L’articolo 2 della legge delle guarentigie:
lo stato della legislazione, dell’interpretazione e le prospettive di riforma
Nel procedimento amministrativo di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale e/o funzionale si scaricano le opposte istanze di garanzia – da un lato – dell’effettività ed esclusività del governo autonomo da parte del Csm sancito dall’art. 105 della Costituzione e, dall’altro, della integrità delle prerogative di autonomia ed indipendenza (art. 104) e di inamovibilità (art. 107 Cost.) di ciascun singolo magistrato. Nel tempo si sono succedute soluzioni legislative e proposte di modifica oscillanti tra i due poli di tutela, a seconda dell’opinione di politica giudiziaria prevalente. Dopo la riforma del 2006 è stato raggiunto un soddisfacente ed equilibrato assetto interpretativo finalizzato a separare gli ambiti dell’accertamento amministrativo e quello disciplinare.
Le possibili tensioni pratiche applicative meritano di essere affrontate, più che con ulteriori modifiche legislative dei presupposti, con un esercizio rigoroso e trasparente della ineludibile discrezionalità dell’organo di governo autonomo della magistratura e con una disciplina procedimentale che garantisca in concreto la separazione delle valutazioni di funzionalità obbiettiva da quelle di responsabilità colpevole individuale, nonché la tempestività della procedura, la partecipazione e la difesa dell’interessato.
1. Il procedimento ex art 2 legge Guarentigie
Il 26 luglio del 2017 il Consiglio superiore della magistratura ha approvato la Circolare, prevista dall'art. 42 del Regolamento interno del Consiglio approvato con deliberazione del 26 settembre 2016, sul procedimento di trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale e/o funzionale di cui all'art. 2, comma 2, del Rd.lgs 31 maggio 1946, n. 511. (Circolare n. P. - 14430 del 28 luglio 2017). Come recita lo stesso titolo dell’elaborato, essa è stata adottata in attuazione della previsione dell’articolo 42 del nuovo regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura, a sua volta approvato in epoca recente, specificamente riferito alla proceduradi cui all’art. 2, comma 2, del Rd.lgs. 31 maggio 1946, n. 511. La norma regolamentareprescrive l’elaborazione di una apposita circolare, in cui siano articolate le fasi del procedimento, improntate a criteri di efficienza e rispetto dei principi del giusto procedimento, e con la quale siano stabiliti i termini perentori entro i quali ciascuna fase del procedimento deve trovare conclusione e gli effetti della loro scadenza, nonché il termine ultimo di definizione.
Sono introdotte numerose e rilevanti novità procedimentali specifiche, quali il diritto di accedere agli atti del fascicolo successivamente all’apertura del procedimento e non solo al termine della istruttoria, come era previsto dalla circolare previgente, risalente al 1991; l’individuazione degli elementi da prendere in considerazione nella motivazione dei provvedimenti che concludono le varie fasi del procedimento; il diritto dell’interessato alla comunicazione del provvedimento di archiviazione dopo l’apertura del procedimento; l’individuazione di termini perentori entro i quali le singole fase si devono concludere, con la conseguente archiviazione del procedimento per estinzione in caso di inutile superamento degli stessi.
Si chiarisce nel testo che ai fini ed agli effetti del trasferimento d’ufficio ex art 2 Rd.lgs 31 maggio 1946, n. 511 non può essere preso in considerazione il merito delle decisioni adottate dal magistrato nell’esercizio dell’attività giudiziaria, che il procedimento non può essere iniziato o proseguito qualora, a seguito di trasferimento a domanda ad altra sede o ad altro ufficio, siano venute meno le ragioni di incompatibilità, che la Commissione può disporre la sospensione del procedimento di trasferimento d'ufficio, in pendenza di una domanda di trasferimento, mentre l’applicazione ad altro ufficio può provocare la sospensione del procedimento soltanto se, nella situazione concreta, costituisca rimedio temporaneo adeguato alla situazione di incompatibilità verificatasi, tenuto anche conto della durata e dell’Ufficio giudiziario di destinazione.
Sono fissate dall’art. 2 le fasi in cui si articola il procedimento. Esso inizia con una prima fase conoscitiva ed istruttoria, condotta dalla commissione referente – allo stato la trattazione della materia è affidata alla prima commissione consiliare –. Essa comprende la valutazione preliminare, in assenza di contraddittorio e di pubblicità, in ordine alla sussistenza di elementi idonei a giustificare l'apertura del procedimento, che può concludersi con l’archiviazione o con l’apertura del procedimento, che sarà senza ritardo comunicata all’interessato con avvertimento in ordine alla sue facoltà di informazione e di difesa. All’apertura segue l’istruzione del procedimento in forma libera, con l’acquisizione delle evidenze ritenute utili. All’esito dell’istruttoria la Commissione provvede al deposito degli atti relativi alle prove acquisite ed a quelle costituite, con avviso dell’interessato, e provvede inoltre all’audizione dell’interessato con l'eventuale assistenza di un difensore. La commissione procede quindi alla formulazione della proposta al Consiglio che potrà essere di archiviazione motivata succintamente, con avviso all’interessato, ovvero di trasferimento di ufficio. In tal caso deve essere dato avviso all'interessato della data fissata per la seduta dell’assemblea plenaria nel corso della quale ha diritto di essere sentito con l'eventuale assistenza di un difensore subito dopo la relazione e prima della discussione. Segue la fase deliberativa, in cui il Consiglio con decisione motivata delibera sull’accoglimento o meno della proposta di Commissione; la parte ed il difensore sono convocati per la data della riunione e, ove ne facciano richiesta, sono sentiti. La circolare disciplina i rapporti tra procedimento ex art. 2 e azione disciplinare recependo la regola formatasi e consolidatasi nella prassi amministrativa del Consiglio secondo cui qualora per i medesimi fatti oggetto del procedimento ex art 2 Legge Guarentigie sia esercitata l’azione disciplinare o l’azione penale, il procedimento è sospeso.
