Magistratura democratica
Magistratura e società

Sapere, sapere essere, sapere fare

di Daniela Piana
professoressa ordinaria di scienza politica

Le capacità istituzionali costruite dalla Scuola Nazionale del Notariato come esempio di politica istituzionale formativa e culturale

1. Scuola

Come coro. Un insieme che è più delle parti, ancorché le parti le sapresti distinguere, vedere, riconoscere. Una aula di più di cinquanta persone, persone, sì, prima ancora che professionisti, con le loro aspirazioni, i loro sogni, la vita dinnanzi, e un paese che aspetta. Con le sue domande di regole, di fiducia, di servizi, di ascolto. 

Roma. Scuola Nazionale del Notariato che è anticipata dall’organizzazione del Notary Camp. Quest’anno il campus estivo sorge qui, nel caldo della capitale, nei luoghi fatti di linearità e di essenzialità, accessi facili, piano rialzato, più di cinquanta partecipanti che in un tempo variabile, ma prospetticamente prossimo, saranno candidati al concorso per entrare nel notariato. 

Questo tratteggio di una fenomenologia da scuola estiva è una delle narrative che tale esperienza induce a costruire. Ve ne è una di natura scientifico-istituzionale che, avvalendosi di una prospettiva comparata, ma soprattutto di una lente intertemporale, permette di offrire una misura del valore aggiunto che è generato dalla creazione di un ciclo di vita dei saperi il quale, strutturalmente, si configura come Scuola. Esso gravita nell’alveo della costruzione della identità professionale di una funzione binomiale della nostra democrazia, fra servizio pubblico e risposta di prestazione professionale alle domande del cittadino, della cittadina, della società. 

Se, da un lato, la politica di formazione degli attori del sistema della rule of law in action – torneremo sul valore concreto che “in action” ha per il cittadino e per le giovani generazioni che si apprestano ad intraprendere la professione – è tema diffuso e noto nella letteratura socio-giuridica comparata, in particolare con attenzione alle esperienze europee, si sente oggi il bisogno culturale e scientifico di riflettere sulle ragioni rinnovate ed attualizzate che fanno della politica formativa di una istituzione della rule of law, come lo sono le istituzioni che danno corpo e struttura alle funzioni di garanzia, di imparzialità, di adeguamento della normatività  al caso concreto ed individuale vissuto come una “domanda di diritto” hic et nunc, una politica costituente. 

Per “costituente” si intende qui riferirsi al fatto che le capacità – che vedremo non solo di merito e di competenza settoriale, ma anche di modus operandi e di modus essendi – che si creano attraverso la formazione e negli spazi della formazione, fisici e relazionali, sono destinate a durare nel tempo se risultanti da una Scuola, nel senso etimologico della parola. 

Si intende sottolineare con tale passaggio il fatto che è necessario oggi, nella congiuntura storica in cui ci troviamo, avere la certezza e la prevedibilità nella continuità di tempi e spazi dedicati a quella triadica funzione che è sempre stata nella governance della conoscenza e nel presidio della qualità attraverso la conoscenza: costruire, condividere, trasformare insieme i saperi che contraddistinguono una funzione. Di qui discende l’importanza del mettere al centro della creazione di una Scuola il valore aggiunto che essa apporta in termini di “sapere essere” e “sapere fare”. 

Aspetti dell’esserci della professione nel “mondo”, dove quel mondo risente della capacità performativa e normativa di una risposta a domande di diritti che prendono la forma di problemi quotidiani pervasivi della vita dei singoli: l’acquisto della casa, l’espressione della volontà di un testatore, la costruzione di una società, la iscrizione al registro di un ente del terzo settore, la sottoscrizione di una procura per garantire una persona più debole in un momento di fragilità acuta o cronica della vita. Ed ecco che già vista così la Scuola non è più un luogo conchiuso dove entrare, svolgere un compito ed uscire, bensì uno spazio con i suoi tempi, ritmati fra dialogo, ascolto, eredità e condivisione, tessitura di rapporti di colleganza, modalità di porsi rispetto ai problemi, acquisizione di posture etiche ed epistemiche che sono, da un lato, rispondenti a principi universali e, dall’altro lato, declinate al presente – e perché no, anche al futuro. 

