Nota a sentenza CGUE, Grande sezione, 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Melloni
Il sig. Melloni veniva indagato in Italia per il delitto di bancarotta fraudolenta. Trasferitosi in Spagna, a seguito della richiesta della magistratura italiana ne veniva concessa l’estradizione da parte delle autorità spagnole perché questi potesse esseregiudicato presso il Tribunale di Ferrara. Tuttavia egli, rilasciato su cauzione in Spagna, si dava alla fuga. Il processo intanto in Italia seguiva il suo corso ed il Tribunale di Ferrara rilevava la mancata comparizione del sig. Melloni autorizzando l’esecuzione delle notifiche presso i difensori di fiducia da lui nominati. Veniva quindi, all’esito del processo, condannato in contumacia alla pena di dieci anni di reclusione, sentenza confermata dalla Cassazione nel 2004.
Il procuratore generale presso la Corte d’appello di Bologna spiccava quindi un nuovo mandato di arresto europeo al fine dell’esecuzione della sentenza di condanna. Arrestato nel 2008 dalle autorità spagnole gli atti venivano trasmessi alla prima sezione della camera penale della Audiencia National.
Il sig. Melloni si opponeva alla consegna alle autorità italiane lamentando anzitutto di aver conferito in appello mandato ad un avvocato diverso da quelli del primo grado, revocando i mandati precedenti ma che tuttavia le notifiche avevano continuato ad essere eseguite presso i difensori originari. Adduceva altresì la circostanza che il diritto processuale italiano non consentisse di impugnare le sentenze pronunciate in absentia e che quindi l’esecuzione avrebbe dovuto essere subordinata dalle autorità spagnole alla circostanza che venisse consentito all’imputato di impugnare la sentenza di condanna.
L’Audiencia National rigettava le doglianze ritenendo indimostrata la revoca dei difensori e valutando rispettato il diritto di difesa in considerazione del fatto che i due avvocati, nominati di fiducia, avevano ricevuto tutte le notifiche e avevano partecipato all’intero processo.
Il sig. Melloni proponeva quindi ricorso avanti all’organo costituzionale spagnolo lamentando la violazione del diritto ad un processo equo così come sancito dall’art. 24 comma 2 della costituzione spagnola. Ad avviso del ricorrente infatti la consegna a Stati che, per reati con pena elevata, non prevedono la revisione del processo per il caso di processi celebrati in absentia, lederebbe il principio sancito dalla carta costituzionale spagnola.
Il giudice del rinvio, nel sollevare la questione, osserva come in effetti, anche guardando ai propri precedenti giurisprudenziali, la consegna della persona verso paesi che non prevedono forme di ricorso per processi celebrati in absentia costituisca una violazione del diritto ad un equo processo garantito dalla propria Carta costituzionale.
Rileva tuttavia che la Decisione Quadro n. 2009/299 ha introdotto il nuovo art. 4 bis che pone un principio antitetico rispetto a quello garantito dalla Carta costituzionale. Tale disposizione infatti impedirebbe di “rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione” quando l’interessato “essendo al corrente della data fissata, aveva conferito un mandato ad un difensore, nominato dall’interessato o dallo Stato, per patrocinarlo in giudizio, ed è stato in effetti patrocinato in giudizio da tale difensore”.
Posta tale premessa, il giudice delle leggi spagnolo si interroga se l’art. 4 bis vieti alle autorità giudiziarie di subordinare l’esecuzione di un mandato di arresto alla condizione che la sentenza di condanna possa essere riesaminata al fine di garantire i diritti dell’interessato. Inoltre, qualora al primo quesito debba essere data risposta affermativa, si domanda se ciò sia conforme agli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali. Da ultimo, qualora sia data soluzione positiva, si chiede se l’art. 53 della Carta,prescrivendo che il diritto dell’Unione non debba limitare eventuali disposizioni maggiormente favorevoli poste a tutela dei diritti fondamentali dalle Carte costituzionali degli Stati membri, consenta di porre comunque al mandato d’arresto europeo in questione la condizione della possibilità di revisione del processo celebrato in absentiaallo Stato richiedente.
