e penale di legittimità, spesso ricollegata alla diversità dei casi esaminati-  non autorizza la Corte di cassazione ad auto-attribuirsi compiti (quale quello di assegnare la patente di intollerabilità a un determinato orientamento di merito che non si condivide) che non le spettano, essendo obbligo dei giudici rimanere sempre all’interno delle loro attribuzioni.

Ma poi, osserva  Brusco,  chi è “il sistema” e chi lo rappresenta? La quarta sezione penale della Corte di Cassazione? Anzi, una parte di essa visto che non tutte le sentenze della sezione  hanno condiviso la sentenza Cozzini?

Secondo l’Autore l’unico aspetto che distingue questo caso, rispetto a quelli quotidianamente esaminati dai giudici di merito e di legittimità, è costituito dall’entità complessiva dei risarcimenti chiesti in giudizio.  

Il giudice di legittimità si è quindi attribuito un compito di valutazione non della logicità della soluzione accolta nel caso concreto esaminato ma di un complesso di accertamenti -che egli stesso afferma essere attribuiti alla valutazione del giudice di merito- ritenendo inaccettabile che un complessivo orientamento giurisprudenziale di merito offrisse soluzioni contrapposte.

Questa pretesa del giudice di legittimità di valutare l’esito complessivo della giurisprudenza di merito chiosa Brusco, ha finito per trasformare la Corte di cassazione  in giudice del merito: è la Cassazione che decide quale sia la corretta tesi scientifica da applicare non al singolo caso bensì alla generalità dei casi esaminati. È infatti ovvio che se la Cassazione esprime un giudizio che riguarda una serie di casi, e non più la logicità della motivazione del singolo caso portato alla sua attenzione, la sua non è più una valutazione che riguarda il singolo processo bensì un giudizio che riguarda l’interpretazione di un complessivo orientamento giurisprudenziale di merito.

A fronte di questa palese violazione delle regole l’Autore evidenzia come non si siano registrate reazioni nella comunità scientifica e icasticamente osserva come, con ogni probabilità,  non altrettanto sarebbe accaduto in caso contrario (ossia se, a fronte di un orientamento di merito prevalentemente negativo sull’esistenza di una legge scientifica di conferma dell’effetto acceleratore, la Cassazione avesse affermato che era inaccettabile tale orientamento).

Il libro si sofferma anche sulle sentenze pronunciate successivamente dalla IV e dalla III sezione della Suprema Corte che non hanno censurato le conclusioni raggiunte dai giudici di merito in ordine all’efficacia causale delle ulteriori esposizioni  dopo l’iniziazione del processo tumorale (analogamente alla sentenza Macola del 2002 di cui Carlo Brusco fu l’estensore[2]).

D’altra parte lo stesso Autore, pur sottolineando  più volte di non voler prendere posizione a favore di alcuna tesi scientifica esulando tale compito dalle sue competenze di giurista, ricorda come neppure la scienza abbia raggiunto, su questo punto, certezze granitiche o tranquillanti e come, anche di recente, si sia espressa a favore dell’esistenza dell’effetto acceleratore nella III Conferenza  italiana di consenso dedicata a varie problematiche riguardanti anche il mesotelioma pleurico, del 2015.


 
[1] Si tratta della Sentenza  della Sez. IV , 17 settembre 2010 n. 43786 (in Cass. pen. 2011, 1679).

[2] si tratta della Sentenza della IV Sezione, n. 953, dell’11/7/2002, in Cass. Pen. 2003, 3383. 

16/10/2021
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