Magistratura democratica
Corti europee e Corti internazionali

X e altri c. Bulgaria: la Corte EDU sui diritti procedurali delle vittime di abusi, sull'importanza delle tecniche di indagine, dell'ascolto, della cooperazione internazionale

La Corte europea dei diritti dell’uomo il 2 febbraio ha condannato la Bulgaria per aver violato il profilo procedurale dell’art. 3 della Convenzione in un caso concernente abusi su tre bambini, adottati da una coppia italiana, durante la loro permanenza in un orfanotrofio bulgaro. In una sentenza densa e complessa, la Corte arricchisce la sua giurisprudenza ponendo capisaldi in punto di qualità delle indagini relative a abusi su minori, del ruolo delle Convenzioni di Lanzarote e di New York nell'individuazione di diritti sostanziali e obblighi procedurali, dell'ineludibile importanza dell'ascolto e dell'obbligo di cooperazione internazionale nei casi con elementi di estraneità.

Le indagini condotte dalle autorità bulgare sono state inefficaci. Le omissioni, gravi, non hanno permesso di far luce sulle gravi accuse di abusi e violenze all’interno dell’orfanotrofio in cui tre fratelli vivevano prima di essere adottati da una coppia italiana nel giugno del 2012. 

Così la Grande Camera ha condannato la Bulgaria per aver violato l’art. 3 della Convenzione sotto il  profilo procedurale, interpretato alla luce degli strumenti internazionali e della Convenzione di Lanzarote. Gli inquirenti, non utilizzando gli strumenti d’indagine interni né quelli forniti dalla cooperazione internazionale, non hanno adottato misure ragionevoli e «non hanno svolto un’analisi minuziosa e completa degli elementi a disposizione».

La sentenza di primo grado della Corte Edu, che rigettava il ricorso di una coppia italiana e dei loro tre bambini, è stata quindi ribaltata dalla Grande Camera: la Bulgaria è stata condannata al pagamento della somma complessiva di 36.000 euro a favore dei tre minori per il danno non patrimoniale subito. 

I bambini, fratelli biologici adottati all’età di 12, 10 e 9 anni, durante i colloqui con alcuni psicologi specializzati, a cui i genitori adottivi si erano rivolti, hanno denunciato le violenze sessuali che loro e altri bambini della loro età avevano subito all’interno dell’orfanotrofio. I tentativi di denuncia da parte della famiglia adottiva sono stati molteplici: nel novembre 2012 il padre adottivo ha preso contatto con l’associazione Telefono Azzurro, con cui hanno accordato diverse modalità di segnalazione, all’Agenzia nazionale bulgara per la tutela dei minori e al Centro Nadja, fondazione specializzata nella tutela dei minori a rischio, la quale ha a sua volta riferito all’Agenzia nazionale per la tutela dei minori. L’informazione è stata trasmessa al Ministero della giustizia e l’Agenzia ha chiesto al padre, con una comunicazione in lingua bulgara, di riferire i nomi di nascita dei minori per procedere alle verifiche necessarie. Ma questa via ha portato a un nulla di fatto. Il padre ha poi inviato un esposto alla Commissione per le adozioni internazionali (Cai), comunicando i nomi dei presunti responsabili. Il caso è arrivato alla procura per i minorenni di Milano attraverso la segnalazione dell’associazione Telefono Azzurro, che ha messo a disposizione tutto il materiale in suo possesso, tra cui il rapporto degli psicologi e la lettera del padre, con cui si evidenziava che tutti i minori dell’orfanotrofio avevano subito abusi e violenze. Successivamente, sono stati eseguiti due controlli all’orfanotrofio in questione: uno a seguito della trasmissione degli atti da parte della procura italiana e un altro a seguito della pubblicazione nel gennaio 2013 di un’inchiesta dell’Espresso. Anche questi due procedimenti si sono conclusi con le decisioni di non luogo a procedere, per la mancanza di elementi a sostegno dei reati. Un tentativo è stato fatto anche dal Ministero della giustizia italiano, che si è rivolto ufficialmente alle autorità bulgare, ma il procedimento avviato è stato presto archiviato.

 

Proibizione della tortura, profilo sostanziale dell’art. 3

Secondo la Grande Camera, la Bulgaria non ha violato l’art. 3 sotto il profilo sostanziale: il quadro normativo è infatti considerato adeguato e «non ci sono evidenze che provino che all’epoca dei fatti in Bulgaria ci fosse un problema sistemico di pedofilia, turismo sessuale e abusi sessuali all’interno di strutture residenziali o scuole» (§ 196). Allo stesso modo, la Corte ritiene di non avere elementi sufficienti per sostenere che le autorità interne avrebbero potuto adottare misure preventive, per scongiurare il rischio per i minori di essere vittime di trattamenti inumani: " in mancanza di prove che corroborino l'affermazione secondo cui il primo ricorrente aveva denunciato gli abusi al direttore, la Corte non dispone di informazioni sufficienti per constatare che le autorità bulgare sapevano o avrebbero dovuto sapere di un rischio reale e immediato per i ricorrenti di essere sottoposti a maltrattamenti, tale da far sorgere l'obbligo di adottare misure operative preventive per proteggerli da tale rischio" (§ 198).