Da queste considerazioni scaturisce la ragione dell’importanza di dare rilievo ad un caso di politica istituzionale che introduce nel nostro sistema paese una nuova entità, una Scuola, la Scuola Nazionale del Notariato. Occasione preziosa per riflettere sul valore aggiunto di tale scelta non soltanto per il Notariato e le sue diverse articolazioni territoriali, ma anche per l’intero ecosistema delle istituzioni che permettono di passare dalla rule of law alla rule of law agìta, in azione per le persone. 

 

2. Una Scuola, molte voci

La Scuola Nazionale del Notariato si configura come una espressione strutturalmente incardinata all’incrocio fra Consiglio nazionale del notariato, Fondazione italiana del notariato, Cassa nazionale del notariato, della politica istituzionale di rafforzamento non solo della consapevolezza identitaria professionale e funzionale dei notai, trasversalmente ai territori e ai distretti, ma anche – e, per l’argomento portato qui di seguito, soprattutto – di consolidamento di un meccanismo di creazione, validazione, trasmissione e appropriazione di saperi giuridici e tecnici connessi con ciò che gli studiosi empirici delle istituzioni chiamano rule of law in action

La traiettoria che conduce alla istituzionalizzazione di quello che nasce come un progetto culturale ed una risposta alla domanda funzionale di trovare uno spazio radiale, plurale e capace di assicurare un coordinamento fra le voci che del notariato esistono e si esprimono ovvero si declinano sui territori, attraversa due snodi fondamentali, rappresentati da due nodi gordiani. 

Il primo riguarda la dicotomia presenza/remoto. Il secondo riguarda il tema della scelta del metodo pedagogico. La prima e la seconda questione non sono chiaramente disconnesse. La scelta se optare per l’e-learning nelle sue molte forme, dal sincrono all’asincrono finanche all’utilizzo delle piattaforme per sessioni interattive e di simulazione o per la presenza viene così inquadrata: cosa si apprende in presenza che non si apprende in remoto? Quale è il quid che qualifica la professionalità? La scelta della presenza è una scelta impegnativa sul piano della sostenibilità e della fattibilità. Spazi, infrastrutture, logistica, segreteria. Eppure, la scelta, stando ai riscontri che la survey condotta fra i partecipanti al Notary Camp che della Scuola anticipa metodo, stile e modus operandi, è rispondente ai bisogni latenti delle nuove generazioni e, anche, delle generazioni che della professione notarile portano un sapere più radicato, in quanto portatrici di seniority. L’elemento dirimente è nella triade che è stata enunciata nel titolo. Sul piano scientifico questa prospettiva ha un suo fondamento: l’agire è sempre il risultato di una triade di grammatiche, di cui una ha a che vedere con il sapere di merito – diremmo di settore – una è connessa con il sapere essere ed è attinente alla cultura che funge da radice e da orizzonte, la terza è relata al sapere fare, direttamente legato alle dimensioni di carattere deontologico ma anche alle capacità di sapersi relazionare. L’una senza le altre due facce dell’agire sarebbe parcellizzata e in qualche modo parziale. 

La Scuola in presenza è una esperienza di apprendimento a sapere, sapere essere e sapere fare. Questo non espunge tuttavia l’avvalersi in via complementare, integrativa, di tutte le strumentazioni offerte dal de-materiale e dal remoto, modalità che permettono l’accesso ad un patrimonio in dotazione dell’Ufficio studi del CNN, e di un patrimonio che si andrà costruendo nel tempo a partire dal track record dei materiali delle sessioni formative. 