Di particolare rilievo la determinazione di termini perentori per la definizione delle diverse fasi del procedimento: secondo l’art. 4 della circolare la fase conoscitiva ed istruttoria non può superare sei mesi decorrenti dalla data fissata dal Presidente per lo svolgimento della relazione, e può essere prorogato per non più di una volta e per un periodo di massimo mesi tre. Decorso tale termine la commissione deve deliberare una proposta al Consiglio nei successivi quindici giorni.
La fase deliberativa presso l’assemblea plenaria deve concludersi entro mesi tre dalla avvenuta trasmissione della proposta da parte della Commissione.
Ove l’assemblea ravvisi l’assoluta necessità di ulteriore istruttoria, rimette gli atti alla Commissione indicando specificamente gli atti da espletare entro i successivi tre mesi.
I termini sono sospesi, oltre che nel periodo feriale, anche quando vi sia rinvio su richiesta dell’interessato. La sanzione per il mancato rispetto dei termini è l’archiviazione del procedimento per estinzione, senza possibilità di riapertura, salvo elementi sopravvenuti, in presenza dei quali decorrono nuovamente i termini di cui sopra.
La circolare si conclude con la disciplina intertemporale dei suoi effetti – che ne limita l’applicazione ai procedimenti aperti dopo la sua entrata in vigore, e con l’abrogazione per sostituzione della procedura precedentemente vigente del 18 dicembre 1991 recante: “Applicazione della procedura dell’art. 2 Legge Guarentigie”.
2. L’art. 2 comma 2, del Rd.lgs 31 maggio 1946, n. 511
2.1. Il tema
Può apparire singolare la scelta di iniziare la trattazione di un tema quale il procedimento di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale e/o funzionale di cui all'art. 2, comma 2, del Rd.lgs 31 maggio 1946, n. 511 dall’esposizione delle regole procedurali recentemente approvate dal Consiglio superiore della magistratura. Si tratta invero di un tema che direttamente interpella alcuni dei dei valori fondanti dell’intera disciplina costituzionale relativa all’esercizio della funzione giurisdizionale. Si contrappongono nella materia interessi diversi e potenzialmente confliggenti. Da un lato l’esigenza espressa nell’articolo 105 della Costituzione di garantire al Consiglio superiore in via integrale ed esclusiva il governo della magistratura, consentendogli di rimediare in maniera efficace e tempestiva ad ogni criticità funzionale che minacci il buon andamento della funzione giurisdizionale, anche ove tale criticità dipenda da condotte di un magistrato. Dall’altro la necessità di tutelare l’autonomia e l’indipendenza di ciascun magistrato stabilita dall’art. 104 della Carta, di cui è espressione diretta la regola della inamovibilità sancita dall’art. 107 .
Dal punto di vista ordinamentale può dirsi che il procedimento ex art. 2 è l’unico strumento amministrativo a disposizione dell’organo di governo autonomo della magistratura, per intervenire in maniera rapida ed officiosa in situazioni che, per la loro consistenza obbiettiva, possano mettere in discussione la credibilità dell’esercizio della funzione giudiziaria in uno specifico contesto.
In assenza di esso, nelle ipotesi in cui le difficoltà funzionali siano collegate a condotte di magistrati, il rimedio è affidato alla azione disciplinare, e quindi in un’ottica solo repressiva, dipendente dall’iniziativa di organi e poteri dello Stato – il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed il Ministro della giustizia – estranei al Consiglio. In un regime di tipicità degli illeciti disciplinari, quale è quello vigente, possono ricorrere condotte pregiudizievoli del buon andamento dell’esercizio della funzione giurisdizionale non rientranti in alcuna delle fattispecie sanzionate dalla legge, e rimanere senza rimedio.
Sull’altro fronte, sotto il profilo della tutela delle prerogative del singolo magistrato, l’allargamento del potere del Consiglio di assumere iniziative di verifica dell’operato di magistrati e di disporne addirittura il trasferimento di sede o di funzioni per motivi connessi alle loro condotte in sede amministrativa – e quindi al di fuori delle rigorose garanzie processuali difensive proprie del procedimento giurisdizionale quale è quello disciplinare – introduce il rischio, più volte paventato e spesso apertamente denunciato, di utilizzo strumentale di una procedura deformalizzata, allo scopo di danneggiare o intimidire magistrati che, nell’esercizio delle funzioni non si conformassero alle attese della maggioranza dei componenti del Csm. A ciò si aggiunga che in assenza della formalizzazione di rigorose garanzie procedimentali in relazione ai presupposti, agli atti ed ai tempi del procedimento, la stessa sola apertura e la pendenza di una iniziativa amministrativa, pur in ipotesi infondata e pur non approdando a determinazioni operative concrete, possono avere l’effetto di minare senza rimedio ed a tempo indeterminato la credibilità e l’immagine di un magistrato interessato.
Come un pendolo tra le diverse istanze contrapposte, privilegiando l’una o l’altra secondo le stagioni politiche, si è mosso il legislatore.
2.2. Il testo originario
Il trasferimento d’ufficio del magistrato ai sensi dell’articolo 2, Rd.lgs 31 maggio 1946, n. 511 cd. “legge sulle guarentigie”, fino all’entrata in vigore della riforma dell’Ordinamento giudiziario del 2006 era previsto per i magistrati «quando per qualsiasi causa, anche indipendente da loro colpa, non possono, nella sede che occupano, amministrare giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell’Ordine giudiziario».
In ragione dell’ampiezza del contenuto dei termini utilizzati, e della assenza di limiti espliciti all’oggetto delle valutazioni, lo strumento ha finito per sovrapporsi all’azione disciplinare, estendendosi alla valutazione di qualsiasi condotta individuale e connotandosi per i suoi effetti afflittivi, pur essendo nelle sue finalità prevalentemente orientato alla tutela della “credibilità” della funzione giudiziaria, in un’ottica di svalutazione della dimensione soggettiva del magistrato[1].