 

Proibizione della tortura, profilo procedurale dell'art. 3

La Bulgaria ha però violato la disposizione perché non ha accertato correttamente la supposta violazione. Non ha considerato adeguatamente le molteplici richieste delle autorità italiane di avviare un procedimento penale, dice la Corte Edu. «Avevano il dovere […] di adottare senza indugio le misure necessarie per valutare la credibilità delle richieste, chiarire le circostanze del caso e identificare i responsabili» (§ 201). Le mancanze delineate nella sentenza hanno dunque «compromesso l’efficacia delle indagini nel caso in questione». 

 

La Convenzione di Lanzarote

La motivazione della Corte si articola richiamando a più riprese la Convenzione di Lanzarote[1] e la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, che hanno incorporato gli standard elaborati dalla Corte EDU in particolare in punto di violenza contro i minori e di obbligo degli Stati di condurre un'indagine effettiva[2]. La Grande Camera valuta accuratamente l’efficacia delle indagini tenendo conto dell’età dei ricorrenti e della gravità dei reati in questione. Le autorità interne avrebbero dovuto fornire il necessario supporto ai bambini e a chi ne ha compiti di cura, «informare le vittime circa i loro diritti e i servizi disponibili […] sui capi di imputazione contestati, sullo svolgimento generale delle indagini» come recita l’art. 31 della Convenzione di Lanzarote, così affermano i giudici di Strasburgo. La mancata informazione da parte delle autorità bulgare ha impedito alle parti di assumere un ruolo attivo nei procedimenti. 

Di fronte ad accuse gravi come quelle di abusi sessuali, gli Stati sono chiamati a condurre indagini approfondite e non può essere in alcun modo delegata alla vittima la responsabilità dello svolgimento delle procedure di indagine. Lo Stato ha l’obbligo di «fornire il supporto necessario ai minori e a chi se prende cura» (art. 19 Convenzione Onu), offrire «misure di protezione e assistenza alle vittime» (art. 11-14 Convenzione Lanzarote), «proteggendo il loro anonimato» (art. 13). Queste disposizioni sono volte ad assicurare che le indagini, continua la Corte, siano svolte nell’interesse superiore del minore, garantito dall’art. 30, minore che ha il diritto di essere sentito (artt. 31 Conv. Lanzarote e 12 Conv. New York). 

 

L'audizione del minore

La Corte pone un'enfasi particolare sul diritto del minore ad essere ascoltato, sottolineandone la cruciale importanza. Ricorda che la Convenzione di Lanzarote stabilisce la necessità di permettere ai bambini interessati «di essere ascoltati, di fornire prove e di scegliere i mezzi per far presentare, direttamente o attraverso un intermediario, le loro opinioni, esigenze e preoccupazioni e per farle prendere in considerazione» (articolo 31 § 1 (c) della Convenzione di Lanzarote), anche consentendo loro di essere accompagnati dal loro rappresentante legale. Per ridurre al minimo il numero dei colloqui ed evitare così ulteriori traumi, la Convenzione di Lanzarote prevede anche l'uso di registrazioni video e raccomanda che tali registrazioni siano accettate come prova (articolo 35). 

Le misure adottate dalla autorità per sentire i minori ancora residenti nell’orfanotrofio, ad esempio, non hanno tenuto conto dell’età e del livello di maturità dei bambini. Le audizioni inoltre non sono state videoregistrate, come richiesto dall’art. 35 c. 2, garanzia che permette di sottoporre il bambino al minor numero possibile di interrogatori.

 

Cooperazione internazionale

La Grande Camera evidenzia l’obbligo in capo agli Stati di operare, nei casi con elementi di transnazionalità, attraverso i canali della cooperazione internazionale al fine di eseguire le necessarie indagini e perseguire i crimini: «i ricorrenti avrebbero potuto essere sentiti attraverso i meccanismi di cooperazione giudiziaria esistenti specialmente tra gli Stati dell’Unione europea» (§ 217). La stessa Convenzione di Lanzarote all’art. 38 riconosce la possibilità di ricorrere alla cooperazione internazionale in materia di abusi di minori. Di fronte alle informazioni dettagliate fornite nei documenti trasmessi dalle autorità italiane a quelle bulgare, attraverso diversi canali, queste ultime avrebbero dovuto «chiarire le circostanze», sentendo i ricorrenti e i genitori adottivi, sottolinea la Corte. Avrebbero potuto, aggiunge, «recarsi in Italia nell’ambito della mutua assistenza giudiziaria o richiedere alle autorità italiane che venissero sentiti i ricorrenti». O ancora, avrebbero potuto richiedere ai magistrati italiani le videoregistrazioni delle interviste dei bambini condotte dagli psicologi specializzati in abuso su minori e degli ascolti effettuati dal pubblico ministero minorile, al fine di verificare la credibilità degli elementi forniti, anche con l'aiuto di esperti; o ancora avrebbero potuto chiedere alle autorità italiane di sottoporre i bambini a un esame medico. 

