Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo).
Antonio Gramsci, Quaderni dal Carcere, VI Quaderno
E’ necessario partire dal titolo del film – che collega la persona di Enrico Berlinguer alla “grande ambizione” evocata da Antonio Gramsci nei Quaderni dal Carcere – per comprendere la strada narrativa che il regista ha voluto percorrere, richiamando costantemente il concetto di politica come missione al servizio dei cittadini e raccontando, attraverso la storia degli anni ’70, il significato che Enrico Berlinguer assegnava alla sua presenza nel Partito Comunista Italiano ed alla proposta di giungere ad un “compromesso storico” con la DC , proposta che creò accese discussioni e laceranti divisioni in tutto il mondo politico.
Le riflessioni di Gramsci affrontano un tema scottante, ancor più nella nostra epoca in cui, spesso e molto più che in passato, gli interessi personali dei protagonisti della politica prevalgono su quelli della comunità. Ciò ha generato una clamorosa distorsione dell’approccio alla gestione dell’interesse pubblico sia da parte di chi governa sia da parte di chi è governato: infatti, a fronte delle frequenti “piccole ambizioni”, i cittadini si allontanano progressivamente dalla partecipazione attiva alla politica, astenendosi anche dall’andare a votare.
La domanda che si poneva Antonio Gramsci, nell’incipit delle sue riflessioni, era la seguente: «Può esistere politica, cioè storia in atto, senza ambizione?».
E dalla risposta – che si incentra sulla valorizzazione dell’ambizione come imprescindibile qualità di chi si assume la responsabilità di governare[1] - prende le mosse il film sulla storia di Enrico Berlinguer, intrecciata con quella dell’Italia e del mondo, nel pieno fermento degli anni ‘70.
Il film parte da uno sguardo sugli eventi internazionali.
Il tramonto dell'ideologia di Salvador Allende e delle speranze del popolo cileno - che passa rapidamente da un socialismo che aveva raggiunto il potere in modo pacifico al terribile regime sanguinario di Augusto Pinochet - rafforzano la convinzione di Berlinguer della necessità di trovare, in Italia, una via democratica al socialismo, che possa affrancarsi dalle ingerenze delle potenze straniere.
La sua convinzione è talmente forte e vissuta nella sua vita quotidiana, anche familiare , che non lo ferma nemmeno l'attentato di cui è vittima in Bulgaria che rimane nascosto e del quale non ha mai voluto dare alcuna pubblicità: la sua idea è quella di «trasformare l'intera struttura economica e sociale» del Paese, ponendo fine ad ogni forma di sfruttamento, in particolare quello dei datori di lavoro sui lavoratori.
Il Partito Comunista Italiano - del quale venne eletto segretario, anche grazie alla sua leadership fondata su profonda umanità, grande passione e capacità di azzerare le distanze con il popolo con cui voleva costantemente comunicare - riporta un consenso crescente nei sondaggi ed alle urne: nonostante ciò egli è consapevole di non poter accedere al governo se non attraverso un'alleanza fra le forze popolari antifasciste, ovvero quelle comuniste, socialiste e cattolico-progressiste, unite nella ricerca di una prospettiva stabile e rigogliosa per tutto il paese.
Per questo progetto, fu fondamentale l’incontro con Aldo Moro che aveva, all’interno della Democrazia Cristiana, una visione parallela, volta a determinare l’avvicinamento dei due grandi partiti popolari interclassisti che iniziarono a prospettare la ricerca della “terza via”: per Berlinguer ciò significava allontanarsi dal comunismo filosovietico realizzando il socialismo nella democrazia.
Egli si assunse l’enorme responsabilità di un progetto tanto dirompente quanto destabilizzante per le visioni tradizionali che vedevano possibile fra la destra e la sinistra soltanto un’aspra contrapposizione: il suo carattere sobrio ma comunicativo ed il ruolo che accettò di rivestire era fondato sul senso del dovere verso “la grande ambizione”, tanto da sacrificare molto spesso il tempo per gli affetti familiari.
Nel film è rappresentato magistralmente (attraverso l’eccellente interpretazione di Elio Germano e degli altri componenti del cast) anche il rapporto con la sua famiglia che è intenso, umano, reale: può davvero sintetizzarsi nella fusione fra “personale e politico” che proponeva quotidianamente alla moglie ed ai figli come un esemplare stile di vita.
Nel percorso narrativo – che descrive gli eventi della storia italiana fra il 1973 ed il 1978[2] - l'idea del compromesso storico segnerà la fine della progressiva ascesa del PCI e determinerà il tragico destino di Aldo Moro: vicenda rispetto alla quale anche la posizione intransigente al ricatto delle Brigate Rosse venne vissuta da Berlinguer con una dolorosa assunzione di responsabilità di cui rese partecipi, con grande chiarezza, anche i suoi familiari.