Tale sovrapposizione era tanto più evidente e significativa se si considera che prima dell’entrata in vigore del d.lgs 109/2006 il sistema disciplinare era connotato dalla atipicità delle fattispecie rilevanti, e per definirne i confini dell’intervento erano utilizzate locuzioni altrettanto ampie quale quella riferita al prestigio del magistrato, cosicché gli ambiti di indagine in concreto, pur se con finalità diverse, finivano spesso per coincidere[2]. Lo strumento amministrativo ha finito così per essere utilizzato in maniera oggettivamente suppletiva rispetto ad un esercizio dell’azione disciplinare rimesso alla discrezione di autorità estranee al Consiglio[3].
Da ciò le reiterate pronunce del giudice amministrativo sul punto, che ha posto sempre più l’accento sulla necessità di assicurare una garanzia difensiva adeguata al magistrato sottoposto alla procedura ex art. 2, Rd.lgs n. 511 del 1946. In risposta a tali sollecitazioni il Csm, pur in assenza di una piena giurisdizionalizzazione, ha disciplinato un procedimento rigoroso e garantito per assicurare, a norma dell’art. 107 della Costituzione, le “garanzie di difesa” del magistrato a tutela del principio di inamovibilità dei magistrati (l’applicazione della procedura era disciplinata dalla circolare del 18 dicembre 1991).
2.3. La riforma
Il decreto legislativo 23 febbraio 2006 n. 109 «Disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, nonché modifica della disciplina in tema di incompatibilità, dispensa dal servizio e trasferimento di ufficio dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera f), della legge 25 luglio 2005, n. 150, pubblicato nella Gu 21 marzo 2006, n. 67» ha modificato sostanzialmente l'articolo 2, secondo comma, del Regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, conducendo ad una formulazione per la quale la fattispecie è integrata «quando, per qualsiasi causa indipendente da loro colpa [i magistrati n.d.r.] non possono, nella sede occupata, svolgere le proprie funzioni con piena indipendenza e imparzialità».
Le innovazioni principali sono state la nuova definizione del presupposto del trasferimento d'ufficio, che viene delineato con esclusivo riferimento alle cause indipendenti da colpa del magistrato, e la descrizione dell’oggetto della tutela, che non contiene più il richiamo, più ampio e generico, al prestigio dell’ordine giudiziario, ma viene riferito ai valori dell’indipendenza ed imparzialità nell’esercizio delle funzioni.
Per ciò che riguarda la seconda innovazione, sul piano letterale, la lesione della indipendenza (intesa come la capacità di svolgere le proprie funzioni con piena libertà da condizionamenti) e/o imparzialità (che si atteggia come lo svolgimento di funzioni qualificato da una assoluta obiettività rispetto agli affari da trattare) rinvia ad una situazione più specifica rispetto alla perdita di “prestigio”: ai fini del trasferimento di ufficio ex art. 2 legge guarentigie non è sufficiente il fatto che il magistrato abbia leso con la sua condotta il prestigio dell’Ordine giudiziario, ma è necessario che siano venute meno le condizioni che gli consentono di svolgere le proprie funzioni nella sede occupata con piena indipendenza e imparzialità, anche sotto il profilo della percezione esterna da parte dell’ambiente giudiziario e dell’intera cittadinanza.
D’altra parte, come chiarito fin dalla sentenza della Corte costituzionale 8 giugno 1981 n. 100, il prestigio è il valore che «si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilità di essa», la quale affonda le sue radici nel terreno dei valori di indipendenza ed imparzialità sanciti dagli art. 101, comma 2, e 104 della Costituzione. I principi di indipendenza ed imparzialità sono quindi volti a preservare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere, non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali, ma anche in relazione alla proiezione esterna del prestigio dell’intero ordine giudiziario. Nessuno iato logico concettuale pare quindi sussistere tra il concetto di prestigio utilizzato precedentemente e quello risultante dall’introduzione dei due termini coordinati utilizzati nel testo introdotto dalla novella.[4]
Più problematica la prima innovazione, relativa alla definizione del presupposto del trasferimento d’ufficio e dell’ambito della sua applicazione.
Il Consiglio superiore ha esaminato gli effetti delle modifiche legislative in diversi interventi regolamentari ed interpretativi[5]. Tra questi, la risoluzione del 6 dicembre 2006 in cui ha osservato che «il presupposto del trasferimento d'ufficio ai sensi dell'art. 2 legge guarentigie ricorre, pertanto, quando la situazione comportante l'impossibilità di svolgere le funzioni giudiziarie con piena indipendenza e imparzialità a1) non risulti sussumibile in alcuna delle fattispecie disciplinari delineate dal decreto legislativo n. 109/2006 ovvero a2) non risulti riconducibile a comportamenti del magistrato».
Si è quindi segnalata la volontà del legislatore di promuovere la netta distinzione tra procedimento disciplinare giurisdizionale e procedura amministrativa di trasferimento, affidando solo al primo la sanzione dei comportamenti rilevanti disciplinarmente a titolo di dolo o colpa, riservando al secondo solo le situazioni obbiettive incidenti sulla funzionalità dell’attività giudiziaria al di fuori di ogni sindacato di colpevolezza del magistrato.
In ragione di tale nuova definizione riduttiva dei propri poteri di intervento amministrativo l’Organo di governo della magistratura nella delibera adottata il 24 gennaio 2007 ha rilevato che «tale ridimensionamento dei poteri di ufficio del Consiglio priva, di fatto, l'autogoverno di strumenti incisivi di intervento proprio nelle situazioni più delicate e nelle “zone grigie” (caratterizzate dalla compresenza di comportamenti di diversa rilevanza), il cui permanere mina (o rischia di minare) la credibilità della giurisdizione, e che a tale carenza non pongono sufficiente rimedio le nuove disposizioni relative alle misure cautelari adottabili in sede di procedimento disciplinare, sia per la diversità dei relativi presupposti che per la più ristretta area di applicazione di queste ultime».