La seconda scelta ha a che vedere con il metodo pedagogico. Per potere inquadrare questa scelta si ragiona in termini di quale sia la natura di quell’oggetto impalpabile ed essenziale che è il sapere: come è costruito, di quali parti si compone e come si qualifica in termini di correttezza, validità, accettabilità. Dietro alla scelta della pedagogia c’è una riflessione che è in fondo di natura epistemologica. È dirimente l’argomento della funzione di adeguamento della norma al caso, al problema di vita della persona. Se è questo ciò che occorre sapere fare, se è in quel ponte di adeguamento che occorre sapere essere, allora il sapere non può che essere al contempo sia teorico sia pratico. Per questo il metodo SNN che viene prima testato nel Notary Camp e poi viene introdotto nel programma di accompagnamento all’entrata nella professione dalla SNN consiste di una “navette” fra i piani alti e i piani bassi dell’"albero di Porfirio", dell’albero delle astrattezze, fra norma generale, e casistica, fra consapevolezza del consolidato dottrinale ed elaborazione di un ragionamento per trovare soluzione ad un caso. È un approccio di problem solving che viene introdotto innanzitutto nelle sessioni del Notary Camp. 

Come si articola? La mattina enunciazione, descrizione, presentazione del sapere teorico di riferimento su una particolare tematica. A seguire la proposta di una traccia, come un tema. Con una prospettiva casistica. Sulla elaborazione dei partecipanti una discussione, animata e coordinata da profili senior. Lo spirito è quello della scola, ossia del laboratorio di idee. Ciò che preme trovare è il cavillo del ragionamento, la strada per uscire dal puzzle, non la soluzione che “one fits all recipe”. In quel “gioco pedagogico che combina frontalità, interattività, ragionamento analogico deduttivo ed induttivo” si costruisce la scoperta di una identità professionale. 

Una settimana scandita da questo ritmo che ha un luogo dedicato, la prevedibilità del sapersi parte di una comunità epistemica che si costruire. La Scuola è il luogo di tutti. 

Si tratta di un manifesto che non è solo soltanto la enunciazione di un programma formativo. Si tratta di una scelta istituzionale che ha connotazioni di scelta culturale. Per questo vale la pena soffermarsi su quanto tale esperienza sia oggi tempestiva, opportuna e necessaria, in una ottica di risposta ad una forte trasformazione del paradigma del fare professione della rule of law in action, nella società che rapidamente evolve e al contempo necessita di repère capaci di durare nel tempo. 

Il percorso di institutional building merita una riflessione e un apprezzamento. Invece di avviare la Scuola con il programma annuale di accompagnamento alla entrata nella professione si opta per un metodo incrementale che prevede una differenziazione dell’offerta nei metodi e nei tempi. Per quanto riguarda i tempi il Notary Camp dura l’arco di una settimana ed è stato replicato tre volte per tre diverse tematiche nel corso dell’estate. Un numero di almeno cinquanta partecipanti e una docenza proveniente dal mondo della professionalità notarile. Dieci ore laboratoriali, otto ore in presenza unitamente a quattro tracce tematiche con discussione correzione ed elaborazione sia individuale che collettiva costituiscono il tratto di un metodo che si pensa in fase di verifica per renderlo poi scalabile su base annuale. 

Le interviste ai partecipanti permettono di mettere a fuoco uno degli elementi di maggiore qualità che vanno considerati quando si fa valutazione della formazione. Non si tratta soltanto di misurare il trasferimento di un sapere, certamente importante, necessario, vitale, ma anche di individuare l’avvio di un percorso che costruisce consapevolezza nel sapere fare e sapere essere. I partecipanti riconoscono di avere iniziato l’esplorazione di un ethos oltre che un logos. Si tratta di vedersi agire con gli altri futuri colleghi e le altre future colleghe in una ottica che è perimetrata dalla dottrina ma che è aperta ad evoluzioni ed approfondimenti ossia trasformazioni nell’incontro con il caso specifico, il punto di vista dell’altro sullo stesso problema, la centralità del ragionamento. È il modo di ragionare, ancora prima che del modo di redigere gli atti, ad essere centrale. 

 

3. Costruire una capacità di sapere 

I partecipanti arrivano, a piccoli gruppi, si sistemano, scambiano qualche parola e, ovviamente, aprono i computer, anzi gli iPhone, e aspettano. Stanno aspettando l'inizio della lezione. 