La questione in analisi è di grande rilevanza in quanto chiede alla Corte di vertice del sistema europeo di giudicare la legittimità di disposizioni contenute nelle Grundnormen degli Stati membri che tutelino maggiormente i diritti fondamentali dell’individuo rispetto a quanto statuito dal diritto dell’UE, ma che al contempo siano in contrasto con lo stesso.
La Corte risponde analiticamente ai tre quesiti. Quanto al primo, osserva anzitutto che il fine dell’articolo 4 bis è stato quello di facilitare la cooperazione giudiziaria in materia penale, migliorando il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra gli Stati membri attraverso un’armonizzazione dei motivi di non riconoscimento delle decisioni pronunciate al termine di un processo celebrato in contumacia. Le misure contenute in tale disposizioni sono state quindi stabilite per eseguire comunque la decisione, pur rispettando le esigenze di difesa e pertanto la norma in questione vieta che l’autorità che deve consegnare il soggetto possa subordinare tale consegna alla celebrazione della revisione del processo avvenuto in absentia.
Risolta la prima questione, i giudici affrontano la successiva evidenziando che, sebbene il diritto dell’imputato a comparire sia un elemento essenziale del diritto ad un equo processo, esso non può ascriversi alla categoria dei diritti assoluti. L’imputato può infatti rinunciarvi sia in modo esplicito che tacito. In particolare, argomentano imagistrati, l’interpretazione dell’art. 6 Cedu, par. 1 e 3 fatta propria dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che deve ritenersi parte integrante degli articoli 47 e 48 della Carta avendo tali articoli la medesima portata della disposizione convenzionale ed essendo ciò espressamente disposto dal preambolo della Carta stessa, esplicitamente si sostiene che non sussista violazione del diritto ad un equo processo nei casi in cui il soggetto sia stato informato relativamente alla data ed al luogo di celebrazione del processo ovvero sia stato assistito da un difensore nominato di fiducia.
La previsione di cui all’art. 4 bis, che prevede l’impossibilità di subordinare l’estradizione della persona richiesta all’esecuzione di un nuovo processo, tra l’altro, qualora questi abbia scelto di farsi rappresentare da un difensore da lui nominato, non può pertanto ritenersi contrastante con le disposizioni di cui agli artt. 47 e 48 della Carta.
I giudici europei affrontano infine l’ultima e certamente più delicata questione ritenendo di non poter accogliere neanche tale doglianza, la quale se recepita avrebbe consentito comunque alle autorità spagnole di poter subordinare la consegna alla celebrazione di un nuovo processo in Italia. Il fondamento di tale asserto risiede nel principio del primato del diritto dell’Unione che verrebbe minato nelle sue stesse fondamenta qualora fosse concessa la possibilità ad uno Stato di subordinare l’estradizione al rispetto di diritti fondamentali previsti in maniera differente ancorché maggiormente favorevoli all’interessato, dalle proprie Costituzioni nazionali.
Richiamandosi alla propria precedente giurisprudenza infatti, la Corte sottolinea il principio che “il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può sminuire l’efficacia del diritto dell’Unione nel territorio di tale Stato”.
La possibilità di opporsi alla consegna nelle forme stabilite dalla decisione quadro in ragione dei propri principi costituzionali comporterebbe quindi una lesione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che la decisione quadro mira a rafforzare, creando un rilevante pregiudizio per l’effettività della stessa.
La rilevante sentenza sembra segnare un’inversione di tendenza per l’Italia, la cui disciplina in tema di processo contumaciale è stata a più riprese oggetto di condanne in sede europea. Nel caso di specie, tuttavia, la circostanza che l’imputato avesse nominato i propri legali è risultata essere fondamentale al fine del giudizio della compatibilità con il quadro europeo della disciplina italiana, in ragione della necessità, ritenuta essenzialeanche a livello sovranazionale, che le garanzie europee statuite a tutela dell’equo processo non si traducano in una paralisi per gli organi giudiziari nazionali.