Il Consiglio ha segnalato al Ministro della giustizia l'opportunità di reintrodurre strumenti attivabili d'ufficio idonei ad attribuire al Consiglio, in sede di amministrazione della giurisdizione, un potere di intervento su situazioni oggettivamente pregiudizievoli della «fiducia dei cittadini verso la funzione e nella credibilità di essa» (secondo l'espressione della Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981) più incisivo e di maggiore portata di quello configurato dall'attuale art. 2 legge guarentigie.
2.4. Il nuovo assetto interpretativo
Sul piano dell’elaborazione pratica applicativa il Consiglio superiore ha teso ad affermare la radicale cesura tra il trasferimento per incompatibilità ambientale e funzionale ed i comportamenti disciplinarmente rilevanti – ormai tipizzati – segnalando in relazione al primo istituto l’assoluta irrilevanza dell’elemento soggettivo della condotta del magistrato. In sostanza, l’area delle situazioni rilevanti ex art. 2 legge guarentigie. è stata definita in funzione anche del comportamento individuale del magistrato coinvolto, ma con riferimento esclusivo alla lesione obbiettiva della indipendenza e imparzialità dell’esercizio delle funzioni giudiziarie che ne sia derivata. In concreto, in occasione di fattispecie in cui venissero in considerazione comportamenti volontari dei magistrati, è stato lasciato fuori dall’indagine per l’accertamento dei presupposti del trasferimento ex art. 2 l’elemento soggettivo della rilevanza dell’elemento psicologico colposo.
L’approdo decritto è stato, ad esempio, sviluppato nella delibera del 16 giugno 2011, con la quale è stato deliberato il trasferimento d'ufficio per incompatibilità ambientale di un magistrato dirigente di un ufficio giudiziario requirente.
In quella sede l’organo di governo autonomo della magistratura[6] ha ritenuto che il trasferimento officioso, «volto ad assicurare la salvaguardia del valore primario dell'indipendenza della funzione giurisdizionale, del prestigio di cui essa gode nella comunità e dell'ordinato funzionamento degli uffici giudiziari», si deve fondare su una valutazione oggettiva del comportamento del magistrato e della ricaduta dello stesso sull'ambiente esterno, indipendentemente da qualsivoglia giudizio sulla colpa dell'autore del comportamento. Ciò perché esso non mira a sanzionare un contegno lesivo del prestigio dell'Ordine giudiziario, avente carattere di illecito e sanzionato sul piano disciplinare, e prescinde del tutto dall'accertamento di profili soggettivi di responsabilità avendo soltanto lo scopo di rimuovere sopravvenuti impedimenti al regolare funzionamento degli uffici giudiziari. Per tali ragioni al procedimento amministrativo in questione non si applica la disciplina prevista per il procedimento disciplinare, avente natura giurisdizionale[7].
La ricostruzione dell’istituto di cui all’art. 2 come riformata dalla novella del 2006 è stata condivisa dal giudice amministrativo. Dopo, infatti, una pronuncia di contenuto opposto del Tar del Lazio[8], il Consiglio di Stato, nel medesimo contenzioso[9], dopo avere ribadito che la ratio legis della novella del 2006 era quella di circoscrivere il trasferimento alle sole ipotesi di incompatibilità “incolpevole”, tracciando una demarcazione netta tra i trasferimenti che conseguono a veri e propri procedimenti disciplinari e i trasferimenti amministrativi, ha affermato che «Ne risulta ridimensionata la questione, su cui è contrasto fra le parti del presente giudizio, se il termine “colpa” nella disposizione de qua debba essere interpretato come un richiamo all'elemento soggettivo dell'illecito (la “colpevolezza” in senso lato, a sua volta suscettibile di atteggiarsi in dolo o colpa) ovvero nel senso generico di trasgressione di qualsiasi dovere etico o deontologico: è infatti evidente, alla luce dei rilievi che precedono, la ratio legis di ancorare la possibilità di trasferimento a situazioni oggettive, se del caso anche riconducibili a condotte del magistrato interessato, ma comunque al di fuori di ogni giudizio di “riprovevolezza” di esse. (…)»
La sentenza – nel criticare la motivazione di un precedente provvedimento del Csm – conclude quindi nel senso che la condotta volontaria del magistrato, «riguardata in sé come mero fatto materiale e indipendentemente da qualsiasi giudizio che se ne dia (di liceità o illiceità, di apprezzamento o di riprovazione etc.)» possa in astratto essere suscettibile di integrare il presupposto fattuale per l'applicazione della procedura di trasferimento per incompatibilità ambientale. Ancora più esplicita la sentenza n. 6972/2012 del Tar del Lazio, che, premesso che sotto il profilo soggettivo il trasferimento d’ufficio va ora circoscritto alle sole ipotesi di incompatibilità “incolpevole”, ha precisato che «le situazioni oggettive cui è stata ancorata la possibilità di trasferimento d’ufficio del magistrato possono risultare anche riconducibili a condotte del magistrato interessato, anche se le stesse devono comunque essere valutate al di fuori di ogni giudizio di “riprovevolezza” delle stesse (C. Stato, n. 3587 del 2011)».
Il giudice amministrativo di primo grado ha, quindi, affermato che il ricorso al rimedio del trasferimento d’ufficio presuppone, quanto al profilo soggettivo, «non l’assenza di una condotta volontaria, ma l’assenza di una condotta volontaria colpevole», osservando che, laddove la locuzione “qualsiasi causa” potesse essere ritenuta riferibile esclusivamente a circostanze esterne alla sfera personale del magistrato, ovvero escludere i suoi comportamenti volontari, la successiva precisazione della necessità dell’indipendenza da colpa sarebbe del tutto priva di senso».
È stato quindi ribadito che il rimedio del trasferimento d’ufficio del magistrato può conseguire anche a condotte volontarie dell’interessato.
