1. Per i tipi di Jovene Editore è in uscita un volume dal titolo L’affetto, l’umanità e l’intransigenza morale di un maestro: Virgilio Andrioli, ricordi dei suoi allievi e lettere a cura di Andrea Proto Pisani.
Il libro, di circa 200 pagine, è l’ultimo tributo che Andrea Proto Pisani dedica al suo amato Maestro, dopo aver di lui ripubblicato, con la Fondazione Piero Calamandrei dell’Università di Firenze, dapprima tutti i suoi scritti giuridici diversi dalle monografie e dal celeberrimo Commento al codice di procedura civile, e poi addirittura tutte le sue note a sentenza, già pubblicate in quasi cinquanta anni di direzione del Il Foro italiano.
1.1. Il volume è suddiviso in più parti.
In una prima parte, titolata Ricordo di alcuni allievi, sono semplicemente ripubblicati degli scritti di allievi dedicati alla persona di Virgilio Andrioli.
La seconda e la terza parte sono dedicate al rapporto che Virgilio Andrioli ebbe con i due più grandi processualisti del ‘900, ovvero Giuseppe Chiovenda, del quale fu allievo, e Francesco Carnelutti.
Andrea Proto Pisani ripubblica in primo luogo il ricordo che Virgilio Andrioli scrisse di Giuseppe Chiovenda alla sua morte.
Lo scritto si trova su Il Foro italiano del 2007, e lo si deve ad un ritrovamento di Franco Cipriani; era un saggio listato a lutto, titolato Giuseppe Chiovenda, trovato fra le carte dello stesso Chiovenda a Premosello - Chiovenda, nel 1990, probabilmente mai pubblicato e risalente al 1937. Un ricordo pertanto intimo, un necrologio, che Virgilio Andrioli aveva indirizzato a Chiovenda.
Vi si trovano, sempre in questa seconda parte, la premessa di Virgilio Andrioli alla ristampa dei Principi di Chiovenda, ove egli ribadisce l’attualità del pensiero del suo maestro, ricordando i noti principi secondo i quali «Il processo deve dare a chi ha un diritto, praticamente tutto quello e proprio quello che egli ha diritto di conseguire», «La durata del processo non deve andare a danno dell’attore che ha ragione», e «Deve darsi una normale correlazione tra diritto sostanziale e processo».
Sempre in questa parte si trova altresì la fondamentale sentenza che Virgilio Andrioli scrisse quale giudice costituzionale per affermare che la tutela cautelare è coessenziale al diritto di azione di cui all’art. 24 Cost., quattro lettere che lo stesso aveva inviato alla figlia di Chiovenda, Beatrice Canestro, e infine una lettera manoscritta, rara, del 23 maggio 1895, dello stesso Giuseppe Chiovenda.
1.2. Nella parte successiva seguono le tre recensione di Francesco Carnelutti al Commento al c.p.c. e alle Lezioni di Virgilio Andrioli.
Per anni e anni, come è noto, Francesco Carnelutti commentava sulla Rivista di diritto processuale tutto ciò che sul processo veniva scritto, senza remore o compiacimenti, con rara sottigliezza, e fermezza, ed erano spesso commenti severi, fortemente critici, talvolta perfino offensivi nei riguardi di chi li riceveva.
Con Virgilio Andrioli l’atteggiamento di Francesco Carnelutti fu in tutt’altro verso, e nel recensire il Commento al c.p.c. nel 1941, quando Andrioli aveva solo 32 anni, scriveva «Finalmente Andrioli ci ha dato la misura del suo valore Ci voleva un’opera come questa di largo anzi larghissimo respiro, ma di linea esegetica piuttosto che sistematica affinché egli si trovasse a suo agio. Non dico con ciò ch’egli sia soltanto un esegeta e neppure vorrei adombrare una minor dignità dell’esegesi in confronto con il sistema: questo non vale anzi non si fa senza di quella e Andrioli, d’altra parte, proprio in questo libro non perde mai di vista le linee dell’insieme. La differenza è soltanto tra chi vede il particolare nel generale o viceversa. E il merito del commento, veramente singolare, sta nel fare dell’esegesi quasi sempre con gli strumenti della dogmatica più raffinata. Come sarebbe contento oggi Chiovenda, se potesse leggere questo libro, pur così avanzato in confronto alle posizioni di ieri ma così pregno del suo spirito, ch’era di lavoro indefesso e perciò di quotidiano superamento».