I partecipanti hanno già una routine in mente che è quella vissuta all’università. In moltissime università diverse, situate nei contesti più diversi, il rito istituzionale di avere un gruppo di giovani riuniti in una stanza, per assistere ad una lezione in classe, rappresenta un'esperienza così consolidata, un'esperienza che va da sé, che molto raramente guardiamo per porre la domanda: quale tipo di rituale epistemologico è alla base di questo metodo di trasmissione della conoscenza? 

Nella Scuola nazionale del notariato trovano un paradigma, che coniuga l’essere immediatamente immessi in una comunità di pratiche e di saperi, che si protrarrà nel tempo e che si distribuirà nel suo agire nei territori del paese, con il sapere tecnico. Al di là delle tante differenze che separano le discipline, un filo comune le unisce tutte in un paradigma che si fonda sull’idea – preservata tra quelle implicite più rigide e sacre – che esista un sapere sufficientemente durevole e permanente da meritare di essere trasmesso a generazioni future, che tale conoscenza è essa stessa strutturata, addirittura organizzata in capitoli, che sarebbero, se necessario, il contenuto dei capitoli di manuali, codici, libri di dottrina.

Già nel Notary Camp si intravede una prospettiva che fa una eco positiva nelle riflessioni della sociologia dei processi culturali e della conoscenza, la quale in modo crescente a partire dagli anni 90 del secolo scorso ha messo l’accento sulle nuove forme della conoscenza, ma soprattutto sulle innovazioni di metodo nella costruzione e nella conservazione ovvero nella memoria di ciò che è definibile come “apprendibile”. Cosa è l’”apprendibile”? Ciò che ha la capacità di generare un significato in chi quel sapere lo userà per fare, per decidere e per produrre altro sapere, in una ottica aperta, crescente, incrementale o, in taluni momenti storici, di salti di paradigma. 

Il riconoscimento del fatto che accanto alle conoscenze costruite a partire da approcci metodologici che ciascuna disciplina considera legittimanti, sul piano gnoseologico, il prodotto cognitivo ed epistemico, occorrono quelle che costituiscono il risultato di una esplorazione dell’adeguamento normativo e dottrinale alla casistica della vita, economica, sociale, familiare, relazionale appare centrale nella discussione e nel percorso intellettuale che ha portato alla creazione della Scuola. 

I giovani e le giovani aspiranti professioniste che si avvicinano alla funzione notarile lo fanno con una duplice dotazione, di saperi e di orientamenti strategici. Hanno certamente consapevolezza e maîtrise dei fondamenti da cui si costruiscono le successive tappe di integrazione di conoscenze, acquisite leggendo gli studi elaborati dai rapporti e dagli approfondimenti che si trovano nella memoria storica, ad esempio dell’Ufficio studi del Consiglio nazionale del notariato. Il legame tra consolidamento della conoscenza, trasmissione della stessa sotto forma di dottrina, consolidata in forme che dovrebbero persistere nel tempo e persistere nello spazio, costituisce un anello cruciale, vitale, non solo della modernità, come noi siamo spesso tentati di dire, ma di tutte le epoche che vivono all’interno di un paradigma. 

Baudrillard aveva perfettamente ragione quando diceva che cominciamo a parlare di qualcosa e che la legittimità di questo “qualcosa” comincia a cedere agli attacchi della vita reale. 

Ecco perché il criterio di qualità della scelta duplice, quella che consiste nella: 1. istituzione della scuola e 2: nella adozione del metodo SNN che consiste appunto nell’assicurare una continua navette strutturata e razionalizzata fra astratto e concreto, fra generale e singolare, fra norma e caso, è ciò che trova eco nelle interviste fatte ai partecipanti, i quali si sentono di trovare risposta ad un loro bisogno. Non si tratta solo del bisogno di un determinato tipo di sapere. Il discorso sulla cultura odierna e sugli scenari che il nostro futuro ci permette di prospettare, o di temere a seconda delle prospettive, sembra piuttosto richiedere un'interrogazione profonda non sui modelli, ma sulle modalità con cui costruiamo i modelli della conoscenza legittima, da dove la attingiamo, come la verifichiamo e soprattutto come la trasmettiamo alle generazioni future. 