Emblematica di tale impostazione ormai recepita dal Consiglio superiore, è la vicenda verificatasi negli anni 2011-2013 relativa al procedimento di trasferimento per incompatibilità nei confronti del dirigente di un ufficio di Procura, ritenuto responsabile di condotte pregiudizievoli dell’attività in generale e di specifiche indagini condotte da sostituti del medesimo ufficio. Il procedimento è stato archiviato alla fine del 2011 a seguito dell’inizio dell’azione penale e dell’azione disciplinare nei confronti del medesimo magistrato per i medesimi fatti. Il procedimento penale è pervenuto alla formulazione di specifiche imputazione nei confronti di quel procuratore della Repubblica interessato per i reati di cui all’art. 323 cp commessi in danno di sostituti del suo ufficio, e di cui all’art. 378 cp per favorire gli indagati di alcune importanti indagini.
Il Consiglio, condotta una nuova istruttoria, sentiti il procuratore generale e numerosi magistrati dell’ufficio, ha deliberato una nuova procedura ex art. 2 legge guarentigie nei confronti del medesimo magistrato, osservando come, a prescindere dalla fondatezza delle accuse che gli venivano mosse, che sarebbero state scrutinate nelle sedi appropriate, il fatto che il Capo dell’ufficio fosse sottoposto a processo per reati commessi in danno di componenti del medesimo ufficio, creava inevitabilmente delle difficoltà di funzionamento dell’ufficio e ledeva l’immagine di imparzialità ed indipendenza dell’esercizio della funzione giudiziaria nel territorio. Sono stati su questa base ravvisati i presupposti per il trasferimento d’ufficio. Il nuovo procedimento si è concluso con l’archiviazione in data 9 ottobre 2013, a seguito dell’accoglimento della domanda di trasferimento in prevenzione proposta dal magistrato interessato.
Ancora, nel più recente dei – invero sporadici – casi di trasferimento di ufficio (delibera del 10 maggio 2017), il Consiglio ha disposto la misura nei confronti di un magistrato a seguito di comportamenti che erano stati oggetto di procedimento disciplinare e che avevano anche motivato la già disposta non conferma nell’incarico direttivo di presidente del Tribunale. Nella relativa delibera l’assemblea ha osservato come il provvedimento di non conferma non fosse sufficiente ad elidere i rischi di lesione dell’immagine di indipendenza ed imparzialità dell’esercizio della giurisdizione nel distretto, atteso che le condotte del magistrato interessato, obbiettivamente e senza alcuna valutazione in ordine al grado di rimproverabilità delle stesse, avevano creato un cima di grave conflittualità e di conseguente stabile disagio, sia nei rapporti con il Foro, che in quelli con i colleghi.
2.5. Le proposte di riforma
L’assetto interpretativo consolidato descritto nel paragrafo che precede, è stato in epoca recente messo in discussione da proposte e progetti di modifica normativa dell’art. 2 succedutisi in tempi ravvicinati, e di segno opposto.
In primo luogo è stato presentato in data 15 marzo 2013 al Senato della Repubblica d’iniziativa del senatore Nitto Palma, il disegno di legge in materia di responsabilità disciplinare dei magistrati e di trasferimento d’ufficio (n. 112 Senato della Repubblica XVII legislatura). Detto disegno, tra l’altro, prevedeva la modifica del testo dell’art. 2 nel senso di sostituire, alle parole contenute nell’attuale formulazione «per qualsiasi causa indipendente da loro colpa», la dizione «per qualsiasi situazione non riconducibile ad un comportamento volontario del magistrato».
Esso, come si vede, aveva l’oggetto e l’effetto di ridurre lo spazio d’intervento del Consiglio superiore della magistratura, con lo strumento di cui si parla, limitandolo alle sole ipotesi in cui la perturbazione della funzionalità della funzione giudiziaria dipenda da situazioni non riconducibili da comportamenti di magistrati.
Il Consiglio superiore ha esaminato la proposta di legge nella risoluzione ai sensi dell’art. 10 l. 195 del 1958 approvata il 6 marzo 2014.
In essa, ricostruito il quadro normativo ed interpretativo esistente, ha rilevato che: «La modifica proposta con il disegno di legge in commento si presenta come del tutto distonica ed incoerente con l’evoluzione normativa ed interpretativa illustrata, frutto di una elaborazione progressiva, orientata alla ricostruzione di un disegno equilibrato di composizione sistematica degli istituti di governo della funzionalità degli uffici giudiziari e di disciplina dei magistrati[10]».
In direzione del tutto opposta si è mossa, invece, la proposta elaborata dalla Commissione ministeriale per la riforma dell’Ordinamento giudiziario presieduta dall’on. Michele Vietti secondo la quale i magistrati possono essere trasferiti per incompatibilità «quando, per qualsiasi causa (...), non possono nella sede che occupano, amministrare la giustizia nelle condizioni richieste dal prestigio dell'ordine giudiziario».
La proposta elimina del tutto il limite della incolpevolezza della condotta, sostanzialmente ammettendo l’uso dello strumento per qualsiasi comportamento, anche considerato nella sua dimensione soggettiva di rimproverabilità. Inoltre viene riproposta la più ampia nozione di prestigio dell’ordine giudiziario in luogo del riferimento alla «piena indipendenza e imparzialità nell’esercizio delle funzioni».
La proposta, nella relazione allegata al testo, è motivata sull’assunto che: «L’esperienza di questi anni ha evidenziato come la ripartizione adottata nel 2006 tra procedura amministrativa di incompatibilità ambientale, sostanzialmente incolpevole e il procedimento disciplinare cautelare, evidentemente colpevole, non abbia funzionato. Tale separazione per i tempi della procedura cautelare, pienamente garantita, ha fatto sì che in troppi casi il Csm non dispone di strumenti di intervento urgente a tutela degli uffici giudiziari e della stessa immagine e credibilità della giurisdizione». Si è proposta così la eliminazione della restrizione ai casi incolpevoli, optando per la garanzia del pieno contradditorio con la previsione di un termine perentorio di tre mesi dall’apertura della procedura entro cui il Csm deve pronunciarsi e con la esplicita statuizione che l’apertura di un procedimento disciplinare con richiesta cautelare sospenda la procedura, che potrà riprendere il suo corso in caso di definizione dello stesso.