Il regista dipinge il ritratto di una democrazia condizionata dalle influenze straniere, e mai abbastanza coraggiosa nel portare avanti una vera evoluzione socioeconomica. Allo stesso modo il film descrive con precisione la soggezione della Sinistra italiana degli anni '70 al giudizio di Mosca e la crisi strutturale del capitalismo mondiale che Berlinguer avvertiva come inevitabile.
Egli - secondo il messaggio filmico di Andrea Segre – cercava di smarcare il suo PCI dall'Unione Sovietica, condannava ogni violenza estremista in Italia e la persecuzione politica dei dissidenti nell'URSS, inneggiava alla «realizzazione piena di tutte le libertà dell'individuo, tranne quella di sfruttare gli altri», e preferiva la collaborazione alla competizione, perseguendo un principio di solidarietà che, oggigiorno, rappresenta un obiettivo quanto mai attuale.
Lo stile del film è parzialmente documentaristico, arricchito da materiali d'archivio, e la parte narrativa riprende più volte i momenti collettivi in cui è presente il popolo che lo aveva eletto: oltre alla folla sempre presente nei comizi, è commovente la ripresa del suo funerale partecipato da tutti coloro che lo avevano stimato, amato ed anche contrastato.
«La grande ambizione» di Berlinguer, dunque, rievoca le parole di Gramsci: non è un esercizio narcisistico di chi vuole raggiungere o ha raggiunto il potere, ma rappresenta lo sforzo di mettersi al servizio dell’intera comunità che lo aveva eletto, con un occhio di particolare attenzione per i giovani.
Egli aveva capito l’importanza di puntare su di loro e sulla cultura della partecipazione.
«Se i giovani si impadroniscono di ogni ramo del sapere e si organizzano e lottano al fianco dei lavoratori, degli sfruttati, degli operai non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull'ingiustizia»: questa affermazione – pronunciata in uno dei tanti comizi dei quali è stato protagonista – rappresenta l’eredità che ha voluto lasciare al futuro della politica.
Speriamo che la sinistra, ad oggi caratterizzata da contrapposizioni che la condannano quasi sempre alla sconfitta, prima o poi sappia raccoglierla: certamente, il film di Andrea Segre, oltre al valore storico, costituisce, a tal fine, un messaggio importante.
[1] Dai Quaderni dal Carcere di Antonio Gramsci, VI Quaderno: «“L’ambizione” ha assunto un significato deteriore e spregevole per due ragioni principali:1) perché è stata confusa l’ambizione (grande) con le piccole ambizioni; 2) perché l’ambizione ha troppo spesso condotto al più basso opportunismo, al tradimento dei vecchi principii e delle vecchie formazioni sociali che avevano dato all’ambizioso le condizioni per passare a servizio più lucrativo e di più pronto rendimento. In fondo anche questo secondo motivo si può ridurre al primo: si tratta di piccole ambizioni, poiché hanno fretta e non vogliono aver da superare soverchie difficoltà o troppo grandi difficoltà, [o correre troppo grandi pericoli].
È nel carattere di ogni capo di essere ambizioso, cioè di aspirare con ogni sua forza all’esercizio del potere statale.
Un capo non ambizioso non è un capo, ed è un elemento pericoloso per i suoi seguaci: egli è un inetto o un vigliacco. [Omissis].
La grande ambizione, oltre che necessaria per la lotta, non è neanche spregevole moralmente, tutt’altro: tutto sta nel vedere se l’"ambizioso" si eleva dopo aver fatto il deserto intorno a sé, o se il suo elevarsi è condizionato [consapevolmente] dall’elevarsi di tutto uno strato sociale e se l’ambizioso vede appunto la propria elevazione come elemento dell’elevazione generale.
Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni (de proprio particulare) contro la grande ambizione (che è indissolubile dal bene collettivo). Queste osservazioni sull’ambizione possono e devono essere collegate con altre sulla così detta demagogia. Demagogia vuol dire parecchie cose: nel senso deteriore significa servirsi delle masse popolari, delle loro passioni sapientemente eccitate e nutrite, per i propri fini particolari, per le proprie piccole ambizioni (il parlamentarismo e l’elezionismo offrono un terreno propizio per questa forma particolare di demagogia, che culmina nel cesarismo e nel bonapartismo coi suoi regimi plebiscitari). Ma se il capo non considera le masse umane come uno strumento servile, buono per raggiungere i propri scopi e poi buttar via, ma tende a raggiungere fini politici organici di cui queste masse sono il necessario protagonista storico, se il capo svolge opera «costituente» costruttiva, allora si ha una «demagogia» superiore; le masse non possono non essere aiutate a elevarsi attraverso l’elevarsi di singoli individui e di interi strati “culturali”».
[2] Gli eventi progressivamente descritti nel film sono, fra gli altri, la strage di Brescia; l’incontro con Brezhnev che invita Berlinguer alla cautela contro la possibilità di allearsi alle forze democristiane; il referendum per l'abrogazione della legge sul divorzio; l'attentato delle Brigate Rosse a Francesco Coco; le intercettazioni telefoniche dei servizi segreti e naturalmente l'omicidio di Aldo Moro.