Ci aiuta la nostra possibilità, molto contemporanea, di viaggiare spesso e di metterci in contatto con contesti, sistemi di pratiche sociali, linguistiche, comunicative, istituzionali diversi, totalmente diversi dai nostri o talvolta attesi come i nostri ma in realtà distaccandosi dai nostri. per ragioni di appropriazione o di adattamento, di ibridazione alle tipologie di situazioni vissute.

Quel giorno in cui una o uno dei partecipanti si troveranno – già nell’esercizio della professione notarile – ad avere un dubbio, ad identificare una fallacia nella giurisprudenza, ad avere una ipotesi di adeguamento della norma ad una tipologia di casi che tendono per evoluzione della società ad emergere, allora saprà a quale fonte di sapere fare riferimento. Non una fonte monadica, ma un luogo dove il sapere dottrinale, storicamente elaborato. si arricchisce dello studio di chi c’è stato e di chi ci sarà. Ossia una Scuola. Come la intendevano i classici. 

 

4. Costruire la capacità di sapere fare

Quando, nel 1928, Pierre Chareau progetta e realizza a Parigi la Maison de verre agisce ispirato da un’idea semplice, ma rivoluzionaria: mettere in trasparenza non solo la forma, ma anche la sostanza, non solo il significante architettonico, ma anche le funzioni interne della Maison. Era, questa, una scelta che più e meglio delle altre forme di creazione e strutturazione possibili avrebbe parlato di modernità: la trasparenza (del vetro) come condizione facilitante l’esercizio della razionalità cartesiana, critica e partecipante. Una razionalità moderna centrata sul valore del soggetto, pensante e responsabile, che agisce in uno spazio strutturato e strutturante.

Di quella razionalità contrapposta o posta a bilanciamento del potere si è nutrito il secondo Novecento e la tradizione costituzionale repubblicana nell’assegnare alla professionalità qualificata, validata attraverso procedure imparziali e impersonali, prevedibili e trasparenti, la legittima azione di mise en oeuvre dello Stato di diritto.

Non sfugge di certo oggi che larga parte delle preoccupazioni che nascono in sede istituzionale in materia di regolazione delle nuove tecnologie muova dalla consapevolezza che accanto ad una esponenziale estensione delle possibilità di accesso alla informazione si associ una profonda e dilagante pervasione del dark and deep web. Come se, alla razionalità matematica della tecnologia, facesse da contro canto una sovversiva tendenza verso una realtà nascosta di cui non abbiamo maîtrise né cognitiva né giuridica. 

È come se la storia dello sviluppo intellettuale e scientifico dell’umanità ci obbligasse a fare i conti con la aspettativa che abbiamo riposto nella idea che l’accesso alle informazioni e la massimizzazione della visibilità possano, per se, rispondere ad un bisogno di controllo e di accountability del potere, concentrato o diffuso che sia. 

Insomma, sembra che fra lumen della trasparenza e parte abscondita della separatezza o della riservatezza vi sia una sorta di filo teso che si torce contro la prima quando, alla totale estroversione della visibilità e della comunicazione assegniamo tutto l’ònere di garantire la possibilità di controllare e sanzionare comportamenti lesivi o distorsivi di quell’ordine razionale che appunto è la architettura delle regole. 

La questione appare oggi di massima importanza proprio per la formazione, il consolidamento e la corrispondenza alla natura della contemporaneità della cultura istituzionale e etica del giurista. 