Ed ancora, nel recensire le Lezioni di diritto processuale civile del 1959 Francesco Carnelutti scriveva che: «Andrioli è, secondo me, il miglior fenomenologo del diritto processuale che noi abbiamo in Italia; oserei dire, se mi si perdona il bisticcio, che la sua padronanza dei fenomeni processuali, così sub specie legis come sub specie judicii, è fenomenale».
1.3. Nella quarta parte del volume Andrea Proto Pisani ricorda poi gli studi che gli allievi offrirono a Virgilio Andrioli nel 1979.
Il volume veniva personalmente sottoscritto dagli autori, e ciò in forma di omaggio e di profonda stima al Maestro, e Andrea Proto Pisani ripubblica quelle sottoscrizione e le risposte compiaciute, e al tempo stesso ironiche e personali, di Virgilio Andrioli.
A Carlo Maria Barone, Virgilio Andrioli scriveva: «Ed ora un suggerimento da vecchio ormai rimbambito: lavora meno e dedica maggior tempo alla famiglia e a te stesso. Questo insegnamento proviene da chi si è reso colpevole dello stesso reato. Ti abbraccio».
Ad Andrea Proto Pisani scriveva: «la consegna della copia della raccolta mi ha talmente sorpreso ché la sorpresa non è di grado minore della meraviglia con cui ricevetti la telefonata di Pertini nell’ottobre 1978» (fa riferimento alla telefonata in cui gli veniva comunicata la nomina a giudice costituzionale).
Ed ancora: «Avrei indetto, come scrissi a Rosanna (la moglie di Andrea Proto Pisani), il colloquio alle 14,15 con una mozione d’ordine: – o mi date del tu (senza la chiusa petroliniana) o Vi do io del Lei. State attenti!».
1.4. Infine, vi si trova un appendice, direi la parte più rilevante e significativa del volume: la pubblicazione delle lettere di Virgilio Andrioli tra gli anni 1961 e 1990.
Sono inedite, vengono pubblicate per la prima volta, sono quelle dell’archivio personale di Andrea Proto Pisani, quindi sono lettere che principalmente Virgilio Andrioli ha scritto a lui, con la sola eccezione di una lettera a Antonio Navarra, quattro lettere a Rosario Nicolò, e infine due a me, all’epoca giovanissimo.
Tra l’altro, a mio sommesso parere, la pubblicazione di queste lettere dei primi anni ‘60, sono per Andrea Proto Pisani non solo un atto di amore nei confronti del maestro, ma anche un atto di grande modestia, se si considera che in molte di quelle lettere Virgilio Andrioli criticava gli sforzi giovanili di Andrea Proto Pisani.
Scriveva severo Virgilio Andrioli, sempre alla ricerca di qualcosa che non andava e che poteva e doveva essere migliorato: «Non mi pare sia idonea ad affrontare i rischi della pubblicazione»; «Ti consiglio di sciacquare nell’Arno la nota»; anche se poi concludeva: «Il Tuo meritato successo mi ripaga di tutto. Adesso lavora, lavora, perché tra dieci anni sarai uno dei primi giuristi italiani».
All’avvocato padre Virgilio Andrioli scriveva: «Suo figlio Andrea è stato tra i campioni dell’anno che per me si è chiuso ieri e formulo per lui e per i suoi colleghi i migliori e più affettuosi auguri, e le più sincere felicitazioni per Lei: a questo proposito ricordo che mio padre gioiva di qualche mio successo assai più di me, e lo comprendo in ritardo. Con la più viva cordialità mi creda. Virgilio Andrioli».
1.5. Le ragioni del volume sono ben spiegate da Andrea Proto Pisani nella Premessa, dal che mi limito a richiamare le sue parole, senza altro aggiungere: «...e questo libretto vuol ricordare soprattutto l’affetto, l’umanità e l’intransigenza morale di Andrioli e proporlo come esempio in questo difficile momento che l’Università e la società tutta sta attraversando, spesso avendo dimenticato i valori che la Costituzione negli articoli 2 e 3 voleva porre a fondamento della nostra convivenza. Questa funzione ha o vorrebbe avere anche la parte delle “lettere” (inviatemi pressoché sempre personalmente), come esempio concreto dei valori cui Andrioli aveva improntato la sua vita, non solo come professore ma soprattutto come “persona” con i conseguenti diritti e doveri di solidarietà».