Il Csm, nella seduta del 13 settembre 2016, ha adottato la Risoluzione sulla relazione della Commissione ministeriale per il progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario, riconoscendo come la modifica proposta dalla Commissione ministeriale in relazione all’art. 2 si muovesse nella direzione conforme alle istanze ed alle attese manifestate dall’organo di governo autonomo della magistratura.
Sintomo di tale diffusa convinzione, ma anche della persistenza di un dibattito sul tema nel circuito del governo autonomo della magistratura è l’apertura di una pratica in Consiglio, deliberata dal Comitato di presidenza il 15 febbraio 2017 in ordine ad una «proposta di modifica dell'art. 2 legge sulle guarentigie della magistratura» nel senso dell’eliminazione della restrizione del suo ambito ai casi di condotta incolpevole e del ritorno, quale oggetto della tutela di legge, al prestigio dell’ordine giudiziario, in luogo del riferimento alle condizioni di esercizio della giurisdizione da parte del singolo magistrato. L’esistenza di tale pratica è stata svelata al pubblico a seguito del suo inserimento, per errore materiale, nell’ordine del giorno della seduta plenaria del 12 aprile 2017 pubblicato sul sito internet del Csm.
3. Le attuali prospettive
Come si è detto, in relazione al tema del trasferimento officioso per incompatibilità ambientale e funzionale, le soluzioni legislative via via proposte, e le prassi applicative nel tempo adottate dal Consiglio superiore, involgono in primo luogo la materia del ruolo che a quest’ultimo può essere affidato nell’organizzazione della funzione giurisdizionale.
In tal senso, sotto il profilo ordinamentale, atteso che il sistema costituzionale assegna al Consiglio superiore della magistratura, in via esclusiva, la responsabilità della tutela della credibilità, dell’indipendenza ed imparzialità della giurisdizione, è stata prospettata la illegittimità costituzionale di una norma che limiti i concreti strumenti di intervento per l’esercizio delle proprie prerogative[11]. Né tale obbiettiva impotenza potrebbe essere colmata dal riferimento alla funzione disciplinare, pure prerogativa esclusiva del Csm. Ed invero, lo strumento disciplinare, per la dipendenza da catalogo tipizzato di fattispecie rilevanti, non è intrinsecamente idoneo a coprire tutto il novero delle condotte in grado di frapporre ostacoli al regolare funzionamento degli uffici giudiziari. Esso è per definizione settoriale e limitato, concentrato come è sulla sola repressione del comportamento antidoveroso del singolo magistrato, indifferente al diverso valore dell’attuazione delle finalità e degli interessi della funzione giudiziaria nel suo complesso. D’altra parte, come è noto, lo stesso intervento disciplinare è subordinato all’iniziativa di poteri diversi ed autonomi – Ministro della giustizia e procuratore generale presso la corte di Cassazione –. Potrebbe così accadere che, pur in presenza dell’accertamento presso il Csm di una situazione obbiettiva di patologia funzionale di un ufficio, tale da mettere in discussione l’imparzialità e l’indipendenza della funzione giudiziaria, così da minarne la stessa credibilità agli occhi degli utenti, ove essa derivi da condotte poste in essere da magistrati, il Consiglio non avrebbe alcuno strumento di intervento riparatore immediato. La esclusiva centralità del disciplinare, insomma, altera, e quasi neutralizza le caratteristiche proprie di un efficace governo della magistratura che impone, al di là della punizione o meno dell’incolpato, di rimuovere con tempestività le cause di una compromessa funzionalità dell’ufficio giudiziario.
Sotto il profilo poi della tutela delle prerogative individuali del singolo magistrato, il riconoscimento di un così ampio potere al Csm è senz’altro conforme all’impostazione costituzionale che, a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della funzione, assegna in via esclusiva al Consiglio superiore l’esercizio del potere di regolare in sede amministrativa ogni aspetto del percorso professionale dei magistrati – assunzioni, assegnazioni di sede, trasferimenti, valutazioni di professionalità, conferimento di incarichi ecc. – sul presupposto che per la sua particolare natura e composizione, esso sia idoneo a scongiurare i rischi di utilizzo strumentale o intimidatorio dei poteri amministrativi.
Certo, è necessario sull’opposto fronte assicurare ai magistrati che, in concreto, le iniziative nel settore, obbiettivamente in grado di porre in discussione l’immagine e la responsabilità professionale del singolo interessato, non siano il risultato di un atteggiamento pregiudizialmente ostile al suo operato giurisdizionale, secondo le variabili maggioranze culturali e politiche in cui si può articolare il consenso consiliare.
D’altra parte, come si esamina in altri contributi del presente volume, la discrezionalità del governo autonomo da parte del Consiglio superiore è un patrimonio di inestimabile valore per la magistratura italiana; deve essere disciplinata, controllata e coerentemente esplicitata, ma non può essere rinunciata. In primo luogo ed al di là di tutto per la banale considerazione che il governo della magistratura - per ragioni che in questa sede è impossibile esaminare – in tutte e ciascuna delle sue espressioni è tema di ineludibile politicità intrinseca. La sottrazione degli strumenti di esercizio al Consiglio superiore ha come effetto ineluttabile il trasferimento delle funzioni ad organi diversi, espressivi di istanze istituzionali alternative, potenzialmente distoniche ed addirittura confliggenti. Con un margine di discrezionalità e di rischio di strumentalità non certo inferiore a quello di cui si teme l’esercizio da parte del Csm.