Detentrice di un potere vitale per la funzionalità e la durevolezza della democrazia, destinataria di una aspettativa diffusa di alta professionalità e di autonomia del giudizio, assicurata dalla conoscenza della techne del diritto, le professionalità del diritto sono chiamate oggi, in ragione della inevitabile significatività che il loro operato assume nel contesto della economia e della società, a interrogarsi e a impegnarsi sul tema della forma mentis con cui interpreta il ruolo che le compete secondo l’ordinamento costituzionale. Le parole sono pietre fondative. Forma mentis, prima della forma della techne del diritto. È con la mente formata in una chiave deontologica che ci si appresta ad esercitare la funzione giurisdizionale e consultiva. Significatività in contesto, ovvero autonomia ma non indifferenza, il che implica il sapersi porre, posizionale sia sul piano cognitivo – silenzioso – sia sul piano comunicativo – anche nelle comunicazioni istituzionali e specialistiche.

Il riferimento alla deontologia del ruolo appresa dentro al perimetro dell’esercizio della funzione attraverso la socializzazione all’esprit de corps forse non è più sufficiente nella misura in cui le forme di interazione con ordini normativi che sono eteronomi rispetto a quello della professionalità che si declina fra il diritto e l’ordine pubblico sono ormai tante e plurali, esse stesse. Una deontologia che sappia fondarsi sulla consapevolezza ancora prima che sul controllo disciplinare è divenuta fondamentale proprio per essere il primo baluardo di garanzia e il primo baluardo di autonomia e di imparzialità. 

La creazione di una Scuola va dunque intesa come una politica istituzionale costitutiva di un baluardo di autonomia, di imparzialità e di capacità di risposta comunicativa e rispondente ai bisogni e alle domande di diritto che nascono dalla cittadinanza.  

Il riferimento alla riflessione di un intelletto sensibile alla dimensione tacita (nel senso di Polanyi) del vivere civile, Adam Smith, sviluppata in merito ai presupposti morali al corretto funzionamento delle istituzioni, ivi comprese quelle del mercato, appare opportuno: l’uomo, afferma nella Teoria dei sentimenti morali, è stato reso immediato giudice di se stesso, ma in verità esiste un ben più alto tribunale della umanità, che risiede nella cognizione dell’individuo, e che prende la forma di uno spettatore ben informato ed imparziale, del nesso che intercorre fra il comportamento e la tipologia della situazione nella quale questo comportamento viene adottato. 

Ben informato ed imparziale. La/il partecipante ai percorsi di formazione di informazione di crescita di dialogo e di costruzione di saperi che sono coinvolti sin dall’inizio nella Scuola contribuiscono alla valorizzazione di quello che è un patrimonio culturale – dentro a questo ci sono i tre saperi di cui il titolo di questo lavoro enuncia già tutta l’importanza. Conoscere le norme è condizione necessaria alla capacità di poterle rispettare. Conoscere i comportamenti di chi è deputato ad assicurare il rispetto delle norme è condizione necessaria alla possibilità di sanzionarne la eventuale non rispondenza ai criteri normativi che si applicano alla situazione specifica nella quale il comportamento è stato tenuto. Trasparenza e accesso alle informazioni appaiono dunque condizioni necessarie sia per chi applica le regole sia per chi sanziona la violazione delle stesse. Ma non bastano. Infatti, il tribunale della coscienza deve essere imparziale. Come si forma tale imparzialità? È qui che interviene la formazione, non tanto e non solo come formazione professionale, ma come – se vogliamo prendere ispirazione dalla visione di Aristotele – compimento della capacità dell’individuo di rispondere a una dimensione di responsabilità nella sua vita, intesa in senso integrale.

 

5. Costruire capacità per l’ecosistema diritto e società: formazione congiunta e Scuole come pivot 

Negli ultimi 15 anni le istituzioni della rule of law hanno vissuto una lunga, intensa e significativa stagione di innovazione e sperimentazione organizzativa e tecnologica. Non da ultimo in questo la grande ondata di trasformazione implicata dal digitale e dell’intelligenza artificiale. Ad aggiungersi a questi fattori che in via esogena hanno catalizzato profondi cambiamenti va detto che sul piano normativo e processuale la giurisdizione ha vissuto essa stessa una ridefinizione di confini, competenze, anche per via incrementale. Una vastissima, e solo in parte puntualmente valutata e monitorata, pluralità di iniziative che si è intrecciata con una continua revisione, innovazione, riforma dei codici, di diritto processuale e sostanziale, nonché ad una intermittente ma pressante richiesta di introduzione di strumenti tecnologici aventi come obiettivo quello principale di migliorare l’efficienza degli uffici e quindi la trattazione dei procedimenti. 