2. Virgilio Andrioli nacque a Roma il 4 febbraio 1909 e fu l’ultimo e più giovane allievo di Giuseppe Chiovenda, dopo Enrico Tullio Liebam e Antonio Segni; scrisse giovanissimo due monografie L’azione revocatoria del 1935 e Il concorso dei creditori nell’esecuzione singolare del 1937, e vinse il concorso a cattedra nel 1937, a soli 28 anni; insegnò per dieci anni a Trieste, poi, nell’ordine, in molte università italiane, e precisamente a Pisa, Napoli, Genova, Firenze, e infine Roma.
Nel 1941 pubblicava l’opera sua più famosa, ovvero il Commento al codice di procedura civile.
Per quasi cinquanta anni diresse Il Foro italiano, e divise così la sua vita tra l’università, la rivista e la professione forense.
L’11 ottobre 1978 Virgilio Andrioli veniva nominato dal Presidente Sandro Pertini giudice della Corte costituzionale.
Per i nove anni del mandato, e quindi fino al 1987, Virgilio Andrioli fu principalmente occupato a fare il Giudice della Corte costituzionale.
Ai primi di agosto del 1991, durante una breve passeggiata, a seguito della perdita degli occhiali, Virgilio Andrioli, all’epoca ottantaduenne, si perse nei boschi di Vallombrosa.
Dopo avere trascorso ben tre notti all’addiaccio venne ritrovato dai soccorritori sdraiato presso un ruscello, sostanzialmente in buona salute.
A quella data può farsi risalire la scomparsa scientifica di Virgilio Andrioli, che, da quel momento, lentamente cessò di studiare e sempre più si isolò nella sua casa romana di via Tolmino, nella quale sarebbe morto quattordici anni dopo, nella serata del 15 novembre 2005, ad oltre cinque anni dalla scomparsa della moglie Adriana.
In uno degli incontri che ebbi la fortuna di avere con lui, Egli mi disse che in vita aveva fatto tre lavori, l’insegnante, lo scrittore e l’avvocato, ma che il lavoro che aveva sempre preferito, il primo della sua vita, era quello dell’insegnante, poiché niente lo appagava come vedere gli studenti apprendere una nuova disciplina al termine del corso universitario.
A tal fine ritengo utile riportare qui la lettera, pubblicata da Andrea Proto Pisani, che Virgilio Andrioli scriveva a Rosario Nicolò in data 1 giugno 1975 quale Preside della Sapienza di Roma, poiché le questioni lì trattate da Virgilio Andrioli mi sembrano attualissime e ancor oggi non risolte: «La laurea in giurisprudenza costituisce il passaggio esclusivo per tre professioni: magistratura, avvocatura, notariato, laddove per altre professioni ripartisce la funzione di presupposto con le lauree in scienze politiche e in scienze economiche e commerciali. Ne segue che i nostri insegnamenti dovrebbero essere organizzati e gestiti in modo che i nostri laureati fossero posti in grado di affrontare i concorsi di uditore giudiziario, di procuratore legale e di notaio con probabilità di successo, condizionate soltanto dall’impegno e dalla cubatura mentale dei singoli candidati. L’esperienza ammonisce, invece, che anche i laureati più responsabili ricevono un ausilio estremamente modesto dagli studi universitari, pur diligentemente e intelligentemente condotti, e sono costretti a cominciare (non a ricominciare) a studiare per conseguire quella preparazione, che consenta ai medesimi di affrontare, con qualche chances, i concorsi de quibus. Le ragioni di questa débacle, dalla quale emerge l’inutilità dell’insegnamento universitario, sono in parte denunciate, a ragione, nell’appunto ciclostilato sull’argomento della didattica, cui vorrei aggiungere il carattere troppo monografico degli insegnamenti anche istituzionali, lo scarso contatto dei medesimi con l’attualità normativa e sociale, lo scarso spazio riservato al momento applicativo (la stragrande maggioranza degli studenti perviene al terz’anno ignorando la tecnica di consultazione dei repertori e delle riviste), la scarsissima, se non insussistente, considerazione del dopolaurea degli studenti, di cui si dovrebbe invece tener precipuo conto nella tecnica dell’insegnamento, il difetto di coordinamento tra le varie materie, la scarsissima considerazione, in cui sono tenuti aspetti fondamentali della attuale esperienza giuridica (tributi, assistenza e previdenza obbligatorie, giustizia amministrativa, diritto comunitario e c.d. internazionale privato). Per contro, le cure del corpo insegnante dovrebbero concentrarsi sulle materie di concorsi, che aprono la via alla magistratura, all’avvocatura e al notariato».