È necessario d’altra parte che l’ambito di intervento amministrativo sia seriamente e riconoscibilmente separato da quello coperto dalla funzione disciplinare, per evitare inammissibili confusioni o duplicazioni ed impedire allo strumento di esorbitare dall’ambito della responsabilità organizzativa e di tutela della effettività della funzione giurisdizionale, trasmodando nella impropria sanzione dei comportamenti del singolo magistrato.
Potrebbero in questo senso rivelarsi pericolosi quei propositi di modifica legislativa orientati ad eliminare ogni limite all’ambito oggettivo degli accertamenti consentiti dall’art. 2, permettendo di sindacare sotto ogni profilo, anche colpevole, le condotte ascritte a magistrati. Esse finirebbero per rendere il procedimento per incompatibilità ambientale e funzionale strumento di illimitata ed indiscriminata indagine sui comportamenti dei magistrati, al di fuori delle garanzie sostanziali e processuali offerte dal sistema disciplinare, e quindi con innegabili rischi di condizionamento e pregiudizio dell’autonomia e dell’indipendenza della funzione. Deve quindi essere scongiurata l’attribuzione, già in passato denunciata, di una funzione paradisciplinare al procedimento ex art. 2.
In tal senso appare equilibrato e ragionevole l’assetto interpretativo, descritto sopra, raggiunto nella prassi del Csm e nelle pronunce del giudice amministrativo, per il quale l’art. 2 è mezzo di garanzia dell’imparzialità e della indipendenza della funzione obbiettiva esercitata dagli uffici giudiziari. Esso rientra quindi tra gli strumenti di carattere organizzativo orientati al perseguimento dell’effettività del funzionamento dei presidi giurisdizionali, analogamente alle regole e prescrizioni afferenti la materia tabellare[12], ed ha lo scopo di eliminare ogni motivo di turbamento obbiettivo del buon andamento della relativa attività. Qualora il turbamento derivi da condotte individuali volontarie di magistrati, esse possono essere riguardate soltanto sotto il profilo di tale incidenza obbiettiva, e ne possono essere investigate le ricadute solo sul piano dell’organizzazione del servizio. Nessun intento e nessun profilo censorio o sanzionatorio può essergli ascritto. Per questo motivo è preclusa qualsiasi indagine sulla rimproverabilità e colpevolezza della condotta.
È molto difficile, nella prospettiva descritta – come in molte delle prospettive attinenti l’esercizio del potere di governo autonomo della magistratura – stabilire in maniera preventiva automatismi e limiti generali che diano corpo e sicura affidabilità alla distinzione descritta, definita secondo un modello teorico di cui possono sfuggire o divenire estremamente opinabili le ricadute concrete.
Così è possibile che la separazione tra funzione amministrativa di garanzia del buon andamento degli uffici, e responsabilità di repressione delle condotte individuali illecite disciplinarmente, chiara nell’elaborazione teorica, soffra ampi margini di controvertibilità nella pratica, consentendo in concreto incertezze ed ambiguità, anche dolose o strumentali.
Come accade sovente quando si tratta di declinare in vicende specifiche prescrizioni formali astratte, le insufficienze e le genericità delle regole possono essere ovviate attraverso la procedimentalizzazione rigorosa del percorso della loro applicazione.
La analitica procedimentalizzazione, in sede legislativa o consiliare, risponde quindi alla necessità di evitare che, nella sostanza, l’art. 2 sia utilizzato direttamente quale mezzo di repressione di condotte ritenute censurabili di magistrati, ma anche che il trasferimento officioso, motivato con riferimento alle esigenze di tutela della funzionalità dell’ufficio, diventi una sorta di automatico e scontato pendant dell’incolpazione disciplinare – introducendo peraltro problemi di coordinamento con le fattispecie di trasferimento d’ufficio cautelari e definitive previste dal d.lvo 109/2006.
La procedimentalizzazione dettagliata ha inoltre lo scopo di garantire al magistrato che ne sia interessato una definizione tempestiva della procedura, per evitare che la pendenza indefinita leda la sua immagine di indipendenza, imparzialità ed autonomia, e alimenti nel circuito del governo autonomo ed all’esterno presso la pubblica opinione perplessità pregiudizievoli in relazione al suo profilo professionale, non giustificate da alcun accertamento effettivo.
Ed è per tale motivo che nella redazione del presente contributo si è iniziato proprio dal dare conto della recente iniziativa del Consiglio superiore della magistratura di aggiornare e dettagliare attraverso la previsione di condizioni e termini rigorosi la procedura ex art. 2. Nella convinzione che la materia non necessiti di radicali modifiche nella configurazione astratta dei presupposti – in relazione ai quali è stato aggiunto un equilibrato assetto interpretativo – ma piuttosto di regole precise di definizione dei confini operativi ed un robusto apparato di garanzie della tempestività, conoscenza e partecipazione di chi vi sia coinvolto. Se le concrete previsioni contenute nella circolare Csm del luglio 2017 non sono esenti da critiche per mancanze ed insufficienze[13], che non è questa la sede per esaminare in dettaglio, la sua adozione manifesta una commendevole presa di coscienza che la strada per garantire la compatibilità dell’art. 2 con le diverse ed opposte istanze di tutela in gioco è quella della strutturazione procedimentale, piuttosto che la – ennesima – iniziativa di modifica legislativa dei presupposti.
Occorre quindi stabilire regole di esclusione per garantire la sua non sovrapponibilità, né materiale, né concettuale, con l’ambito disciplinare, ed occorre garantire termini perentori rapidi e certi per la sua definizione, nonché informazione e partecipazione dei magistrati interessati.
A queste condizioni, ad opinione di chi scrive, è possibile perseguire l’effettività del governo autonomo della magistratura, senza intaccare le garanzie dell’integrità delle prerogative costituzionali del singolo magistrato.