 

Uso di mezzi di indagine "invasivi" e "under cover measures"

Le autorità dello Stato avrebbero dovuto adottare misure investigative più efficaci e caratterizzate da maggiore segretezza (come intercettazioni, sorveglianza, acquisizione di telefonate e messaggi, agenti sotto copertura) previste dall'art. 30 § 5 della Convenzione di Lanzarote e largamente usate in Europa per questo tipo di crimini. Di fronte all'obiezione del Governo bulgaro che simili misure violano il diritto alla vita privata delle persone e necessitano di autorizzazione giudiziaria basata su prove credibili, la Corte osserva: «nella fattispecie, tali misure appaiono appropriate e proporzionate, tenuto conto delle affermazioni dei ricorrenti secondo cui era coinvolta una rete organizzata e del fatto che erano state menzionate persone identificabili. Misure di questo tipo avrebbero potuto essere attuate progressivamente, iniziando con quelle che hanno il minor impatto sulla vita privata delle persone, come la sorveglianza esterna delle entrate e delle uscite dall'orfanotrofio, e passando, se necessario e sulla base della relativa autorizzazione giudiziaria, a misure più invasive come le intercettazioni telefoniche, in modo da garantire il rispetto dei diritti dell'articolo 8 delle persone interessate, che devono anche essere presi in considerazione» (§ 221).

 

L'approccio formale delle autorità bulgare

In conclusione, la Grande Camera rileva che le autorità bulgare hanno risposto, sì, alle richieste delle autorità italiane con l’apertura di tre procedimenti, ma «le informazioni raccolte e le motivazioni a sostegno delle decisioni» rivelano i limiti delle indagini condotte e la loro inefficacia. La conclusione della prima indagine si è basata solo sugli accertamenti effettuati dall'Agenzia di Stato per la protezione dei bambini; nella seconda e nella terza indagine, le autorità, senza aver ascoltato direttamente i ricorrenti né aver visionato le registrazioni video, hanno dato un peso decisivo alle spiegazioni fornite dalle poche persone interrogate (per lo più il personale dell'orfanotrofio e alcuni vicini) e alle contraddizioni nelle dichiarazioni dei ricorrenti, in particolare per quanto riguarda i nomi e i ruoli delle persone che avevano nominato, anche se alcune di queste incongruenze erano facilmente spiegabili. Secondo la Procura Generale i ricorrenti avrebbero fatto accuse di abusi perché «[avevano avuto] paura di essere respinti dai loro genitori adottivi, che disapprovavano fortemente il loro comportamento immorale ... [e avevano] cercato di ispirare pietà ... riferendo episodi non realmente accaduti in cui erano stati vittime di reati», senza fornire alcun elemento di fatto su cui si basassero tali conclusioni (§ 226). A parere della Corte, le motivazioni addotte per chiudere il caso «(§ 227) … non sembrano essere scaturite da un attento studio delle prove ottenute e sembrano dimostrare che, piuttosto che chiarire tutti i fatti rilevanti, le autorità inquirenti hanno cercato di stabilire che le accuse dei ricorrenti erano false evidenziando le inesattezze che contenevano, in particolare riguardo al nome del direttore e al fatto che un individuo di nome N. non era stato impiegato nell'orfanotrofio ma aveva lavorato come appaltatore esterno. 228. tutte queste considerazioni suggeriscono che le autorità inquirenti, che non si sono avvalse, in particolare, dei meccanismi di indagine e di cooperazione internazionale disponibili, non hanno adottato tutte le misure ragionevoli per far luce sui fatti del caso di specie e non hanno intrapreso un'analisi completa e attenta degli elementi di prova a loro disposizione. Le omissioni osservate appaiono sufficientemente gravi da far ritenere che l'indagine svolta non sia stata efficace ai fini dell'articolo 3 della Convenzione, interpretato alla luce degli altri strumenti internazionali applicabili e in particolare della Convenzione di Lanzarote. Ne consegue che vi è stata una violazione della parte procedurale dell'articolo 3».


 
[1] Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, entrata in vigore il 1° luglio 2010. È il primo strumento giuridico con cui gli Stati si vincolano all’obbligo di criminalizzare diverse forme di abuso.

[2] L'articolo 19 § 2 della Convenzione sui diritti del fanciullo, come interpretato dal Comitato sui diritti del fanciullo, e articoli 12-14 e 30-38 della Convenzione di Lanzarote, da leggere insieme al Rapporto esplicativo di tale Convenzione.

[**]

Maria Giuliana Civinini, Presidente del Tribunale di Pisa
 
Marika Ikonomu, Università Statale di Milano, già tirocinante presso la Rappresentanza permanente d’Italia presso il Consiglio d’Europa

12/02/2021
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