3. Gli allievi ricordano Virgilio Andrioli come un grande maestro, come una persona che ha lasciato una traccia indelebile nella loro vita, e non solo sotto il profilo professionale.
Tra gli scritti che Andrea Proto Pisani ripubblica, desidero qui richiamare in sintesi il ricordo di Giuseppe Pera, di Modestino Acone e dello stesso Andrea Proto Pisani.
Ha scritto di lui Giuseppe Pera: «Fu un incontro entusiasmante, mirabile perché avveniva con una delle materie apparentemente più aride nell’universo giuridico. Questo professore aveva una nota predominante: l’entusiasmo, la passione nella continua tensione di riuscire a piegare il processo alla realizzazione dei valori della giustizia. Sulla collocazione politica di Virgilio Andrioli non mi è stato mai possibile farmi una precisa opinione. Nel primo periodo mi pareva che fosse su posizioni centriste-moderate; forse anche perché, come professore triestino, aveva sentimentalmente sofferto la tragedia giuliana del dopoguerra. Poi parve collocarsi a sinistra, all’incirca verso gli ultimi anni sessanta. Certamente era cambiato. Leggeva Il Manifesto, sosteneva l’eseguibilità per esecuzione forzata dell’ordine giudiziale di reintegra in servizio del lavoratore licenziato. Fu strenuo sostenitore della riforma processuale del 1973, convinto, come ebbe a dire, della sua virtù taumaturgica soprattutto perché vi era l’appoggio dei sindacati».
Modestino Acone ha scritto di lui: «Fu il primo tra i processualcivilisti ad intuire, in tutta la sua portata, l’incidenza delle disposizioni della Carta costituzionale sul piano della tutela giurisdizionale dei diritti. Come hanno scritto Carmine Punzi ed Edoardo Ricci, mai con lui l’esegesi si è elevata ad un tale livello di genialità, ad una tale consapevolezza concettuale, ad una tale capacità di collegare la questione pratica con il sistema, da coincidere tout court con lo studio del diritto nel senso più elevato. La sua esegesi non si contrappone alla costruzione concettuale, ma ne costituisce il fondamento e l’anima (come mostrano le Sue splendide Lezioni); e pochi Maestri ci appaiono oggi altrettanto attuali, altrettanto fecondi di insegnamento per il tempo presente sotto il duplice profilo del metodo e del merito».
Ed infine Andrea Proto Pisani: «Ricordare Virgilio Andrioli è forse inutile per quanti lo hanno conosciuto: in tutti costoro credo, infatti, sia indelebile la sua figura di professore che anche per la sua chiarezza incantava l’uditorio pur insegnando una delle materie, almeno apparentemente, tra le più aride del diritto; di avvocato d’altri tempi che, dopo avere studiato col massimo scrupolo la controversia ed avere letto anche sul retro tutti gli atti, seguiva il processo dal suo atto introduttivo alla udienza di discussione essendo presente a tutte le udienze senza avvalersi di sostituti e tanto meno di segretarie; di scrittore difficile per l’ansia che aveva di nulla omettere e tutto cercare di inserire in periodi che talvolta si allungavano a dismisura; di giudice della Corte costituzionale o di collega di facoltà scontroso perché per natura inadatto alla mediazione propria dei collegi».
4. Aggiungerei solo questo.
Fino a tutti gli anni ’80 Virgilio Andrioli era forse il processualcivilista più conosciuto e utilizzato da giudici e avvocati.
Era stato per tempo lunghissimo il direttore della rivista di giurisprudenza più nota e diffusa in Italia e soprattutto aveva scritto in più edizioni il Commento al codice di procedura civile che si trovava in quasi tutti gli studi legali e presso tutti i magistrati.
Se vi era una questione processuale da risolvere, prima dell’avvento di internet e quando ancora le ricerche si facevano con i repertori cartacei, il Commento di Virgilio Andrioli era il testo ideale per avere la risoluzione del problema che ci angosciava: pronto, aggiornato, acuto.
Con tempo, evidentemente, le cose sono cambiate.
Dal 1991, dopo la brutta vicenda di Vallombrosa, Virgilio Andrioli abbandonava completamente ogni studio e il Commento rimaneva così fermo al periodo anteriore alla sua nomina alla Corte costituzionale; l’arrivo di internet faceva poi il resto.