[1] In tal senso S. Erbani, Gli illeciti disciplinari dei magistrati, in Il nuovo Ordinamento giudiziario a cura di D. Carcano, Giuffrè, Milano, 2006, pp. 322 ss.
[2] Per il riconoscimento in giurisprudenza della possibile coesistenza degli istituti in presenza di comportamenti colpevoli, in ragione della differenza di natura e funzione degli istituti, tra le altre Cass. sez. un. n. 1994/2003, S. Mazzamuto, L’incompatibilità ambientale e funzionale in Il Consiglio Superiore della Magistratura, aspetti costituzionali e prospettive di riforma, Torino 2001, pp. 103 ss.
[3] Si rinvia sul punto alla approfondita analisi di S. Erbani, Trasferimento di ufficio per incompatibilità ambientale e sistema disciplinare, in questa Rivista trimestrale, Franco Angeli, Milano, n. 2, 2010, pp. 113 ss.
[4] In questi termini M. Arcuri, L’inamovibilità dei magistrati, Egea, 2014, pp. 29-30.
[5] Oltre a quelli citati nel testo si segnala la risoluzione approvata nella seduta del 19 luglio 2006, contenente il primo e urgente intervento mirato ad affrontare prevalentemente le questioni relative alla fase transitoria e alla relativa disciplina (art. 26, comma 2 decreto legislativo n. 109/2006). In particolare il Consiglio ha disposto nel senso che la Prima Commissione, doveva procedere all'esame delle singole pratiche pendenti all'entrata in vigore del d.lgs 23 febbraio 2006 n. 109, verificando, al fine delle valutazioni concernenti la segnalazione al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, a) l'astratta riconducibilità della fattispecie concreta alle diverse ipotesi di illecito disciplinare previste dalla normativa e b) che la condotta ascritta al magistrato non appaia incolpevole ictu oculi ovvero all'esito di un accertamento preliminare. All'esito di tale valutazione, la Commissione doveva quindi assumere le necessarie determinazioni al fine di adottare i provvedimenti di competenza del Consiglio.
[6] Si legge nella delibera la premessa «la riforma del 2006, proprio al fine di separare in maniera più marcata le competenze giurisdizionali da quelle amministrative in tema di trasferimento d’ufficio e nell’ottica di giurisdizionalizzare, quanto più possibile, una procedura che incide fortemente sulla garanzia costituzionale dell’inamovibilità, ha per un verso codificato e circoscritto le ipotesi di trasferimento d’ufficio in sede disciplinare, estendendole anche in sede cautelare (art. 13 d.lgs n. 109/2006) e, per altro verso, ha ridotto l’ambito di applicazione dell’art. 2 legge guarentigie. Il chiaro obiettivo perseguito dalla norma è, infatti, quello di creare un confine netto e senza possibili duplicazioni fra la procedura paradisciplinare e la procedura disciplinare».
[7] Su queste premesse di principio nella delibera di trasferimento si è, quindi, verificato che i fatti accertati a carico del magistrato sottoposto a procedimento fossero in rapporto di diretta causalità con la compromissione della piena indipendenza ed imparzialità nello svolgimento della funzione giurisdizionale, ragion per cui il trasferimento d’ufficio è stato ritenuto indispensabile per il ripristino della credibilità, dell’autorevolezza e dell’imparzialità dell’amministrazione della giustizia.
[8] Si tratta di Tar del Lazio, sezione I, sentenza 29 aprile 2009 n. 4454.
[9] C. Stato. IV, 13 giugno 2011, n. 3587.
[10] La delibera prosegue osservando che «L’esclusione dal novero delle evenienze che giustificano l’intervento del Consiglio superiore di tutte le situazioni riconducibili a comportamenti volontari dei magistrati realizzerebbe una formidabile limitazione dell’istituto, in quanto non consentirebbe di considerare gli effetti, sulla concreta funzionalità degli uffici giudiziari, anche solo con esclusivo riferimento al profilo obbiettivo della complessiva immagine di indipendenza ed imparzialità, di evenienze ricollegabili a condotte di magistrati che siano provviste del mero coefficiente della coscienza e volontà. L’art. 2 troverebbe applicazione solo in relazione a circostanze del tutto esterne alla volontà del magistrato, quali situazioni ambientali, oggettive, non dipendenti dal comportamento volontario. Ogni volta che fossero in discussione gli effetti di un comportamento di un individuo, a prescindere da ogni connotazione soggettiva, l’organo di governo autonomo della magistratura dovrebbe invece arrestarsi, rinunciando al suo ruolo di tutela e garanzia dell’andamento indipendente ed imparziale della funzione giurisdizionale. L’unico spazio di intervento residuo sarebbe quello disciplinare, qualora ne ricorrano i presupposti. Occorre peraltro notare che il sistema disciplinare in vigore è ispirato ad una tendenziale tipizzazione tassativa, ma è privo di clausole di chiusura che potrebbero mettere il sistema al riparo da possibili zone franche determinate da impotenza.».
[11] Nel senso della incompatibilità con il sistema costituzionale di tale soluzione: Carluccio, Il trasferimento dei magistrati per incompatibilità ambientale e funzionale, in Giornale di diritto amministrativo, 2/2010, pp. 1 ss.
[12] Ed in effetti, come è noto, nella materia tabellare rientrano interventi organizzativi anche fortemente incidenti sulle prerogative individuali del singolo magistrato – si pensi al trasferimento interno officioso per motivi organizzativi, alle assegnazioni di posti e di ruoli, alle prescrizioni in materia di limiti cronologici alla permanenza nelle funzioni etc.
[13] A titolo di esempio bisogna segnalare che il senso e l’effettività dei termini perentori stabiliti – invero tutti piuttosto lunghi - perde di effettività una volta che si stabilisca, come fa l’art. 4 del nuovo testo che essi inizino a decorrere dalla data fissata dal Presidente per lo svolgimento della relazione, suscettibile di determinazione del tutto discrezionale ed anche arbitraria in assenza di ogni vincolo in merito.