Questo insieme di rete di esperienze ha lasciato tracce visibili nei piani organizzativi, nei moduli di lavoro, negli applicativi, nel discorso che gli attori della giustizia hanno sviluppato, nelle convenzioni con il territorio per migliorare e rendere più rispondente il rapporto fra diritto e società. Tracce che si sostanziano in saperi pratici, sapere innovare, sapere come modificare la organizzazione, sapere guidare il cambiamento, sapere interagire con le professionalità esterne. Saperi diffusi, ma in modo non omogeneo sul territorio. Saperi importanti, ma non abbastanza consapevoli. Saperi di cui spesso si parla ma che non sono ancora entrati nel tessuto della organizzazione reale e funzionale del sistema giustizia. 

La mancanza di una funzionalità sistemica si riflette anche in dati di carattere quantitativo che riguardano ad esempio i tempi di definizione dei procedimenti, la completa integrazione dello strumento delle notifiche telematiche, ad oggi ormai diffuso appieno su tutto il territorio, ma ancora percepito in modo differenziato e non primo di criticità nei diversi circondari del paese. 

Una mancanza di composizione dei diversi saperi prodotti dovuta anche al fatto che sovente le attività di innovazione e di promozione del cambiamento hanno avuto luogo a partire da azioni che vedevano il partenariato pubblico-privato come volano. Invece è possibile trovare proprio nel nostro paese esempi di elaborazione esplorazione valutazione e consolidamento di innovazioni nel presidio della garanzia terza, imparziale, ossia quella che agire nell’alveo delle istituzioni della rule of law in action

Il pubblico come recettore di sapere tecnico, spesso non giuridico, o combinato fra sapere giuridico e sapere non giuridico, il privato come produttore di tale sapere. In particolare, questo ha reso possibile lo sviluppo di applicativi aventi come obiettivo quello di accompagnare il giudice nello svolgimento delle sue funzioni, di strumenti gestionali, di moduli di ottimizzazione dei flussi e dei carichi di lavoro, ecc. Le discipline che maggiormente hanno contribuito a questo lungo processo sono il public management, la ingegneria informatica e gestionale, la scienza della amministrazione e della organizzazione, la analisi contabile, la statistica applicata. Tale contributo ha avuto di solito una traiettoria, da privato a pubblico.

Le Scuole di formazione possono avere, ed avranno nella finestra di bisogni funzionali e di nuove sfide che si apre, un ruolo cruciale su tre piani: 

- Farsi promotrici ed attori protagonisti di iniziative nazionali e transnazionali di formazione sia interne alla stessa professionalità – nel dialogo fra paesi – sia fra attori della giurisdizione – quella che viene chiamata “formazione congiunta”. Già in Italia abbiamo visto emergere queste azioni che ci si aspetta le Scuole possano promuovere in forma ancora più diffusa. 

- Coniugare la funzione formativa con quella di studi e ricerche in una ottica di governance del ciclo di vita del sapere, dalla sua nascita alla sua discussione, validazione, razionalizzazione dottrinale, fino alla sua revisione attraverso il passaggio che già in questo lavoro abbiamo avuto modo di dire essere vitale fra teoretico e pratico, nella pratica di ogni giorno. 

- Divenire hub di comunità di saperi e pratiche garanti ed impersonali dello stato di diritto in azione dove la costruzione dell’identità passa non solo dal sapersi parti di un corpo ma anche vedersi e parlarsi come interlocutori dialoganti fra generazioni. Se infatti è vero che le generazioni più giovani vivono oggi la professione del diritto in una dimensione intrisa di tecnologia e di scienza/tecnica, è anche vero che il dialogo con le istanze di lungo corso della professione ha il merito del garantire il grado di istituzionalizzazione di quella forma di legittimazione dell’esercizio della funzione che risiede nella professionalità. 

10/10/2024
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10/10/2024