Oggi i problemi processuali si risolvono in altro modo; la giurisprudenza che citava Virgilio Andrioli è senz’altro vecchia e in gran parte mutata; e così il suo Commento, peraltro parimenti alla crisi del cartaceo, non si trova più negli studi legali, se non presso qualche avvocato che lo tiene fra i cimeli del passato, da mostrare a clienti e colleghi a titolo di piaggeria.
Penso che questa sorte sia capitata tuttavia anche ad altri grandi processualisti del passato, ed anzi direi che da questa tendenza all’oblio si è salvato solo Piero Calamandrei.
E la ragione è semplice: Piero Calamandrei scriveva infatti in modo chiaro e pulito, alla portata di tutti, anche dei non giuristi, e affrontava tematiche di ordine più generale, con una analisi che, insieme agli aspetti giuridici, coinvolgeva sempre anche l’uomo nella sua psicologia, nei suoi sentimenti, nella sua umanità; un giurista che in molti scritti è stato adottato anche nelle scuole, e di cui ancora oggi i ragazzi ricordano le frasi, spesso importanti e significative, ma, alle volte, sia consentito, anche retoriche o del tutto evidenti.
Virgilio Andrioli era tutt’altra persona.
Tutti lo ricordano come un grande oratore, ma i suoi scritti sono difficili, complessi, e le tematiche affrontate sempre molto tecniche; lui stesso, un po’ ironicamente, si qualificava paragrapfenjurist.
E così, il suo essere stato un giurista puro, difficile, ancorato al dato positivo e agli orientamenti giurisprudenziali, fa pensare che oggi Virgilio Andrioli possa esser superato.
Ma è un’idea totalmente errata, una visione solo parziale del suo lavoro e delle sue opere.
Al riguardo, possono suonare ancora forti le parole di Francesco Carnelutti «In ciascuna delle chiose agli articoli del codice, le quali cominciano con una breve storia del testo e si svolgono con l’interpretazione, accurate, agili, penetranti, informatissime, sembra specchiarsi, come nelle faccette d’un diamante, il codice intero».
Ecco, io consiglio ancora vivamente a tutti, se si hanno dubbi interpretativi sulle norme del codice di procedura civile, di leggersi il Commento di Virgilio Andrioli, perché in esso si troveranno ancora degli spunti, delle riflessioni, dei collegamenti con altre disposizioni, dei precedenti storici, financo delle curiosità, che potranno senz’altro giovare a chi li legge, e non solo nello spirito, ma anche proprio nella risoluzione del caso concreto, poiché non tutto, nel nostro lavoro di avvocato e magistrato, e lo sappiamo bene, può essere risolto semplicemente riportando una massima.
Soprattutto quando la massima non basta, o quando la massima non ci convince, o non accontenta quelle esigenze di giustizia che noi sentiamo dentro di noi come necessarie.
In tutti questi casi, il Commento di Virgilio Andrioli può offrire ancor oggi l’idea giusta, la dissertazione ancora viva e attuale alla quale non avevamo pensato, l’interpretazione che ci mancava e che con il suo testo abbiamo finalmente trovato.
E Io credo, allora, che quanto abbia fatto Andrea Proto Pisani sia assolutamente meritevole: egli non ha solo ripubblicato tutte le opere di Virgilio Andrioli, ma ha ora anche offerto il lato più intimo e personale del maestro.
Peraltro, vorrei aggiungere, a conclusione di questa mia recensione, che certamente a Virgilio Andrioli non mancava l’ironia, e io stesso ricordo con piacere il suo modo buffo e sempre pungente di parlare in romanesco, con quella semplicità e naturalezza che è propria solo delle grandi persone.
A titolo di esempio riproduco qui una lettera tra quelle pubblicate da Andrea Proto Pisani con cui Virgilio Andrioli, con una citazione, invitava alcuni amici a pranzo:
ATTO DI CITAZIONE
Adriana e Virgilio ANDRIOLI, residenti in Roma, via Tolmino 67.
CITANO
1-2) comm. Rosanna e Prof. Andrea PROTO PISANI residenti in Firenze, via Guerrazzi 21.
3-4) prof. Valeria e Alessandro PIZZORUSSO, residenti in Pisa, via Roma n. 34.
5-6) prof. Elvira e Giuseppe PERA, residenti in Pisa, piazza Donati, 15,
a comparire
al “fico vecchio” via Anagina, alle ore 12 ant. del 1° novembre 1978, con avvertenza che altrimenti si procederà in loro contumacia. Roma, 21 ottobre 1978. Virgilio Andrioli